Ok. Probabilmente questo capitolo vi sembrerà un miraggio, ma c'è. L' ho finito ieri ma non ho trovato il tempo per salire su efp, così lo metto ora.
Ho fatto un ritardo assurdo, e lo so. Fa strano anche a me pensare di aver avuto un blocco così per questa storia. Ma, seriamente, sono andata in panico. Sono stata capace di scrivere una parola per sera, ma niente mi convinceva -e, francamente, questo capitolo non mi convince tutt'ora.
Dopo tutti questi mesi, ho scritto un capitolo di passaggio, senza molto pathos, ecco. Spero comunque che vi piaccia.. ^^"
Quindi, chiedo un milione di scusa a chi ha atteso questo capitolo, e ringrazio infinitamente chi leggerà.
Al prossimo capitolo :P (che non sarà tra mesi!)
..
Capitolo 18
Quando tutto sembra essere esattamente
come deve essere
Probabilmente, se qualche mese fa mi
avessero detto che mi sarei innamorata così pazzamente di Adam Brown,
sarei
morta per un eccesso di risate isteriche dettate dall'incredulità.
E, probabilmente, avrei fatto internare
chiunque potesse solo pensare una blasfemia del genere. Perché,
insomma:
Adam Brown era la mia nemesi, la piaga della mia vita, l'idiota che mi
faceva
dannare dalla nostra nascita. Era un individuo strafottente ed
arrogante,
profondo quanto una pozza d'acqua e sprovvisto della facoltà di amare.
Obiettivamente, con che coraggio io,
Natalie Smith, ragazza di sani principi morali e un orgoglio
spropositato,
sarei potuta cascare davanti agli occhi smeraldini di quell'Essere
abominevole?
Ed invece, eccomi qui, accoccolata al petto
di quel ragazzo odioso, e, per la prima vera volta nella mia vita, mi
sentivo
esattamente completa.
Non era una stronzata melensa da Bacio
Perugina, no: stretta a Adam, con la guancia sul suo cuore e il
ritmo
nei suoi battiti a cullarmi, ero semplicemente felice. Sentivo il mio
cuore
gonfio per l'emozione, lo stomaco tutto uno sfarfallare, e la mia mente
era
completamente sgombra. Mi sembrava che niente, assolutamente niente,
potesse
andare storto, in quel momento.
Sarebbe potuto finire il mondo, ma io ero
dove dovevo essere.
Per assurdo, Adam, che da sempre
consideravo il mio opposto, era anche la mia perfetta metà. Era una
certezza.
Poco importa che, dopo questo pensiero,
fossi diventata la maggior causa di carie ai denti e diabete nel mondo.
Non me
ne fregava un fico secco, anche perché Adam mi amava, ed io ero la
persona più
felice al mondo.
«Tu non vieni alla gara, la settimana
prossima, vero?»
Ed ecco che la pace veniva rotta proprio
dal mio ragazzo, con un'uscita davvero cretina.
Mi allontanai dal suo petto giusto per
scoccargli un'occhiataccia.
«Certo che vengo, perché non dovrei?»
sbottai, cupa.
Adam non sembrò minimamente turbato dal mio
cambio d'umore, e si lasciò scappare uno dei suoi maledetti sorrisetti
sghembi,
capaci di mandarmi cuore e testa in tilt. «Devo ricordarti il motivo
per il
quale ti ho portato in questo cesso puzzolente?»
«Vuoi dire che non mi hai attirata qui per
la dichiarazione?» incalzai, alzando un sopracciglio e trattenendo a
stento un
sorriso storto.
Adam afferrò una mia ciocca di capelli, e
mi sfiorò il viso delicatamente, facendomi leggermente il solletico.
«Certo che
no. All'inizio volevo solo sgridarti, poi mi sono fatto prendere dal
momento e
ti ho detto che ti amo.» Adam aggrottò la fronte, e fece il broncio.
«Non sarò un inguaribile romantico, però
diciamo che immaginavo pure io qualcosa di più carino, dove dirti
quello che
provo».
Ridacchiai sommessamente, appoggiandomi di
nuovo al suo petto caldo. «Ma dai, ha il suo perché questa “location”.»
mimai.
Adam sbuffò sui miei capelli, per poi
lasciarvi un bacio.
«Che dici, torniamo a casa?» domandò, in un
sussurro.
Fu il mio turno, di sospirare.
Ad essere sincera, non avevo per niente
voglia di tornare a casa, stavo da Dio con Adam in quel momento; non
importava
dove fossimo, se in un ristorante extra-lusso o nel cesso di una
palestra.
Mi bastava stare con lui, e godermi
pacificamente la sua presenza.
Anche perché a casa -sia mia, che sua- non
c'era mai tranquillità.
Le nostre famiglie erano numerose e
chiassose, e non si poteva proprio stare soli ed avere privacy.
E, per il momento, tutto ciò di cui avevo
bisogno era stare sola con Adam.
Per di più, fuori da quel bagno, il mio
gruppo di yoga stava facendo lezione: cosa avrebbero pensato le mie
compagne e
la mia insegnante, vedendomi sbucare quasi alla fine della lezione?
Alzai il viso a quello di Adam per argomentargli
le mie illuminanti deduzioni, ma mi ritrovai tutto ad un tratto, con le
labbra
molto impegnate.
Ecco perché adoravo Adam: riguardo queste
cose, eravamo decisamente sulla stessa lunghezza d'onda.
-
«Ma tuo padre non ha mai avuto problemi con
i ragazzi, vero?» incalzò Adam, piantandosi in mezzo al marciapiede e
strattonandomi indietro.
Alzai per la centesima volta gli occhi al
cielo. «No, Adam. Mio padre non è assolutamente un tipo geloso o
violento.»
sibilai, accigliandomi. «Però io sì, e se non ci sbrighiamo ad arrivare
a casa
ti butto sotto un camion!»
Nonostante l'aria vagamente preoccupata,
Adam si lasciò scappare un sorrisetto divertito, e riprese a camminare
mano
nella mano con me.
E, in quel momento, mi fu impossibile non
chiedermi cosa avrebbero pensato i nostri professori, o i nostri
compagni, sapendoci
insieme.
Dopo anni e anni di liti, risse e insulti,
dopo aver fatto impazzire chiunque ci stesse attorno, era insolito
– o,
per meglio dire, incredibile- che stessimo vicini senza scannarci,
perché,
addirittura, eravamo innamorati l'uno dell'altra.
A quel pensiero mi scappò un sorriso
soddisfatto.
«Ehi, perché sghignazzi?»
Prima che potessi anche solo rendermene
conto, la mano di Adam aveva lasciato la mia per far sì che il suo
braccio
potesse avvolgermi le spalle e stringermi al suo fianco, riparandomi
anche dal
vento sottile e freddo che si era alzato.
«Stavo pensando ai nostri compagni, a cosa
potrebbero pensare vedendoci insieme» soffiai, sentendo il mio cuore
scalpitare.
Lui sfoggiò il suo ghignetto insolente -e
meno male che ero io, quella che sghignazzava!
«Saranno invidiosi da morire.» disse, con
nonchalance e un luccichio gongolante negli occhi. «Siamo la coppia più
bella
del mondo!»
Io scrollai le spalle, cercando di non far
trasparire quanto mi facesse piacere quell'affermazione.
«Secondo me saranno sollevati, penseranno
che non saranno più coinvolti nelle nostre risse.»
Adam gettò la testa all'indietro, lasciando
che la risata esplodesse fragorosa.
Mi persi qualche istante ad osservarlo,
perché sì, era un insulto non farlo. Ero dannatamente fortunata ad
avere un
ragazzo così al mio fianco. Certo, il suo ego avrebbe potuto
soffocarmi, un
giorno o l’altro, tanto era grande; ma se non altro il suo cuore era
grande
quanto se la tirava, e, visto gli ultimi riscontri, batteva solo per
me.
«Bei tempi, quelli delle risse a mensa!»
«E chi dice che siano finiti?» incalzai,
facendogli strabuzzare gli occhi.
Ridacchiai, divertita dalla sua espressione
stralunata.
«Se ti meriti un ceffone, sappi che non
sono nessuno per non dartelo.»
Gli feci l'occhiolino, e lui scosse il
capo, tra il divertito e l'esasperato.
Il resto del tragitto verso casa lo
passammo chiacchierando tranquillamente, e quei pochi minuti volarono
come
niente.
«Ci vediamo tra poco. Io sarò quello
affacciato alla finestra di fronte alla tua con il cuore in mano.» Adam
mi
sorrise, scoccandomi un bacio sulla guancia.
«Che scemo!» commentai; con un sorriso
ebete mi avvicinai alla porta d'ingresso, tenendo gli occhi incollati
alla sua
figura che entrava nel giardino di casa Brown e frugava nelle tasche
per
trovare le chiavi.
Ancora facevo fatica ad accettare il fatto
che Adam avesse questo ascendente su di me. Fino a qualche mese prima,
mi
consideravo l'unica ragazza al mondo capace di resistere al suo charme;
peccato
che ora fossi come creta nelle sue mani, ogni volta che, anche per
sbaglio, i
suoi occhi incrociavano i miei. Se poi era così avventato dal baciarmi
anche
solo la guancia, mi scioglievo manco un ghiacciolo sotto il sole di
Luglio.
Con un sospiro e le farfalle nello stomaco,
mi decisi ad aprire la porta d'ingresso ed entrare in casa.
La mia espressione beata mutò
improvvisamente, appena mi accorsi che Tim-il mio fighissimo cognato-
era inchiodato
ad una sedia, con mio padre che gli puntava minacciosamente un dito al
petto.
Alzai un sopracciglio, sbatacchiando le
palpebre: non potevo credere ai miei occhi.
Cos’è che avevo appena detto a Adam
riguardo a mio padre? Forse avrei dovuto rimangiarmi tutto; chissà che
faccia
avrebbe fatto il mio impavido playboy, davanti a quella scena.
Probabilmente
sarebbe svenuto.
Solo all’idea, un sorrisetto divertito mi
spuntò sulle labbra, che Rosalie, seduta sul divano, intercettò
immediatamente.
«Natalie, perché quel ghigno sadico? »
incalzò, scrutandomi attentamente.
Feci roteare gli occhi, cominciando a
slacciarmi il cappotto e scoccando uno sguardo perplesso a mia madre,
stesa sul
divano accanto alle mie sorelle con una cera vagamente verdognola.
Le guardai con un’espressione interrogativa
piuttosto eloquente. «Che le prende? Ah, comunque ciao anche a voi,
sorelle».
Melanie ridacchiò. «Tutta colpa di Bryan»
«Bryan?»
Rosalie annuì, con una smorfia seccata.
«Sì, prima era qui con noi e ha fatto una battuta su di una mia
presunta
gravidanza. E sai quanto ultimamente mamma sia suscettibile, riguardo
le
gravidanze: è svenuta»
Scoppiai a ridere apertamente, piegandomi
quasi in due, tanto che mio padre interruppe la sua paternale verso il
futuro
genero per scoccarmi uno sguardo severo. «Non c’è nulla da ridere, Nat.
Rischia
l’esaurimento nervoso. E poi chi deve placarla? Io.»
fece, con un’espressione eloquente.
Sorrisi al mio papà; non era difficile
intuire perché lo adorassi tanto, era un uomo fantastico, e soprattutto
gli
assomigliavo mostruosamente. Avevamo la stessa ironia e modo di
pensare, e
tolleranza verso mia madre pari a zero: solo che lui, con anni e anni
di
convivenza, era riuscito a trovare un equilibrio per non tentare di
ucciderla
ogni qual volta apriva bocca.
I grandi
misteri dell’amore..
Probabilmente avrei dovuto chiedere
consiglio al mio papy, su come sopportare uno schizzato come Adam.
«Comunque» continuò
papà, voltandosi verso Tim, «Parliamo di te».
«A-ancora?» balbettò il ragazzo, sempre più
pallido. Era incredibile come riuscisse a mantenere l’aria da figo
anche mentre
sudava freddo ed era bianco come un cencio; chissà se Adam aveva la sua
stessa
capacità.
Beh, in ogni caso, non volevo scoprirlo
tanto presto.
Un po’ stralunata, mi voltai verso Mel. «Ma
non hai tentato di fermarlo? Sta interrogando il tuo fidanzato manco
fosse un
terrorista..»
Melanie si strinse nelle spalle. «Ci ho
provato, e mi ha messo in castigo»
Rosalie si lasciò sfuggire una risatina, e
Mel le riservò una gomitata nel fianco. «Ridi poco, tu, che sei nella
mia
stessa situazione!»
«Punizione anche lei?» incalzai, con un
sorrisetto. La smorfia di Rose fu una risposta eloquente; «E perché
mai?»
Fu Mel a ghignare, stavolta. «Ha un ragazzo
che parla fin troppo a sproposito»
Fortunatamente, l’inquisizione di mio padre
non continuò ancora a lungo, e ben presto la faccia di Tim tornò del
suo colore
naturale. Nonostante il ragazzo di mia sorella avesse quel che di
particolare
che lo faceva piacere a tutti, mio padre continuò a guardarlo un po’
amareggiato per tutta la durata della cena, borbottando domande e
commentando
di tanto in tanto. Probabilmente era così abbattuto perché, dopotutto,
quel
ragazzo, per quanto adorabile fosse, gli stava portando via una delle
sue
bambine.
Con tutte le probabilità, Richard lo stava
maledicendo per non essere un teppista con tatuaggi e piercing in ogni
dove,
alcolizzato e maleducato.
Emily, invece, dal canto suo, spiluccò
appena il mangiare, senza levare gli occhi dal piatto in un silenzio
alquanto
insolito. Insomma, mia madre era famosa per la sua incapacità di
tacere: perché
lei aveva sempre qualcosa da dire- o
meglio, di cui lamentarsi.
Diciamo che fu un sollievo per le orecchie
di tutti, quel mutismo, lasciandoci liberi di chiacchierare
tranquillamente. O
meglio, Rose, Mel e Tim parlarono allegramente, cercando di coinvolgere
mio
padre che borbottava risposte vaghe; io rimasi a giocherellare con la
bistecca
che avevo nel piatto, vedendoci –non so
come, non so perché- il viso del mio ragazzo, con lo stomaco invaso
di farfalle
grandi quanto elefanti e un sorriso ebete stampato in faccia.
Sorriso che, purtroppo, non passò
inosservato, perché Rosalie e Melanie scattarono subito sull’attenti.
«Nat..
come mai non ti sei ancora lamentata della minima cosa?» incalzò Rose,
arcuando
le sopracciglia; erano così oscenamente alte che avrebbero potuto
mischiarsi
con i suoi capelli: non andava per niente bene se Rosalie mi guardava
in quel
modo, come se attendesse la rivelazione dell’anno.
Ma non bastava avere gli occhioni
cristallini di Rose a farmi la radiografia, perché la secondogenita
Smith
decise di aggregarsi alla sorella maggiore, nello squadrarmi neanche
stessi
nascondendo un segreto d’importanza mondiale.
Ovviamente, accendendo la curiosità di mio
padre, che sapeva essere peggio di una vecchina dal parrucchiere. «Già,
di
solito, -e quel “di solito” si collocava nelle pause tra un soliloquio
e l’altro
di Emily- hai sempre qualcosa da dire!»
Papà annuì con foga, come a sottolineare il
concetto e sporgendosi più verso di me.
E, mentre Richard, Rosalie e Melanie
m’incalzavano con le loro espressioni da Jessica Fletcher, per un breve
istante, pensai di adorare mia madre per il suo mutismo.
Per un breve istante, da sottolineare.
Poi rinsavii e assunsi l’espressione più
neutra del mio repertorio. «Yoga, ragazzi. L’ho detto io, che mi
avrebbe fatto
bene».
Rose alzò un sopracciglio, portandosi la
forchetta alla bocca fissandomi attentamente; poi fece roteare la
posata tra le
dita, e me la puntò contro con fare causale. «Sai cos’è che ti farebbe
altrettanto bene?»
«Cosa?» domandai, portandomi il bicchiere
alle labbra per bere un sorso d’acqua, sostenendo il suo sguardo;
Rosalie
scrollò le spalle con nonchalance, «Karate».
Per poco non mi soffocai, a quelle parole,
facendo scoppiare a ridere le mie care sorelline.
«Rose! » gracchiai, «Ma che diavolo dici?»
Rosalie mi rivolse un sorrisetto sornione.
«Non so proprio perché, ma sono sempre stata sicura che tu avessi un
debole per
i kimono.»
Era una brutta cosa, vero, voler squartare
una sorella?
Papà, ingenuamente, sorrise entusiasta. «Lo
sai, Rose, che hai dato un’idea grandiosa? Dovresti seguire un corso di
Karate
per l’auto-difesa, dato che al momento-grazie al cielo- non hai ancora
un
ragazzo che ti protegga! » e, come per sottolineare il concetto, diede
una
pacca bella forte alla schiena di Tim; per poco, il mio povero cognato
non
vomitò un polmone.
Io cercai di mordermi la lingua,
trattenendo il mio istinto di ribattere a qualsiasi affermazione di
chiunque e
dire che, in realtà, un ragazzo ce l’avevo. E che faceva pure Karate.
L’espressione di mio padre era ancora
piuttosto ambigua, e sapevo che non era ancora finita; il suo cervello
stava
ancora macchinando qualche assurda teoria.
«Eureka! Nat potresti chiederlo a Adam!»
esclamò.
Scoppiai in una fintissima risata. «Sì,
come no! Figurati se si mette a spiegarmi come poterlo stendere con un
calcio!»
Papà fece un gesto stizzito con la mano.
«Sciocchezze. Glielo chiederò domani, vedrai che mi dirà di sì!»
«Vedrai che dirà di no» ribattei fermamente
convinta.
«Anche noi siamo convinte che dirà di sì»
commentò Mel, con un ghignetto, «E anche che a Natalie farà molto
piacere
prendere lezioni di karate da Adam!»
A quel punto, con le guance in fiamme e un
livello di esasperazione a mille, mandai poco gentilmente a quel paese
le mie
sorelline e mi rifugiai in camera mia con la scusa di dover studiare.
Appena accesi la luce, vidi dalla finestra
che Adam aveva aperto la sua e si era affacciato con la chitarra al
collo. Mi
lanciò uno sguardo emozionato, e cominciò a suonare, passeggiando
tranquillamente per la sua stanza.
I'm
sorry that I hurt you
It's something I must live with everyday
And all the pain I put you through
I wish that I could take it all away
And be the one who catches all your tears
That’s why I need you to hear
I've found out a reason for me
To change who I used to be
A reason to start over new
and the reason is You..
And the reason is You..
And
the reason is you..
Un ultimo sguardo, un ultimo sorriso
complice, e chiudemmo le finestre, lui con un sorriso imbarazzato, io
con una
lacrima che rotolava sulla mia guancia.
…
«Buongiorno».
Il sorriso caldo di Adam mi
accolse appena misi piede fuori dal cancelletto di casa mia, e non
potei che
rimanere abbagliata da cotanta bellezza.
Potevo essere più fortunata
di
così?
«Buongiorno» risposi, mentre,
con un sorriso sereno, afferravo la mano che mi porgeva con una
semplicità
disarmante.
«Dormito bene?»
«Da Dio. Tu? » Certo, come si
poteva dormire male, se nei sogni c'era il proprio ragazzo che mi
cantava una
meravigliosa canzone d’amore? Canzone che, effettivamente, mi aveva
scritto per
davvero.
Adam mi attirò a sé, e mi
scoccò un bacio fior di labbra.
«Ho impiegato un po' ad
addormentarmi, sapendo che tu eri a pochi metri da me e non potevo
stringerti.
»
Ridacchiai, afferrandogli di
nuovo la mano e dandogli una leggera spallata, trascinandolo verso il
marciapiede. «Sai, non credevo che Adam
James Brown potesse essere così melenso! »
Lui alzò un sopracciglio,
quasi
scettico; «Preferivi davvero i tempi delle risse, allora. »
«E davvero tu sei già
diventato
dipendente dalla sottoscritta.» rimbeccai.
Il sorriso che mi rivolse fu
accecante: «Certo, ma è da un po’ che sono dipendente da te e dal tuo
caratterino da donna in perenne sindrome premestruale!»
Gli feci una linguaccia. «E
pensare che, fino all’altro giorno, pensavo che fossi TU quello con i
sintomi
da donna con la sindrome. »
«Ha. Ha. -fece Adam,
tirandomi
a sé. Il suo sorriso beato si trasformò pian piano in quello sghembo e
malizioso, che mi fece avere uno scompenso cardiaco. –Questo però non
ti ha
impedito di innamorarti di me.»
«Certo. È una delle cose che
abbiamo in comune e che ci hanno avvicinato!» lo presi in giro,
facendogli
l’occhiolino e riprendendo a camminare trascinandomelo dietro. «E
muoviti, altrimenti
arriviamo in ritardo».
«Wow, impaziente di buttarti
nella gabbia di leoni!» fece, alzando gli occhi al cielo.
«Hai paura della reazione dei
nostri compagni? » chiesi, seccata. Stavo già per lasciargli la mano,
ma lui la
strinse più forte.
Bizzarro: proprio ieri lui mi
aveva fatto la stessa domanda, col suo sorrisetto sornione; ora era
esattamente
il contrario. Adam sembrava vittima di fifa acuta da pettegolezzo, ed
io invece
ero in pace con me stessa; forse il merito andava solo alla sua mano
stretta
forte alla mia, e alla consapevolezza che lui mi amasse, ma, in ogni
caso,
niente sembrava potermi scalfire.
«No, ho solo paura della tua
migliore amica.» replicò, come se fosse ovvio.
E, altrettanto ovviamente, io
scoppiai a ridere, mentre il sole scacciava la nuvoletta cupa che stava
per
oscurare il mio buon umore.
Certo, che Kim minacciasse
Adam
di un’evirazione simultanea quando e se mi avesse fatta soffrire
un’altra volta
era quasi scontato, ma era pur vero che la mia migliore amica era la
prima che
tifava per la nostra coppia da.. beh, da quando il nostro odio
reciproco era
diventato meno reciproco. In ogni caso, in quei giorni era decisamente
troppo
presa da John anche solo per far caso a noi due.
«Non c’è niente da ridere. »
bofonchiò Adam, arricciando le labbra in una smorfia offesa e
cucciolosa.
«Stai tranquillo. » cercai di
rassicurarlo, «Kim abbaia ma non morde, e soprattutto il suo mondo è
Johnatan,
ormai. Quindi, se non le sbatti in faccia chiaramente che stiamo
insieme, lei è
capace anche di non accorgersene. »
Adam sorrise incerto, ed
annui.
Qualche minuto dopo, stavamo
entrando nel cortile della nostra scuola.
Avevo lasciato la mano di
Adam
per non rischiare di scatenare la rivolta delle oche; per il momento,
almeno,
volevo vivere questa storia in tranquillità.
Dopo un’amicizia che non era
mai stata tale, con baci di qui e di là, sbronze, ripicche e relazioni
mai
esistite, mi serviva decisamente fermarmi, respirare, e realizzare che,
porca
miseria, stavo con Adam Brown. Lo stesso ragazzino viziato che qualche
mese
prima mi aveva appiccicato una cicca nei capelli, lo stesso ragazzo con
cui
avevo fatto a pugni e varie guerre col cibo. Lo stesso ragazzo
affascinante che
tentava di cogliermi in fallo dopo una situazione particolarmente
imbarazzante,
e che, per assurdo, si era auto-incastrato.
E magari agli occhi del mondo
poteva sembrare impossibile, ma mi sembrava di non aver mai provato
niente di
così bello e giusto in vita mia.
Due giorni che stavamo
insieme,
due giorni che me lo ripetevo: anche se ero ancora incredula, sentivo
la sua
presenza ancora più vicina, ogni istante che stavamo uno accanto
all’altra.
Ogni suo sorriso era una
concretezza
in più.
Certo, la nostra era e
sarebbe
stata una storia insolita, e non sarebbe stato facile.
Per quanto tenessimo l’un
l’altra, eravamo pur sempre Adam e Natalie, le due teste calde che si
scontravano dalla tenera età di quattro anni con i più crudeli
dispetti.
Ecco, il motivo principale
per
cui volevo tenerla tra noi: perché i pettegolezzi e le voci potevano
rovinare
tutto, e di gente che sparlava ce n’era fin troppa.
Chiunque avrebbe potuto
giudicare sbagliato o falso quello che c’era tra me e Adam: perché era
arrivato
in punta di piedi, in poco tempo, e aveva legato il mio cuore al suo.
Perché
c’eravamo innamorati senza partire dal via, saltando varie tappe o
passandole
velocemente.
Stavamo insieme da due
giorni,
e non potevo dire che saremmo stati insieme per sempre. Però, per quel
che
valeva, Adam sapeva completarmi anche solo sorridendomi.
E questo bastava per voler
proteggere quello che avevamo.
Non finii di fare quel
pensiero, che Kimberly, neanche fosse un segugio, prese a squadrarci
poco
discretamente con un’aria inquietante.
Sentii il corpo di Adam
avvicinarsi di qualche centimetro più al mio, come se, da un momento
all’altro,
volesse usarmi come scudo e nascondersi dietro di me per proteggersi.
Alzai gli occhi al cielo, e
assunsi un’aria pacata, come se nulla fosse.
Modestamente,
avevo delle grandi doti da attrice.
Raggiungemmo Kim e Jonhatan
in
poche falcate, sotto i loro sguardi concentrati.
Speravo solo che Adam non
cominciasse a impazzire per il nervosismo.
«Buongiorno! » salutai, con
un
sorriso.
Fortunatamente, Adam sembrava
stesse
riprendendo la sua solita spavalderia, oppure, semplicemente, gli stava
tornando la vena artistica di attore.
In ogni caso, sfoderò il più
abbagliante e vanesio sorriso sghembo, e si passò la mano tra i capelli
con
fare ammaliante. «Giorno.»
Si sentì distintamente un
corpo-probabilmente di una ragazza- accasciarsi con un sospiro
estasiato, dopo
quel gesto.
Ecco, bravo,
amore: stermina un po’ di quelle galline che potrebbero minare alla mia
salute
mentale e fisica.
Insomma: meno oche c’erano,
meno difficoltà avevo io a difendere la mia proprietà, no?
John sorrise incerto,
scrollando le spalle con fare disinvolto, e abbracciò Kim con
nonchalance.
«Ciao, ragazzi.»
La mia migliore amica,
intanto,
non aveva ancora finito di squadrare me e il mio ragazzo, con la sua
classica
espressione da Sharlock ormai collaudata.
Quando assumeva le sembianze
d’investigatrice, sembrava dimenticare persino le regole della buona
educazione
che, neanche a dirlo, ai Tempi d’Oro delle risse con Adam continuava a
ribadirmi.
«C’è qualcosa che non va. »La
sua non era una domanda, era una pura constatazione.
Come fosse giunta a tale
riscontro, non mi era dato saperlo. Se c’era un cervello complicato da
capire
quanto quello del mio attuale ragazzo, era proprio quello di Kim: per
questo,
quei due andavano particolarmente d’accordo.
«Che caso, io stavo per dire
che tutto era perfetto. » la scimmiottò
Adam, con un sorrisetto che, se non l’avesse fatto per non destare
sospetti, mi
avrebbe fatto prudere le mani dall’insana voglia di cancellarlo.
«Dai, coraggio, bambini.-
m’intromisi, sentendo la campanella suonare, «Dobbiamo andare in
classe. »
-
La mia migliore amica e il
mio
ragazzo top secret, arrivati in classe, avevano deciso di scambiarsi di
posto,
cosicchè Kimberly potesse trastullarsi beatamente accanto al suo
adorato
fidanzato e io potessi –in gran segreto- fare lo stesso col mio.
Perché, secondo
i piani, Kim sarebbe stata troppo presa dal suo John vicino a lei, per
far caso
a me e ad Adam.
Perciò, il fatto che, da
quando
eravamo entrati in classe, non ci aveva ancora levato gli occhi di
dosso manco
fossimo degli alieni, era un dettaglio irrilevante.
Ed irritante, ad essere
sincera.
Adam si mosse inquieto sulla
sedia, avvicinandosi un po’ a me per parlarmi piano. «Ma la tua amica
non ha
meglio da fare che fissarci? Sento che mi sta per bucare la schiena,
talmente
ci mette impegno. »
A quelle parole non potei che
ridacchiare. Mi lanciò un’occhiata esasperata, e cercai di rincuorarlo
con un
sorriso.
Sorriso che fece il suo
effetto
e lo contagiò, illuminandogli gli occhi smeraldini e facendogli alzare
un
angolo delle labbra nel suo ghigno sghembo.
E, in quei pochi istanti in
cui
rimanemmo a fissarci negli occhi, mi chiesi come avessi fatto a
odiarlo, quel
sorriso: era la cosa più bella che esistesse al mondo, specie se
rivolta a me.
«ODDIO! »
A quell’urlo di Kim, quasi
non
mi venne un infarto.
Sia io che Adam sussultammo,
insieme al resto della classe, e ci voltammo a guardarla stralunati.
La professoressa alzò lo
sguardo dal libro di testo e la trucidò con un’occhiata glaciale, ma la
mia
migliore amica sembrava troppo presa a fissare me e il mio ragazzo
segreto come
se fossimo una rivelazione divina.
«Stevenson, tutto bene?»
-Johnatan
le prese la manica della felpa, e tentò di farla sedere, sorridendo
imbarazzato. «La scusi, prof, si è vista un insetto sul banco.»
Kim si lasciò cadere sulla
sedia; la sua espressione, che non era cambiata nemmeno di una virgola,
sembrava voler dire “brutta stronza, ho capito tutto.”
Con un sospiro mi voltai
nuovamente verso la cattedra, lasciandomi scivolare contro lo schienale
della
seggiola. «Ha capito» borbottai con un fil di voce, sotto lo sguardo
smarrito
di Adam, la cui pelle del viso cominciò paurosamente a diventare
pallida.
«Cacca» fu la sua risposta,
mentre si passava una mano tra i capelli spettinati.
Alzai gli occhi al cielo, e
storsi la bocca. «Fino a prova contraria sono io a doverlo dire.»
sibilai
piano, «E’ me, che ucciderà per non averglielo detto.»
Davanti a quella prospettiva,
il mio amato ragazzo sembrò
improvvisamente rincuorato e divertito, perché ridacchiò.
«Kim è sadica» disse; poi si
fermò, colto da un’improvvisa illuminazione: «..ora capisco perché
siete
amiche» disse, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Gli scoccai un’occhiataccia.
«Mi rincuora sapere che il mio ragazzo si preoccupa per me».
Adam si aprì, contro ogni
logica, in un sorriso luminoso: mi ricordava vagamente un bambino
davanti alla
neve, ed era impossibilmente adorabile. Adorabile,
Adam Brown. Non pensavo che l’avrei mai detto.
«Mi piace.»
«Cosa?»
Il suo sorriso, davanti alla
mia perplessità, non si scalfì minimamente. «Che sono il tuo ragazzo.
Mi piace
quando lo dici.»
Dopo quelle parole e il
lucchichio estasiato nei suoi occhi, cercai con tutte le mie forze di
non
liquefarmi lì, in quel momento, e ridurmi in una poltiglia informe.
L’unica cosa che mi fermò
dallo
scappare dalla classe trascinandomelo dietro con la prima scusa per
saltargli
addosso, fu l’ennesimo urletto-stavolta soffocato- di Kim.
Come me, Adam aguzzò le
orecchie.
«No, ma hai visto
come si sono guardati?!» la sentii sbattere il
palmo sul banco, «Guardali! Natalie
sembra pronta a saltargli addosso! »
E, dopo quell’uscita, mi
ripromisi di divorziare dalla mia migliore amica.
Bontà celeste! Non avevo gli
ormoni così sballati!
…o forse sì?
In ogni caso, non mi sembrava
molto carino sbandierarlo ai quattro venti –ovvero, John-,
partorendo congetture sulla mia presunta relazione con Adam.
Ma poi, era così evidente?
Non
mi sembrava che ci fossimo comportati in modo diverso, anche perché
avevamo
accuratamente evitato gesti ambigui come abbracci, baci e mani
intrecciate; e
Dio solo sapeva quanto avrei voluto stare a stretto contatto con il
corpo di
Adam in ogni istante della mia giornata.
Solo pensare ai baci del
giorno
prima, mi venivano i brividi.
Adam mi diede un buffetto sul
braccio per attirare la mia attenzione. «Che dici,glielo diciamo? Kim
potrebbe
sclerare e ammazzare John»
Alzai un sopracciglio.
«Ammazzare me, vorrai dire. Ma tu mica avevi paura di Kim? »
«Sì, certo, ma ho capito che
se
lo scoprisse da sola sarebbe anche peggio la sua reazione» fece,
saccente. «E
io non voglio essere evirato! » soggiunse poco dopo, con un’espressione
improvvisamente impaurita.
Scoppiai a ridere, ma poi
annuii. «Sì, forse hai ragione»
---
«Stiamo insieme»
Quasi automaticamente, mi feci più vicina a
Adam, pronta all’esplosione.
Appena erano finite le tre ore di storia,
durante la pausa pranzo, avevamo trascinato John e Kim nel cortile
della
scuola.
Non ero stata lì a girarci intorno, e avevo
sganciato la bomba con nonchalance.
Kim si voltò verso John, con un’espressione
saccente e ci indicò.
«Visto, cicci? Avevo ragione. » fece,
pacata; davanti a quel tono e quella tranquillità, non mi permisi di
sospirare
di sollievo, come già stava facendo Adam.
Perché Kim era una bomba a orologeria, e a
certe notizie sclerava per forza.
«Te l’avevo detto che stavan-- » Kim non
finì la frase. Rimase per qualche istante immobile, lo sguardo fisso, e
una
ruga di perplessità in mezzo alla fronte, mentre Johnatan la guardava
cautamente.
Ci impiegò ancora qualche istante per
realizzare l’informazione, e poi –sfortunatamente- esplose. «VOI STATE
INSIEME?!? »
L’espressione di Kim ebbe il potere di fare
indietreggiare sia me che Adam.
Io cercai di rivolgerle un sorrisetto; «Sì,
da ieri sera.. »
«DA IERI SERA?! » sbraitò. Poi,
d’improvviso, si lanciò verso di me.
Chiusi gli occhi, quasi involontariamente,
pronta a sentire la mia testa staccata dal resto del corpo. Ma, a
discapito di
ogni mia esagerata previsione, Kim, semplicemente, mi abbracciò.
«Sono così contenta per voi..! » mormorò
dolcemente, stringendomi forte. Automaticamente i miei muscoli si
rilassarono,
e ricambiai l’abbraccio di Kim. «Anche io, davvero»
«Anche se potevi chiamarmi e raccontarmelo,
ieri sera» bofonchiò poi, sciogliendo la presa. «Scommetto che non ce
l’avreste
detto, se non aveste avuto paura di una mia brutta reazione».
«Ma che dici! » esclamammo all’unisono; Kim
alzò gli occhi al cielo, ma poi scosse la testa.
«Lo so che non è il momento adatto, ma
voglio sapere ogni dettaglio! Anche quello più scabroso!»
«Non c’è nessun dettaglio scabroso, Kim! »
esclamai, incrociando le braccia al petto.
Intanto, Adam si era avvicinato e mi aveva
abbracciata da dietro, poggiando teneramente il mento sulla mia spalla.
Mi
scoccò un bacio sulla guancia, e rivolse un sorriso a Kim. «Ehi,
schizzata, è
vero che hai sempre tifato per me? »
Lei, in risposta, fece un gesto seccato con
la mano. «Certo. Voi due testoni siete sempre stati fatti l’uno per
l’altra.»
John scrollò le spalle, come a darle atto.
«Già dall’inizio facevate scintille, per quanta tensione c’era tra voi.
»
commentò, «Poi da dopo la festa sembravate sempre ad un passo dal
saltarvi
addosso! »
A quell’uscita, sentii le guance andarmi a
fuoco, mentre Adam sghignazzava tranquillamente.
«In ogni caso» ricominciò Kim, puntando un
dito contro Adam che mi strinse ancora un po’ più a sé. «Vedi di non
farla
soffrire, o ti faccio soffrire io. Nel modo più atroce che una mente
macabra
possa pensare.» L’occhiata sadica e ammonitrice che associò a quella
minaccia
ebbe il potere di far rabbrividire perfino me, insieme a Adam.
«Stai tranquilla» fece lui, con leggerezza
«ci tengo alla mia vita, io».
Però sapevo che sotto quelle parole dette
così, per scherzare e alleggerire la situazione, c’era sentimento;
sapevo che
Adam non mi avrebbe mai fatta soffrire, non volontariamente almeno,
perché mi
amava. E questo mi bastava.
«Allora? » incalzò Kim , facendomi tornare
coi piedi per terra.
«Cosa allora? » domandò Adam. Dal tono di
voce spaesato, probabilmente si era perso anche lui nei suoi pensieri.
E, dallo
sguardo accorato che mi lanciò subito dopo, capii che, per quanto
diversi
fossimo, eravamo sulla stessa lunghezza d’onda.
«Organizziamo
una cena a quattro. Stasera.
E non voglio un no, come risposta»