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Autore: Miyuki chan    01/03/2012    12 recensioni
Io, giuro, quella ragazza non l'avrei mai capita.
Prima mi ringhiava contro, poi si arrabbiava, poi mi ignorava, poi ancora fuggiva.
E adesso addirittura mi baciava...
*
Io, un giorno o l'altro, a quello stupido pirata avrei staccato la testa dal collo.
Lui e quella sua perenne aria da moccioso compiaciuto, i capelli corvini e ribelli, le lentiggini, gli occhi scuri e ardenti...
Stupido pirata, tanto bello quanto stupido.
Genere: Azione, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Marco, Nuovo personaggio, Portuguese D. Ace, Smoker, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Fire and the Tiger'
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L'ultimissima parte del capitolo è stata leggermente modificata! So che non è il massimo modificarla in questo modo, ma proprio non ho resistito.
ATTENZIONE! Preparatevi psicologicamente donne, questo è l'ultimo capitolo.
Lo so che avevo detto almeno altri 2: ma questo vale come 2 capitoli condensati in uno.
Ci sentiamo in fondo alla storia!


Hell is open to heaven


Mi allontanai appena dalle sue labbra, guardandolo in quegli occhi nerissimi e brucianti:
“Ace…”
“Si?”
Scossi la testa sorridendo:
“Mphf, nulla: mi piace il tuo nome.”
Scrollò le spalle con un sorriso luminoso:
“Anche a me”
Rispose con semplicità, mentre il suo sguardo saettava per un secondo sul tatuaggio sul suo braccio prima di tornare a fissarsi su di me.
Osservai a mia volta le lettere nere:
“E allora, perché c’è anche una S sbarrata?”
Domandai, curiosa.
In realtà mi stavo chiedendo se, quando si era fatto quel tatuaggio, non fosse stato così ubriaco da sbagliare persino il proprio nome (o se invece quello ubriaco fradicio fosse stato il tatuatore), ma mi trattenni dal canzonarlo: dopotutto quei segni neri sarebbero rimasti incisi sulla sua pelle per sempre, e quella S poteva anche non essere un errore.
“…
Non mi va di parlarne ora.”
Mentre lo diceva distolse lo sguardo che si era improvvisamente fatto triste e cupo, ferito e afflitto.
Non avevo mai visto Ace triste.
Mi morsi il labbro, pentendomi di aver posto quella domanda, abbassando gli occhi a mia volta; oltre che dispiaciuta, ero anche sorpresa: di solito dei due ero io quella che non voleva parlare mentre lui faceva di tutto per convincermi a sostenere una vera conversazione, continuando a fare domande finchè non mi ritrovavo costretta a dirgli tutto quello che voleva sapere.
Era… decisamente strano invertire all’improvviso i ruoli.
Fu proprio questo suo rifiuto al parlare che mi fece rendere conto che io, di lui, non sapevo proprio nulla: non sapevo dove fosse nato, chi fossero i suoi genitori, perché fosse diventato un pirata… non sapevo nemmeno quanti anni avesse!
Per la prima volta conscia di quanto poco lo conoscessi, mi sentii improvvisamente in imbarazzo:
“Ace, quanti anni hai?”
Chiesi tutto d'un tratto.
Il ragazzo spalancò gli occhi colto alla sprovvista, mentre una smorfia di stupore faceva capolino tra le lentiggini e sostituiva la tristezza:
“… Ventuno… Perché?”
Mh, ventuno.
Scossi la testa:
“Così, mi sono accorta che non lo sapevo.”
Risposi semplicemente.
In realtà, avrei voluto aggiungere che mi ero accorta di non sapere molte altre, troppe, cose di lui, ma mi trattenni: dopotutto, mi aveva appena detto chiaramente che non voleva parlare di sé o rischiava di perdere il buonumore, e nemmeno io volevo rovinare quel momento di felicità.
“Tu?”
“Eh? Ah si, gli anni: diciannove”
Ma Ace non mi stava già più ascoltando: i suoi occhi si erano improvvisamente fatti grandi e lucenti, scintillanti, e un enorme sorriso si allargava sul suo viso abbronzato da un orecchio all’altro:
“Il Babbo! Dobbiamo dire al Babbo che farai parte della ciurma!”
Sussultai: mi ero completamente scordata del Capitano.
Tremai, al pensiero di presentarmi al cospetto di Barbabianca: iniziavo ad abituarmi alla sua maestosa ed ingombrante presenza, ma una cosa era osservarlo da lontano quando era troppo intento a bere sakè per accorgersi di me, e tutt’altra cosa era andarci a parlare faccia a faccia!
 “…Sei sicuro che lui sia d’accordo? Dopotutto sono sempre un ex-marine.
E poi mi guarda sempre così male…”
Ace mi fissò per un attimo in silenzio, gli occhi grandi spalancati, perplesso: dopo un paio di secondi, scoppiò a ridere fragorosamente.
Lo guardai allibita e un pochino offesa: ma cosa c’era da ridere?
E c’era poco da prendermi in giro, mi sembrava decisamente normale avere almeno un briciolo di paura considerando che, in fondo, stavamo “solo” parlando dell’uomo più forte del mondo!
“Ahaha ma non ti guarda male, è solo il suo modo di osservare le persone!
E sì, sono certo che sarà d’accordo.
E poi, lui ti considera già come una figlia dalla prima sera che hai passato sulla Moby Dick, come noi del resto è da un bel po’ che ti consideriamo come parte della ciurma”
Concluse con un ampio sorriso.
Rimasi muta, senza sapere cosa dire, mentre sentivo un senso di calore espandersi nel mio petto: … come una figlia?
Che il vecchio Newgate considerasse come figli i suoi uomini lo sapevo già, ma sentire da Ace che considerava anche me come figlia era… strano.
Strano, ma uno strano molto vicino all’essere piacevole.
“Anche io la prima volta che ho realizzato cosa significasse essere figli di Barbabianca ho fatto quella faccia!”
Rise Ace, indovinando i miei pensieri.
“Mh si, è… strano.”
Affermai, pensierosa e appena confusa da quella sensazione.
“…E non dimenticare che da oggi in poi avrai anche un sacco di fratelli!”
Spalancai gli occhi:
“Fratelli… è ancora più strano.
Ma quindi… anche tu saresti mio fratello?”
“Certamente!”
“Mhh… no, non riesco a vederti come un fratello.”
Ace sgranò gli occhi, assumendo un espressione contrariata e imbronciata che lo fece assomigliare ad un bambino:
“Come no!?!”
“Ma dai, non posso pensare di baciare mio fratello!”
Ace sembrò colpito da quell’affermazione, distogliendo gli occhi dai miei e fissando il cielo, come se fosse immerso in profonde riflessioni.
Scoppiò improvvisamente a ridere, rumorosamente ed allegramente.
“E adesso cosa c’è?”
Domandai perplessa.
“Ahahah! Ho appena immaginato di-Ahahha! Mi immaginavo come sarebbe baciare Rufy!”
“Rufy?”
Chiesi ancora più confusa, inclinando la testa di lato: Rufy, tra l’altro, non sembrava nemmeno un nome femminile.
Rufy era un ragazzo?
Ma di cosa stava parlando!
L’unico Rufy che conoscevo io era Cappello di Paglia, ma non mi risultava affatto che i due si conoscessero: era probabile che Ace stesse parlando di un’altra persona, un omonimo.
Ace continuò a ridere forte, tenendosi la pancia con le mani, senza dar segno di volermi rispondere.
“Dai Ace, dimmi chi è Rufy!”
“Ahahah! E’ mio fratello no?”
Corrugai le sopracciglia, sempre più perplessa: ma fratello fratello, o fratello come Marco e Vista?
Ma non feci in tempo a chiederglielo:
“Te lo spiego un'altra volta: adesso torniamo alla Moby Dick e andiamo a parlare col Babbo!”
Disse afferrandomi un polso e mettendosi in cammino, continuando a ridacchiare.
“Dai, raccontami di Rufy! E’ nella tua flotta?”
Domandai, più curiosa che mai, mentre iniziavamo a camminare tra la neve verso la Moby Dick.
 
 

*

 
 
“Non sapeva chi era Rufy? Eppure la sua taglia è piuttosto alta”
“Alla fine, quando raccontandole di lui le ho detto che la Marina gli aveva affibbiato il soprannome di Cappello di Paglia, è venuto fuori che lo sapeva eccome chi era!
Anzi, sui suoi ultimi spostamenti era persino più informata di me: pare che quel vecchio Marine gli stesse dando la caccia la prima volta che ci siamo scontrati.”
Risposi, incupendomi mentre il mio pensiero andava a Smoker: ancora non mi andava giù l’essermi fatto battere in quel modo come un novellino, se non ci avesse pensato Rufy a dargli una  bella lezione l’avrei sicuramente fatto io, non appena le nostre rotte si fossero nuovamente incrociate.
“Sei preoccupato per lui?”
Interruppe i miei pensieri la Fenice che, dopo aver passato la giornata a terra, era rientrata alla Moby Dick.
“Ahh? No, scherzi? Rufy lo prenderà a calci nel culo senza tante cerimonie.”
Risposi sogghignando, certo che Smoker avrebbe trovato in quella piccola peste pane per i suoi denti.
Marco scosse la testa divertito, un sorriso rilassato ad increspargli le labbra:
“Ah, a proposito: tu e Mikami siete già stati a parlare col Babbo, no?”
Il mio ghigno si ampliò ulteriormente:
“Eccome se ci siamo stati! Ma dovrei portare più spesso Mikami dal Vecchio: dovevi vedere come era diventata docile e tranquilla!”
Marco rise:
“Non cambi mai, eh?”
Ridacchiai, pensando a come Mikami mi avesse chiesto, quando eravamo arrivati davanti alla cabina del Babbo, se dovevamo per forza entrare, guardandomi supplicante dal basso all’alto con un espressione che non aveva nulla da invidiare a quella dei condannati a morte che marciano verso il patibolo.
Per sua sfortuna, adoravo metterla in difficoltà: non aveva ancora finito di parlare infatti che le mie nocche stavano già picchiando contro la porta della cabina del Babbo.
 “Credo che il Babbo sia stato felice: in fondo, di figlie ne ha ben poche.
Ah, a proposito: stasera festeggiamo!”
Aggiunsi allegramente.
Del resto, ogni pirata che fosse degno di questo nome lo sapeva: ogni occasione era buona per fare festa.
 “Sì, Vista mi ha già informato”
Annuì Marco sorridendo, mentre ormai eravamo giunti alla sala mensa per cenare.
“Ace! Marco!”
Sia io che la Fenice smettemmo di camminare e ci voltammo, al suono della voce squillante e allegra di Mikami:
“Finalmente vi ho trovati, è da dieci minuti che vi cerco!”
Esclamò, fermandosi davanti a noi col fiatone:
“Dove credevi che fossimo a quest’ora? Fammi indovinare: ti sei persa.”
La canzonai con un sogghigno.
“Può essere…”
Rispose lei, quasi distrattamente, muovendo con noncuranza una mano come se stesse scacciando una mosca.
Un sorriso si dipinse sul suo viso:
“Guardate.”
Chinò il capo, iniziando a slacciare il primo bottone della camicetta nera.
I miei occhi si spalancarono: ma che diavolo…?
“Cosa stai facendo? Sappi che sono fortemente contrario ad una cosa a tre!”
Protestai confuso: sia lei che la Fenice scoppiarono a ridere, ma Mikami non sembrò darmi minimamente ascolto passando anzi al secondo bottone, mentre al mio fianco lo sguardo di Marco passava continuamente da lei a me, un sopracciglio sollevato e l’altro corrugato a conferirgli un espressione divertita ma perplessa.
Slacciato anche quel bottone, Mikami scostò i lembi della camicia, scoprendo la pelle chiara del petto tra le clavicole:
“Allora?”
Rimasi in silenzio, la bocca socchiusa per la sorpresa, mentre la osservavo: due ossa incrociate sovrastante dal teschio coi baffi a mezzaluna si stagliavano sulla pelle chiarissima.
“La Jolly Roger…”
 
 

*

 
 
“Noi siamo pirati ci piace perche la vita è fatta per noi yo ho yo ho!
la spada il corvo il mare, i veri amici di noi pirati yo ho yo ho!~ ♫”
 
La voce di Satch era la più udibile tra tutte mentre, ormai a sera inoltrata, la ciurma si esibiva in un tipico canto piratesco: ed erano anche incredibilmente intonati per essere così brilli!
E di certo, ancor più che intonati, erano terribilmente buffi: mi unii alle risate generali, mentre osservavo Satch che caracollava per la grande mensa continuando a cantare a squarciagola, alla ricerca dell’ennesimo boccale di rhum.
La risata tonante di Barbabianca (chiamarlo Babbo mi riusciva difficile, ci sarebbe voluto un po’ perché ci facessi l’abitudine) riecheggiava nella stanza tra un sorso di sakè e l’altro, sovrastando a tratti persino il coro dei pirati e le risate, e andando a contribuire alla confusione generale che ormai la faceva da padrona.
“Allora, com’è essere un pirata?”
Urlò Ace per farsi udire sopra quel gran chiasso, sistemandosi ancor più scompostamente di quanto già non stesse sulla panca al mio fianco.
“Divertente!”
Urlai a mia volta, ridendo, osservando Satch che dava il via ad un nuovo canto.
I comandanti – quello in quarta  escluso – sembravano essere gli unici ad aver conservato la propria lucidità: Vista si lisciava i lunghi baffi e sorrideva seraficamente di fronte a quello spettacolo che aveva definito “usuale”; Jaws (che avevo conosciuto soltanto qualche ora prima, e che mi metteva addosso una certa inquietudine a causa della sua imponente stazza e dell’aria burbera) continuava appunto a mantenere la sua solita espressione, scolando un boccale di rhum dopo l’altro senza tuttavia che l’alcool avesse su di lui il benché minimo effetto, mentre Marco si dondolava pigramente sulla sua sedia, sorridente e tranquillo.
Ace era più agitato del solito, ma dubitavo la sua agitazione avesse qualcosa a che fare con gli alcolici: più semplicemente tutta quella confusione e quell’allegria erano estremamente contagiose e anche io mi sentivo particolarmente euforica, tanto che era tutta la sera che Satch sperava (inutilmente) di riuscire a convincermi a cantare e ballare sui i tavoli assieme al suo gruppo di ubriachi.
 
“Cosa faremo con un marinaio ubriaco?
Cosa faremo con un marinaio ubriaco?
Lo metteremo a letto con la figlia del capitano!
Lo metteremo a letto con la figlia del capitano!~ ♫”
 
Risi nuovamente, mentre Satch si avvicinava a Marco cantandogli a squarciagola nell’orecchio e lui, colta alla sprovvista e sobbalzando per quell’improvviso attentato ai suoi timpani, perdeva l’equilibrio e rischiava di finire a terra.
 
“Questo è quello che facciamo ad un marinaio ubriaco! ~♥”
 
Continuò a cantare Satch canzonando l’amico, cercando di coinvolgerlo nei suoi folli festeggiamenti.
“Se riesce a tirare in mezzo Marco, avrai l’onore di assistere ad uno spettacolo più unico che raro!”
Disse Ace, osservando la scena con un enorme sogghigno che si allargava su tutto il viso e che, assieme alle lentiggini e i capelli ribelli, gli conferiva un aria ancor più malandrina del solito.
“Cioè?”
Domandai terribilmente incuriosita.
Il comandante in seconda mi sbirciò, una scintilla di furbizia che ardeva negli occhi neri:
“Marco ubriaco!”
Rimasi così stupita da quella risposta, che scoppiai a ridere fragorosamente:
“Ace, non prendermi in giro!”
“Ma non ti sto prendendo in giro! Però è uno spettacolo raro, io stesso ne sono stato spettatore soltanto un paio di volte… Ma è stato terribilmente divertente!”
Concluse sogghignando.
“Perché? Cosa ha fatto?”
Chiesi sempre più curiosa, per quanto la Fenice ubriaca continuasse a sembrarmi una visione estremamente improbabile.
“Non è stato tanto divertente quello che ha fatto lui, quanto quello che noi abbiamo fatto a lui!”
Rispose con quello che adesso era diventato un ghigno decisamente preoccupante:
“Hem… non sono più sicura di volerlo sapere”
Affermai: ero curiosa, sì, ma l’espressione malefica di Ace mi aveva convinta che non fosse il caso di indagare più da vicino.
Marco comunque, quella sera, sembrava deciso a non dare alcun tipo di spettacolo, e a Satch non rimase altro da fare che andare ad importunare qualcun altro.
“Peccato, ci eravamo andati vicini…”
Commentò Ace corrugando le sopracciglia dispiaciuto.
“Povero Marco…”
Risposi scuotendo la testa: doveva avere una pazienza davvero infinita per riuscire a sopportare quella banda di scalmanati.
“…ti assicuro che ne vale la pe-“
Ace non finì di parlare che crollò, finendo con la faccia nel proprio piatto.
“Ace? Ace?! ACE!”
“Niente di grave, soltanto uno dei suoi soliti attacchi narcolettici”
Sentenziò Vista senza scomporsi minimamente, sedando all’istante il panico che già iniziava a farmi battere forte il cuore:
“Ah… già, è vero….”
Sussurrai, rilassandomi: me ne ero completamente scordata che fosse narcolettico.
“E… come lo sveglio?”
“Di solito si sveglia da solo dopo qualche minuto”
Mi informò il pirata col cilindro.
“Hum… Capisco.”
Risposi non troppo convinta.
“Io conosco un metodo efficace per svegliarlo! ~♥”
Cantilenò Satch, comparendo all’improvviso alle mie spalle e facendomi sussultare.
Prima che io avessi il tempo di fare o dire qualunque cosa, vuotò sulla testa di Ace il proprio boccale di birra ghiacciata.
Rimanemmo immobili a fissare il moro: io troppo incredula per parlare e Satch in attesa di vedere i risultati del suo gesto, mentre gli altri comandati e alcuni membri della ciurma sghignazzavano assistendo a quella scena.
Dopo un paio di secondi Ace si rizzò a sedere all’improvviso, più sveglio che mai: si guardò intorno spaesato e, vedendo Satch con un enorme sorriso e un boccale vuoto, accorgendosi di essere fradicio d’alcool, fece due più due:
“Satch! Ti avevo detto di non farlo più! Questa è la volta buona che ti carbonizzo quel dannato ciuffo che ti ritrovi!”
Protestò a gran voce, iniziando a far scrocchiare le nocche delle mani.
“Ohi ohi calma Bella Addormentata! Prenditela con il tuo Principe, che non sembrava affatto intenzionato a svegliarti a suon di baci!”
Rise questo indicandomi, un attimo prima di dileguarsi tra la massa degli altri pirati nel momento esatto in cui pensavo di unirmi ad Ace e pestarlo come si deve.
“Con lui farò i conti domani mattina”
Sentenziò Ace in un borbottio:
“Che schifo, sono tutto appiccicoso. Ho bisogno di cambiarmi: vieni con me?”
Annuii, anche perché l’idea di rimanere da sola in balia di Satch e della sua banda di squinternati non era affatto allettante.
“La notte è ancora giovane: ci vediamo più tardi ragazzi.”
Disse Ace rivolto ai comandanti, alzandosi ed avviandosi verso la propria stanza subito seguito da me.
Un paio di minuti dopo, stavamo entrando nella sua cabina.
Mi resi conto che, ora che ero da sola con lui, iniziavo a sentirmi un po’ agitata: i ricordi di come era andata a finire la prima e unica volta che avevo messo piede in quella stanza, uniti al fatto che fosse notte inoltrata, certo non contribuivano a calmarmi.
“E quella?”
Chiesi indicando la bandiera pirata col picche, cercando di apparire disinvolta e contemporaneamente di distogliere la mia attenzione da quei pensieri.
“Ahh? Oh, sì, era la Jolly Roger della mia prima ciurma: prima di unirmi a Barbabianca, ero il capitano dei Pirati di Picche.”
“Pirati di Picche?”
“Già.
Altro che cambio d’abiti, ho bisogno di una doccia.”
Sentenziò con noncuranza, iniziando a slacciarsi la cintura.
Sussultai, arrossendo fino alla punta delle orecchie, mentre il mio livello di agitazione schizzava alle stelle.
“Stai bene?”
Domandò lui innocente, notando la mia reazione, evitando incredibilmente di punzecchiarmi.
“S-sì ma…Ora?”
Boccheggiai, senza sapere cosa dire, e rendendomi anzi conto che ciò che avevo appena detto non aveva un briciolo di senso.
Non si fece trovare impreparato, rispondendomi a tono con un sorriso affilato:
 “Se vuoi fare altro, basta chiedere”
Tossicchiai distogliendo lo sguardo, mentre le sue braghe finivano a terra e rimaneva in boxer:
“Non mi ci vorrà molto”
Asserì.
Non risposi, e non mi azzardai a sollevare lo sguardo fino a che non sentii scorrere il getto dell’acqua.
Solo allora sbirciai oltre i ciuffi della frangia che mi cadevano davanti agli occhi: Ace doveva essere entrato in bagno, lasciando la porta appena socchiusa.
Lasciai andare il respiro che stavo trattenendo, rilassandomi: quello stupido pirata proprio il pudore non sapeva cosa fosse.
Mi andai a sedere sul letto, giocherellando nervosamente con una ciocca di capelli, sospirando: forse affrontare Satch sarebbe stato più facile.
Mi era parso strano che Ace non avesse insistito a stuzzicarmi, filando immediatamente sotto la doccia: sussultai, rendendomi conto che ero quasi… delusa.
Il rumore del getto dell’acqua che si infrangeva contro le piastrelle del bagno attrasse la mia attenzione e involontariamente rivolsi lo sguardo alla porta appena sfessurata, attraverso la quale si intravedeva una piccola fetta della parete bianca.
In silenzio, trattenni di nuovo il fiato, concentrandomi sui rumori che da lì provenivano.
Rimasi in ascolto qualche istante, prima di scuotermi con un battito di ciglia dandomi della stupida: ma cosa mi aspettavo di sentire?
Sospirai: la stupidità di quel pirata mi stava evidentemente contagiando.
Mi sforzai di ignorare la porta socchiusa, che sembrava quasi invitarmi a sbirciare l’interno del bagno, tornando ad alzarmi in piedi con uno sbadiglio: mi ero appena accorta di esser stanca, gli occhi mi bruciavano, forse avrei potuto approfittare che Ace fosse impegnato per tornare nella mia cabina (che Vista si era gentilmente offerto di lasciarmi utilizzare finchè non avessi trovato una sistemazione definitiva) ed infilarmi a letto.
Mi girai, rivolgendomi verso la porta e facendo per andarmene, ma un rumore attrasse la mia attenzione: secco e brusco, seppur in parte coperto dallo scrosciare dell’acqua, ma ero certa di averlo sentito.
Tornai a guardare il dorso scuro della porta del bagno: ma che diavolo combinava Ace?
L’essermi posta quella domanda provocò una spiacevole conseguenza: nel provare ad immaginare cosa stesse combinando quel pirata, la mia fantasia si era
casualmente concentrata sull’immagine di lui nudo accarezzato dall’acqua bollente, proponendomi la scena in modo così chiaro e realistico che un forte senso di vertigine mi fece vacillare, mentre sentivo il viso andarmi in fiamme.
Cercai di scacciare quell’immagine fuori dalla mia mente, avventandomi sulla maniglia della porta e proponendomi di fuggire da quel maledetto pirata il più velocemente possibile.
Il contatto con il metallo freddo mi fece rabbrividire e mi portò a pensare che, se sotto le dita avessi avuto la pelle di Ace anziché la maniglia, l’avrei trovata bollente come il fuoco.
Scossi con forza la testa cercando di allontanare anche quel pensiero: stavo proprio delirando, qualunque corpo umano e ancora più in generale qualunque essere vivente sarebbe stato più caldo del metallo, Ace non centrava proprio un bel niente.
Anche se, in effetti, la sua temperatura corporea era sempre più elevata di quella di una persona normale, e questo avrebbe potuto giustificare il fatto che m- no!
Lo stavo facendo di nuovo!
Mi lasciai sfuggire un gemito esasperato, portandomi una mano alla fronte e stropicciandomi le tempie, spettinandomi i capelli: era inutile, non riuscivo a non pensarci.
Allontanai la mano dalla porta, voltandomi lentamente verso lo spicchio di bagno che riuscivo ad intravedere dalla mia posizione: eppure non avrei dovuto.
Non ero uno stupido spirata scostumato e senza il minimo senso del pudore, io.
Ignorai al vocina che nella mia mente si divertiva a farmi notare che, a volerla dire tutta, oltre che ad essere diventata un pirata mi ero anche piuttosto instupidita, a giudicare da ciò che mi ritrovavo a pensare.
E, sempre a causa dei miei pensieri, era anche facilmente deducibile che pure la mia innocenza avesse fatto le valige e fosse partita per una luuuuunga vacanza, da cui chissà se sarebbe mai tornata.
Scacciai malamente quella stupida vocina e tutti i pensieri che si era portata con sé: ma tu guarda un po’ se adesso dovevo anche mettermi a discutere con me stessa!
E poi io ero solo curiosa, l’essere o meno innocenti non centrava proprio nulla – o, almeno, questo era ciò di cui cercai di convincermi – .
Esitai: insomma, non avrei dovuto e lo sapevo.
Però… Oh insomma, non poteva chiuderla quella dannata porta?!
Almeno così sarebbe stato più facile convincermi che sbirciare non era una cosa carina da farsi.
Invece lasciata in quel modo, mezza aperta, con il vapore che uscendo si condensava in impalpabili volute… Dio, sembrava terribilmente un invito.
E in fondo… forse era ciò che voleva essere?
In punta di piedi, mi avvicinai alla porta, trattenendo il respiro.
Appoggiai le dita sul legno ruvido, facendo piano piano pressione:
“Ace?”
Chiamai titubante, per nulla sicura di ciò che stavo facendo.
“Iniziavo a temere che te ne saresti rimasta di là ad aspettare”
La sua voce mi fece sussultare, ma fu anche ciò di cui avevo bisogno per convincermi a farmi avanti, dando all’uscio una spinta più decisa.
I miei occhi incontrarono quelli scuri e fiammeggianti di Ace ma non feci in tempo a fare o dire niente: in un secondo mi ritrovai con la schiena contro le mattonelle fredde di marmo ed il suo petto bollente contro il mio, le sue mani che mi bloccavano i polsi sopra la testa e l’acqua calda che mi bagnava i capelli e scendeva lungo le guance.
Rimasi immobile, senza fiato, senza riuscire a distogliere lo sguardo da lui.
“Tutto bene?”
Domandò con un lieve sorriso, notando la mia reazione, mentre le sue labbra mi sfioravano l’orecchio e scendevano seguendo il profilo del mio viso fino ad arrivare ad accarezzare il collo.
Reclinai docilmente il capo facendo spazio alla sua bocca, mentre le sue mani mi lasciavano i polsi e si insinuavano sotto la maglia bagnata, lambendomi piano la schiena.
“Credo che lo prenderò come un sì”
Si rispose da solo con una lieve risata, un attimo prima che le sue labbra si appoggiassero sulle mie coinvolgendomi in un bacio lento e sensuale a cui mi abbandonai completamente.
Dopo quella che mi parve un eternità allontanò appena il suo viso dal mio, fissandomi con quegli occhi così intensi e caldi, afferrando i lembi della maglia e facendomi scostare dal muro per sfilarmela: lo lasciai fare, ipnotizzata dal suo sguardo e dal calore delle sue carezze che si andavano a mescolare con quelle dell’acqua bollente.
Le sue dita ricalcarono il profilo della mia gola, scendendo sul petto e tracciando il contorno della Jolly Roger, scendendo poi oltre il bordo scuro del reggiseno fino all’ombelico.
Socchiusi gli occhi, e per la prima volta da quando ero entrata nel bagno lo osservai davvero: i capelli bagnati erano di un nero ancora più intenso del solito e, appesantiti dall’acqua, ricadevano perfettamente lisci ai lati del viso e sul collo, incorniciando gli occhi scurissimi e bollenti; l’acqua scorreva sul suo viso, rigandogli le guance spruzzate di lentiggini ed insinuandosi tra le sue labbra socchiuse, scivolando giù lungo il collo e poi sul petto muscoloso, rendendo lucida la sue pelle abbronzata.
Trattenni il fiato, osservando incantata come quella cascata di piccole gocce corresse lungo i suoi pettorali, scivolasse lungo gli addominali tesi e definiti, gli accarezzasse il bacino e le lunghe gambe muscolose.
Notò il mio sguardo e, perdendo la calma che aveva mantenuto fino ad allora, mi spinse nuovamente contro il muro, mentre le sue labbra cercavano le mie in un bacio decisamente più selvatico ed impaziente del precedente.
Mi lasciai sfuggire un gemito contro la sua bocca e gli circondai il collo con le braccia, stringendomi a lui, avvertendo chiaramente un brivido d’eccitazione scuotermi mentre il suo petto aderiva al mio, pelle contro pelle.
La sua mano scivolò sui glutei, passando ad accarezzandomi una coscia e sollevandomi appena la gamba, le sue dita che premevano sulla pelle e si insinuavano nell’incavo del ginocchio, strappandomi l’ennesimo gemito.
“Stavolta ti scotti davvero, sai?”
Sussurrò di nuovo al mio orecchio, con voce calda, carica e sensuale.
Decisi che, a quella frase, stavolta non potevo non rispondere:
“Lo so, me l’hai detto anche l’altra volta che a giocare col fuoco ci si scotta…”
Ansimai, mentre mi mordeva il collo procurandomi altri brividi:
“Sai che detto conosco io invece?
« La bambina che si è scottata ama il fuoco »”
 
 
Spazio autrice:
Signore, 24esimo e ultimo capitolo!
Lo so che questo, come finale, sembra un po’ lasciato in sospeso, ma cosa ci volete fare a me piacciono i finali aperti :)
Poi proprio un finale non è, mi sto già scervellando sul seguito!
Giusto per essere precisi, questo è l’unico chap che non ha come titolo la frase di una canzone, ma è una frase di Blake.
E l’ultima battuta di Mikami è invece un aforisma di Oscar Wilde (lo amo dal profondo del cuore!).
Ah, lo so che in realtà nell’anime Ace ne aveva 20 di anni, ma non mi piacciono i numeri pari nell’età (lo so, devo farmi curare XP), e quindi li ho fatti diventare 21: tanto non ho mai seguito la linea cronologica di One Piece nella storia, un anno in più o uno in meno non fa la differenza.
Detto questo… ringrazio tutte voi fantastiche ragazze che avete seguito, ricordato, preferito nonché recensito o solo letto: grazie a tutte ç_ç
Un bacione,
Miyuki
P.S.: sto scrivendo anche il seguito della storia se siete interessate, il titolo è "When the moon rises", la trovate tranquillamente nel mio profilo (vi metterei il link, ma sono troppo imbranata, perdonatemi ^^')
 
  
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