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Autore: Vedra    12/04/2012    8 recensioni
Harry Potter non mi piaceva quando ero piccola. Ho visto il primo film solo un mese fa e me ne sono... innamorata? Mi sono saltati subito all'occhio la McGranitt e Silente e in effetti sono rimasta stupita quando ho letto che la Rowling comunicava l'omosessualità di Silente. Ovviamente questa FF non tiene conto di questo particolare. Non ho trovato nessuna FF che avesse una trama lunga più di cinque capitoli, incentrata su Silente e la McGranitt, così ho deciso di scriverla io. Spero che vi piaccia. Buona lettura
"Quella notte in cui aveva sperato, quella notte in cui aveva sognato, quella notte in cui aveva amato. " (dal capitolo 4)
LadySaphira
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Silente, Il trio protagonista, Minerva McGranitt, Pomona Sprite | Coppie: Albus Silente/Minerva McGranitt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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Era un luminoso pomeriggio di Aprile. Le lezioni erano terminate da poco e tutti i ragazzi erano in giardino, godendo del calore del sole prima di rimettersi a studiare. Minerva si era attardata, come suo solito, nella sua aula, cercando qualcosa da fare per distogliere la mente dai tristi pensieri che la occupavano perennemente. Ripose i topi che aveva usato per l’ultima lezione nelle rispettive gabbie, dando loro da mangiare. Riordinò la scrivania, legando con un nastro dorato le innumerevoli pergamene sui quali i suoi ragazzi avevano svolto i loro temi. Si avviò mestamente verso la sua stanza, distogliendo, infastidita, lo sguardo dal giardino inondato di sole. Il manto nero le ondeggiava attorno alle caviglie e ciocche scure di capelli si srotolavano morbidamente lungo la sua schiena, sfuggendo all’acconciatura severa. Aveva gli occhi lucidi e cerchiati di rosso: quella notte Morfeo non le aveva fatto visita ed era rimasta per lunghe ore ad osservare le costellazioni, seguendo le loro forme contorte con lo sguardo, lasciando che il suo dolore fluisse libero, lasciando completamente la presa sulle redini che trattenevano i suoi sentimenti da decenni.

-Minerva!-

La voce di Rolanda la raggiunse strappandola dai suoi pensieri. In quel momento la detestò: possibile che nessuno riuscisse a lasciarla in pace per più di dieci minuti? Si fermò e si volse. Involontariamente era rimasta all’interno di un luminoso fascio di luce dorata, che si rifletteva nei suoi occhi smeraldini facendoli brillare.

-Che vuoi?-

Domandò aggressiva, sollevando un sopracciglio in un’espressione feroce. Rolanda non si fece spaventare, nè tantomeno si sentì ferita dal comportamento dell’amica: conosceva Minerva e sapeva che, quando tutte le sue difese erano ormai cenere, per proteggersi attaccava, diventando insopportabile e irascibile. Aggrediva tutti coloro che le erano intorno per indurli a reputarla una pessima compagnia e quindi frequentata solo se strettamente necessario. In quel modo si isolava e il suo dolore poteva passare inosservato poiché nessuno poteva vederlo. Ma il suo comportamento non scoraggiava certamente la professoressa di Volo: era una sua cara amica e nulla l’avrebbe potuta convincere a non sostenerla più. Le parlò guardandola dritta negli occhi, quasi sfidandola a cacciarla.

-Il professor Silente ti vuole nel suo ufficio tra dieci minuti-

Minerva rimase immobile, incapace di formulare un qualunque pensiero coerente. Sentimenti contrastanti scoppiarono i lei, scatenando un tempesta di emozioni che la lasciarono esangue. Il suo volto era diventato ancor più pallido del solito, tremava, fissando confusa la sua collega negli occhi, sperando di aver mal interpretato le sue parole

-Come scusa?-

-Silente ti vuole nel suo ufficio… -

-Digli che arrivo- Rispose con voce fredda, mentre nel suo cuore si agitavano centinaia di sentimenti, che la scuotevano.

-Ma…-

-Non credo sia di tua facoltà mettere in discussione le mie decisioni-

Sapeva perfettamente di essere stata tremendamente fredda verso l’amica che l’aveva sostenuta in quei lunghi mesi di agonia, ma non aveva intenzione di ripetere l’errore che aveva compiuto con Pomona quel dannato primo giorno di scuola. Si era mostrata fragile e quell’onta continuava a tormentarla anche dopo tutti quei mesi. Si era maledetta mille volte per quel piccolo atto di debolezza. Volse i tacchi e scomparve dietro una curva. Si precipitò versi la sua stanza, quando entrò, udì il familiare rumore del becco di un gufo che batte sul vetro di una finestra. Si affrettò ad aprirla, lasciando i compiti abbandonati sul tavolo. Una bellissima fenice dagli occhi dorati e le piume vermiglie le si appoggiò su una spalla. Avrebbe riconosciuto ovunque Fanny. Il suo cuore perse un battito quando aprì la breve lettera che le aveva portato. I caratteri, vergati con un inchiostro verde smeraldo, spiccavano nitidi sulla carta candida.


Professoressa, se non le è di troppo disturbo, la vorrei incontrare nel mio studio alle 11.35 per discutere di argomenti che richiedono anche la sua attenzione.
Il Preside.


Gli occhi di Minerva si inumidirono: aveva sperato che Albus… si dette della sciocca: come poteva Albus ricambiarla? Fino a quel momento aveva ignorato quel che era accaduto quella notte, o almeno aveva tentato, ma la freddezza di quella lettera era chiara: Albus Silente non la considerava nulla più che una professoressa. Una lacrima le rigò il volto candido, cadendo sulla carta e sciogliendo parte dell’inchiostro che la ricopriva. Le sue mani tremavano mentre stringeva ancora la lettera, rifiutando la verità, cercando di convincersi che era stato tutto un malinteso. Non poté impedire alle lacrime di fluire sul suo volto, sgorgando impetuose dai suoi occhi smeraldini. Quella lettera rappresentava la fine.
La fine del suo cuore, la fine del suo amore, la fine delle sue speranze. Fino ad allora c’era sempre stata una parte di lei che aveva continuato a sperare che qualcosa si smuovesse, che qualcosa, qualunque cosa, cambiasse, ma si era sbagliata: Albus Silente non l’avrebbe mai amata. Non avrebbe mai più sentito la morbidezza delle sue labbra sulle proprie, il calore del suo corpo, non avrebbe mai più letto la complicità in quello sguardo cristallino. Era la fine, in quelle parole terminavano i suoi sogni. Non rimaneva altro che un involucro, privo di qualunque contenuto. Si sentiva svuotata, quasi come se ogni singolo sentimento avesse lasciato il suo corpo, come se niente la trattenesse ancora in quel mondo. Aveva sperato. Le sue speranze erano state infrante. Aveva sognato. La realtà le si era imposta bruscamente. Aveva amato. Il suo cuore era stato spezzato. Aveva nascosto i suoi sentimenti per troppo tempo, adesso era troppo tardi. Si ritrovava a stringere nebbia tra le mani, il ricordo di un sogno dal dolce sapore.
Chiuse gli occhi, trattenendo a stento i singhiozzi: coma aveva potuto essere così stupida da lasciare che l’amore prendesse forma nel suo cuore, eppure lo sapeva bene: l’amore era debolezza, perché si era mostrata debole. In quel momento le parve di essere vecchia mille anni, di aver sopportato mille dolori, e sentiva che la sua esistenza perdeva il suo senso, vedeva il suo obiettivo svanire lentamente, sentiva il suo cuore perdere i suoi battiti. Fissava il vuoto, cercando qualcosa a cui aggrapparsi per non sprofondare nella disperazione. Si sentiva in un limbo, sul precipizio di un dirupo, troppo stanca per provare dolore, troppo rassegnata per tornare a vivere. Non provava nulla, solo una grande, profonda tristezza e pena. Pena per se stessa, che si era offerta deliberatamente alla vita, e quindi alla sofferenza e alla delusione; pena per il mondo, che non sapeva offrire altro che angosce e tormenti; pena per la sua vita, sprecata dietro a un sentimento troppo grande per coglierlo, gettata al vento per un sogno troppo dolce per essere vissuto; pena per il suo cuore straziato, che sembrava cadere lentamente in rovina, come un vecchio castello, che ha vissuto i suoi fasti e poi è stato abbandonato, ma il suo cuore non aveva mai vissuto, lo aveva trattenuto con funi troppo forti, nascosto dietro una corazza troppo spessa, credendo di proteggersi, e invece non aveva fatto altro che ferirsi.
Si accasciò a terra, gli occhi vuoti che fissavano il nulla pieno di domande. I suoi lineamenti composti, i suoi occhi freddi, i suoi capelli rigidamente acconciati, tutto in lei contribuiva a farla sembrare una statua marmorea, bellissima, ma priva di un cuore. I suo cuore si era ghiacciato, ormai per sempre. Nessuna fiamma ardeva più in lui, e su di esso era sceso un gelo che sapeva di morte, di disperazione. Poi giunse, rapido come un lampo, il vero dolore, che sostituì quella fredda indifferenza, esplodendole in petto e diffondendosi nel suo corpo come fuoco liquido.
Gridò al vento la sua sofferenza, chiedendo perché. Alle sue domande rispondeva il silenzio. Le lacrime scorrevano impetuose. Si era ripromessa di non piangere mai più per lui, ma stava fallendo miseramente. Stringeva spasmodicamente la sua veste, stracciandola. Invocò un aiuto che non giunse, si trascinò fino al letto e affondò il volto nelle lenzuola, piangendo disperatamente: non poteva accettare che quella era veramente la fine.
La fine… la fine… la fine… che suono amaro aveva quella parola. I singhiozzi la scuotevano, i gemiti le sfuggivano dalle labbra senza che lei potesse far nulla per soffocarli. Artigliava il damasco del letto, battendo i pugni chiusi su di esso, mormorando convulsamente il nome dell’uomo che le aveva ridotto il cuore e l’anima a brandelli. Lugubri lamenti le fuoriuscivano dalle labbra, incontrollabili.
Sentiva quel dolore schiacciarle il cuore, serrandolo in una morsa sempre più stretta. Sentiva la sua mente impazzire lentamente, mentre rimaneva giacente su quel letto. In quel turbinio di angoscia emerse, chiaro e limpido un pensiero: avrebbe lasciato Hogwarts, ritornando nella sua amata Scozia, lasciando in quell’antico castello Gotico tutto il suo dolore. Si sarebbe ritirata nella sua vecchia casa, attendendo che la morte stendesse il suo velo pietoso su di lei, rivivendo i momenti spensierati della sua infanzia. Si asciugò le lacrime. Si alzò, sistemandosi la veste e si avviò verso l’uscita della stanza: doveva rivederlo, doveva vederlo ancora una volta, poi sarebbe potuta andar via, per sempre. Era un bisogno irrefrenabile, quasi malsano, ma sentiva la necessità impellente di rivedere quegli occhi, di sentire per l’ultima volta la sua voce carezzevole e gli avrebbe aperto il suo cuore: non aveva più nulla da perdere, ma se l’avesse fatto avrebbe potuto morire con il cuore sereno. Sapeva che non l’amava, per questo poteva rivelargli i suoi sentimenti.
Gli avrebbe detto che lo amava, che lo amava da sempre, da primo momento in cui l’aveva visto, alla cerimonia dello smistamento, poi sarebbe fuggita, lasciando che dimenticasse le sue parole, che si dimenticasse di lei. Appoggiò una mano alla porta e la aprì. Percorse il corridoio quasi correndo, ansiosa di poter mettere fine al suo tormento.
Giunse dinnanzi alla statua dorata a forma di grifone e si fermò: in un momento aveva realizzato quello che stava per fare e tentennò per un attimo.

-Limoncello-

La sua voce era flebile quando pronunciò la parola d’ordine. La scala a chiocciola emerse lentamente e lei si lasciò trasportare. Giunse dinnanzi alla porta del suo studio e rimase ferma un attimo, poi, raccogliendo tutto il suo coraggio e i brandelli di dignità che le rimanevano, aprì la porta.
Albus era in piedi davanti alla grande finestra e si malediceva mentalmente: possibile che non gli fosse venuta in mente nessun’altra scusa per chiamare a se Minerva… no, non Minerva, la professoressa McGranitt? Vedeva che ogni giorno di più cadeva nella disperazione, non poteva sopportare che si riducesse in quello stato per lui. Avrebbe chiarito quel che era avvenuto quella notte una volta per tutte in quel pomeriggio e avrebbe donato alla sua vita la serenità, sapendo che lei lo aveva perdonato. Un debole bussare lo fece sussultare. Non rispose: se era Minerva sarebbe entrata comunque. L’austera professoressa di Trasfigurazione entrò. Albus Silente era davanti alla grande finestra e il sole entrava pigro. La sua figura si stagliava scura e nitida su quello sfondo di luce accecante. Minerva chiese

-Professor Silente, mi ha fatto chiamare?- la sua voce era debole ma ferma.

-Si-  Non si volse per risponderle, continuava a fissare un punto indefinito del paesaggio che si apriva davanti a lui.

-Cosa desiderava?-

-Comunichi ai suoi Grifondoro che il campionato di Quidditch inizierà la prossima settimana-

La donna annuì, preparandosi a compiere il passo di non ritorno. Si volse e si avvicinò alla porta. Gettò un ultimo sguardo a quello studio tanto amato, soffermandosi sulla figura alta e slanciata dell’uomo che amava. Stava per parlare quando Albus la precedette.

-Minerva- La donna rimase con la bocca dischiusa

-Si?-

-Dimentica quel che è successo, so di aver sbagliato e ti chiedo scusa: fa come se nulla fosse successo- La donna, con gli occhi lucidi di amarezza disse

-Voltati- Albus si volse, il volto impassibile e le mani incrociate dietro di se.

-Perché dovrei dimenticare?- Albus rimase spiazzato

-Davvero non hai capito? Eppure credevo che per te fosse chiaro-

-Cosa deve essermi chiaro?-

-Dopo tutti questi anni, dopo tutto questo tempo passato assieme, non hai mai letto nei miei occhi?-

-Che cosa?-

-Devo valere davvero nulla per te, avevo ragione a pensarlo, ora me ne dai la conferma-

-Tu vali molto per me, troppo perché io possa controllarlo-

-Troppo? E allora perché mi stai chiedendo di dimenticare? Di dimenticarti?- Albus rimase in silenzio, scrutandola –Per anni ti sono stata accanto, sperando che tu ti accorgessi di me, come studentessa, come insegnate, eppure tutto questo non ha avuto senso- Le lacrime cominciarono  a scorrere sulle guance della donna, che si rifiutava di trattenerle

-Minerva, ti prego, non piangere- Le si avvicinò e le accarezzò con il dorso della mano il volto, ma lei si ritrasse rabbiosa

-Piantala di trattarmi come un’amica. Io non ti ho mai considerato tale. Quella notte mi hai fatto credere che qualcosa fosse cambiato, come hai potuto illudermi in questo modo?-

-Io non pensavo…-

-Quando, dimmi solo quando hai mai considerato i sentimenti delle persone che erano al tuo fianco?- Minerva gridava

-Avevo paura di perderti-

-E non hai pensato alla sofferenza che mi hai procurato?-

-Il mio gesto è stato sconsiderato, ma non puoi davvero perdonarmi Minerva? Non ho pensato, ma…-

-Io ti amo, Albus- Gridò la donna, prendendolo per la tunica rabbiosamente. Quando realizzò quel che aveva detto di staccò, rossa in volto. Albus la guadava abbillito.

-Cosa?-

-Io ti amo- ripeté la donna, poi si volse e si diresse impettita verso la porta. Prima di varcarla si volse nuovamente, mormorando

-Dimentica, io me ne andrò. Dimentica, ti prego-

-Minerva!- L’uomo la fermò con un gesto della mano e la raggiunse.

-Perché, Albus? Non ti basta che io mi sia umiliata davanti a te?- L’uomo si chinò su di lei, posando le proprie labbra su quelle di lei. Minerva rimase paralizzata. Sentiva il calore della sua stretta, la pressione della sua mano sul collo, il calore del suo corpo, la morbidezza delle sue labbra. Si staccò furiosa

-No! Non ti basta avermi gettata via come un errore quella notte?-

-Un errore?-

-Mi hai lasciata sola, senza una spiegazione, con mille domande in mente e chiedendomi perdono. A che cosa avrei dovuto pensare se non a un errore?-

-Minerva io…-

-Torna nel tuo mondo Albus, io sparirò, dimentica questi mesi-

-Io non voglio dimenticare Minerva-

-Perché vuoi farmi ancora più male?-

-Io ti amo Minerva- La donna rimase paralizzata

-Cosa?-

-Ti amo, ma quando ho visto la tua espressione, il tuo comportamento dopo il nostro bacio ho pensato che tu fossi contraria: rifuggivi il mio sguardo, ti tormentavi le mani, tengo troppo a te, mi sarei accontentato della tu amicizia, ma quella sera volevo di più. Volevo che tu mi
amassi.-

-Io ti amo-

-Allora perché…?-

-Cercavo la conferma in te, ma tu mi fissavi imperscrutabile e allora ho pensato che fosse accaduto qualcosa, per questo non osavo guardarti, poi quando mi hai domandato scusa mi sono vista crollare il mondo addosso: pensavo che mi considerassi un errore e … non
mi hai più cercata-

-Non andare, resta con me-

-Non potrei mai lasciarti ora che ti ho trovato- Albus le posò una mano sul collo, attraendola a se. Minerva si lasciò andare, il cuore gonfio di una gioia che pareva angoscia. Circondò con le braccia il collo dell’uomo e le loro labbra si unirono in un dolce bacio. Albus le circondò la vita con un braccio, aderendo al corpo sinuoso della donna. Minerva gemette sommessamente sulle sue labbra, mentre il bacio diventava sempre più appassionato. Albus affondò le dita nei suoi capelli, sciogliendoli. Minerva si abbandonò a quella sensazione di assoluta completezza che la stava pervadendo. Albus la sollevò tra le braccia, non interrompendo il contatto con le sue labbra. La condusse in camera, chiudendo a chiave la porta. La depose sul letto e le sbottonò il corpetto. L’abito di Minerva scivolò a terra, raggiunto presto da quello di Albus.

Fuori il sole tramontava, chiudendo per sempre quel periodo di profonda sofferenza. I suoi raggi vermigli e dorati scomparivano lentamente. Un canto si levò nel silenzio, inondando le stanze dell’antico castello gotico. Fanny levava la sua voce, intrecciando le note fino a comporre una melodia struggente, che sapeva di rinascita, che sapeva di dolore. Cinque sorrisi si aprirono nel buio. L’indomani il sole sorse, anche negli occhi di Minerva.  


___________________________
Eccoci alla fine di questa FF. Spero che vi sia piaciuta. Su questo capitolo non ho nulla da dire a parte il fatto che è stato difficile da scrivere: volevo a tutti i costi sviluppare la scena della litigata, ma senza andare OOC, e non credo di esserci riuscita molto bene. Alla prossima.
LadySaphira
   
 
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