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Autore: Soul Sister    03/03/2012    8 recensioni
Dal primo capitolo:La mia vita era sempre stata come una di quelle sit com americane, piena zeppa di colpi di scena, ma sempre prevedibili. Di quelle con teenager alle prese con qualche cretino super-figo che le tormenta e rende la loro vita un inferno, ma che, inevitabilmente, poi, le fa innamorare di lui come delle povere pere cotte.
Ma, fortunatamente, io non ero la classica ragazza da sit com che s’innamorava del cretino della città. Io ero la teenager che affrontava il deficiente in questione, perché, purtroppo, anche nella mia prevedibile realtà, lui esisteva.
Non poteva mica non esserci. Perché quella presenza era peggio di una piaga in via di putrefazione, un porro peloso, un foruncolo, e resisteva.
Ma, se nelle sit com, poi diventava l’eroe, si poteva star certi che qui, nella mia città, nella mia vita, lui non sarebbe mai diventato magicamente il santo della situazione. Non c’erano segreti scabrosi della famiglia che l’avevano irreparabilmente rovinato, niente maschere che nascondevano un cuore d’oro. Eh sì, perché, purtroppo, il figone del mio, di villaggio, lo conoscevo fin troppo bene. Perchè le nostre famiglie erano amiche da quando mio padre e mia madre andavano al liceo, e, come se non bastasse, una delle mie sorelle era fidanzata col fratello maggiore della mia nemesi. Solo per informazione, nel mio universo, la pustola, colui che rompeva le palle insistentemente, aveva il famoso nome di Adam Brown: mi rifiutavo categoricamente di ritenerlo mio cognato. Era troppo..deprimente.
Restava il fatto, che la Pustola aveva appena segnato la sua ora.

-Spero vi abbia incuriosito :)
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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Ok. Probabilmente questo capitolo vi sembrerà un miraggio, ma c'è. L' ho finito ieri ma non ho trovato il tempo per salire su efp, così lo metto ora.

Ho fatto un ritardo assurdo, e lo so. Fa strano anche a me pensare di aver avuto un blocco così per questa storia. Ma, seriamente, sono andata in panico. Sono stata capace di scrivere una parola per sera, ma niente mi convinceva -e, francamente, questo capitolo non mi convince tutt'ora.

Dopo tutti questi mesi, ho scritto un capitolo di passaggio, senza molto pathos, ecco. Spero comunque che vi piaccia.. ^^"

Quindi, chiedo un milione di scusa a chi ha atteso questo capitolo, e ringrazio infinitamente chi leggerà.

Al prossimo capitolo :P (che non sarà tra mesi!)

..

Capitolo 18

Quando tutto sembra essere esattamente come deve essere

Probabilmente, se qualche mese fa mi avessero detto che mi sarei innamorata così pazzamente di Adam Brown, sarei morta per un eccesso di risate isteriche dettate dall'incredulità.

E, probabilmente, avrei fatto internare chiunque potesse solo pensare una blasfemia del genere. Perché, insomma: Adam Brown era la mia nemesi, la piaga della mia vita, l'idiota che mi faceva dannare dalla nostra nascita. Era un individuo strafottente ed arrogante, profondo quanto una pozza d'acqua e sprovvisto della facoltà di amare.

Obiettivamente, con che coraggio io, Natalie Smith, ragazza di sani principi morali e un orgoglio spropositato, sarei potuta cascare davanti agli occhi smeraldini di quell'Essere abominevole?

Ed invece, eccomi qui, accoccolata al petto di quel ragazzo odioso, e, per la prima vera volta nella mia vita, mi sentivo esattamente completa.

Non era una stronzata melensa da Bacio Perugina, no: stretta a Adam, con la guancia sul suo cuore e il ritmo nei suoi battiti a cullarmi, ero semplicemente felice. Sentivo il mio cuore gonfio per l'emozione, lo stomaco tutto uno sfarfallare, e la mia mente era completamente sgombra. Mi sembrava che niente, assolutamente niente, potesse andare storto, in quel momento.

Sarebbe potuto finire il mondo, ma io ero dove dovevo essere.

Per assurdo, Adam, che da sempre consideravo il mio opposto, era anche la mia perfetta metà. Era una certezza.

Poco importa che, dopo questo pensiero, fossi diventata la maggior causa di carie ai denti e diabete nel mondo. Non me ne fregava un fico secco, anche perché Adam mi amava, ed io ero la persona più felice al mondo.

«Tu non vieni alla gara, la settimana prossima, vero?»

Ed ecco che la pace veniva rotta proprio dal mio ragazzo, con un'uscita davvero cretina.

Mi allontanai dal suo petto giusto per scoccargli un'occhiataccia.

«Certo che vengo, perché non dovrei?» sbottai, cupa.

Adam non sembrò minimamente turbato dal mio cambio d'umore, e si lasciò scappare uno dei suoi maledetti sorrisetti sghembi, capaci di mandarmi cuore e testa in tilt. «Devo ricordarti il motivo per il quale ti ho portato in questo cesso puzzolente?»

«Vuoi dire che non mi hai attirata qui per la dichiarazione?» incalzai, alzando un sopracciglio e trattenendo a stento un sorriso storto.

Adam afferrò una mia ciocca di capelli, e mi sfiorò il viso delicatamente, facendomi leggermente il solletico. «Certo che no. All'inizio volevo solo sgridarti, poi mi sono fatto prendere dal momento e ti ho detto che ti amo.» Adam aggrottò la fronte, e fece il broncio.

«Non sarò un inguaribile romantico, però diciamo che immaginavo pure io qualcosa di più carino, dove dirti quello che provo».

Ridacchiai sommessamente, appoggiandomi di nuovo al suo petto caldo. «Ma dai, ha il suo perché questa “location”.» mimai.

Adam sbuffò sui miei capelli, per poi lasciarvi un bacio.

«Che dici, torniamo a casa?» domandò, in un sussurro.

Fu il mio turno, di sospirare.

Ad essere sincera, non avevo per niente voglia di tornare a casa, stavo da Dio con Adam in quel momento; non importava dove fossimo, se in un ristorante extra-lusso o nel cesso di una palestra.

Mi bastava stare con lui, e godermi pacificamente la sua presenza.

Anche perché a casa -sia mia, che sua- non c'era mai tranquillità.

Le nostre famiglie erano numerose e chiassose, e non si poteva proprio stare soli ed avere privacy.

E, per il momento, tutto ciò di cui avevo bisogno era stare sola con Adam.

Per di più, fuori da quel bagno, il mio gruppo di yoga stava facendo lezione: cosa avrebbero pensato le mie compagne e la mia insegnante, vedendomi sbucare quasi alla fine della lezione?

Alzai il viso a quello di Adam per argomentargli le mie illuminanti deduzioni, ma mi ritrovai tutto ad un tratto, con le labbra molto impegnate.

Ecco perché adoravo Adam: riguardo queste cose, eravamo decisamente sulla stessa lunghezza d'onda.

-

«Ma tuo padre non ha mai avuto problemi con i ragazzi, vero?» incalzò Adam, piantandosi in mezzo al marciapiede e strattonandomi indietro.

Alzai per la centesima volta gli occhi al cielo. «No, Adam. Mio padre non è assolutamente un tipo geloso o violento.» sibilai, accigliandomi. «Però io sì, e se non ci sbrighiamo ad arrivare a casa ti butto sotto un camion!»

Nonostante l'aria vagamente preoccupata, Adam si lasciò scappare un sorrisetto divertito, e riprese a camminare mano nella mano con me.

E, in quel momento, mi fu impossibile non chiedermi cosa avrebbero pensato i nostri professori, o i nostri compagni, sapendoci insieme.

Dopo anni e anni di liti, risse e insulti, dopo aver fatto impazzire chiunque ci stesse attorno, era insolito – o, per meglio dire, incredibile- che stessimo vicini senza scannarci, perché, addirittura, eravamo innamorati l'uno dell'altra.

A quel pensiero mi scappò un sorriso soddisfatto.

«Ehi, perché sghignazzi?»

Prima che potessi anche solo rendermene conto, la mano di Adam aveva lasciato la mia per far sì che il suo braccio potesse avvolgermi le spalle e stringermi al suo fianco, riparandomi anche dal vento sottile e freddo che si era alzato.

«Stavo pensando ai nostri compagni, a cosa potrebbero pensare vedendoci insieme» soffiai, sentendo il mio cuore scalpitare.

Lui sfoggiò il suo ghignetto insolente -e meno male che ero io, quella che sghignazzava!

«Saranno invidiosi da morire.» disse, con nonchalance e un luccichio gongolante negli occhi. «Siamo la coppia più bella del mondo!»

Io scrollai le spalle, cercando di non far trasparire quanto mi facesse piacere quell'affermazione.

«Secondo me saranno sollevati, penseranno che non saranno più coinvolti nelle nostre risse.»

Adam gettò la testa all'indietro, lasciando che la risata esplodesse fragorosa.

Mi persi qualche istante ad osservarlo, perché sì, era un insulto non farlo. Ero dannatamente fortunata ad avere un ragazzo così al mio fianco. Certo, il suo ego avrebbe potuto soffocarmi, un giorno o l’altro, tanto era grande; ma se non altro il suo cuore era grande quanto se la tirava, e, visto gli ultimi riscontri, batteva solo per me.

«Bei tempi, quelli delle risse a mensa!»

«E chi dice che siano finiti?» incalzai, facendogli strabuzzare gli occhi.

Ridacchiai, divertita dalla sua espressione stralunata.

«Se ti meriti un ceffone, sappi che non sono nessuno per non dartelo.»

Gli feci l'occhiolino, e lui scosse il capo, tra il divertito e l'esasperato.

Il resto del tragitto verso casa lo passammo chiacchierando tranquillamente, e quei pochi minuti volarono come niente.

«Ci vediamo tra poco. Io sarò quello affacciato alla finestra di fronte alla tua con il cuore in mano.» Adam mi sorrise, scoccandomi un bacio sulla guancia.

«Che scemo!» commentai; con un sorriso ebete mi avvicinai alla porta d'ingresso, tenendo gli occhi incollati alla sua figura che entrava nel giardino di casa Brown e frugava nelle tasche per trovare le chiavi.

Ancora facevo fatica ad accettare il fatto che Adam avesse questo ascendente su di me. Fino a qualche mese prima, mi consideravo l'unica ragazza al mondo capace di resistere al suo charme; peccato che ora fossi come creta nelle sue mani, ogni volta che, anche per sbaglio, i suoi occhi incrociavano i miei. Se poi era così avventato dal baciarmi anche solo la guancia, mi scioglievo manco un ghiacciolo sotto il sole di Luglio.

Con un sospiro e le farfalle nello stomaco, mi decisi ad aprire la porta d'ingresso ed entrare in casa.

La mia espressione beata mutò improvvisamente, appena mi accorsi che Tim-il mio fighissimo cognato- era inchiodato ad una sedia, con mio padre che gli puntava minacciosamente un dito al petto.

Alzai un sopracciglio, sbatacchiando le palpebre: non potevo credere ai miei occhi.

Cos’è che avevo appena detto a Adam riguardo a mio padre? Forse avrei dovuto rimangiarmi tutto; chissà che faccia avrebbe fatto il mio impavido playboy, davanti a quella scena. Probabilmente sarebbe svenuto.

Solo all’idea, un sorrisetto divertito mi spuntò sulle labbra, che Rosalie, seduta sul divano, intercettò immediatamente.

«Natalie, perché quel ghigno sadico? » incalzò, scrutandomi attentamente.

Feci roteare gli occhi, cominciando a slacciarmi il cappotto e scoccando uno sguardo perplesso a mia madre, stesa sul divano accanto alle mie sorelle con una cera vagamente verdognola.

Le guardai con un’espressione interrogativa piuttosto eloquente. «Che le prende? Ah, comunque ciao anche a voi, sorelle».

Melanie ridacchiò. «Tutta colpa di Bryan»

«Bryan?»

Rosalie annuì, con una smorfia seccata. «Sì, prima era qui con noi e ha fatto una battuta su di una mia presunta gravidanza. E sai quanto ultimamente mamma sia suscettibile, riguardo le gravidanze: è svenuta»

Scoppiai a ridere apertamente, piegandomi quasi in due, tanto che mio padre interruppe la sua paternale verso il futuro genero per scoccarmi uno sguardo severo. «Non c’è nulla da ridere, Nat. Rischia l’esaurimento nervoso. E poi chi deve placarla? Io.» fece, con un’espressione eloquente.

Sorrisi al mio papà; non era difficile intuire perché lo adorassi tanto, era un uomo fantastico, e soprattutto gli assomigliavo mostruosamente. Avevamo la stessa ironia e modo di pensare, e tolleranza verso mia madre pari a zero: solo che lui, con anni e anni di convivenza, era riuscito a trovare un equilibrio per non tentare di ucciderla ogni qual volta apriva bocca.

I grandi misteri dell’amore..

Probabilmente avrei dovuto chiedere consiglio al mio papy, su come sopportare uno schizzato come Adam.

«Comunque» continuò papà, voltandosi verso Tim, «Parliamo di te».

«A-ancora?» balbettò il ragazzo, sempre più pallido. Era incredibile come riuscisse a mantenere l’aria da figo anche mentre sudava freddo ed era bianco come un cencio; chissà se Adam aveva la sua stessa capacità.

Beh, in ogni caso, non volevo scoprirlo tanto presto.

Un po’ stralunata, mi voltai verso Mel. «Ma non hai tentato di fermarlo? Sta interrogando il tuo fidanzato manco fosse un terrorista..»

Melanie si strinse nelle spalle. «Ci ho provato, e mi ha messo in castigo»

Rosalie si lasciò sfuggire una risatina, e Mel le riservò una gomitata nel fianco. «Ridi poco, tu, che sei nella mia stessa situazione!»

«Punizione anche lei?» incalzai, con un sorrisetto. La smorfia di Rose fu una risposta eloquente; «E perché mai?»

Fu Mel a ghignare, stavolta. «Ha un ragazzo che parla fin troppo a sproposito»

Fortunatamente, l’inquisizione di mio padre non continuò ancora a lungo, e ben presto la faccia di Tim tornò del suo colore naturale. Nonostante il ragazzo di mia sorella avesse quel che di particolare che lo faceva piacere a tutti, mio padre continuò a guardarlo un po’ amareggiato per tutta la durata della cena, borbottando domande e commentando di tanto in tanto. Probabilmente era così abbattuto perché, dopotutto, quel ragazzo, per quanto adorabile fosse, gli stava portando via una delle sue bambine.

Con tutte le probabilità, Richard lo stava maledicendo per non essere un teppista con tatuaggi e piercing in ogni dove, alcolizzato e maleducato.

Emily, invece, dal canto suo, spiluccò appena il mangiare, senza levare gli occhi dal piatto in un silenzio alquanto insolito. Insomma, mia madre era famosa per la sua incapacità di tacere: perché lei aveva sempre qualcosa da dire- o meglio, di cui lamentarsi.

Diciamo che fu un sollievo per le orecchie di tutti, quel mutismo, lasciandoci liberi di chiacchierare tranquillamente. O meglio, Rose, Mel e Tim parlarono allegramente, cercando di coinvolgere mio padre che borbottava risposte vaghe; io rimasi a giocherellare con la bistecca che avevo nel piatto, vedendoci –non so come, non so perché- il viso del mio ragazzo, con lo stomaco invaso di farfalle grandi quanto elefanti e un sorriso ebete stampato in faccia.

Sorriso che, purtroppo, non passò inosservato, perché Rosalie e Melanie scattarono subito sull’attenti. «Nat.. come mai non ti sei ancora lamentata della minima cosa?» incalzò Rose, arcuando le sopracciglia; erano così oscenamente alte che avrebbero potuto mischiarsi con i suoi capelli: non andava per niente bene se Rosalie mi guardava in quel modo, come se attendesse la rivelazione dell’anno.

Ma non bastava avere gli occhioni cristallini di Rose a farmi la radiografia, perché la secondogenita Smith decise di aggregarsi alla sorella maggiore, nello squadrarmi neanche stessi nascondendo un segreto d’importanza mondiale.

Ovviamente, accendendo la curiosità di mio padre, che sapeva essere peggio di una vecchina dal parrucchiere. «Già, di solito, -e quel “di solito” si collocava nelle pause tra un soliloquio e l’altro di Emily- hai sempre qualcosa da dire!»

Papà annuì con foga, come a sottolineare il concetto e sporgendosi più verso di me.

E, mentre Richard, Rosalie e Melanie m’incalzavano con le loro espressioni da Jessica Fletcher, per un breve istante, pensai di adorare mia madre per il suo mutismo.

Per un breve istante, da sottolineare.

Poi rinsavii e assunsi l’espressione più neutra del mio repertorio. «Yoga, ragazzi. L’ho detto io, che mi avrebbe fatto bene».

Rose alzò un sopracciglio, portandosi la forchetta alla bocca fissandomi attentamente; poi fece roteare la posata tra le dita, e me la puntò contro con fare causale. «Sai cos’è che ti farebbe altrettanto bene?»

«Cosa?» domandai, portandomi il bicchiere alle labbra per bere un sorso d’acqua, sostenendo il suo sguardo; Rosalie scrollò le spalle con nonchalance, «Karate».

Per poco non mi soffocai, a quelle parole, facendo scoppiare a ridere le mie care sorelline.

«Rose! » gracchiai, «Ma che diavolo dici?»

Rosalie mi rivolse un sorrisetto sornione. «Non so proprio perché, ma sono sempre stata sicura che tu avessi un debole per i kimono.»

Era una brutta cosa, vero, voler squartare una sorella?

Papà, ingenuamente, sorrise entusiasta. «Lo sai, Rose, che hai dato un’idea grandiosa? Dovresti seguire un corso di Karate per l’auto-difesa, dato che al momento-grazie al cielo- non hai ancora un ragazzo che ti protegga! » e, come per sottolineare il concetto, diede una pacca bella forte alla schiena di Tim; per poco, il mio povero cognato non vomitò un polmone.

Io cercai di mordermi la lingua, trattenendo il mio istinto di ribattere a qualsiasi affermazione di chiunque e dire che, in realtà, un ragazzo ce l’avevo. E che faceva pure Karate.

L’espressione di mio padre era ancora piuttosto ambigua, e sapevo che non era ancora finita; il suo cervello stava ancora macchinando qualche assurda teoria.

«Eureka! Nat potresti chiederlo a Adam!» esclamò.

Scoppiai in una fintissima risata. «Sì, come no! Figurati se si mette a spiegarmi come poterlo stendere con un calcio!»

Papà fece un gesto stizzito con la mano. «Sciocchezze. Glielo chiederò domani, vedrai che mi dirà di sì!»

«Vedrai che dirà di no» ribattei fermamente convinta.

«Anche noi siamo convinte che dirà di sì» commentò Mel, con un ghignetto, «E anche che a Natalie farà molto piacere prendere lezioni di karate da Adam!»

A quel punto, con le guance in fiamme e un livello di esasperazione a mille, mandai poco gentilmente a quel paese le mie sorelline e mi rifugiai in camera mia con la scusa di dover studiare.

Appena accesi la luce, vidi dalla finestra che Adam aveva aperto la sua e si era affacciato con la chitarra al collo. Mi lanciò uno sguardo emozionato, e cominciò a suonare, passeggiando tranquillamente per la sua stanza.

I'm sorry that I hurt you
It's something I must live with everyday
And all the pain I put you through
I wish that I could take it all away
And be the one who catches all your tears
That’s why I need you to hear

I've found out a reason for me
To change who I used to be
A reason to start over new
and the reason is You..

And the reason is You..

And the reason is you..

Un ultimo sguardo, un ultimo sorriso complice, e chiudemmo le finestre, lui con un sorriso imbarazzato, io con una lacrima che rotolava sulla mia guancia.

«Buongiorno».

Il sorriso caldo di Adam mi accolse appena misi piede fuori dal cancelletto di casa mia, e non potei che rimanere abbagliata da cotanta bellezza.

Potevo essere più fortunata di così?

«Buongiorno» risposi, mentre, con un sorriso sereno, afferravo la mano che mi porgeva con una semplicità disarmante.

«Dormito bene?»

«Da Dio. Tu? » Certo, come si poteva dormire male, se nei sogni c'era il proprio ragazzo che mi cantava una meravigliosa canzone d’amore? Canzone che, effettivamente, mi aveva scritto per davvero.

Adam mi attirò a sé, e mi scoccò un bacio fior di labbra.

«Ho impiegato un po' ad addormentarmi, sapendo che tu eri a pochi metri da me e non potevo stringerti. »

Ridacchiai, afferrandogli di nuovo la mano e dandogli una leggera spallata, trascinandolo verso il marciapiede. «Sai, non credevo che Adam James Brown potesse essere così melenso! »

Lui alzò un sopracciglio, quasi scettico; «Preferivi davvero i tempi delle risse, allora. »

«E davvero tu sei già diventato dipendente dalla sottoscritta.» rimbeccai.

Il sorriso che mi rivolse fu accecante: «Certo, ma è da un po’ che sono dipendente da te e dal tuo caratterino da donna in perenne sindrome premestruale!»

Gli feci una linguaccia. «E pensare che, fino all’altro giorno, pensavo che fossi TU quello con i sintomi da donna con la sindrome. »

«Ha. Ha. -fece Adam, tirandomi a sé. Il suo sorriso beato si trasformò pian piano in quello sghembo e malizioso, che mi fece avere uno scompenso cardiaco. –Questo però non ti ha impedito di innamorarti di me.»

«Certo. È una delle cose che abbiamo in comune e che ci hanno avvicinato!» lo presi in giro, facendogli l’occhiolino e riprendendo a camminare trascinandomelo dietro. «E muoviti, altrimenti arriviamo in ritardo».

«Wow, impaziente di buttarti nella gabbia di leoni!» fece, alzando gli occhi al cielo.

«Hai paura della reazione dei nostri compagni? » chiesi, seccata. Stavo già per lasciargli la mano, ma lui la strinse più forte.

Bizzarro: proprio ieri lui mi aveva fatto la stessa domanda, col suo sorrisetto sornione; ora era esattamente il contrario. Adam sembrava vittima di fifa acuta da pettegolezzo, ed io invece ero in pace con me stessa; forse il merito andava solo alla sua mano stretta forte alla mia, e alla consapevolezza che lui mi amasse, ma, in ogni caso, niente sembrava potermi scalfire.

«No, ho solo paura della tua migliore amica.» replicò, come se fosse ovvio.

E, altrettanto ovviamente, io scoppiai a ridere, mentre il sole scacciava la nuvoletta cupa che stava per oscurare il mio buon umore.

Certo, che Kim minacciasse Adam di un’evirazione simultanea quando e se mi avesse fatta soffrire un’altra volta era quasi scontato, ma era pur vero che la mia migliore amica era la prima che tifava per la nostra coppia da.. beh, da quando il nostro odio reciproco era diventato meno reciproco. In ogni caso, in quei giorni era decisamente troppo presa da John anche solo per far caso a noi due.

«Non c’è niente da ridere. » bofonchiò Adam, arricciando le labbra in una smorfia offesa e cucciolosa.

«Stai tranquillo. » cercai di rassicurarlo, «Kim abbaia ma non morde, e soprattutto il suo mondo è Johnatan, ormai. Quindi, se non le sbatti in faccia chiaramente che stiamo insieme, lei è capace anche di non accorgersene. »

Adam sorrise incerto, ed annui.

Qualche minuto dopo, stavamo entrando nel cortile della nostra scuola.

Avevo lasciato la mano di Adam per non rischiare di scatenare la rivolta delle oche; per il momento, almeno, volevo vivere questa storia in tranquillità.

Dopo un’amicizia che non era mai stata tale, con baci di qui e di là, sbronze, ripicche e relazioni mai esistite, mi serviva decisamente fermarmi, respirare, e realizzare che, porca miseria, stavo con Adam Brown. Lo stesso ragazzino viziato che qualche mese prima mi aveva appiccicato una cicca nei capelli, lo stesso ragazzo con cui avevo fatto a pugni e varie guerre col cibo. Lo stesso ragazzo affascinante che tentava di cogliermi in fallo dopo una situazione particolarmente imbarazzante, e che, per assurdo, si era auto-incastrato.

E magari agli occhi del mondo poteva sembrare impossibile, ma mi sembrava di non aver mai provato niente di così bello e giusto in vita mia.

Due giorni che stavamo insieme, due giorni che me lo ripetevo: anche se ero ancora incredula, sentivo la sua presenza ancora più vicina, ogni istante che stavamo uno accanto all’altra.

Ogni suo sorriso era una concretezza in più.

Certo, la nostra era e sarebbe stata una storia insolita, e non sarebbe stato facile.

Per quanto tenessimo l’un l’altra, eravamo pur sempre Adam e Natalie, le due teste calde che si scontravano dalla tenera età di quattro anni con i più crudeli dispetti.

Ecco, il motivo principale per cui volevo tenerla tra noi: perché i pettegolezzi e le voci potevano rovinare tutto, e di gente che sparlava ce n’era fin troppa.

Chiunque avrebbe potuto giudicare sbagliato o falso quello che c’era tra me e Adam: perché era arrivato in punta di piedi, in poco tempo, e aveva legato il mio cuore al suo. Perché c’eravamo innamorati senza partire dal via, saltando varie tappe o passandole velocemente.

Stavamo insieme da due giorni, e non potevo dire che saremmo stati insieme per sempre. Però, per quel che valeva, Adam sapeva completarmi anche solo sorridendomi.

E questo bastava per voler proteggere quello che avevamo.

Non finii di fare quel pensiero, che Kimberly, neanche fosse un segugio, prese a squadrarci poco discretamente con un’aria inquietante.

Sentii il corpo di Adam avvicinarsi di qualche centimetro più al mio, come se, da un momento all’altro, volesse usarmi come scudo e nascondersi dietro di me per proteggersi.

Alzai gli occhi al cielo, e assunsi un’aria pacata, come se nulla fosse.

Modestamente, avevo delle grandi doti da attrice.

Raggiungemmo Kim e Jonhatan in poche falcate, sotto i loro sguardi concentrati.

Speravo solo che Adam non cominciasse a impazzire per il nervosismo.

«Buongiorno! » salutai, con un sorriso.

Fortunatamente, Adam sembrava stesse riprendendo la sua solita spavalderia, oppure, semplicemente, gli stava tornando la vena artistica di attore.

In ogni caso, sfoderò il più abbagliante e vanesio sorriso sghembo, e si passò la mano tra i capelli con fare ammaliante. «Giorno.»

Si sentì distintamente un corpo-probabilmente di una ragazza- accasciarsi con un sospiro estasiato, dopo quel gesto.

Ecco, bravo, amore: stermina un po’ di quelle galline che potrebbero minare alla mia salute mentale e fisica.

Insomma: meno oche c’erano, meno difficoltà avevo io a difendere la mia proprietà, no?

John sorrise incerto, scrollando le spalle con fare disinvolto, e abbracciò Kim con nonchalance.

«Ciao, ragazzi.»

La mia migliore amica, intanto, non aveva ancora finito di squadrare me e il mio ragazzo, con la sua classica espressione da Sharlock ormai collaudata.

Quando assumeva le sembianze d’investigatrice, sembrava dimenticare persino le regole della buona educazione che, neanche a dirlo, ai Tempi d’Oro delle risse con Adam continuava a ribadirmi.

«C’è qualcosa che non va. »La sua non era una domanda, era una pura constatazione.

Come fosse giunta a tale riscontro, non mi era dato saperlo. Se c’era un cervello complicato da capire quanto quello del mio attuale ragazzo, era proprio quello di Kim: per questo, quei due andavano particolarmente d’accordo.

«Che caso, io stavo per dire che tutto era perfetto. » la scimmiottò Adam, con un sorrisetto che, se non l’avesse fatto per non destare sospetti, mi avrebbe fatto prudere le mani dall’insana voglia di cancellarlo.

«Dai, coraggio, bambini.- m’intromisi, sentendo la campanella suonare, «Dobbiamo andare in classe. »

-

La mia migliore amica e il mio ragazzo top secret, arrivati in classe, avevano deciso di scambiarsi di posto, cosicchè Kimberly potesse trastullarsi beatamente accanto al suo adorato fidanzato e io potessi –in gran segreto- fare lo stesso col mio. Perché, secondo i piani, Kim sarebbe stata troppo presa dal suo John vicino a lei, per far caso a me e ad Adam.

Perciò, il fatto che, da quando eravamo entrati in classe, non ci aveva ancora levato gli occhi di dosso manco fossimo degli alieni, era un dettaglio irrilevante.

Ed irritante, ad essere sincera.

Adam si mosse inquieto sulla sedia, avvicinandosi un po’ a me per parlarmi piano. «Ma la tua amica non ha meglio da fare che fissarci? Sento che mi sta per bucare la schiena, talmente ci mette impegno. »

A quelle parole non potei che ridacchiare. Mi lanciò un’occhiata esasperata, e cercai di rincuorarlo con un sorriso.

Sorriso che fece il suo effetto e lo contagiò, illuminandogli gli occhi smeraldini e facendogli alzare un angolo delle labbra nel suo ghigno sghembo.

E, in quei pochi istanti in cui rimanemmo a fissarci negli occhi, mi chiesi come avessi fatto a odiarlo, quel sorriso: era la cosa più bella che esistesse al mondo, specie se rivolta a me.

«ODDIO! »

A quell’urlo di Kim, quasi non mi venne un infarto.

Sia io che Adam sussultammo, insieme al resto della classe, e ci voltammo a guardarla stralunati.

La professoressa alzò lo sguardo dal libro di testo e la trucidò con un’occhiata glaciale, ma la mia migliore amica sembrava troppo presa a fissare me e il mio ragazzo segreto come se fossimo una rivelazione divina.

«Stevenson, tutto bene?»

-Johnatan le prese la manica della felpa, e tentò di farla sedere, sorridendo imbarazzato. «La scusi, prof, si è vista un insetto sul banco.»

Kim si lasciò cadere sulla sedia; la sua espressione, che non era cambiata nemmeno di una virgola, sembrava voler dire “brutta stronza, ho capito tutto.”

Con un sospiro mi voltai nuovamente verso la cattedra, lasciandomi scivolare contro lo schienale della seggiola. «Ha capito» borbottai con un fil di voce, sotto lo sguardo smarrito di Adam, la cui pelle del viso cominciò paurosamente a diventare pallida.

«Cacca» fu la sua risposta, mentre si passava una mano tra i capelli spettinati.

Alzai gli occhi al cielo, e storsi la bocca. «Fino a prova contraria sono io a doverlo dire.» sibilai piano, «E’ me, che ucciderà per non averglielo detto.»

Davanti a quella prospettiva, il mio amato ragazzo sembrò improvvisamente rincuorato e divertito, perché ridacchiò.

«Kim è sadica» disse; poi si fermò, colto da un’improvvisa illuminazione: «..ora capisco perché siete amiche» disse, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

Gli scoccai un’occhiataccia. «Mi rincuora sapere che il mio ragazzo si preoccupa per me».

Adam si aprì, contro ogni logica, in un sorriso luminoso: mi ricordava vagamente un bambino davanti alla neve, ed era impossibilmente adorabile. Adorabile, Adam Brown. Non pensavo che l’avrei mai detto.

«Mi piace.»

«Cosa?»

Il suo sorriso, davanti alla mia perplessità, non si scalfì minimamente. «Che sono il tuo ragazzo. Mi piace quando lo dici.»

Dopo quelle parole e il lucchichio estasiato nei suoi occhi, cercai con tutte le mie forze di non liquefarmi lì, in quel momento, e ridurmi in una poltiglia informe.

L’unica cosa che mi fermò dallo scappare dalla classe trascinandomelo dietro con la prima scusa per saltargli addosso, fu l’ennesimo urletto-stavolta soffocato- di Kim.

Come me, Adam aguzzò le orecchie.

«No, ma hai visto come si sono guardati?!» la sentii sbattere il palmo sul banco, «Guardali! Natalie sembra pronta a saltargli addosso! »

E, dopo quell’uscita, mi ripromisi di divorziare dalla mia migliore amica.

Bontà celeste! Non avevo gli ormoni così sballati!

…o forse sì?

In ogni caso, non mi sembrava molto carino sbandierarlo ai quattro venti –ovvero, John-, partorendo congetture sulla mia presunta relazione con Adam.

Ma poi, era così evidente? Non mi sembrava che ci fossimo comportati in modo diverso, anche perché avevamo accuratamente evitato gesti ambigui come abbracci, baci e mani intrecciate; e Dio solo sapeva quanto avrei voluto stare a stretto contatto con il corpo di Adam in ogni istante della mia giornata.

Solo pensare ai baci del giorno prima, mi venivano i brividi.

Adam mi diede un buffetto sul braccio per attirare la mia attenzione. «Che dici,glielo diciamo? Kim potrebbe sclerare e ammazzare John»

Alzai un sopracciglio. «Ammazzare me, vorrai dire. Ma tu mica avevi paura di Kim? »

«Sì, certo, ma ho capito che se lo scoprisse da sola sarebbe anche peggio la sua reazione» fece, saccente. «E io non voglio essere evirato! » soggiunse poco dopo, con un’espressione improvvisamente impaurita.

Scoppiai a ridere, ma poi annuii. «Sì, forse hai ragione»

---

«Stiamo insieme»

Quasi automaticamente, mi feci più vicina a Adam, pronta all’esplosione.

Appena erano finite le tre ore di storia, durante la pausa pranzo, avevamo trascinato John e Kim nel cortile della scuola.

Non ero stata lì a girarci intorno, e avevo sganciato la bomba con nonchalance.

Kim si voltò verso John, con un’espressione saccente e ci indicò.

«Visto, cicci? Avevo ragione. » fece, pacata; davanti a quel tono e quella tranquillità, non mi permisi di sospirare di sollievo, come già stava facendo Adam.

Perché Kim era una bomba a orologeria, e a certe notizie sclerava per forza.

«Te l’avevo detto che stavan-- » Kim non finì la frase. Rimase per qualche istante immobile, lo sguardo fisso, e una ruga di perplessità in mezzo alla fronte, mentre Johnatan la guardava cautamente.

Ci impiegò ancora qualche istante per realizzare l’informazione, e poi –sfortunatamente- esplose. «VOI STATE INSIEME?!? »

L’espressione di Kim ebbe il potere di fare indietreggiare sia me che Adam.

Io cercai di rivolgerle un sorrisetto; «Sì, da ieri sera.. »

«DA IERI SERA?! » sbraitò. Poi, d’improvviso, si lanciò verso di me.

Chiusi gli occhi, quasi involontariamente, pronta a sentire la mia testa staccata dal resto del corpo. Ma, a discapito di ogni mia esagerata previsione, Kim, semplicemente, mi abbracciò.

«Sono così contenta per voi..! » mormorò dolcemente, stringendomi forte. Automaticamente i miei muscoli si rilassarono, e ricambiai l’abbraccio di Kim. «Anche io, davvero»

«Anche se potevi chiamarmi e raccontarmelo, ieri sera» bofonchiò poi, sciogliendo la presa. «Scommetto che non ce l’avreste detto, se non aveste avuto paura di una mia brutta reazione».

«Ma che dici! » esclamammo all’unisono; Kim alzò gli occhi al cielo, ma poi scosse la testa.

«Lo so che non è il momento adatto, ma voglio sapere ogni dettaglio! Anche quello più scabroso!»

«Non c’è nessun dettaglio scabroso, Kim! » esclamai, incrociando le braccia al petto.

Intanto, Adam si era avvicinato e mi aveva abbracciata da dietro, poggiando teneramente il mento sulla mia spalla. Mi scoccò un bacio sulla guancia, e rivolse un sorriso a Kim. «Ehi, schizzata, è vero che hai sempre tifato per me? »

Lei, in risposta, fece un gesto seccato con la mano. «Certo. Voi due testoni siete sempre stati fatti l’uno per l’altra.»

John scrollò le spalle, come a darle atto. «Già dall’inizio facevate scintille, per quanta tensione c’era tra voi. » commentò, «Poi da dopo la festa sembravate sempre ad un passo dal saltarvi addosso! »

A quell’uscita, sentii le guance andarmi a fuoco, mentre Adam sghignazzava tranquillamente.

«In ogni caso» ricominciò Kim, puntando un dito contro Adam che mi strinse ancora un po’ più a sé. «Vedi di non farla soffrire, o ti faccio soffrire io. Nel modo più atroce che una mente macabra possa pensare.» L’occhiata sadica e ammonitrice che associò a quella minaccia ebbe il potere di far rabbrividire perfino me, insieme a Adam.

«Stai tranquilla» fece lui, con leggerezza «ci tengo alla mia vita, io».

Però sapevo che sotto quelle parole dette così, per scherzare e alleggerire la situazione, c’era sentimento; sapevo che Adam non mi avrebbe mai fatta soffrire, non volontariamente almeno, perché mi amava. E questo mi bastava.

«Allora? » incalzò Kim , facendomi tornare coi piedi per terra.

«Cosa allora? » domandò Adam. Dal tono di voce spaesato, probabilmente si era perso anche lui nei suoi pensieri. E, dallo sguardo accorato che mi lanciò subito dopo, capii che, per quanto diversi fossimo, eravamo sulla stessa lunghezza d’onda.

«Organizziamo una cena a quattro. Stasera. E non voglio un no, come risposta»

  
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