Ecco a te una nuova splendida e inimitabile “seduta di coppia” (corredata di qualche micro-apparizione extra ^_^).
Prima di cominciare seriamente, però, comincio ad anticiparti quella che è stata l’impressione che mi ha accompagnata per tutta la lettura e che ho trovato splendidamente inserita tra le righe, a volte più palesemente, a volte captabile come una semplice sensazione che però ho percepito chiarissima. Sembra quasi che, in questo capitolo, il tempo per Jenny passi a una velocità diversa rispetto a quella originale, rispetto a quello che vale per tutti gli altri personaggi. Ho avuto l’impressione che, per Jenny, ora sia tutto improvvisamente rallentato. Perciò, così come cambia la percezione del tempo, cambia anche quella dimensionale: qui Jenny, che nonostante tutto si era inserita fin dall’inizio molto bene nel nuovo ambiente e nel nuovo paese, sembra improvvisamente staccarsi da tutto ciò che la circonda ed entrare in una dimensione a parte, dove sia tempo che spazio, per l’appunto, valgono unicamente per lei.
Non è stato raro, in queste pagine, vederla come se all’improvviso si fosse resa conto di trovarsi in un luogo sconosciuto, dove non solo non riconosce ciò che la circonda, ma spietata giunge anche la consapevolezza di non riconoscersi più a propria volta. È come se all’improvviso Jenny si rendesse conto che tutto, dal momento del suo trasferimento a casa di Mark fino a quell'istante, non è stata che una frenetica illusione e, ora che si avvicina il momento in cui la nazionale giapponese farà ritorno a casa, in lei si fa strada sempre più prepotentemente la sensazione di non appartenere al luogo in cui si trova. Nonostante questo, però, Jenny sente di non appartenere nemmeno al luogo da cui proviene, un po’ come se fosse destinata ad essere un’estranea ovunque, per l’appunto di essere un’estranea anche a se stessa.
Io ho avuto proprio questa impressione: il tempo per Jenny non scorre come per gli altri, è come se lei, all’interno del suo limbo dove questo si è improvvisamente dilatato, vedesse solo come spettatrice il susseguirsi degli eventi esterni che invece procede a velocità normale ma che, posta a confronto con il “suo” tempo, sembra improvvisamente rapidissima. Però, Jenny, con questa rapidità non può in alcun modo interferire; il tempo esterno la tange appena, le scorre accanto, potremmo dire, ma lei ne sperimenta uno completamente diverso, dove i suoi pensieri fluiscono ininterrotti, dilatandosi per l’appunto, perché hanno tutto il tempo per “srotolarsi” e mostrarle, all’improvviso, ogni dettaglio della situazione in cui si trova.
Sul finale, poi, alla percezione del tempo (questa volta per Jenny e Philip insieme) accadrà qualcosa di ancora più particolare, ma ci arrivo, per l’appunto, sul finale.
A questo punto partiamo seriamente con la nostra mitica seduta di coppia, cominciando da Jenny.
“Non ne poteva più di essere fotografata, non sopportava più di finire sotto gli occhi di tutti. Di essere vista, rivista e giudicata.”
In definitiva, questo servizio fotografico per lei non è un po’ una sorta di beffa? È come se all’interno di questa sessione di scatti si concretizzasse proprio tutto ciò che le è gravato addosso nell’ultimo periodo (“finire sotto gli occhi di tutti, essere vista, rivista e giudicata”), palesandosi questa volta sotto forma di lavoro. Certo, a Jenny i tremila euro che riceverà come compenso non fanno certo schifo e, anzi, sono l’unica consolazione durante quella mattinata senza fine in cui deve continuare a sentirsi cento e più occhi puntati addosso, quando lei non vorrebbe altro che passare inosservata.
Proseguiamo sempre con Jenny.
Questa frase mi è piaciuta tantissimo e l’ho trovata particolarmente significativa anche sotto punti di vista un po’ meno “concreti”: “Jenny riuscì a sfilarsi le spalline, poi afferrò la scollatura e la tirò su per togliersi l’abito dalla testa. Il vestito la fasciava stretto, non riuscì a sollevarlo. S’innervosì e tirò forte. Si udirono alcuni strappi.”
E se Jenny provasse la stessa necessità rabbiosa di strapparsi di dosso anche la situazione in cui si sente intrappolata, così come, nel concreto, avviene con il vestito?
Come il vestito, la nuova vita di Jenny sembra esserle stata cucita direttamente addosso per adattarsi alla sua nuova forma. In effetti, questa nuova vita, sembra quasi appartenere realmente a Jenny, tanto lei è stata in grado di muoversi intraprendentemente in essa, così come il vestito, dall’esterno, sembra calzarle alla perfezione ed essere fatto apposta per lei. Non solo aderisce perfettamente perché, per l’appunto, le è stato cucito direttamente addosso, ma non stona su di lei, le sta bene, la fa risaltare come, nei suoi abiti abituali, sicuramente non succedeva. Così vale anche per la vita che Jenny ha intrapreso in quegli ultimi mesi: se la sta cavando egregiamente, in essa, sembra muoversi agevolmente in tutto ciò che fa e nella nuova immagine esteriore che sta costruendo di sé, eppure, per quanto da fuori tutto sembri perfettamente in equilibrio, all’interno è tutta un’altra cosa.
Come il vestito che, nonostante le stia bene e si adatti perfettamente al suo corpo, in realtà la soffoca, così anche la sua nuova vita in realtà la opprime, per il semplice fatto che non le appartiene.
Credo che la frenesia con cui Jenny si strappa l’abito di dosso sia la stessa con cui, inconsciamente, vorrebbe sottrarsi alla situazione che le circostanze le hanno cucino addosso. E sembra esserci anche un sentimento di rabbia non da poco, così come un senso di disperazione impresso nel profondo, nei gesti bruschi di Jenny, che vuole solo liberarsi di questo abito che non sopporta più, che non vuole più vedere. Che importa, anche se è bello? Anche se la fa risplendere? Anche se le sta benissimo? Non fa parte di lei, non vi si riconosce all’interno, non vuole che le fasci oltre il corpo. Jenny sembra volersi liberare dell’abito come se quest’ultimo, davvero, le impedisse di respirare. E credo che lo stesso valga per la vita che, da quanto è arrivata a Torino, Jenny sta conducendo. È come aver addosso una seconda pelle che, in realtà, non la rispecchia, alla quale si è dovuta adattare per forza, perché se l’è ritrovata addosso senza averlo scelto e senza poterci fare niente, ma ora non riesce più ad ignorarla. L’ha sopportata finora e le è sembrata accettabile come ha sopportato e le è sembrato accettabile il vestito soltanto fino a quando si è trovata nello studio fotografico. Ora, però, è arrivato il momento in cui tutto, compresi i ricordi di quella vita che ormai le sembra lontanissima, cerca di farsi strada in lei per palesarli a livello conscio, ed ecco che Jenny non resiste oltre e, come deve strapparsi via di dosso il vestito pur di liberarsene, così sembra avvertire la necessità di strapparsi di dosso la nuova vita che ormai si è tramutata in un peso eccessivo, ma dalla quale ancora non sa come uscire semplicemente perché non saprebbe dove altro andare, perché una nuova vita ancora e un altro paese ancora non sarebbero meno estranei di quelli in cui si trova adesso. Credo però che il suo inconscio già sappia perfettamente che quel che preme a Jenny, e quello di cui avrebbe bisogno per ritrovare la pace, si tradurrebbe con il riappropriarsi della sua vecchia vita, quella che davvero le apparteneva, quella che aveva creato con Philip e che la faceva sentire a casa. Allo stesso modo, questo si palesa con il desiderio di Jenny di indossare nuovamente i suoi abiti, una volta separatasi dal vestito “troppo corto, troppo scollato e troppo tutto” con cui ha dovuto farsi fotografare. Leggendo quelle poche parole che ho citato dal capitolo mi sembrava veramente di vedere Jenny mentre comincia a cercare di liberarsi del vestito solo per non riuscirci e restare praticamente incastrata al suo interno. A questo punto si innervosisce, quasi percepisco in lei un senso di frustrazione (causato forse dalla nuova vita di cui non sa come liberarsi, più che dal vestito?), ed ecco che passa alle maniere forti, e strappa via tutto.
Non è molto significativo, anche questo? Non denota, forse, che Jenny è arrivata ad una svolta, anche se ancora non l’ha sperimentato consciamente, nella sua situazione? È vero, il vestito, così come la nuova vita, le sta stretto e la soffoca, ma non per questo Jenny si rassegna a portarlo ancora, magari fino al momento in cui fosse tornata a casa e avrebbe potuto sfilarselo in tutta calma. No, Jenny sente invece l’impellente necessità di liberarsene subito, di tornare subito a riappropriarsi dei suoi soliti abiti. Non sarà, questo, solo l’inizio di una presa di coscienza ben più profonda? La voce del suo istinto che inizia a suggerirle cosa fare, così come avverrà alla fine del capitolo, in quella parte bellissima in cui istinto e pensiero razionale si scontreranno a viso aperto, praticamente parlandosi a chiare lettere.
Ora, la voce dell’istinto di Jenny è ancora sopita, e si manifesta soltanto attraverso dei simboli, come il vestito in questo caso, ma forse è proprio questo che scatena la sua reazione e il suo conseguente bisogno di liberarsi di quel che non le appartiene, e a cui lei sente di non appartenere.
Ora però tu dimmi una cosa: secondo te come faccio a restare lucida e a commentarti il capitolo se tu mi scrivi queste cose: “Era riuscito a non mandarli a quel paese, a non rispondere come meritavano alle loro finte rassicurazioni […]ed era stato zitto, silenzioso, granitico.”
Ma …*_*.
Non contenta, quindi, qualche riga dopo sollevi il cappellino e questo è quello che ci trovi: “Sapeva che avrebbe pagato caro quell’errore, sapeva che lo avrebbe pagato caro non soltanto nell’Amburgo. E se la sua splendida carriera era macchiata da quella stronzata, non poteva dare la colpa a nessuno. Doveva prendersela soltanto con se stesso se lui e Warner erano finiti allo stesso livello. Se avevano deciso (Gamo? Marshall? Pearson? La J-League? L’intera squadra?) di far scendere in campo per il primo tempo quel portierucolo da strapazzo! Perché non si dedicava al karate e se ne andava affanculo una volta per tutte?”
Essecondo te, io, come posso essere arrivata all’ultima riga, se non così --> *_*.
Voglio dire, sono due righe in croce, ma con questo micro-intrufolamento in quella cavolo di testa complicata (*_*) hai fatto salire la figaggine a livelli stratosferici, soprattutto perché il contenuto di queste righe non uscirebbe allo scoperto sul serio davanti a qualcuno nemmeno sotto tortura, nemmeno sotto la minaccia di distruzione dell’intera collezione di guanti-e-cappellini (e sappiamo che non è mica piccola). È una sorta di esclusiva di quelle che capitano una volta ogni mille anni (vabbè, facciamo anche ogni mille pagine ^.^), di quelle che dobbiamo tenerci strette perché sono un’autentica fortuna.
Conclusione: qui, più procediamo, più la figaggine aumenta, anche quando si tratta di brevi e fugaci apparizioni (ma che lasciano il segno *_*), anche perché queste chicche non vengono fuori tanto facilmente, né si palesano troppo o sono particolarmente approfondite il che, ti assicuro, è veramente un bene. In casi come questo, ciò che giusto-giusto si riesce a intravedere è molto più d’effetto di qualcosa di totalmente trasparente che potrebbe vedere chiunque. Perciò continua così, che tutto questo vedo-non-vedo ci piace, eccome se ci piace *_*.
Poi però ci sono anche quelle frasi, sempre sullo stesso soggetto, che mi fanno sganasciare: -Otto minuti e ventuno secondi.-
E ventuno secondi!!!
Ma intanto che “otto minuti evventunosecondi” viene pronunciato c’è il problema che, di secondi, ne passano altri tre o quattro, a quel punto bisognerebbe ricominciare daccapo con “otto minuti eddiciassette secondi”, e così via … la faccenda qui si complica. Che poi mi domando: sta tenendo proprio il conto a mente (DEI SECONDI!!!) o s’è impostato il timer da qualche parte, come noi comuni mortali facciamo per quando dobbiamo scolare la pasta? Non so di quale delle due alternative avrei più paura, meglio non pensarci.
A chi credi che tocchi, adesso?
A questo punto ho evidenziato tutta la parte relativa alla sfida che in campo si svolge tra Philip e Salvatore. Si comincia con il contatto visivo (“Si lanciò un’occhiata fugace alle spalle, poi tornò a guardare avanti. Gli occhi azzurri di Gentile gli comparvero d’un tratto vicinissimi. Vicini come non li aveva mai visti.”) poi, via via che la scena si svolge, lo scontro diventa sempre più fisico, sempre più “presente”, sempre più teso (“Salvatore seguì i suoi movimenti, braccio contro braccio, spalla contro spalla […]Si sgomitarono con violenza”). Infine, la fisicità dello scontro lascia spazio ai piccoli tocchi personali per farsi beffa dell’avversario, da una parte e dall’altra (Philip: “Philip tentò una nuova finta, Salvatore fu lento a reagire e il centrocampista giapponese riuscì a smarcarsi il tempo di un istante. La palla partì verso la fascia in uno dei suoi potenti tiri rasoterra, trovando spazio tra i piedi del difensore italiano. […]Dopodiché i loro sguardi s'incontrarono di nuovo e Callaghan sorrise beffardo. Lo aveva fregato.” – Salvatore: “Callaghan ubbidì e si volse per correre dietro ai compagni, ma Gentile tese fulmineo una gamba e lui inciampò. […]Il gioco intorno a loro continuava e l’italiano accanto a lui sghignazzava.”).
Ho trovato veramente una figata il susseguirsi e l’evolversi di questa sfida in campo, dove forse si svolge in modo accelerato l’equivalente di quel che è avvenuto finora al di fuori, in maniera ovviamente diversa. Gli sguardi tra i due, per esempio, potrebbero rifarsi al periodo in cui Philip non faceva che rodersi il fegato nel vedere Jenny stare con Salvatore, senza però avere la forza-il coraggio-l’iniziativa di fare qualcosa per smuovere questa situazione, per ammettersi anche solo chiaramente che avrebbe voluto e avrebbe dovuto farlo. Di seguito, le sgomitate, gli scontri spalla contro spalla, mi sembrano tradursi nella successiva svegliata che Philip è riuscito a darsi quando ha cominciato ad abbandonare il suo stato vegetativo per iniziare finalmente ad attivarsi. In campo è il suo corpo stesso che si oppone a Gentile, al di fuori di esso è stata la sua mente, le cui rotelline avevano ripreso a girare, ad opporsi al pensiero stesso dell’italiano, alla sua relazione con Jenny, alla convinzione che si era radicata in lui a forza che, Jenny, ormai fosse irraggiungibile e che lui non fosse nemmeno più degno di lei.
E la beffa? A cosa associare la finta di Philip che frega completamente Gentile? Forse alla sua decisione definitiva di riprendersi Jenny, alla sua uscita vera e propria dal tunnel di annullamento dove si era autoconfinato e che lo obbligava a girare in tondo senza capirci nulla. Anche perché, mi viene da considerare una cosa: il contatto visivo e lo scontro fisico sono, per così dire, istintivi e naturali, e non prevedono un grande impiego dell’intelletto, così come, fuori dal campo, Philip è stato prima a rodersi di gelosia e poi ha cominciato a muoversi in direzione di Jenny senza avere possibilità di scelta, semplicemente guidato dall’istinto, da una forza che lui non aveva il potere di controllare. Il fatto di mettere in pratica una beffa nei confronti dell’avversario, invece, prevede in tutto e per tutto un’iniziativa personale, un pensiero che prende forma perché generato e voluto da chi la metterà in pratica, perciò è presente una presa di coscienza, una capacità decisionale che, nei due precedenti contatti, non era indispensabile. E non si può forse dire lo stesso per la volontà di Philip di riprendersi Jenny? Ovvio, Philip non sta cercando di riconquistare la sua ex per farsi beffa di Gentile, credo che quello che avviene in campo sia soltanto un simbolo dal punto di vista psicologico-decisionale. Come in campo Philip prende la decisione consapevole e calcolata di fregare l’avversario con una finta, fuori da esso Philip prende la decisione definitiva di dover fare di tutto per convincere Jenny a tornare con lui, uscendo definitivamente dal torpore che lo invadeva in precedenza. Potremmo dire che, quello, è il momento in cui Philip ha sbrogliato il punto più intorcigliato della matassa, quello su cui si era impappinato e da cui non riusciva a venire fuori?
Lo sgambetto di Salvatore, invece, che significato potrebbe avere? Io ho avuto l’impressione che l’iniziativa di Gentile, sotto-sotto, volesse essere nient’altro che un’ulteriore spinta verso Jenny. Sicuramente non tanto per Philip in sé, quanto per Jenny stessa, che a Salvatore sta a cuore più di quanto dimostri apertamente. Sembra quasi che, con quella gamba tesa davanti al piede dell’avversario, Gentile abbia voluto dare a Philip la scossa definitiva, l’ultimo avvertimento, una sorta di: “Adesso o mai più. O agisci ora nel modo giusto, oppure sarà tutto finito”. Ormai lo sappiamo, a Philip servono legnate e capitomboli per cambiare le cose, per forzarsi ad uscire da un determinato stato e passare al successivo, soprattutto per convincersi ad attivarsi (Mark è quello che lo sa meglio di tutti: fosse per lui Philip dovrebbe essere sempre per terra dopo le SUE, di batoste).
Ecco che, così, l’iniziativa presa dall’altro potrebbe dimostrarsi utile per attivare con ancora maggiore decisione la sua, per spingerlo a vedere quanto la situazione attuale sia agli sgoccioli, e quanto rischi di andare tutto perduto, senza una svolta definitiva.
Ovviamente Philip non avrà interpretato in questo modo lo sgambetto dell’avversario, ma chissà che in realtà questo non l’abbia spinto veramente nella giusta direzione, inconsciamente.
Di certo non si può dire che la mente di Philip abbia intenzione di tornare a stagnare nel nulla, infatti questi sono i suoi pensieri che seguono la craniata e conseguente svenimento di Salvatore: “A Philip non fregava un fico secco di Gentile, neppure lo guardava. I suoi occhi erano concentrati sull’espressione di Jenny, il desiderio fortissimo di capire quale livello di preoccupazione riservasse all’italiano. Partendo da quella quantità, quindi dalla sua espressione, era sicuro di riuscire a farsi un’idea sul tipo di sentimento che la legava a Gentile e di conseguenza capire quante speranze aveva di riconquistarla e riportarla in Giappone con sé.”
Credo che ora, neanche qualora lo volesse (ma ovviamente non lo vuole), Philip riuscirebbe ad arrestare pensieri simili, a tornare sui suoi passi e riprendere a vegetare come prima. Possiamo dire che, ora che è entrato in “modalità-Jenny”, per Philip sarebbe impossibile tornare indietro? Ecco quindi che gli preme scorgere i pensieri di Jenny, il suo grado di preoccupazione nei confronti dell’italiano, capire la portata delle sue possibilità di riprendersela per agire di conseguenza. Insomma, sta facendo una marea di calcoli e chissà che qualcosa non si muova per il verso giusto, perché nel suo cervello credo sia attiva una speciale “calcolatrice-Jenny”, che calcola a velocità supersonica tutto ciò che la concerne, alla quale Philip aveva lasciato che si scaricassero completamente le batterie e se l’era dimenticata. Ora che l’ha rispolverata, si è accorto che si tratta di una di quelle calcolatrici che funzionano con la luce, l’ha lasciata un pochettino a contatto con chi sappiamo noi che emette sbrilluccichii e, adesso, l’ha rimessa in funzione. L’unico problema è che Jenny non è più esattamente la Jenny di prima, quindi anche la “calcolatrice-Jenny” avrà bisogno di un aggiornamento, perché i risultati che verranno fuori potrebbero non essere esatti-esatti. Senti, Philip, fai una bella cosa: riavvia tutto, che magari gli aggiornamenti si installano in automatico. Se non succede, dici? Se gli aggiornamenti si bloccano al 99,99% senza più procedere, che ci manca solo che si impappini tutto? Vabbè, facciamo così: tu continua ad usare le vecchia versione della calcolatrice-Jenny, che comunque ci velocizza le operazioni, il resto vediamo di calcolarlo a mente. Lo facciamo fare a Julian, che tanto lui può servire giusto per fare i conti.
Queste successive righe su Jenny, invece, sono bellissime: “Rimase da parte, lontana dagli italiani e isolata rispetto ai giapponesi, la spiacevole sensazione di non avere un posto suo in cui stare, un luogo in cui sentirsi a suo agio. Nessuno era lì per lei, nessuno si curava di lei, se fosse stata invisibile non sarebbe cambiato nulla. In piedi, solitaria, si strinse le braccia intorno al corpo cercando di scacciare il malessere, chiedendosi cosa fosse scesa a fare, convinta di aver sbagliato a presentarsi a bordocampo.”
Questo è uno di quei momenti in cui ho avuto l’impressione fortissima delle due diverse dimensioni temporali: quella esterna e quella, per l’appunto, di Jenny. Fuori tutto procede rapidamente, con ritmo addirittura frenetico, mentre il tempo di Jenny si dilata e lei si ritrova in una sorta di bolla che la separa dal resto e che attutisce il suo contatto con l’esterno. Un contatto che però, scontrandosi con questa bolla, sembra quasi stridere.
Mi piace tantissimo come, con poche e concise parole dall’effetto straordinario, tu sia riuscita a dare voce al disagio che Jenny prova rendendosi improvvisamente conto di non far parte del luogo in cui si trova, così come le sembra di non far parte di alcun altro luogo. Jenny sembra sentirsi come se fosse un pesce fuor d’acqua, e si accorge che lo sarebbe comunque e in qualsiasi situazione, in qualsiasi luogo.
Dove si trova ora, sicuramente, non è il luogo per lei, forse nemmeno il tempo è quello che le appartiene. Di nuovo, ho anche la sensazione che Jenny non solo si ritrovi a sentirsi estranea all’ambiente spaziale-temporale che la circonda, ma anche che questo malessere si indirizzi verso l’interno. Forse Jenny percepisce che non solo c’è qualcosa che stride tra lei e la dimensione esterna, ma anche dentro lei stessa. È come se, solo ora, le due Jenny (passata-e-presente), che finora non hanno fatto che darsi le spalle, si trovassero improvvisamene faccia a faccia.
Questo contatto visivo che si svolge dentro di lei, forse, è la vera e più profonda causa del suo malessere che, solo di conseguenza, si riflette anche all’esterno. Ecco, se tutto partisse dall’interno, anziché dall’ambiente circostante, dal tempo e dallo spazio? Se si trattasse invece di uno “scontro diretto” tra il passato che tenta di riaffiorare, e il presente che pone di fronte ad esso i suoi cambiamenti inevitabili? Da un lato abbiamo una Jenny che con Salvatore, con l’Italia, con la vita costruita da Jenny stessa a Torino, non c’entra assolutamente niente, dall’altro c’è una seconda Jenny che, al contrario, non riesce ad adattare la propria forma a quella del passato perché, dopo essersi lasciata alla spalle la sua vecchia vita, i contorni si sono notevolmente ridefiniti. Ma non sarà che, anche la Jenny-del-presente, in realtà, con la vita e l’ambiente attuale, c’entri solo superficialmente, e lo stesso incontro faccia-a-faccia con la Jenny del passato glielo stia rivelando apertamente? Il suo senso di solitudine, poi, è palese e profondo e, alla luce del mio ultimo ragionamento incasinato-contorto-e-attorcigliato, forse anch’esso nasce dall’interno per poi riflettersi al di fuori. Prima di tutto, forse, Jenny si rende conto di essere LEI, estranea a se stessa. Prima di tutto è lei, che in sé, non trova spazio. A questo punto, come non sentirsi invisibile? È come se Jenny, all’improvviso, si fosse ritrovata in una stanza totalmente sottosopra, quando era convinta di averla messa in ordine. Il fatto è che, lei, ordine si era sforzato di farlo veramente, ma in questa stanza stanno entrando un po’ tutti e, chi più chi meno, sta ritirando fuori tutto e rifacendo casino, anche se questo avviene soltanto per farle capire che, quell’ordine, era soltanto illusorio, perché nulla, in realtà, era al suo posto. Lei stessa, lì dentro, non è al suo posto: Jenny si è solo sforzata di considerare questa stanza come se fosse il suo spazio. Ora che ci si trova dentro, immersa nuovamente nel casino (secondo me Mark ha anche rotto qualche mobile a suon di Tiger Shot), Jenny si accorge di quanto, in realtà, questa stessa stanza le sia estranea.
Ma ora avrebbe senso rimboccarsi le maniche per rimettere tutto a posto e continuare a vivere in questa stanza come se niente fosse? Oppure sarebbe il caso di impacchettare ancora una volta armi e bagagli e scappare alla ricerca di una nuova stanza dove provare, di nuovo, a farci stare tutto, lontana da chi oserebbe scombinarle l’ambiente di proposito? Ma anche questo, sarebbe utile? Non c’è il rischio che, ad un certo punto, lo spazio sbagliato per gli oggetti sbagliati si riveli tale anche da solo, rigettando fuori quel che Jenny avrebbe tentato di farci stare a forza? E poi, questo nuovo spazio, dove trovarlo? Ormai Jenny non ne ha più a disposizione, per lo meno non che conosca, dovrebbe stracciare tutto e osare un inizio completamente nuovo, da una stanza completamente vuota; ma se Jenny dovesse trasferirsi in una stanza spoglia da cima a fondo, dovrebbe anche lasciare indietro i “bagagli” (ricordi, esperienze, contatti: una vita intera, insomma), di modo da poterla riempire con qualcosa di altrettanto nuovo. Ma munirsi di qualcosa che non ha radici nel passato acuirebbe solamente il senso di estraneità, di solitudine, di non appartenenza. Perciò che fare? Jenny non può rientrare nella vecchia stanza, perché non ci sta più come prima, non può restare in quella attuale, perché gliel’hanno scombinata e non può rimettere tutto in ordine, ma non può nemmeno cercarne una completamente vuota, perché non le resterebbe niente.
Sostanzialmente, credo che qui, l’unica soluzione, sia rispolverare le chiavi della stanza vecchia e chiamare una bella impresa di ristrutturazioni, di modo da adattarla alle esigenze del presente … paga Julian ;).
Senti, ma invece vogliamo parlare di questa brutta immagine? “Clifford durante il gioco aveva avuto un crampo e ora Sandy, inginocchiato a terra, gli stava massaggiando il polpaccio con la sollecitudine di un piccolo schiavo.” Cioè … il polpaccio di Clifford, che schifo! Non ci posso pensare.
Passiamo oltre. E qui sono morta dal ridere: “-Non mi agito! Assolutamente non mi agito! Perché dovrei agitarmi? Gentile e Jenny stanno insieme, lui la bacia in continuazione, non gliene frega niente del tunnel di Philip! Nessuno deve agitarsi, qui!-.” Mitico lo sclero da sconfitta del capitano, quando è praticamente sull'orlo del tracollo.
Il povero Holly, comunque, non ha speranze che qualcuno dia retta a questo suo tracollo da rischio-di-sconfitta, perché se Benji ha altro a cui pensare, Philip è ormai completamente partito per il suo mondo e con i suoi ragionamenti che, a differenza di appena qualche giorno prima, vanno dritti all'obiettivo senza impappinarsi o mettersi a girare in tondo: “Anche lui non lo ascoltava più da un pezzo, era tornato a pensare ai fatti propri, gli occhi ancora pieni di Jenny, la testa sulla panchina italiana, i pensieri sul campo, dove aveva resistito all’impulso di andare verso la squadra avversaria, prendere l’ex fidanzata per mano e portarsela via. Ma non via dalla parte della panchina giapponese, quella da cui era legittimo che assistesse alla partita, via proprio via. Via dallo stadio, via da Torino, via dall’Italia. Le avrebbe lasciato la mano solo una volta arrivati a Furano, a casa di lei, dove sarebbero rimasti finalmente soli. Da soli e insieme.”
Direi che qui abbiamo la conferma definitiva di quanto la sua mente si sia finalmente azionata, e non solo si è azionata, ma ha fissato anche qual è il suo obiettivo: Jenny, e nient'altro. Ora che ci penso, è interessante anche vedere come la mente di Philip, adesso, abbia riacquisito non solo la capacità di analizzare e fare ordine sul presente, ma anche di far proseguire il pensiero e dargli uno sbocco futuro. Ora, Philip non si limita a sapere chiaramente quel che vorrebbe fare in questo istante preciso (e già questo, rispetto a com'era conciato qualche giorno prima, mi sembra un grande successo), ma ha chiaro in mente quale dovrebbe essere la conseguenza diretta delle sue azioni.
Che Philip pensi a quel che dovrebbe fare una volta ricondotta Jenny a sé, potrebbe sembrare banale e ovvio, ma non credo che lo sia. Fino a pochissimo tempo fa, Philp non solo si incartava nel pensare a cosa dovesse fare nel presente più immediato, ma non sapeva nemmeno cosa volesse fare, da che parte girarsi per trovare una soluzione ed uscire dal casino attorcigliato in cui era finito.
Ora, andrebbe dritto alla meta senza esitazioni, sa esattamente quello che desidera nonché come lo desidera, e gli resta soltanto di capire come farsi riconoscere da Jenny che, per il momento, sembra non avere intenzione di far crollare le barriere che gli riserva.
Ora però torniamo a Jenny, perché è nella sua testa che devo ravanare per un po', prima di arrivare all'incontro finale tra i due.
Intanto ecco scoperto il lavoro serale/notturno di Jenny!
All'inizio di questa scena ho evidenziato questa frase: “Cercava di estraniarsi dal tempo e dallo spazio, ma restava radicata nello stesso posto.” Ecco che ritorna a galla il concetto della dimensione spazio-temporale. Jenny cerca di estraniarsi dal tempo e dallo spazio ma, secondo me, si tratta dei SUOI tempo e spazio, quelli di cui non riesce a liberarsi. Jenny vorrebbe quindi riuscire a percepire tempo e spazio così come sono per gli altri, vorrebbe entrare in quella dimensione dalla quale si è sentita catapultare fuori all'improvviso ma, per quanto ci provi, non le resta che restare intrappolata nella sua “bolla”, in quello “stesso posto” che nomini tu dove, per l'appunto, tempo e spazio seguono un andamento tutto loro, che vale per Jenny e per nessun altro.
Questa diversa percezione del tempo e dello spazio, però, questo continuo premerle addosso di una condizione diversa dal resto dell'ambiente circostante che, ancora una volta come in passato, la porta a sentirsi estranea a questo stesso ambiente così come a se stessa, è per Jenny estremamente sfiancante. Credo che, nonostante tutto, e nonostante la sua capacità di adattarsi alle più disparate situazioni, in Jenny si stia facendo sentire con prepotenza il suo istinto da “pesciolino”, che vorrebbe soltanto guizzare via dalla portata di tutti per potersi rintanare sul fondo oscuro, silenzioso, pacifico e annullante di un grande oceano. Ecco infatti che: “E lei, adesso che era scesa dalla pedana, voleva passare il più possibile inosservata.”. In questa frase si percepisce tantissimo la stanchezza di Jenny, il suo essere al limite, il suo solo desiderio di farsi invisibile, nonché inafferrabile. Ma, in realtà, cos'è che estenua Jenny così tanto? Non credo che si tratti davvero delle insistenze di Philip o di quelle di tutti gli altri a proposito della sua relazione con l'ex, piuttosto ho più l'impressione che si tratti di una lotta interiore. Se Jenny potesse rifugiarsi davvero sul fondo oscuro del suo oceano, troverebbe la pace che anela? Io non credo. Tempo e spazio, intorno a lei, forse si sono dilatati e la separano da tutti gli altri, proprio perché la barriera tra Jenny e l'esterno non è altro che se stessa, quella se stessa che Jenny non può più evitare, ma che lei vorrebbe poter ancora ignorare. O che, forse, vorrebbe scacciare del tutto.
Come potrebbe quindi Jenny amalgamarsi con l'esterno, con gli amici, con la vita che si è sforzata di crearsi, dal momento che sono gli stessi contorni di se stessa, quelli in cui la sua forma non trova più spazio? Ecco, forse, come si è creata la bolla di cui parlavo un po' più su: io me la vedo proprio come uno spazio dai contorni molto spessi che, anche se trasparente, è ben marcato e separa nettamente Jenny dall'esterno. Uno spazio che si muove con lei, dal quale uscire è impossibile, dove gli stessi pensieri di Jenny vanno a sbattere contro le pareti (che ci sono, pur essendo trasparenti), per poi percorrere la strada a ritroso e non trovare alcuno sbocco risolutivo.
La mia idea è quella che Jenny, in questo capitolo, sia e si senta intrappolata.
Comunque sia, Jenny sembra non poter nemmeno pensare di rifugiarsi nel fondo del suo oceano isolato, perché ora che vorrebbe fermarsi, ora che quasi vorrebbe annullarsi, arriva Salvatore e, proprio davanti ai suoi stessi occhi, scombina ancora un po' la sua stanza interna già messa sottosopra. Gentile non attende che Jenny si giri per compiere il “misfatto” senza che lei se ne accorga, e metterla di fronte al fatto già compiuto, ma la spiazza con la frase più diretta che potesse rivolgerle: “-Dovresti tornare insieme a Callaghan, Jenny.-”. È un po' come aver aperto un armadio, averci messo dentro le mani, e aver tirato fuori tutte quelle cose che vi erano state cacciate dentro a forza, per poi lasciarle giacere sul pavimento alla rinfusa. È come aver messo Jenny di fronte all'evidenza: “queste cose, qui dentro, non ci stanno. Non è il loro spazio, è inutile che ti sforzi di vederlo come tale”.
Ovviamente, questo atteggiamento, per Jenny, non può che essere un colpo il pieno petto: “Non riusciva a credere che anche Salvatore si mettesse a dirle cosa doveva fare. Era una congiura? Si erano messi d'accordo tutti? Non ne poteva più di sentire la stessa solita, inutile solfa! Cosa ne capivano gli altri di lei? Cosa ne capivano di lei e di Philip?”. Insomma, che cos'è? Si sono dati tutti quanti appuntamento nella sua “stanza” per svuotarle gli armadi? Per scombinare quello che, lei, ha fatto tanta fatica a farci stare anche dove sembrava non esserci abbastanza spazio (deve aver imparato da Mark)? Credo che sia normale che Jenny continui a percepire le buone intenzioni di chi le sta intorno come una violazione del suo spazio. In fondo è vero che tutti stanno agendo per il bene suo e di Philip, ma è anche vero che non saranno le loro parole a convincerla di come debbano andare le cose. È vero che Jenny deve, prima di tutto, far pace con se stessa, persuadersi da sola di non correre pericoli, nell'eventualità di lanciarsi con il Philip-paracadute. Ovviamente, le spinte dall'esterno possono esserle utili affinché lei non chiuda gli occhi, affinché non continui a tentare di far stare in quella “stanza” tutto ciò che, in essa, non trova che uno spazio forzato, ma si tratta ugualmente di opinioni non richieste, di un'invasione nella sua vita e nel suo mondo interiore che, giustamente, la turba e la fa infuriare, perché dall'esterno tutto sembra più facile di quanto non sia. È anche vero, però, che esternamente è molto più facile essere obiettivi, e vedere quindi le cose per quello che sono.
Credo, oltretutto, che gli altri (da Mark, a Benji, alle ragazze, a Salvatore), non si sarebbero mai intromessi (forse a parte Evelyn), se la situazione non fosse apparsa loro tanto disperata, tanto agli sgoccioli. Il loro intervento, alla fine, si dimostrerà decisivo, ma soltanto per mettere Jenny di fronte alla realtà dei fatti e, soprattutto, dei sentimenti reciproci che lei e Philip continuano a provare l'uno per l'altra, e che lei si sforza di voler continuare a non vedere. Penso però che la sua reazione non avrebbe potuto essere diversa da questa: “Pensarci? Non faceva altro! Non bastava forse il bacio che Philip le aveva dato davanti ai bagni del bar del centro sportivo? O ciò che le aveva detto nei corridoi dello Juventus Stadium? Non bastava ciò che era accaduto sulla pista di pattinaggio? O che Benji, Mark, Patty, Amy e chiunque altro avesse abbastanza confidenza con lei, le avesse detto che era bene che tornassero insieme? Chi dava loro il diritto di impicciarsi della sua vita? Lei stessa non sapeva cosa fosse meglio, come potevano capirlo gli altri?”.
Così come trovo ovvio che, subito dopo, la rabbia di Jenny si indirizzi direttamente su Philip: “E Philip? La collera s’incanalò prepotente contro il suo ex. Come osava Philip chiederle di tornare in Giappone dopo come l’aveva trattata? Dopo come l’aveva lasciata?”.
Forse Jenny sperimenta di nuovo un senso di abuso contro la sua volontà, in questo tentativo da parte di tutti di impicciarsi degli affari suoi e di Philip. Per quanto riguarda quest'ultimo, poi, Jenny vede direttamente minato il suo potere decisionale: di sicuro non vuole essere la “sua bambolina”, quella che lui può pensare di abbandonare e di riprendere quando più gli aggrada e quando meglio gli gira e penso che, sotto-sotto, soprattutto visto COME e IN CHE MOMENTO Philip l'ha lasciata, Jenny un po' di questa paura la provi senza dubbio. Insomma, visto così direi che questo non sembra altro che un vicolo cieco senza speranza, dal quale non è per niente immediato scovare un'uscita.
Poi ci sono queste righe bellissime, che aprono uno spiraglio nel passato, che consentono al lettore di vedere in rapida successione quello che non è stato narrato. Righe che delineano quel percorso doloroso e, proprio per questo, difficilissimo da affrontare, che Jenny ha intrapreso durante la terapia con Nicole: “Quelle uniche due parole fecero percepire ad Amy la stanchezza fisica e psicologica di una Jenny che non aveva più la forza di restare a galla. La sentì al limite, come l’aveva sentita al limite la prima volta che erano andate insieme da Nicole, quando era uscita piangendo dalla stanza in cui era rimasta chiusa per più di un’ora con la donna, rifugiandosi tra le sue braccia singhiozzando e dicendole che mai, mai più avrebbe messo piede in quella casa.”.
Sembra davvero di vederla, Jenny, dopo quella prima seduta e, il fatto di ritrovarla ora, dopo tutto questo tempo e dopo tutti i risultati raggiunti, in una situazione fisica e psicologica così simile a quella di allora, è veramente desolante. Su Amy, il dover comparare quella Jenny con quella di oggi, ha sicuramente un impatto notevole. Improvvisamente la fragilità di Jenny, quella stessa fragilità che, da tempo, la ragazza teneva così bene sotto controllo, riaffiora con prepotenza e dimostra quante cose, da allora, non siano cambiate. Certo, Jenny ha ormai superato il trauma dovuto alla violenza, ma la lontananza da Philip, il modo stesso in cui questa lontananza si è creata e palesata, ha generato in lei una ferita che brucia tanto quanto il trauma precedente, e che la annienta con la stessa intensità, nonostante Jenny si sia sforzata per andare avanti e, finora, ci sia riuscita anche piuttosto bene. Jenny è stanca, spossata, ma è stanca di non sapere dove sbattere la testa, è stanca, forse, di non capire. Perché c'è quel punto su cui ancora si incaglia, quelle spiegazioni mancanti che la lasciano con questo enorme punto interrogativo riguardo al comportamento che Philip ha avuto allora. Si tratta di un interrogativo che, per il momento, ancora non accenna a risolversi, né in un senso né nell'altro. Perché, pensandoci, Jenny non è nemmeno convinta che Philip abbia smesso di amarla e l'abbia lasciata per questo motivo, altrimenti, forse, non si tormenterebbe in questo modo, non starebbe nemmeno tanto male. Credo che l'unica spiegazione possibile sia che Jenny, a livello inconscio-istintivo, senta che il suo legame con Philip non si è mai spezzato, nonostante tutto, e sente questa sua stessa parte inconscia che insegue questo stesso legame. La parte più razionale, in lei, però seguita a ribellarsi, a tentare di metterla in guardia, ed è qui che si apre il circolo vizioso del “non capirci più niente”, è qui che Jenny si attorciglia su se stessa: il suo istinto non riesce ad abbandonare una convinzione, la sua mente razionale non riesce ad abbandonarne un'altra.
Infatti, poche pagine dopo, c'è questo pensiero di Jenny, che credo possa confermare il concetto di prima: “Ce l'aveva con lei [con Evelyn] perché le aveva sbattuto in faccia uno stato di fatto che per più di una settimana aveva cercato di ignorare. Le sue parole l'avevano messa ancora una volta di fronte ai sentimenti che provava per Philip e che l'amica affermava lui provasse ancora per lei.”.
Torniamo però poco più indietro, esattamente a questo breve scambio di battute tra Mark e Jenny: “-Voglio andare a casa, Mark.-
Lui la guardò.
-Quale casa?-
Era una domanda semplice e legittima, ma Jenny andò in confusione. Già, quale casa? Qual era la sua casa?”.
Questo breve estratto, semplice e incisivo, ha l'effetto di una vera pugnalata. “Qual era la sua casa?”.
È struggente e insieme bellissimo, questo interrogativo che in Jenny dilaga nel silenzio di se stessa, mandandola totalmente in confusione, togliendo un altro tassello a quella stabilità che lei si era illusa di aver creato sotto i propri piedi. Che fare, ora che non può più ignorare di non avere un luogo da chiamare casa? Com'è possibile ritrovare se stessi, se non si ha un luogo dove sentirsi a proprio agio, dove si sente di appartenere? Da dove partire, a questo punto? C'è una soluzione? L'unica plausibile, per Jenny, sembra essere quella di fuggire di nuovo, e questa volta definitivamente, senza più aggrapparsi a qualcosa/qualcuno di conosciuto.
Ecco infatti che: “Jenny era decisa a tagliare i ponti anche con gli altri, con tutti coloro che la circondavano in quel momento e che erano troppo profondamente legati alla sua vita di prima e a quella del suo ex.”
Torniamo sul concetto della stanza completamente vuota, quella dove Jenny non può portare nulla dal passato e dove dovrebbe ricostruire tutto dal principio. Anche il più piccolo dettaglio della vita precedente la manderebbe di nuovo in confusione, finirebbe, presto o tardi, con il rispedirla al punto di partenza. Deve sparire tutto e, implicitamente, è ovvio che debba sparire anche lei, per essere sostituita da una nuova Jenny. Completamente nuova.
Eppure, nonostante la profonda decisione che sembra trasparire da Jenny a questo pensiero, credo che i suoi siano soltanto pensieri vuoti, che girano su loro stessi. Ricominciare dall'inizio? Ricominciare da zero? Ma dove? Come? E, soprattutto, per quanto tempo funzionerebbe? Anche qualora Jenny riuscisse a liberarsi di ogni ricordo e di ogni dettaglio del suo passato, come potrebbe liberarsi di se stessa, del sentimento per Philip che non smette di bruciare, della consapevolezza di essere, sempre, “ovunque tranne che a casa”? Credo proprio che non funzionerebbe, che Jenny, in una situazione del genere, cadrebbe definitivamente in pezzi. Tanto per cominciare, dopo aver rincontrato Philip, dopo quanto avvenuto negli ultimi giorni e aver risperimentato l'intensità di quel che prova per lui, le sue energie si sono esaurite, e non credo che Jenny avrebbe la forza di ricominciare di nuovo dal principio. Ma poi, come si può ricominciare, sapendo di non avere un luogo dove andare, nonché sapendo di non averne uno in cui tornare? Lo trovo veramente disarmante. Jenny è realmente intrappolata, bloccata nel mezzo di qualcosa che non può muoversi né avanti né indietro. A questo punto, come disincagliarsi?
Lasciamo per il momento in sospeso questo interrogativo e, prima di avviarci verso la fine, fermiamoci un secondo unicamente su Philip.
“Mark si aspettava che Philip gli facesse storie, quantomeno gli chiedesse il motivo, invece il compagno si adeguò senza protestare.”. Com'è che Philip non protesta né chiede spiegazioni, quando Mark gli intima di seguirlo a casa sua? Non ne ha la forza? Oppure sente che c'è qualcosa di più grande, qualcosa di incontrollabile, che non può fare a meno di seguire? Philip avrà cominciato, prima ancora di Jenny, a seguire la via tracciata invisibilmente dal suo istinto, e che lo conduce inesorabilmente a lei? A questo punto, sapendo quello che accadrà tra qualche pagina, mi viene da dire di sì.
Ed infine è letteralmente una pioggia di ricordi, quella che lo investe quando, in camera di Jenny, Philip si ritrova in mano la scatolina del suo anello: “Philip scosse la testa e si lasciò cadere seduto sul letto confuso, incredulo e insieme sollevato di constatare che Jenny non l’avesse gettato via. Non solo non se ne era liberata, ma lo aveva portato con sé anche se non stavano più insieme, anche se frequentava Gentile. Sollevò il coperchio quasi trattenendo il fiato. La pietra smerigliata brillò alla luce, gioendo di essere stata finalmente ritrovata. I suoi luccichii riempirono gli occhi di Philip, riportandolo a ricordi lontani. Alla pioggia che li aveva bagnati quel giorno, mentre percorrevano la strada che dal ryokan portava a Shintoku e si erano fermati, indecisi se proseguire nella loro passeggiata o tornare indietro. Ricordò come avesse tirato fuori all’improvviso l’anello mentre l’acquazzone si scatenava sopra e intorno a loro. E quando Jenny aveva capito, i suoi occhi avevano brillato di felicità.”.
Cosa sono tempo e spazio, in definitiva, di fronte a questi ricordi? Di fronte all'intensità di essi e del sentimento immutato che ancora lo lega a Jenny? Philip si accorge forse che lui e Jenny, in realtà, sono rimasti fermi in quel momento, quando lui le ha consegnato l'anello. Forse è quello il momento chiave, quello che a entrambi, finora, era sfuggito dalla memoria, e che li riconduceva ad essere esattamente quel che, insieme, sono stati. Quel che il loro istinto cerca di portarli ad essere ancora. Philip si fissa sulle immagini di quel giorno, mi sembra di vederlo mentre se le vede scorrere davanti agli occhi, chiare e nitide come se le rivivesse, intense e indimenticabili, nonostante, per lungo tempo, gli si fossero cancellate dalla mente.
Forse, però, prima di quest'istante, Philip non sarebbe stato pronto per riviverle, non come sta facendo adesso. Prima di questo momento non le avrebbe riconosciute nella stessa maniera, non gli sarebbero sembrate far parte di lui, di qualcosa da lui vissuto. Forse, soltanto fino a pochissimi giorni prima, gli sarebbe parso il ricordo di un estraneo. Ora, invece, che ritrovando Jenny dentro di sé ha ritrovato anche se stesso, può riaccogliere quei ricordi senza riserve, lasciandoseli scorrere dentro uno dopo l'altro, naturalmente, senza esitazioni. È lì, che il suo istinto voleva condurlo, in quel preciso ricordo, dove sono contenuti anche tutti i precedenti. Sì, sto dicendo che quello della consegna dell'anello non è che l'ultima figura, la più grande, di una matrioska che ne contiene tantissime più piccole, una legata all'altra, una dipendente dall'altra. E ogni ricordo non può essere riscoperto se non raggiungendo e riscoprendo prima il precedente, che aggiunge quindi un tassello a quel puzzle di cui Philip e Jenny hanno fatto parte insieme, e che, insieme, hanno costruito.
Tempo e spazio, infine, sono destinati ad annullarsi finalmente anche per Jenny, non appena varca la soglia della propria stanza, trovando Philip addormentato sul suo letto: “Per un attimo, vedendo Philip riposare sul suo letto, ebbe l'impressione che il tempo si annullasse, che lui non l'avesse mai lasciata. Guardarlo dormire la fece tornare alla serena quotidianità di anni prima, quando ancora la loro vita era piena di felicità e di gioia. Anni che in quegli ultimi giorni sembravano non essere mai esistiti”.
È bellissimo questo ritorno al passato che prima Philip e poi Jenny sperimentano, uno alla vista dell'anello, l'altra osservando il ragazzo mentre dorme. Quel tempo che, durante quest'ultima giornata, ha spiazzato Jenny mostrandosi dilatato e diverso da quello percepito da tutti gli altri, improvvisamente si arresta, creando una terza, nuova dimensione. Una dimensione che non ha più nulla a che fare con l'esterno, ma che non c'entra assolutamente niente nemmeno con la Jenny che ci è apparsa dall'inizio di questa storia. È, per l'appunto, una terza dimensione, ed appartiene a Philip e Jenny in egual misura: si tratta della loro dimensione, dove passato e presente si mescolano, dove il futuro non esiste, nonostante, al suo posto, sembri formarsi qualcosa di più immenso, qualcosa che oserei chiamare eternità. Non esistono più domande, difatti, in questo momento e in quelli successivi, solo un progressivo scoprirsi dell'istinto che rivela quel che, tra i due, va ed è sempre andato al di là di qualsiasi forma di spazio-tempo.
Non ci sono più dubbi né risentimenti (“La collera scomparve di colpo mentre lo guardava, spazzata via da una nostalgia infinita che le tolse le forze e la fece scivolare in ginocchio”), ma soltanto questo “scontro” finale, in Jenny, tra l'istinto che la spinge verso Philip e la mente razionale che cerca di dissuaderla. Uno scontro che, se vogliamo essere precisi, tanto-tanto uno scontro vero e proprio poi non è, perché assistiamo piuttosto a una più che blanda resistenza della mente razionale di Jenny, di fronte a un istinto che ormai ha assunto il totale controllo e che, sopraffacendo Jenny con le emozioni, non le consentirebbe in alcun modo di tirarsi indietro: “Non farlo.” pensò, ma la sua volontà s’era così indebolita che non si diede ascolto. Un secondo dopo le sue dita gli accarezzarono il braccio. Toccò solo il tessuto della felpa, Philip non si accorse di nulla. Si morse un labbro, cercando di mantenere un controllo che stava perdendo. “Non servirà a niente. Non cambierà niente.” Si tirò su e si sedette piano sul letto, così piano che il materasso non si mosse. Restò a guardarlo, come probabilmente aveva fatto lui quando era rimasto a dormire al suo fianco in camera di Amy. Jenny doveva andar via ma più indugiava e meno trovava la forza di alzarsi e lasciarlo lì.”
“Non farlo”, “Non servirà a niente. Non cambierà niente”, sembra proprio di sentirlo appena-appena sussurrato da una voce flebile attutita da un cuscino. Mi piace tantissimo poi questo minuscolo particolare: “pensò, ma la sua volontà s’era così indebolita che non SI diede ascolto.” Non “non LE diede ascolto” (alla volontà), ma “non SI diede ascolto”. Questo mi dà l'impressione delle due Jenny (passata e presente) che, finalmente, si fondono in una cosa sola, che smettono di fronteggiarsi com'è avvenuto durante le ultime ore, nonché di ignorarsi com'è avvenuto negli ultimi giorni e, finalmente, una dentro l'altra, costruiscono quell'equilibrio tra passato e presente che sembrava ormai impossibile creare. Non solo, dunque, avviene finalmente l'incontro istintuale (perché non poteva avvenire diversamente, per il momento) tra Jenny e Philip, ma Jenny riesce a riconciliarsi anche con se stessa, riesce a sovrapporre quelle due figure che, finora, le erano sembrate tanto diverse. Ha finalmente trovato il modo di farle combaciare.
A questo punto, le cose non potevano andare diversamente: “Philip si svegliò, tutti i sensi all’erta. Prima che lei si allontanasse, sollevò le braccia e la intrappolò”.
Non potevano andare diversamente perché Philip non poteva non svegliarsi, non poteva non percepire istintivamente la presenza di Jenny e non poteva permetterle di allontanarsi di nuovo.
Arrivati a questo punto, trovandosi faccia a faccia dopo essersi finalmente riconosciuti, i due non possono far altro che unirsi. E stavo pensando anche a un'altra cosa: Philip e Jenny, prima di riconoscersi effettivamente faccia a faccia, si sono riconosciuti “separatamente”. Philip ha riconosciuto Jenny contemplando l'anello, mentre ricordava il momento in cui gliel'ha dato, e Jenny ha riconosciuto Philip osservandolo dormire. Forse, se non ci fossero stati questi passaggi intermedi, il riconoscimento non sarebbe avvenuto, né Jenny si sarebbe lasciata sopraffare dall'istinto e dal sentimento che invece, ora, la travolge incontenibile.
Trovare Philip addormentato nel suo letto, venire a contatto PRIMA con i ricordi che questa visione le risveglia nell'animo, le permette di fermarsi e, finalmente, di stracciare quella barriera che si era auto-imposta di fronte a lui.
La conclusione, poi, breve ma intensa, non è altro che la naturale unione di due anime che si ritrovano.
Quelle righe sono bellissime: c'è solo uno spazio senza tempo, dove il dopo non ha più alcuna importanza, dove conta solo la successione degli stessi attimi che, uno dopo l'altro, si susseguono seguendo il loro corso. Uno splendido incontro istintivo, dove non esiste nient'altro se non qualcosa che non poteva che succedere esattamente così.
In questo capitolo, uno degli aspetti che mi ha colpita maggiormente è stata proprio la percezione del tempo e questo suo arrestarsi finale l'ho trovato veramente azzeccato, e nient'altro che l'evoluzione naturale di quando avvenuto nelle pagine precedenti. Perché non c'erano alternative: arrivati al limite, doveva necessariamente avvenire la svolta. Il tempo di Jenny si era dilatato e trasferito in una dimensione diversa: ora, o si fermava definitivamente creandone una terza, oppure si sarebbe certamente spezzato qualcosa in maniera definitiva. Diciamo che era arrivato il punto in cui la corda era tesa allo spasimo: o la si lasciava rilassarsi, o si sarebbe spezzata, e questa volta senza che fosse possibile tornare indietro. (Recensione modificata il 27/05/2018 - 09:25 pm) |