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Autore: Laura Sparrow    08/04/2012    1 recensioni
Quarto capitolo della saga di Caribbean Tales. - Tortuga. La roccaforte dei pirati, il porto preferito di ogni bucaniere sta radicalmente cambiando, trasformata nel rifugio ideale per gli intrighi di un uomo infido e spietato: Robert Silehard. E, quando anche l'ultimo porto franco non è più sicuro per un pirata, nessuno può più sfuggire alla mano di Silehard. Nemmeno capitan Jack Sparrow e la sua ciurma.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 16
Per ora.


William si aprì la strada con la spada contro i pochi che gli intralciarono il cammino, mentre il resto della ciurma era molto più interessata a caricare i cannoni piuttosto che a badare a lui. Spalancò la porta che conduceva agli alloggi del capitano e si gettò di corsa lungo lo stretto corridoio: in fondo ad esso, uno dei nerboruti pirati di Silehard sorvegliava la porta. Sembrava però più allarmato per i rumori di battaglia che venivano dall'esterno, che non per la sua comparsa, e quando lo vide gli gettò un'occhiata interrogativa.
- Siamo sotto attacco: Silehard ha ordinato di mandare ogni uomo armato di spada sul ponte! Presto!- gridò Will, sperando che gli desse retta. Forse avrebbe anche funzionato, se il pirata non si fosse improvvisamente ricordato che quello che gli aveva appena rivolto la parola era il muto di bordo.
L'uomo urlò e sguainò la spada, facendo sibilare la lama ad un soffio dal petto di Will che era balzato all'indietro appena in tempo. Il giovane agguantò la pistola e fece fuoco, colpendo il pirata mentre quello gli veniva addosso in piena carica: lo sparo lo prese in pieno petto, e lo fece cadere all'indietro con un gemito strozzato. Annaspò a terra ancora per qualche momento, poi giacque immobile in una pozza di sangue che gli zampillava dal foro aperto in mezzo al torace.
Will deglutì, poi si inginocchiò e si costrinse a frugare il cadavere ancora caldo: come previsto, aveva con sé un mazzo di chiavi. Perse minuti preziosi ad infilarle nella serratura una dopo l'altra, sibilando maledizioni tra i denti finché non trovò quella giusta. La serratura scattò, e William fece aprire la porta molto lentamente. La cabina era deserta, o almeno così pareva... da qualche parte, molto vicino, un bambino piangeva.
Will individuò una porta che dava ad una piccola stanza, adiacente alla cabina del capitano: il pianto veniva da lì. Avanzò, e mentre lo faceva ne approfittò per liberarsi completamente della benda che ormai gli si era allentata sul capo: la appallottolò nel pugno e la usò per strofinarsi la faccia, ripulendosi almeno un po' da quella sostanza appiccicosa che faceva sembrare butterata la sua pelle. Poi gettò la pezza di stoffa sul pavimento e varcò la porticina.
Nella minuscola stanza c'era una rozza culla, ma era vuota. Il neonato era in braccio alla donna che avevano imbarcato con loro quella mattina, la quale lo stringeva a sé e lo cullava febbrilmente, spaventata dal frastuono dei cannoni. Quando vide entrare William, soffocò un grido e si rintanò in un angolo, fissandolo con occhi terrorizzati.
Il giovane era combattuto. Che fare? Era corso laggiù con l'intenzione di salvare il bambino, anche se non sapeva esattamente come: la cabina del capitano era forse il posto più sicuro dove lui e la donna potessero stare... per il momento, almeno. Fino a che una palla di cannone non avesse sfondato le pareti, o finché lo Squalo non fosse colato a picco. No, non potevano restare lì.
- Sono qui per salvare il bambino. - disse, col tono più fermo che poté. - Questa nave verrà bombardata o affondata a momenti. Vuoi vivere?-
La donna sembrò rendersi conto che il giovane parlava sul serio, e annuì freneticamente. - Sì!- supplicò, stringendosi il neonato frignante al petto.
- Allora vieni con me. -
Mentre correvano fuori, sul ponte, furono quasi assordati dal fragore delle cannonate e dell'albero maestro che crollava. Will circondò con un braccio donna e bambino e corse più rapido che poté verso il lato di babordo, sul quale ancora non si stavano abbattendo le cannonate.
Davanti ai loro occhi, apparve la figura della Sputafuoco che si avvicinava a vele spiegate. Con un tuffo al cuore, Will riconobbe i capelli biondi del capitano che stava al timone, conducendo avanti la nave a tutta potenza: Elizabeth.
- Attento!-
Il grido della donna lo salvò appena in tempo: Will si girò di scatto, spingendo lei e il bambino a nascondersi dietro di lui, e incrociò la spada con uno dei pirati di Silehard piombato su di loro in quel momento.
L'abbordaggio era iniziato. E ora, la ciurma del signore della gilda lottava con le unghie e coi denti per la propria vita. William parò e affondò, muovendosi troppo rapidamente per il suo avversario, che lo caricava a più riprese, spinto unicamente dalla furia. Con pochi colpi decisivi riuscì a fargli volare di mano la spada, poi la sua lama tagliò di netto la camicia e la carne dalla spalla al fianco. Il pirata gridò di dolore e cadde in ginocchio, premendo le mani sulla ferita: Will lo lasciò perdere e corse verso la murata insieme alla donna.
La Sputafuoco era ormai vicinissima: vedeva le facce degli uomini ammassati contro il parapetto. Ma lo avrebbero riconosciuto? Will si voltò disperatamente verso Elizabeth, al timone, e sollevò in alto la spada facendola brillare al sole. Un istante dopo, lei gli rispose nello stesso modo, quasi in segno di vittoria.
- Ascoltami!- Will prese una cima e la mise tra le mani della donna che gli stava accanto. - Devi lanciarti. Devi stringerti alla cima più forte che puoi, e non mollare il bambino. Mi hai capito? Non mollare!-
La donna annuì, e il giovane la aiutò ad avvolgere la corda attorno al braccio libero: poi lei tenne il bambino contro il petto e strinse la cima con entrambe le mani. Will tirò un respiro profondo: era folle, ma era l'unica cosa da fare.
Sul ponte, Elizabeth stava gridando qualcosa alla ciurma: Will riconobbe da lontano il vecchio Trentacolpi sulla murata opposta; si era fermato proprio di fronte a loro come se li stesse aspettando. Will aiutò la donna a darsi la spinta.
- Prendetela!- gridò a Trentacolpi, con tutto il fiato che aveva in corpo. Poi la donna e il bambino si lanciarono.
Li vide volare nel vuoto tra le due navi per un istante interminabile: la donna pendeva dalla cima a peso morto, un assurdo pendolo lanciato sopra l'acqua. Poi le sue gambe scavalcarono l'orlo del parapetto: lei annaspò, ma c'era Trentacolpi pronto a prenderla. Il vecchio carico di pistole la acchiappò al volo, trafficò per un momento per liberarla dalla corda con cui si era avvolta, e depositò sul ponte sani e salvi sia lei che il neonato urlante.
Will tirò un sospiro di sollievo. Poi si girò, spada in pugno, e si preparò ad affrontare l'inferno che aveva alle spalle.

*

Sul ponte era il caos più totale. Rimasi quasi stupita dalla furia cieca con cui si battevano gli uomini di Silehard: quella ciurma di ladri, truffatori, tagliagole e piccoli ladri di strada che si erano riuniti insieme in un folle crogiolo sotto le mani di un solo uomo.
Un solo uomo che adesso, in mezzo a quel marasma, io non riuscivo a trovare da nessuna parte.
Le spade turbinavano davanti a me: d'istinto sferravo fendenti e colpivo armi, mani, braccia, colli e teste. Il ponte era ricoperto di feriti: inciampavo su uomini sanguinanti che imprecavano e si lamentavano.
Un pirata, dritto davanti a me! Mi si avventò addosso e mi venne così vicino che potei sentire l'odore rancido del sangue e del sudore: le nostre spade si incrociarono, rapidissime e violente, e tremai per il contraccolpo. Roteai, trascinandolo con me, e quando lo vidi con un braccio alzato per recuperare l'equilibrio, gli sferzai il fianco, imbrattando la lama di sangue. Urlò.
Lo spinsi a terra. Non mi preoccupai di finirlo, come non avevo finito nessuno degli altri pirati di cui ero riuscita a liberarmi. Vigliaccheria. Forse. Forse ancora non accettavo che tutto ciò dovesse finire in un bagno di sangue, volevo che gli altri si levassero di mezzo per lasciarmi uccidere la strega e Silehard.
Sentii uno sparo, vicinissimo, e per poco non mi buttai a terra. Nello stesso istante, mi vidi davanti il volto insanguinato di un uomo barbuto che arrancava sul ponte: sibilai di paura e sollevai la spada... ma quello agitò le mani: erano ricoperte di tagli sanguinanti. Mi fissava, spaventato quanto me. E gridò: - Pietà! Ti prego!-
Pietà. Sì, forse era quello l'unico modo: alzare la bandiera rossa era stato un errore. Jack aveva dato loro l'occasione di arrendersi subito, ma quanti di loro ora combattevano per pura rabbia, o solo per paura della strega? Promettendo il massacro, invitavamo solo i nostri nemici a combatterci fino alla morte.
- Pietà. - ripetei, senza fiato, annuendo all'uomo ferito e tirandomi indietro. Lui si rannicchiò a terra, con un'espressione che aveva qualcosa di simile alla gratitudine. Quando sollevai gli occhi vidi che ero momentaneamente circondata dai miei uomini: riconobbi i visi familiari, con gli sguardi che saettavano alla ricerca di un nuovo avversario.
Erano abbastanza da sentirmi. - Pietà!- ripetei a voce alta, mentre quelli mi guardavano. - Risparmiate tutti quelli che si arrendono! Trovate Silehard!-
Fui abbastanza fortunata: la battaglia stava prendendo bruscamente una piega positiva per noi, e il mio ordine, che venne ripetuto in un grido crescente, sembrò cominciare a convincere i feriti a smettere di lottare come animali. Sul pennone della Perla, la bandiera rossa venne ammainata.
Certo, non era abbastanza da mettere fine al combattimento: i feriti e i meno temerari gettarono le armi e approfittarono della grazia insperata, ma quelli ancora armati e bellicosi non cedettero terreno. La battaglia si concentrò a piccoli gruppi qua e là sul ponte, coi feriti di entrambe le fazioni che se la davano a gambe ai due lati della nave.
Passi, dietro di me. Mi voltai, col cuore in gola, ma mi trovai a fissare due bellissimi, familiari occhi ridenti: Jack era ad un passo da me, ansimante, con la spada in pugno, scarmigliato e col cappello storto, ma stava bene.
- Ciao tesoro. - mi salutò, ammiccando. Mi gettai verso di lui e ci stringemmo in un abbraccio folle e rapido, poi le grida, vicinissime, ci riportarono al presente.
- Spada!- mi avvisò Jack, come se ce ne fosse bisogno, e ci voltammo all'unisono per ricevere la carica di pirati che ci correvano addosso. Lui disarmò e spinse a terra il primo pirata, io l'altro, in perfetta sincronia. Ora avevamo anche i nostri che ci spalleggiavano. Ci girammo di nuovo e stavolta sussultai per lo stupore: davanti a noi c'era Connor, con la spada in pugno.
Tutti e tre ci squadrammo per un momento che sembrò interminabile: notai che non c'era sangue sui suoi abiti, ma in compenso ce n'era sulla sua lama. L'irlandese ci fissò. Sembrava divertito, e divertito fu anche il tono in cui ci disse: - Posso approfittare della pietà che avete appena offerto?-
Non lasciò la spada.
- Getta la spada e l'avrai. - risposi.
- Preferirei tenerla, miss. La prudenza non è mai troppa. -
Io e Jack ci muovemmo di nuovo all'unisono: Connor ci sorprese con un'incredibile agilità; aveva una pistola nella sinistra, e la usò per respingere la mia spada mentre con la sua parava il colpo di Jack. Lo incalzammo ancora da ogni lato, e ogni volta lui roteò, rapidissimo, respingendo entrambe le nostre spade. Se la cavava bene. Fin troppo.
- Ci tengo a farvi sapere... - riuscì perfino a dirmi, mentre piroettava come un ballerino. - ...che non avevo niente di personale contro di voi. -
- Buono a sapersi. - con una stoccata gli feci volare di mano quella maledetta pistola. - E anche irrilevante!-
- Sono solo fedele al migliore offerente, come buona parte di questa ciurma!- Connor disimpegnò la spada e sgusciò lontano da noi, arretrando in fretta. - Avete già vinto! Questi non si batteranno ancora a lungo per un capitano che li ha abbandonati. -
- E tu, invece?- Jack si fece avanti e incrociò di nuovo la spada con lui: girarono attorno, io li seguii cercando di cogliere Connor alle spalle.
- Io sto lottando per la mia, di pelle. - precisò. - Quindi, se vorrete lasciarmela, vi prometto di sparire e di mettere fine a quella che è stata solo una lunga serie di malintesi. -
Se Jack si sentì irritato come la ero io da quelle parole e dal sorrisetto canzonatorio dell'irlandese, non lo diede a vedere. - Malintesi. - ripeté, mentre fermava Connor con le spalle alla murata. - D'accordo, chiamiamoli così, se ti pare. Dimmi, dove si è cacciato Silehard?-
- Si è nascosto in cabina: l'ho visto entrare dopo che il tuo amico finto muto ha fatto uscire la donna. Mi è sembrato anche di sentirlo gridare di rabbia... forse si è accorto troppo tardi della cosa!-
- Dov'è la strega?- domandai io, ansiosa.
Connor accennò col capo alle acque sottostanti. - Galleggia là sotto, per quel che ne so. -
- Ce l'ho buttata io. - confermò freddamente Jack, poi rivolse a Connor un sorriso affabile. - Grazie, Donovan: oserei proprio sperare che le nostre strade non debbano mai più incrociarsi. E adesso giù, se non ti dispiace. -
L'espressione divertita di Connor si incrinò un poco. - Come?-
Estrassi la pistola dalla mia cintura, feci scattare il cane e la puntai verso di lui: non era neanche ad un passo da me. Sorrisi. - Giù, figlio di puttana. -
Donovan sembrò intuire che le cose non giravano bene per lui. Tuttavia rinfoderò la spada, ci fece un inchino buffonesco, poi scavalcò il parapetto e si tuffò a braccia aperte, ricadendo in acqua molti metri più in basso.
Scoppiai in una risata vagamente isterica, mentre Jack mi prendeva per un braccio e mi portava con sé fino all'ingresso della cabina del capitano. La battaglia intorno a noi stava finendo. Se Silehard non aveva abbandonato la nave, doveva trovarsi per forza ancora lì dove Connor diceva di averlo visto. Will ed Elizabeth erano lì davanti: lei aveva lasciato il timone della Sputafuoco per gettarsi nella battaglia, e adesso stringeva la spada e William con lo stesso vigore. Ci scambiammo uno sguardo simultaneo: affannati, increduli, felici di essere vivi.
- Bello rivedervi. - commentò Jack a mo' di saluto. - Ora, se non è chiedere troppo, direi di entrare in quella cabina. Con cautela, comprendi?-
La porta era stretta, e dovemmo procedere in fila indiana per passare nel breve corridoio. Non mi piaceva: qualunque cosa ci attendesse oltre la porta in fondo, non avevamo modo di difenderci. Jack sembrò pensarla allo stesso modo, perché osservò la porta, poi si voltò verso di noi e, facendoci un cenno con la mano, sussurrò: - A terra, tutti. -
Ci accucciammo sul pavimento più silenziosamente possibile: in quello spazio angusto le spade erano ingombranti, così la misi via e tenni la pistola. Will ed Elizabeth erano accanto a me. Jack aprì la porta con uno spintone.
Due spari risuonarono nell'aria, assordanti, e quasi gridai prima di capire che non ci avevano colpiti. Silehard aveva sparato all'altezza degli occhi.
Jack si tuffò per primo attraverso la porta e sparò a sua volta: il proiettile si conficcò nel duro legno del tavolo rovesciato dietro cui Silehard si era nascosto.
- Voi due non avete idea di che cosa avete distrutto oggi. - disse la voce del signore della gilda, lenta e tagliente. Silehard era dietro la protezione del tavolo, assurdamente seduto sulla sua sedia migliore come se ci stesse ricevendo nella sua cabina, con una pistola fumante in ogni mano.
Io, Elizabeth e Will entrammo nella stanza, allargandoci attorno a Silehard. Non mi azzardai ad avanzare: vedevo che accanto a lui c'erano altre pistole, almeno sette, sparse sulle suo ginocchia e ai suoi piedi. Con ogni probabilità erano tutte quante cariche, e pronte ad accoglierci.
- E non ce ne frega, onestamente. - rispose Jack, sguainando la spada con una certa noncuranza.
- Certo, da te non mi aspettavo niente di diverso. - Silehard gettò via le pistole scariche, facendole sferragliare sul pavimento, e ne recuperò altre due. - Tu sei un idiota, Sparrow, ma un idiota ostinato. Ho commesso un grave errore quando ti ho rivolto la parola per la prima volta. -
- Sì, me lo dicono in molti. - Jack era immobile. - La tua strega è morta, lo sai, vero? La tua ricerca non ha più senso e la tua ciurma fuori di qui sta perdendo: possiamo finirla qui. -
- Se uno di voi muove un passo, lo impallino. - minacciò lui, con calma mortale.
- E se lo farai, per noi sarà il segnale dell'attacco. - replicò Elizabeth, dura. Silehard la ignorò, ma la tensione tra noi tutti era palpabile.
- Finirla?- fece eco a Jack. - Non è finito niente. Tu mi hai solo impedito di aggiungere al mio piano il pezzo mancante: so come scendere a patti con gli dei pagani, so come ripagare il sangue del tesoro azteco che tu, una volta, hai soltanto toccato... so come esigere i loro favori. Imogen me lo aveva insegnato. -
- Ma non c'è più nessun bambino innocente che tu possa offrire per i tuoi disgustosi riti, Silehard. È finita. - l'espressione di Will era una maschera impenetrabile.
- Per ora. -
- No. - mormorai, carica di odio per quell'uomo che ci fissava con tanto disprezzo e ci teneva sotto il tiro delle sue pistole. - Non per ora. Tu sei un pazzo sadico, e non ho nessuna intenzione di lasciarti continuare. -
Prima che potessi aggiungere altro, Silehard si mosse. Ma non sparò, come ci saremmo aspettati, bensì diede un calcio al tavolo rovesciato: l'immenso mobile, già in equilibrio precario, dondolò e si ribaltò ancora, cadendo dritto addosso a me e Will che eravamo i più vicini.
Cozzai contro il durissimo ripiano di legno e caddi a terra, e sentii William inciampare a sua volta accanto a me: tutto il peso del mobile piombò sulle mie gambe, causandomi una fitta di dolore. Poi la stanza si riempì del suono degli spari. Mi mancò il fiato. Jack! Elizabeth! Non avevo idea di chi avesse sparato a chi, ma lottai per liberarmi dal peso insopportabile del mobile, e puntai la pistola alla cieca nella direzione in cui ricordavo di aver visto Silehard. Sparai, e il mio proiettile fracassò una finestra.
Stavano tutti urlando, furiosi, quando mi accorsi che alle nostre spalle, sulla soglia, c'era qualcun altro.
Barbossa entrò, scostando la porta con un calcio, e con una pistola per ogni mano. Vidi Silehard afferrare un'altra arma e cercare di sparargli, ma il capitano fu più veloce: la mano che reggeva la pistola sembrò esplodere come un macabro fiore rosso, e Silehard cacciò un urlo orribile.
L'altro proiettile colpì la parete alle sue spalle: era evidente che aveva cercato di piazzare il secondo colpo nella sua testa, mancandolo solo di poco.
Silehard barcollò in un angolo della stanza, con la mano sinistra sanguinante, inservibile. Il proiettile doveva averla bucata da parte a parte, e il sangue zampillava copioso sul palmo, sulle dita, colava sul pavimento.
Barbossa sbuffò, più infastidito che furioso. - Stai fermo, cane. - sbottò, in un tono così insofferente da dare i brividi.
Il capo della gilda si mosse più rapidamente di quanto ci saremmo aspettati, e si gettò attraverso una porticina che conduceva in una stanza adiacente, sparendo alla nostra vista. Barbossa imprecò e lo seguì: intanto si rialzarono Elizabeth e Jack, che avevano dovuto buttarsi a terra quando Silehard aveva iniziato a sparare. Elizabeth corse a dare una mano a me e Will per liberarci del tavolo che ci schiacciava: mi accorsi che una pallottola doveva averla presa di striscio; la sua camicia era strappata sulla spalla, e c'era un'abrasione sulla pelle, anche se non era nulla di serio.
Anche Jack stava bene: si avvicinò e la aiutò a sollevare il tavolo, liberandoci. In quel momento fummo richiamati dall'imprecazione di Barbossa e ci precipitammo nell'altra stanza, dove restammo nostro malgrado a bocca aperta.
Una cannonata aveva sfondato parte della parete di quella che era stata la stanza del bambino e della donna che lo accompagnava: nelle assi era stato aperto uno squarcio largo circa un metro, e la palla di cannone era ancora conficcata nella parete opposta.
Silehard non c'era. E Barbossa stava affacciato allo squarcio, sibilando una sequela di insulti.
- No!- protestai. - No! Non dirmi che si è tuffato!-
- È così. - replicò il capitano, tirandosi indietro con aria seccata.
- Non può!- gridai. - Ripeschiamolo! Andiamo a cercarlo, non può andare lontano!-
Nessuno però sembrava avere la mia stessa smania di riprenderlo: Will era accanto a Elizabeth e si accertava delle condizioni della sua ferita, Jack invece andò a recuperare la propria spada, che aveva lasciato cadere quando era cominciata la sparatoria.
- Non ha molto senso, ormai. - disse, rinfoderandola. - La nave è nostra, tutta la sua gilda è pressoché distrutta... e lui, come hai detto, non nuoterà molto lontano con una mano maciullata. Non possiamo metterci a cercare di ripescarlo adesso: non è più un mio problema. -
- Figurati se è mio. - commentò Barbossa, stringendosi nelle spalle.
Era la prima volta che i due capitani si rivolgevano la parola, e si squadrarono per un lungo, tesissimo istante, nel quale gli sguardi di noi tre rimbalzarono dall'uno all'altro senza sapere se dovessimo aspettarci un nuovo scontro o cosa.
- Hector!- disse infine Jack, facendo un cenno di saluto. - Mi avevano riferito che eri tornato in circolazione. -
- Come puoi vedere. - Barbossa lo scrutava dall'alto in basso, a braccia conserte. - E a me avevano riferito che tu avevi quasi precipitato tutti quanti in un disastro colossale. -
Jack lo ignorò deliberatamente e si rivolse a me, venendomi vicino per cingermi la vita con un braccio.
- Grazie per averlo tenuto a bada, Laura!- commentò, accennando al vecchio capitano con tono fatto apposta per irritarlo. - Si fa sempre strane idee riguardo la proprietà della Perla, quando viene lasciato solo troppo a lungo. Ma ora potremmo anche lasciarlo a terra, che cosa ne dici?-
- Sei tu quello che ha abbandonato la Perla per andare a fare i tuoi stramaledetti doppi giochi, fino a prova contraria. - ribatté lui, tagliente, ma mi accorsi che non sembrava affatto in vena di battibeccare con Jack: sembrava quasi stanco. Infatti, fu con stanchezza che guardò fuori dallo squarcio nelle assi, ascoltando le grida di vittoria dei pirati della Perla Nera, e poi si voltò verso di noi. - Che vogliamo fare con quelli là fuori?-
Jack si strinse nelle spalle, tornando serio: ad un tratto sembrava anche lui stanco come il suo vecchio rivale. - Ci prendiamo la vittoria. - rispose, semplicemente.
E ci prendemmo davvero la vittoria, quando uscimmo sul ponte. Era tutto finito: quasi un quarto della ciurma di Silehard era morta, tutti gli altri si erano arresi così che, tra vincitori e vinti, il ponte era ingombro di gente.
Le acque erano piene di detriti, pezzi di pennone sfasciati, vele, uomini che nuotavano. Corpi. Mi affacciai alla murata dello Squalo e rimasi a guardare finché non vidi quello che stavo cercando: una figura vestita di nero galleggiava trasportata dalle onde; quando mi passò sotto vidi gli occhi morti e spalancati nel viso livido di Imogen. Era ricoperta di schegge: forse era finita troppo vicina all'esplosione di una cannonata. La corrente cominciò a trascinare via il suo corpo, ed io mi ritrassi dal parapetto con un brivido.
- La nave è nostra, e così tutto quello che ne riusciremo a recuperare. - annunciò Jack dal centro del ponte, rivolgendosi tanto ai nostri pirati quanto a quelli della gilda. - Non vi sarà fatto del male. Siamo a poche ore da Tortuga e avete ancora scialuppe in abbondanza: occupatevi dei vostri feriti e non intralciate!-
Silehard si era portato una piccola fortuna a bordo: gli alloggi del capitano erano arredati con eccessivo sfarzo, quindi arraffammo tutto quello che si poteva recuperare, dai tappeti alle armi, dall'argenteria ai vestiti. Trovammo anche un piccolo baule nascosto in uno scomparto: io e Jack lo aprimmo e ci trovammo davanti un piccolo mucchio di monete d'oro e gioielli.
I nostri occhi balenarono su quello spettacolo per qualche momento, poi Jack richiuse il bauletto e mi guardò: c'eravamo solo io e lui a perquisire quella stanza, e quindi ad aver visto quel piccolo tesoro.
- Questa era una piccola somma per il viaggio. - mi disse, in un sussurro estasiato: i suoi occhi scuri brillavano. - Ti rendi conto che Silehard teneva in mano gli incassi di tutti i tagliaborse del porto, e forse anche di più? Quasi ogni uomo a Tortuga gli pagava un tributo, comprendi?-
- E tu sai dov'è custodito tutto quel denaro?- domandai lentamente.
Il sogghigno di Jack si allargò, con aria maliziosa.
- Abbiamo appena fatto a pezzi la gilda: le persone che sono rimaste a Tortuga non sono che gli ex protetti di Silehard, i suoi leccapiedi, la sua corte inutile, per dirla in breve, Quando si spargerà la voce che la gilda non esiste più, si scatenerà il finimondo per mettere le mani su qualunque cosa Silehard abbia mai posseduto. Perciò, ora urge che torniamo indietro e ci prendiamo davvero tutta la vittoria... finché è ancora possibile. Comprendi?-
Sorrisi. Comprendevo.




Note dell'autrice:
Orbene, che per una volta io sia riuscita a non fare "promesse da marinaio" e mettermi a pubblicare decentemente? Così pare. Per ora, tanto per citare il nuovo capitolo. Ebbene eccoci qui, un po' di acciaio e sangue che fan sempre piacere e qualche piccola vendetta personale!
Per rispondere a Fannysparrow che ha gradito la battuta di Jack nello scorso capitolo "C'era qualcosa di eccitante nell'essere sull'orlo del disastro": ringrazio e confesso che è un piccolo omaggio a Mr Depp, perché si tratta di una frase che lui pronunciò davvero durante un'intervista! Stranamente, invece, non sono reduce da una visione recente del primo film: purtroppo devo ammettere di non riguardare per intero i film della saga da un bel po' di tempo... ohibò!
Sara, che giustamente ha imparato a non dare nessuno per morto finché non le portano la testa mozzata, spero sia stata rincuorata dalla dolce visione del cadavere della strega. Invece so di essere stata sleale in quanto a Silehard e Donovan. Oooh sì.
Infine, l'immancabile e dovuto omaggio alla mia compare Alwilda, che con una nuova vignetta ha quasi anticipato il breve stacchetto Jack/Barbossa/Laura di fine capitolo. ^^
Wind in your sails, e buona Pasqua, già che ci siamo!

  
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