Anime & Manga > Card Captor Sakura
Segui la storia  |       
Autore: Angemon_SS    28/04/2012    1 recensioni
Il mio primo giorno di scuola superiore fu alquanto movimentato. Mi accusarono di omicidio, mi ruppero il naso e feci una visitina al pronto soccorso. Ci furono anche rimpatriate con vecchie facce come quella di merda di Shaorang e la mia vecchia amica Tomoyo. Potevo lasciar perdere le accuse di omicidio ma quando la polizia cercò di arrestarmi dovetti correre verso il luogo dove accadde tutto. Se non sbaglio il colpevole torna sempre sul luogo del delitto, ed oltre l'avventura da Road Movie non dimenticherò mai che ho rischiato di morire e di cancellare un'intera città dalle cartine mondiali. La storia spero vi piaccia però va letta solo da chi è in grado di credere davvero alle carte di Clow Reed e all'esistenza dell'esoterismo del sud Europa. Vostra Sakura
Genere: Avventura, Azione, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Ottavo

 

 

Considero un miracolo l’aver avuto Irina accanto a me in quel momento.

Appresa la scomparsa di ‘Adel, mi pietrificai e caddi in ginocchio; in faccia avevo di tutto: lacrime, moccio, polvere, ero l’immagine stessa della disperazione e d’altro canto, come si faceva a non esserlo, avevo appena perso il secondo ragazzo che avessi mai baciato, quello più gentile e comprensivo che avessi mai incontrato, il primo per il quale avevo provato una forte attrazione sessuale. Mi aspettavo di trovarlo appoggiato al muretto, sorridente e dagli abiti eleganti ed ordinati che mi guardava e sorrideva, chissà se quei suoi nerissimi occhi restarono aperti o chiusi nel, chissà qual’e stato il suo ultimo pensiero, la sua ultima parola o il suo ultimo incantesimo prima di perdere la vita.

“Fermo!” Irina si mise tra me e il nuovo nemico. Non avendogli risposto, aveva fatto molti passi nella mia direzione e sembrava proprio che non avesse buone intenzioni. Potevo percepire il pericolo ma il mio corpo si rifiutava di muoversi, l’unico movimento consentito erano i singhiozzi.

“Spostati, tu sei fuori!”

“So’ che hai invocato tu l’incantesimo Haab e ricordo bene la tua predisposizione per le sfide difficili, quelle all’ultimo respiro, ti piace misurarti con tutto e tutti per dimostrare la tua superiorità. Non è forse questo il motivo per il quale hai voluto che lottassimo l’uno contro l’altro?”

“Diciamo che hai indovinato, dove vuoi arrivare?”

“Il tuo avversario non è il grado di combattere, nemmeno di cominciare lo scontro, sei davvero sicuro di voler vincere in questo modo, di arrivare direttamente alla vittoria?”

Il mio avversario rimase immobile e si morse il labbro in modo molto violento, successivamente ci diede le spalle e si allontanò in silenzio. I suoi passi erano molto pesanti e li udii anche quando fu molto lontano.

Mi rimisi in piedi con l’aiuto di Irina e mi fece appoggiare al parapetto affinché potessi respirare. Ero cieca, le lacrime mi accecavano, non smettevano di cadere, di bagnarmi il viso, dopo un po’ un riuscii più a singhiozzare o parlare, non potevo urlare, solo lacrime su lacrime. Non mi accorsi nemmeno di essere tra le braccia di Li o quando fosse arrivato, mi strinse forte e nascosi il viso sul suo petto, come un gatto impaurito.

 

Quando riaprii gli occhi mi ritrovai in una stanza sconosciuta, di nuovo, questa volta riconobbi la stanza di un albergo. Ricordai che Li mi trasportò di peso e ci volle molta forza per staccare le mie braccia dal suo collo; sembravo una bambina e riuscii a fermare le lacrime solo prendendo sonno.

Al mio risveglio il sole stava tramontando, dalla finestra entrava di nuovo una calda aurora arancione e le mie lacrime ricominciarono da dove avevano smesso. Sembrava impossibile: ero davvero contenta di poter rivedere ‘Adel, di poter mettere fine a quella corsa sempre più frenetica e faticosa, anche di riabbracciarlo, non potei fare niente di tutto ciò.

“Grazie.” Irina era nella stanza e stava leggende un grosso libro, quel ringraziamento fu la prima parola che mi venne in mente, eppure non venni degnata di considerazione. Quasi sbattendo la porta, fece il suo ingresso Li con Kerochan seduto sulla sua spalla, si diressero alla finestra e verificarono da quale mezzo provenivano le sirene in lontananza. Quando capì che non c’era pericolo si sedette ai piedi del letto.

“C’era proprio bisogno di andartene in giro per la città?” Kerochan sembrava al quanto arrabbiato. Teneva le zampe conserte e lo sguardo tagliente, non era possibile per lui fare la faccia minacciosa, sarebbe sembrato sempre e solo un pupazzo.

“Adesso basta! Vi ho già detto che l’ho portata in giro i!.” Irina chiuse il di botto per riportare il silenzio. Ovviamente tutti ci voltammo verso di lei; mantenne la calma mentre posava il volume sul comodino li accanto ma non riuscì a trattenere alcune lacrime.

“Perché piangi?”

“Perché mi dispiace! Mi spiace che tu debba lottare contro quel…mostro, non ha pietà, non teme niente e nessuno, uccide e basta, ha una conoscenza incredibile delle arti magiche di metà pianeta.”

“Non ci credo!” Li si rimise in piedi. “Tutti hanno un punto debole, non esiste la perfezione.”

“Ovvio che ci sono ma la più potente non può essere utilizzata da Sakura.”

“Ascoltami bene: le hai gettato addosso un muro ed ha rischiato di morire dissanguata, hai usato la tua situazione di dolce attesa come un’arma, dici come utilizzare questo punto debole a nostro favore o ti giurò che mi vendicherò per ciò che le hai fatto!”

Ammetto che fu molto gentile ma allo stesso tempo fastidioso.

“Non può essere utilizzato perché sono io quel punto debole!” Irina si mise in piedi proprio di fronte a Li. “Ora siediti!”

Li non poté che risedersi, lo sguardo di Irina pietrificava. Nessuno dei due aveva alzato la voce, erano bastagli gli sguardi a contornare quelle poche frasi che si scambiarono. Mi asciugai le lacrime con il lenzuolo, il dolore al cuore non se n’era ancora andato.

“Pierfrancesco Spina è il tuo prossimo nemico! Lui è diretto discendete di Ferrante Croce, uno dei maghi più forti e temibili che abbia mai messo piede in questo mondo. Non so se contarlo come difetto o pregio per la sua personalità ma ho sempre pensato che fosse Autistico. Si estranea totalmente, a livelli tali che quando ti ignora pare sordo, quando lo colpisci cade ma si rialza come se fosse inciampato da solo. Ha un’ossessione incredibile per l’ordine e la simmetria. Può sembrare questo il suo punto debole ma non lo è, per la sua persona è un pregio perché ottiene ciò che vuole grazie alla magia. Se affronta un nemico si estranea dall’umanità e lo uccide come una zanzara fastidiosa. Sembra calmo, ma ha tic frequenti e se li interrompi è capace di farti pagare con la vita.” Irina prese di nuovo posto. “Sembra una persona di mezza età ma in realtà si trascura moltissimo, siamo coetanei ed io ho trentadue anni. Passa tutto il tempo ad ampliare e migliorare le sue conoscenze, principalmente magia e alchimia, ma è una persona incredibilmente colta e con un quoziente intellettivo di molto superiore alla norma.”

“Che centra tutto questo con te?” Li sembrava impaziente.

“Sono stata la sua ragazza!”

E’ incredibile come risulta piccolo il mondo, siamo 7 miliardi di persone ma quando viaggi sembra semplicemente di andare in periferia, un periferia immensa. Io e Li ci guardammo ma i nostri visi quasi non mostrarono espressione, eravamo arrivati al punto che non ci sorprendevamo più di nulla.

“Quando andavo all’Università vinsi una borsa di studio Erasmus per l’università di Murcia, in Spagna. Era una città minuscola in confronto a Kiev ma con tre campus universitari era molto viva e piena di culture diverse, praticamente ti senti davvero in Europa! Ho incontrato Pierfrancesco durante il corso intensivo di Spagnolo e durante le varie feste erasmus ci siamo conosciuti meglio, innamorati e, come potete immaginare, non passavamo di certo il tempo a guardarci negli occhi.”

“Ci stai dicendo che il figlio che aspetti è suo?” Feci una domanda molto stupida, me ne accorsi solo quando l’avevo già pronunciata.

“No, vi sto spiegando che il nostro rapporto raggiunse livelli molto forti ma non restai mai incinta da parte sua, anche perché abbiamo usato sempre il preservativo.” Irina cominciò a giocherellare con i capelli. “La storia non durò più dei sei mesi che passammo da studenti ospiti e mi accorsi subito di questi suoi particolari atteggiamenti, ma solo verso le altre persone. La cosa strana è che quando era in mia compagnia si trasformava in una persona diversa, diciamo nella norma, non sembrava autistico, pareva quasi che si rilassasse.

Ci lasciammo ad un mese dalla fine della borsa di studio, a dir la verità erano tre settimane e fui io a lasciarlo. Non riuscivo più a sopportarlo: era incredibilmente geloso ed invadente; se una persona mia ama ha fiducia in me. Non lo vidi per svariati anni e so soltanto che continuò gli studi a Benevento fino alla laurea, poi si ritirò per altri studi di natura magica e alchemica a Napoli. Agropoli è la sua città natale e la sua presenza può significare solo che è arrivato a conoscenze tali da sentirsi invincibile, sono convinta che abbia invocato il torneo Haab proprio per testare queste sue nuove capacità.”

Li si mangiò le unghie durante tutto il racconto. Il suo sguardo non stava fermo un attimo e sembrava che stesse diventando sempre più nervos, alla fine si mise in piedi per avvicinarsi alla finestra: “Quindi il punto debole sei tu, e dato che è Sakura quella che deve affrontare questo Pirrfanccescoo, non ha possibilità di vincere!”

Irina tacque, smise anche di passare le dita tra i capelli, ovviamente non mi piacque quel silenzio, presagiva una mia inevitabile sconfitta o peggio, la morte. In realtà non avevo ancora deciso se affrontare quell’ultima battaglia, la morte di ‘Adel mi aveva ovviamente spiazzata, demoralizzata, le lacrime si erano fermate ma sapevo che non sarei riuscita a stare in piedi senza cascare di nuovo in ginocchio.

Quando arrivò sera ricordo che andammo a dormire molto presto, non prima di aver mangiato qualche schifezza dal minibar del bad and breakfast. Sembrava che Irina sapesse che avrei passato la notte da lei, mi stupii molto nel notare che la stanza nella quale ero stata portata aveva due letti. Li decise di tornare da Tomoyo e Papà e rimasi sola con la persona che mi aveva quasi ucciso.

Ovvio che non mi piaceva come situazione, farsi offrire il caffè non basta come scuse, farsi raccontare i punti deboli del nemico nemmeno; ero molto titubante e la sua gentilezza non poteva che spiazzarmi. Ovviamente Kerochan restò con me ma fu come se non ci fosse dato che cominciò a russare ancora prima che spegnessimo le luci. Quando Irina prese sonno io avevo ancora gli occhi aperti e guardavo fuori dalla finestra le macchine che gironzolavano per la città, non mi andava di dormire nella stessa stanza di persona che avrebbe potuto aver fatto, con questo Pierfrancesco, un patto simile a quello tra me e ‘Adel. Ovviamente non potevo essere certa di quelle mie seghe mentali ma non era una possibilità da scartare. Quando avevo dormito sapevo che c’era li e quindi mi sentivo serena, quando se ne andò avrei tanto voluto urlargli di restare ma dalla mia bocca uscirono solo altri singhiozzi.

Faceva un gran caldo e ricordo di aver aperto la finestra quel tanto che bastava per far entrare un po’ di fresco. Finalmente mi sdraiai ma ero fradicia per il sudore e decisi di restare solo in maglietta e mutande, come in pieno agosto, quell’anno la primavera fu tanto calda quanto l’estate.

Un bagliore dell’oscurità mi fece venire la pelle d’oca, tanto che cercai scettro e carte, fortunatamente capii che non c’erano vibrazioni pericolose e divenni rovente in viso.

Gli unici uomini nudi che avessi mai visto erano quelli delle illustrazioni del libro di Storia dell’Arte. In quel momento ne avevo uno di fronte a me e quando fece alcuni passi verso il mio letto apparve il sorriso inconfondibile e carico di gentilezza di ‘Adel. Quasi scoppiai in lacrime ed ancora prima che potesse cadere una lacrima era su di me per riempirmi di baci. Non riuscivo a parlare e nemmeno lui proferì parola, sembravano così inutili e fuori luogo; chiusi gli occhi e mi rilassai tra le braccia e non disprezzai il fare l’amore con lui. Non era sporco, non era sesso, era carico di sentimento, di lacrime e gemiti nascosti, di carezze, di baci sul collo, sui seni, di orecchie mordicchiate e mani tra i capelli.

 

Mi ripresi ancora più sudata di prima, ero attraversata da fremiti di non so cosa, di nuovo umida nella parte più sensibile e sola nel letto. Dapprima mi sentii una depravata ma il senso di colpa sparì quasi subito, avevo capito di aver provato qualcosa di più spesso nel confronti di ‘Adel e che non sarei mai dovuta andare via da Napoli, sarei dovuta restare per aiutarlo e salvargli la vita.

Di nuovo una vibrazione di pericolo.

Mi precipitai alla finestra, sembrava che non ci fosse niente di strano, il buio era rotto solo dai lampioni e dalle luci provenienti dalle finestre, di tanto in tanto alcune macchine percorrevano la via con i loro fari e i cani abbaiavano da una casa all’altra. Non ho idea dell’ora, solo che non c’era nessuno sui marciapiedi.

Di nuovo la vibrazione, questa volta più forte.

Mi voltai verso Irina e Kerochan, nessuno dei due si svegliò, sembrava che la percepissi solo io, eppure era così forte, pareva che le pareti si contorcessero, come in un terremoto. Aprii del tutto la finestra e le vibrazioni aumentarono a dismisura, raccolsi le carte e lo scettro prima di sedermi sulla finestra con le gambe penzolanti nel vuoto. Ero solo al primo piano e a pochi centimetri dai piedi c’era il tetto catramato di una veranda in legno, eppure avevo una lieve vertigine. Ci badai solo un primo istante e dopo altre vibrazioni, più forti delle prime, mi lasciai andare e atterrai sul catrame. Mi accorsi solo allora di essere rimasta in maglietta e mutande, che stupida, e la finestra era troppo in alto.

“E’ stato divertente vederlo morire.” Nella mia testa comparvero quelle parole glaciali. Mi voltai, come ben potete immaginare, spaventata ma ero sola, la strada era deserta e venne attraversata solo da una gatto grasso e goffo. Scesi in strada con un altro balzo.

“So che vuoi vendicarlo!” Di nuovo la voce e nessuna presenza.

Cominciai a correre in direzione delle vibrazioni. Dopo essere rimasta senza pantaloni a Roma non mi importava di correre in mutande per Agropoli; prendevo strade apparentemente a caso, guidata solo dal mio istinto che diceva di muovere le gambe verso quelle onde.

Un lampeggiante azzurro si intromise nella luce arancione dei lampioni ed ancora prima che potessi voltarmi un’auto nera e con una scritta bianca sulla fiancata salì sul marciapiede tagliandomi la strada. Dallo sportello del passeggero scese un uomo con una divisa fin troppo familiare. Corsi ancora più veloce verso la parte opposta, alle mie spalle udii l’auto fare retromarcia e dopo aver accesso le sirene mi inseguì con un rombo assordante. Cercai di cambiare strada all’ultimo momento nel tentativo di seminarli ma non ebbi successo; sicuramente non si erano nemmeno accorti di chi fossi, anche io essendo poliziotta e vedessi qualcuno che corre in mutande, di notte, in mezzo alla strada, mi fermerei per vederci chiaro.

Senza volerlo mi ritrovai nella zona pedonale della mattina prima; se nel resto della città non c’era quasi anima viva in quel tratto di strada sembrava che i bar stessero facendo grandi affari. Udii uno stridio di gomme e sportelli che si chiudevano di colpo. Non mi voltai perché sapevo già di essere seguita a piedi, cominciai a correre tra i tavolini dei bar e gruppetti di ragazzi vicino alle panchine cercando di apporre più ostacoli possibili tra me e i Carabinieri. Quando la strada si fece in salita e a scaloni, cominciai a sentire la stanchezza, strinsi i denti e non mi fermai nemmeno quando varcai la porta della città vecchia. Le strade diventarono più strette e tortuose, mi nascosi in un angolo buio e restai immobile cercando di limitare il fracasso del mio fiatone. Udii gli scarponi dei carabinieri salire gli scaloni e spuntare nella via, fortunatamente non indugiarono più di alcuni secondi e proseguirono nella mia ricerca.

Mi sedetti in terra e ripresi fiato, per la fuga avevo smesso di seguire le vibrazioni nell’aria, quindi fu una fortuna percepire che erano molto vicine, come se anche nella fuga fossi stata indirizzata verso quelle stradine strette. Attesi ancora qualche minuto prima di uscire dall’ombra, per non fare rumore mi tolsi le scarpe, almeno quelle le avevo messe prima di lanciarmi dalla finestra, e camminai verso il punto dal quale provenivano quei terremoti.

“Per quanto ancora vuoi farmi aspettare?!” La voce fece di nuovo capolino nella mia testa. Le vibrazioni aumentarono e dopo varie stradine, scale e incroci sbucai di fronte ad un enorme castello aragonese illuminato da fari arancioni che ne accentuavano la magnificenza. Alte mura mi osservarono in segno di sfida mentre da una delle torri sventolavano bandiere facendo un gran fracasso.

“Non ti vergogni ad andare in giro senza pantaloni?” Mossi rapidamente lo sguardo alla ricerca di quella voce, quell’ultima frase era stata pronunciata nelle vicinanze, non era comparsa nella mia mente, infatti Pierfrancesco mi attendeva appoggiato ad una macchina. “Con quelle mutande rosse poi, non siamo mica a capodanno!”

“Non sono rosse, sono rosa!” Risposi alla sua provocazione come una bambina, era lo scarso livello di ossigeno al cervello, causa della corsa. Mi inginocchiai per riprendere fiato, se mi avessero chiesto di fare la strada al contrario e tornare da Irina, non ci sarei mai riuscita.

“Sei stata in gamba ad aver sconfitto Irina anche se ripensandoci non era poi così scontata la lotta tra una occhi a mandola ed una zingara, siete entrambi inutili.”

Non risposi alla sua provocazione razzista, rimasi però sorpresa dall’insulto rivolto a quella persona che un tempo aveva amato, poi ripensai a tutte le cose che dissi io a Li quando scoprii che stava con un'altra, diciamo che avevamo reagito in modi simili; alle mie spalle arrivarono i due carabinieri, ero stremata, non sarei riuscita a scappare una seconda volta, , cominciai a rimpiangere i miei pattini rossi, soli soletti sotto il letto a Tomoeda. Contro ogni aspettativa vidi un terzo carabiniere, in divisa perfetta, che si avvicinò al mio avversario, li vidi scambiarsi alcune frasi e sguardi di sfida finché tutti e tre i militari non se ne andarono lasciandomi sola con Pierfrancesco.

“In questa città, così piccola, ci conosciamo praticamente tutti e le persone dotate di capacità magiche sono più di quelle che ti potresti aspettare, quello era un Maresciallo e vecchio amico di famiglia, un pezzo grosso, nella vita ha approfondito tecniche di controllo dell’elettricità, incredibili ma le ritengo troppo complicate e instabili per essere usate in combattimento.” Pierfrancesco doveva aver notato la mia faccia sorpresa. “E’ a conoscenza della nostra lotta imminente e non ci darà fastidio.”

Ripresi finalmente fiato, il Castello di spalle al mio nemico era maestoso e le luci notturne gli conferivano un’aura davvero mistica, magnetica, ripensandoci non poteva esserci sfondo migliore per quell’incontro.

“Hai detto imminente!?” Avevo ripreso fiato ma la stanchezza sarebbe rimasta.

“Si, penso che sia il caso di porre fine a questo torneo, anche tu sei del mio stesso parere altrimenti non avresti corso fin qui.”

Abbassai lo sguardo, mi sarebbe piaciuto affrontare quell’ultima sfida con uno dei vestiti confezionati da Tomoyo, piuttosto che in mutande; ignoravo la situazione psico-fisica del mio ultimo avversario ma doveva essere perfetta, al contrario della mia che era disastrosa sotto ogni punto di vista: iniziare l’ultimo combattimento in quell’istante significava rischiare tutto, quasi per un capriccio. La ragione diceva di non accettare ma le questioni in ballo erano troppe: la promessa fatta ad ‘Adel e quella a Irina, la salvezza mia e di Li per non finire il galera e il pressante desiderio che tutto potesse tornare alla normalità; volevo vincere per rimettere a posto il casino fatto a Pompei, volevo che mio padre vedesse gli scavi e si potesse meravigliare nel camminare sul ciottolato di oltre duemila anni; il cuore, al contrario, batteva sempre più forte in attesa del nuovo scontro. Da quando ero diventata così competitiva e così non curante della mia incolumità? Bah, le carte di Clow mi hanno influenzata, è vero, ma avevo sempre creduto di poter controllare questo condizionamento cercando di restare una ragazzina come tutte le altre, la verità è che crebbi incredibilmente veloce a causa delle responsabilità che si annidavano nelle mie tasche, quelle carte avevano il potere di distruggere ogni cosa ed era compito mio fare in modo che ciò non avvenisse. Un volta catturate tutte mi ero ripromessa che non le avrei mai utilizzare contro altre persone; avevo infranto la mia stessa promessa ma non mi sentivo in colpa.

L’adrenalina entrò in circolo, potevo chiaramente sentirla scorrere nelle braccia e nelle gambe, speravo che mi aiutasse nonostante la stanchezza della corsa. Evocai le carte del vento e del volo per librarmi più in alto che potevo. Il mio avversario restò ad osservare la scena senza battere ciglio, anche quando la carta dell’arciere gli scagliò contro una decina di frecce, si limitò a passeggiare per evitarle con calma snervante.

Atterrai sul castello e cercai un carta che mi potesse essere utile, mossa sbagliata: una parte delle mura si sgretolò sotto di me e mi salvai solo perché il potere della carta del volo era ancora attivo, decine e decine di pietre cominciarono a volare in tutte le direzioni cercando di colpirmi, alcune erano piccole come schegge mentre altre grandi quanto televisori. Venni colpita ripetutamente prima di riuscire ad usare la carta dello scudo ed atterrare senza troppi danni.

“Maledizione!” Lo esclamai, anzi, lo urlai. Ero stata colpita al ginocchio e quasi mi accasciai. Cercai di farmi più piccola possibile mentre le rocce si scagliavano sullo scudo nel tentativo di sfondarlo e quel momento non avrebbe tardato.

Dovevo giocare bene le mie carte, in tutti i sensi: afferrai la carta della piccolezza e le pietre di restrinsero fino a diventare sabbia e quello fu il momento di prendere la carta della sabbia e la tecnica del mio avversario gli si ritorse contro. Smise di fare il gradasso e si gettò a terra mentre i proiettili di sabbia lo sfioravano di pochi centimetri disintegrando alcune auto e facendo scattare l’allarme di altre.

“I miei complimenti” Pierfrancesco si scrollò la polvere di dosso con calma indicibile, io ero dolorante e con il fiatone.” Sei quasi riuscita a farmi spaventare. Non c’è male come inizio e comincio a comprendere come tu possa essere arrivata fin qui.”

Non mi diede il tempo di respirare, mi ritrovai a correre per evitare i frammenti delle auto di poco prima che mi piovevano addosso infuocati. Non c’è altro modo di spiegarlo: il ferro non arde, era opera sua e se uno di quei frammenti mi avesse colpito sarei stata sconfitta. Corsi fino a che non trovai la carta dell’acqua ed invocandola evitai di essere colpita e feci in modo che un mini tsunami si abbattesse sul mio avversario.

“Sei ripetitiva!” Ancora prima che l’onda lo colpisse era scomparso e riapparso su di una torre del castello. L’acqua si ritirò e saltò giù atterrando come se stesse scendendo da un gradino. Mi guardava con sfida ma non osava avvicinarsi. Intuii che fosse specializzato in attacchi a distanza, nel corpo a corpo era possibile vincere. Evocai la carta del vento per alzare polvere ed acqua, in modo da disturbarlo, successivamente e in rapida sequenza evocai anche le carte della lotta e della velocità: ancora prima che potesse rendersene conto lo colpii con un pugno poco sotto il collo mandandolo a terra dolorante.

Lo ammetto, non era una cosa che avevo fatto spesso, direi che fu proprio la prima, avevo delle promesse da mantenere ed un padre in pensiero che non desiderava vedere la sua figlia innocente dietro delle fredde sbarre. Poteva avere tutte le ragioni del mondo per combattere ma avrei vinto io, era il momento di crescere.

In che senso crescere? Fino a quell’avventura non avevo mai buttato lo sguardo oltre Tomoeda, l’unica viaggio fatto era stato ad Hong Kong e non avevo più sentito il bisogno di viaggiare, nemmeno di sapere cosa succede oltre i confini del Kantō, nel mondo, era un menefreghismo che non mi era mai pesato ma più camminavo in Europa e più capivo quanto fossi stata stupida a nascondere le carte dove le avevo trovate; non sapevo fino a che punto potesse essere schifoso il mondo, non avevo mai pensato che avrei potuto usare le carte come un dono, un dono per migliorare il pianeta e salvare delle vite.

La mano mi pulsava, non avevo mai colpito nessuno in vita mia e soprattutto, nei film non fanno mai vedere che si fa male anche chi il pugno lo dà, non solo chi lo riceve, ed a proposito di chi lo riceve, il mio avversario si trovava ai miei piedi che tossiva e cercava di riprendere a respirare; non era mia intenzione colpirlo così vicino al collo, volevo colpirlo al volto ma per la velocità non ero riuscita a centrare il bersaglio.

Avrei potuto eliminarlo subito e porre fine al torneo, vincere, mantenere le promesse.

Invece NO! Come una stupida mi inginocchiai per accertarmi delle sue condizioni, mi sentivo in colpa per il fatto che non stesse riuscendo a respirare. Ripensandoci ho fatto bene e non ucciderlo, penso non ne sarei mai stata capace.

“Stammi lontana.”

Ricevetti un calcio, per il mio avversario era già abbastanza umiliante essere stato atterrato in quel modo, figuriamoci ricevere le mie cure. Si rialzò barcollante e con le lacrime agli occhi; non potei che allontanarmi dato che il suo sguardo non era dei più rassicuranti, presi di nuovo il  volo e sperai di poter essere al sicuro a mezz’aria.

Fu allora che capii di cosa fosse davvero capace, d’improvviso cominciò a grandinare, pezzi di ghiaccio grandi come ghiaia, non avevo niente con cui ripararmi e non sto a dirvi quanto facessero male, scendere significava mettermi in trappola. Non sapevo che carta usare: ghiaccio, tempesta, scudo? Le presi in mano tutte e tre decisa ad utilizzarle una dopo l’altra ma un dolore lancinante al braccio mi fece aprire la mano per istinto e le vidi svolazzare verso terra. Avevo una fiamma sul braccio, la spensi d’istinto con l’altra mano ma non era che l’inizio ed ancora lo sogno: migliaia di chicchi di grandine infuocati precipitavano verso di me attirati dalla gravità. Il fiato in gola mancò di colpo, l’adrenalina aumentò di velocità e con un colpo di reni puntai lo scettro verso terra per scendere in picchiata e cercare riparo.

Irina aveva ragione: era incredibilmente forte, forse non avrei dovuto affrontarlo senza essermi prima preparata. L’acqua rimasta dal mio attacco precedente prese fuoco - cominciavo ad odiare la semplicità con la quale aggirava le leggi della fisica, sicuramente Newton si stava agitando nella tomba – e di conseguenza non potevo atterrare: esitai e fu la scelta peggiore che potessi fare perché Pierfrancesco ricambiò il mio pugno colpendomi con uno schiaffo. Sentii il naso dolermi, come quando Rika Suzuki lo ruppe il primo giorno di scuola, e il sangue colare sulla bocca e il collo. La grandine in fiamme cadeva attorno a noi formando una prigione di fuoco dal quale non vedevo via d’uscita, caddi dallo scettro e le fiamme sgombrarono l’asfalto, sembrava proprio che volesse finirmi lentamente.

“Spada!” Fu la prima carta del mazzo e dopo aver recuperato lo scettro lo trasformai e mi preparai a difendermi; barcollavo e bastò uno spostamento d’aria a farmi cadere e perdere la mia arma. Ero finita, ne fui sicurissima e chiusi gli occhi in attesa del colpo finale, per le regole del torneo avevo ancora le forze per continuare e quindi l’incontro non terminò, non provai a difendermi perché sapevo di non avere speranza di vittoria.

“Non osare arrenderti!” Le parole del mio avversario arano molto minacciose ma cominciavo a prendere in considerazione quella possibilità, anche se inutile: in caso mi fossi arresa, per la rabbia mi avrebbe finito lo stesso.

 

“Come osi?!” A quelle parole alzai lo sguardo e vidi una figura scura attraversare le fiamme con un gran balzo e raccogliere la spada, si mise tra me e Pierfrancesco e gli puntò contro la spada in segno di sfida. Solo quando Kerochan mi raccolse e allontanò dalle fiamme capii che si trattava di Li. Udii il rumore di lame che lottano ma ero impossibilitata dal vedere ciò che accadeva; venni portata in un vicolo vicino e Irina ci venne incontro con il viso preoccupato: “Sei una stupida! Ti avevo detto avvisato.” Mi porse una bottiglietta d’acqua e la mandai giù in appena due sorsi mentre Kerochan tornava nella sua forma pupazzetto.

“Non è la vostra battaglia!” Figurai davvero fica mentre lo dicevo, lentamente il cuore rallentò il battito, ero davvero esausta. Un’esplosione squarciò l’aria e temetti per l’incolumità di Li, mi affacciai nel vicolo e con mia sorpresa notai che le fiamme erano scomparse, c’era solo cenere e i due combattenti uno di fronte all’altro, l’esplosione era stata tale che in tutta la città gli allarmi delle auto cominciarono a suonare e si udirono parecchi vetri andare in frantumi, speravo che nessuno rimanesse ferito; a quel punto pensai a Tomoyo e Papà, il fragore li aveva ridestati di sicuro e la mia amica, videocamera sotto braccio, stava correndo verso di noi, figurarsi se si fosse fatta scappare uno scontro del genere.

Irina infilò delle garze su per le mie narici nel tentativo di fermare il sangue, il dolore fu terribile ma la lasciai fare dato che potevo recuperare un po’ di fiato.

“Li non resisterà a lungo!” Kerochan sembrava molto preoccupato, lo presi per un orecchio e sparsi le carte in terra, avevo bisogno che mi consigliasse. “Sbaglio o hai perso delle carte?”

“Mi sono cadute poco fa, renditi utile e consigliami cosa usare.”

“Sei una incosciente…comunque se evochi nebbia, illusione e fulmine potresti riuscire a prenderlo di sorpresa ma dubito che basterebbe.”

“A cosa serve questa?” Irina mise il dito sulla carta della fantasia.

“Posso far apparire ciò che voglio!”

“Pierfrancesco è estremamente aracnofobico, alla vista di un ragno diventa talmente nervoso che va in tachicardia: fai apparire una serie di ragni giganti, per lo spavento abbasserà la guardia e potrai colpirlo.”

“Perché non lo hai detto prima?”

“Perché non pensavo che tu potessi far apparire dei ragni, mi chiamo Irina non Nostradamus.”

Era un suggerimento prezioso come i diamanti ma il problema sarebbe stato applicarlo: lo scettro lo stava usando Li e recuperarlo significava mettermi tra i due. Raccolsi le carte e dopo averle rimesse in tasca mi avvicinai allo scontro. Decine e decine di altre persone uscirono dalle proprie case, alcune scappavano, altre si avvicinavano per godersi lo spettacolo. Come aveva detto il mio avversario prima dello scontro, in quella città le persone dotate di capacità magiche era più di quelle che mi aspettassi, tanto che una o due volte dovetti farmi largo.

“Li, dammi lo scettro.”

“Ti sei già riposata? Non ci credo!”

“Smettila di fare l’idiota e dammi quello scettro, lo devo sconfiggere io!”

“Ascolta la tua amica!” Pierfrancesco mosse le mani e un’incredibile folata di vento scaraventò Li a terra facendogli perdere la spada. Era il momento: scattai dolorante come non mai e grazie ad alcune reminiscenze di Softball delle scuole medie scivolai come se dovessi fare punto ed evitare il guanto avversario, raccolsi lo scettro e ringraziai la carta della spada, evocai la Fantasia che fece apparire migliaia di tarantole intente a circondare il mio avversario.

Irina aveva ragione: Pierfrancesco urlò come un bambino e lanciò dalle mani fiammate isteriche in ogni direzione nel tentativo di uccidere e scacciare i ragni. Ovviamente più ne bruciava e più ne creavo, infine ne feci comparire tre giganti, tra i più schifosi che avessi mai visto su Discovery Channel.

Era il momento: lasciai che, come suggerito da Kerochan, la carta del fulmine lo colpisse più e più volte. Stanco e spaventato svenne rovinando a terra, era finita.

Anche io crollai, Li e Kerochan si precipitarono per assicurarsi delle mie condizioni mentre tutt’intorno la gente applaudiva e gridava complimenti. Notai Irina che prendeva tra le mani il volto di Pierfrancesco e si sedeva accanto a lui, gli accarezzò più e più volte le guance sussurrando qualcosa che non riuscimmo a percepire, sorrise e fu l’ultima volta che la vidi in quell’avventura.

“Sei stata grande, Sakura” Kerochan si trasformò nella forma completa e Li, non senza arrossire, mi prese tra le sue braccia per portarmi sulla groppa del guardiano; ero felice ma incredibilmente stanca, nascosi il viso sul suo petto e presi sonno all’istante.

 

Quando le carezze di papà mi ridestarono dal sonno, per la seconda volta mi ritrovai in un’ambulanza. Mi parlò dolcemente, con la voce rotta dalle lacrime, e spiegò che eravamo diretti di nuovo al pronto soccorso, sorrisi nel vederlo e restai sveglia per tutto il tempo che passai tra le mani dei medici. Controllarono il naso, curarono le bruciature e le ferite, fu una operazione lunga e dolorosa ma finalmente, per modo di dire, mi condussero in una stanza della degenza donne, infine venni ammanettata al letto da due Carabinieri.

La presi con filosofia: potevo finalmente dormire in pace ed è proprio quello che feci, ameno fino all’alba quando il braccio cominciò a dolere come se lo stessero amputando. Urlai e i due carabinieri entrarono nella stanza ma non poterono fare altro che suonare il campanello per chiamare i medici. Mi portarono in sala di medicazione e con mia sorpresa notai di avere l’intero braccio nero, come se lo avessi immerso nella vernice, le mani dei medici mi toccarono ovunque e dalle loro facce sembravano non sapere che mi stesse succedendo, almeno non ero la sola; mi tolsero la maglietta e restai in reggiseno, il nero stava avanzando sulla pelle come una chiazza di petrolio, sotto i miei occhi il nero inglobò tutto il braccio con il segno del Torneo Haab, successivamente toccò al seno e avanzò verso la pancia e il collo, più avanzava e più faceva male, sembrava che mi scuoiassero con miglia di aghi. I medici iniettarono un antidolorifico ma non fece effetto e finalmente i carabinieri mi tolsero le manette, cominciai a dimenarmi finché non fui completamente nera.

Il dolore sparì di colpo e con la coda dell’occhio vidi fuori da una finestra parzialmente chiusa che il sole stava sorgendo proprio in quegli istanti; il mio cuore rallentò e i polmoni ricominciarono a respirare in modo meno affannato, il sudore sparì e mi rizzai in piedi. Il nero cominciò ad essere assorbito dalla mia pelle lasciando disegni della cultura Maya, non li avevo mai visti ma ne comprendevo il significato, capivo perfettamente anche le parole dei medici e dei carabinieri.

Iniziai ad udire tutto vicinissimo: le gocce nel lavandino della sala di medicazione e il rumore dell’acqua nel resto delle tubature dello stabile, il respiro dei pazienti dormenti dell’ospedale, i medici negli altri reparti, il motore delle auto che passavano sulla strada e la loro autoradio, il rumore della corrente elettrica che attraversa i cavi dei pali della luce, le serrande dei primi bar che aprono la mattina presto, le persone della città che si svegliano sbadigliando, i bambini che piangono durante la notte, il russare di chi ancora dorme e i gemiti di chi fa l’amore la mattina presto, i primi caffè nella moka e i primi cinguettii, le onde che si infrangevano sulla spiaggia e il motore delle barche che tornano dalla pesca. Tutto era così vicino, come se fosse nella stessa stanza; i medici e i carabinieri si muovevano lentamente, quasi immobili, uscii nel corridoio, giù per le scale e all’aperto. Non avevo ne freddo ne caldo, ero a piedi nudi e percepivo addirittura il calore che proveniva dal centro della Terra; la luna e il sole, avevo la percezione di poterli toccare solo allungando le braccia, niente più dolore, tutto ciò che era intorno a me sembrava così normale e familiare come se fossi stata io a creare ogni singolo atomo ed avevo voglia di farli miei, di percepire ancora di più tutto ciò che era intorno a me: tolsi i vestiti e restai nuda, erano un ostacolo per le mie percezione e fu quasi spaventoso sentire il vento sulla mia pelle, trasportava da lontano miliardi di odori, sensazioni, granelli di polvere ed ognuno di loro aveva toccato un qualcosa che si materializzava all’istante nella mia testa.

Ero diventata ciò che mi aveva detto ‘Adel: ero un Dio.

 

Aprii le braccia ed andai nella stanza frigorifera dell’obitorio, a Napoli. ‘Adel era li che mi attendeva ma non potevo ridargli la vita. Perché? Conosco il perché ma non posso rivelarlo.

Lo scoprii da un involucro di plastica e lo abbracciai nonostante fosse freddo come la neve. Non riuscii a piangere ma ne ebbi un’incredibile compassione, come fossi sua madre, la mogie, la sorella, il padre, una percezione della tristezza talmente forte da non riuscire ad entrare nel mio cuore, come se fosse troppo grande rispetto all’entrata. Anche lui era nudo e avevano eseguito sui suoi resti un’autopsia, se ne vedevano i segni.

Lo sollevai come fosse di gommapiuma e riapparvi in un lussuosissimo soggiorno nel quale mi attendeva una donna anziana con il capo coperto da un velo rosa finissimo, quasi invisibile. Al mio arrivo si inchinò e ricambiai con un leggero movimento del capo; sembrava che mi attendesse da molte ore e l’intera stanza era abbellito da bellissimi fiori e doni culinari dal profumo afrodisiaco. Lasciai ‘Adel su di un divano della stanza e gli baciai la fronte, quella della prima persona che mi aveva trasmesso pulsione sessuale, voglia di accogliere qualcuno dentro di me e di non lasciarlo più andare via, lui mi aveva trattato così bene, da principessa.

Sapevo che la donna era la madre e si rialzò porgendomi un libro con la copertina di pelle verde e scritte arabe dorate riportante la scritta Corano, mi bastò toccarlo per vedere la storia di quel libro molto antico, storico cimelio di famiglia e oggetto inestimabile. Accettai il gesto ma non potevo portare quel dono con me, mi congedai dopo aver dato un’ultima carezza al viso del figlio.

 

Era arrivato il momento di andare in un altro posto importante e riapparvi a Pompei per far tornare normale l’anfiteatro che aveva distrutto Irina, fu facile perché bastò pensarlo e le pietre tornarono una ad una al loro posto ; fu la volta poi di andare a Pripyat e apparvi sul punto più alto della ex centrale elettro-nucleare. Mi bastò toccarla per vederne tutta la storia, la sofferenza causata e quella futura. Rimuovendo la radioattività tutta in una volta sarebbe parso strano ai governi e poco costruttivo, aprii le braccia e pensai che da quel momento in poi la radioattività si sarebbe esaurita molto più velocemente, in modo che Irina sarebbe potuta tornare con il figlio in città.

 

Lasciai la scheletrica città Ucraina per apparire sulla Bab el Khadra, la Porta Verde, ingresso della città vecchia di Tunisi, in Tunisia. Dovevo esaudire il desiderio di ‘Adel e sciogliere la promessa che ci eravamo fatti, sentivo che sarebbe dovuto iniziare tutto in quel paese, aprii di nuovo le braccia e il suo desiderio fu esaudito. Sorrisi e finalmente alcune lacrime sgorgarono dai miei occhi, mi sentivo appagata e felice. Chiusi gli occhi e quando li riaprii ero di nuovo ad Agropoli per rimettere in sesto la parte di castello crollato durante lo scontro con Pierfrancesco e risolvere il problema che mi aveva trascinato fino in Italia.

 

La missione era compiuta. Mi ci volle davvero poco tempo per portare a termine quei compiti perciò decisi di riapparire davanti Li. Potete immaginare la sua sorpresa nel vedermi nuda, voltò lo sguardo e notai che aveva il viso rosso come il sangue, mi avvicinai e poggiai la mano sul suo petto. Tastai i suoi sentimenti, era come se fossero solidi e li tenessi in mano: vidi l’amore che aveva provato per quella sua compagna di classe a Hong Kong e ne vidi anche la gioia dei momenti che ci passò insieme. Capii che non sarei mai riuscita a donargli quegli istanti a causa della nostra lontananza, non potevo riempirlo di baci come faceva lei, fargli il solletico, rubargli le patatine al cinema o correre insieme sul prato, mi sentii il colpa ad aver provato odio nei suoi confronti; mossi le dita fra i sentimenti, trovai tristezza e vergogna vicino ai miei ricordi, si sentì incredibilmente in colpa e triste per la distanza che ci separava e per essersi abbandonato ad una ragazza che non fossi io. C’erano anche confetti recenti - si, i sentimenti di una persona hanno le sembianze di confetti colorati – erano rosa e portavano il mio nome, luminosissimi avevano il sapore della gioia di stare anche solo di fianco a chi si vuole bene e di guardare quella persona sorridere, uno però era quello della delusione, piccolo e scuro rappresentava tutto il dolore che gli avevo procurato con la mia testardaggine e stupidità, li accanto però, ce n’era uno rosso intenso, piccolissimo, e profumava di miele, era l’odore dell’amore, di chi ama, lo presi e lo divisi delicatamente in due per mangiarne una parte, era davvero buono, forse la cosa più buona che avessi mai assaggiato.

Rimisi il resto dei sentimenti a posto e indietreggiai di alcuni passi; la faccia disorientata di Li l’ho sempre trovata davvero esilarante.

Avevo portato a termine il mio scopo in Italia e allargai un’ultima volta le braccia per far scorrere veloce quel giorno e al calare del sole tornai nella mia stanza d’ospedale come se nulla fosse mai accaduto.

Riaprii gli occhi che il sole era già sparito, in compenso c’era mio padre: “Piccola, come stai?” Furono parole dolci e cariche di preoccupazione, non potei che rispondere lasciandomi abbracciare.

 

Fui dimessa due giorni dopo: gli accertamenti durarono più del previsto perché in seguito a quella esperienza da dea i valori delle analisi schizzarono alle stelle allarmando i medici; quando fui stabile venne a prendermi un furgoncino della polizia penitenziaria e mi trasferirono a Salerno, insieme a me c’erano in quanto minorenne uno psicologo, un interprete ed un medico. Potete intuire il mio nervosismo, e vi sbagliate: ero incredibilmente calma, tanto che mi addormentai beatamente durante il viaggio fino al retro del tribunale. Ancora intontita scesi dal mezzo e accompagnata dentro fino ad una sala con un grande tavolo di legno finemente levigato e varie persone sedute tutt’attorno. Presi posto accanto allo psicologo e la interprete ed attendemmo l’arrivo del giudice. Nel frattempo fece il suo ingresso papà, lasciarono che prendesse posto vicino a me, il tutto sotto l’occhio vigile delle guardie dalla divisa celeste.

Finalmente si aprirono le porte ed entro un carrello con televisore e lettore DVD seguito dal giudice. L’addetto che aveva trasportato l’apparecchio inserì un disco e fece partire il filmato. Apparimmo io e Li nello stesso ambiente del filmato che ci mostrarono a Tomoeda, solo che questa volta eravamo ripresi da una diversa angolazione e ci mostrava intenti nell’evitare che il signor Suzuki cadesse oltre il muretto.

Papà sospirò per la lieta sorpresa.

Visionammo il video più e più volte e ribadimmo altrettante volte che non mi ero mai spostata dal Giappone nel periodo in cui sarebbe accaduto il fatto.

Dopo averci ragionato su il Giudice si alzò in piedi e parlò in Italiano per alcuni minuti ed in seguito si ritirò così come era entrato. Ci voltammo verso l’interprete sorridente e ci spiegò che il Giudice aveva deciso di non rinviarmi a giudizio in quanto il fatto non sussisteva, dovremo però dimostrare, tramite il mio legale, che non avessi lasciato il Giappone in quel periodo.

Era una vittoria! Il fatto era avvenuto a Luglio, sarebbe bastato mostrare le presenze scolastiche del mese per essere definitivamente libera. Mi vennero tolte le manette e dopo aver stretto la mano all’interprete e allo psicologo, potei abbracciare mio padre in lacrime.

 

Napoli, tornammo nella città partenopea quasi subito, non prima di aver visitato tutti insieme, io, papà, Li e Tomoyo, Pompei. Fu una giornata bellissima, scattammo centinaia di foto e registrammo video su video grazie a Tomoyo. La foto più bella fu quella che ci fece uno dei custodi, ci riprese con il Vesuvio alle spalle, attualmente è la foto migliore che ho in camera.

Una volta tornati a Napoli sapevo ciò che sarebbe successo.

Li restò con noi per altri due giorni; papà volle visitare l’Università l’Orientale e per caso scoprì in una bacheca, che un suo libro era stato adottato in uno degli insegnamenti, si informò e dopo aver incontrato il docente dell’insegnamento venne invitato a partecipare alle lezioni della settimana; per Li non c’era motivo di restare.

Quella furba di Tomoyo finse di star male per due giorni e durante le lezioni di papà io e Li visitammo la città. Fu una furbata incredibile da parte della mia amica ma quei due giorni, non posso nasconderlo, furono bellissimi. Visitammo i castelli, i quartieri spagnoli, le ville, i cimiteri monumentali, i negozietti artigiani, la fontana del Bernini, e tantissimi altri posti, due giornate davvero incredibili.

Sembrava come se, con la fine di quella brutta vicenda, ci fossimo alleggeriti, non facevamo che sorridere e scattare e riprendere grazie alla attrezzatura che ci prestò la finta malata. Conservo gelosamente il video che mi fece Li mentre passeggiavamo per la Piazza del Plebiscito.

“Sai, mi sento come se mi mancasse la metà di qualcosa.” Li aveva detto la cosa più sensata di tutta quella vicenda. Si era accorto di ciò che avevo fatto con quel confetto rosso raccolto dal suo petto e sentii le mie guance avvampare. “Facciamo un ultimo giro prima di tornare per cena?”

Io annuii e lo seguii lungo le vie, era quasi ora di cena e il sole cominciava a tramontare, il giorno dopo sarebbe partito in treno per Roma e da li avrebbe preso un aereo per Hong Kong, aveva già tutti i biglietti sul comodino dell’albergo.

Passeggiammo finché non sentii il cuore piangere, non mi sono mai chiesta se avessi fatto bene a dividere quel confetto, Li era stato gentilissimo ad accompagnarmi, sopportarmi, pagare le spese e salvarmi nell’ultima battaglia. Lo avevo trattato così male da sentirmi un ladra, desideravo poter provare qualcosa nei suoi confronti, qualcosa di bello e quel gesto del confetto fece da trampolino a ciò che avvenne in quelle ultime ore insieme a Napoli.

Mi avvicinai e lo acchiappai alle spalle stringendolo in un abbraccio quasi soffocante. Poggiai il viso alla sua schiena e trattenni le lacrime, basta piangere; non sapevo quando lo avrei rivisto, quando avrei potuto sentire di nuovo la sua mano nella mia, il suo odore o anche solo parlargli guardandolo negli occhi.

Lui si immobilizzò quasi all’istante, non si aspettava quel gesto ma era come se ci sperasse con tutto se stesso. Restammo in quella posizione per alcuni secondi mentre la gente ci camminava attorno senza badare a noi finché non si divincolò per voltarsi ed abbracciarmi a sua volta: “Penso che così vada meglio.”

Quella sua frase vi avvolse come altre due braccia e per far incontrare le mie labbra con le sue non dovetti fare altro che alzare il viso e chiudere gli occhi.

Era la prima volta che ci baciavamo in quel modo, la prima volta che assaggiavo le sue labbra in quel modo, la sua lingue e quel suo abbraccio così stretto. ‘Adel aveva ragione, lo avevo voluto con me per un motivo specifico, gli volevo troppo bene per lasciarlo fuori dalla mia vita e sembrava che aver aspettato e ripensato alla nostra situazione più e più volte avesse zuccherato le nostre labbra.

 

Ci lasciammo così.

Eh si, questa è la vita reale, non ci potevamo amare stando così lontani, non a quell’età.

Lo vidi salire sul treno e non lasciai il suo sguardo finché il vagone non cominciò a muoversi. Non piansi, non risi, non dissi nulla per quasi due giorni e solo allora realizzai di non averlo più intorno, di non sentire la sua presenza rassicurante, invadente e snervante allo stesso tempo. Mi mancò tantissimo ma non so’ dire se ci amammo in quelle ultime poche ore che passammo abbracciati. Come sono complicate le cose quando si cresce, forse era meglio se avessi deciso di far tornare indietro il tempo e vivere una seconda infanzia.

E’ tutto più facile quando il gesto d’amore più profondo del nostro arsenale è quello di un bacio sulla guancia.

 

 

 

 

Epilogo

 

 

Alicante. Spagna mediterranea.

Scendemmo finalmente dal treno dopo quasi tre ore e mezzo di corsa e Tomoyo fu la prima a stiracchiarsi. Il sole estivo ci riscaldò per bene ridandoci il sollievo negato dall’aria condizionata polare del treno, avevamo le ossa doloranti come delle vecchiette.

Il tassista prese i nostri bagagli e ci portò per le strade trafficate in un viaggio snervante fatto di spunti e frenate continue fino ad una piccola piazza davanti ad un imponente palazzo bianco in stile Liberty. Recuperammo i nostri trolley e dopo aver pagato attraversammo la strada per goderci a pieno lo spettacolo che avevamo intuito dall’auto. Un’enorme piazza rosa faceva da palco sul mare di fronte al bellissimo porticciolo turistico con centinaia di natanti bianchi ormeggiati, il loro moto era regolare e si muovevano tutti insieme con le onde creando un effetto quasi ipnotico mentre dalla parte opposte, su di un monte, il castello della città medievale sembrava godersi lo spettacolo di quelle barche e delle campanelle che suonavano al vento. In molti fotografano la costruzione e non potevamo non intuire che la notte sarebbe stato uno spettacolo mozzafiato.

Dopo aver scattato anche noi alcune foto, attraversammo nuovamente la strada e percorremmo alcuni isolati, guidate dal cellulare di Tomoyo, fino ad una vetrina recante una enorme scritta rossa TATOO.

Entrammo e ci venne incontro un uomo con braccia e gambe tatuate, come se lo scopo primario fosse stato quello di nascondere la pelle.

“Buenos dias, me llamo Sakura y estoy buscando Irina” Il mio Spagnolo aveva un accento terribile ma l’uomo capì ugualmente e mi sorrise: “Ahora està terminando un trabajo, si no tienes prissa puedes esperar un ratito. Creo que terminarà en diez minutos.”

“Vale, gracias!”

Ci accomodammo nella sala d’aspetto all’ingresso dello studio, aver studiato Spagnolo al secondo anno di Università era servito a qualcosa, peccato che fosse la prima volta che potevo davvero metterlo in pratica.

Si: universitaria!

Accompagnai Tomoyo a Madrid durante le vacanze estive del mio terzo anno accademico, erano passati alcuni anni dalla mia avventura italiana. Al ritorno in Giappone venni informata di aver perso un anno di scuola e dovetti ricominciare l’anno successivo, nel frattempo lavoricchiai in un ristorante vicino casa.

I miei incantesimi da, per così dire, dea avevano dato frutto: la vicenda del signor Suzuki fu chiusa come incidente, non era giusto ed è vero, ma questo donò un po’ di sollievo a quella famiglia e strano ma vero, io e Rika andavamo talmente d’accordo da uscire insieme dopo la scuola; per il desiderio di ‘Adel siamo tutti a conoscenza della Primavera Araba, in quella parte di mondo si è lottato parecchio in nome dei diritti e della democrazia, e si continuerà a farlo per tantissimo tempo, spero che ‘Adel ne sia contento; per quanto riguarda Pripyat è notizia recente che la radioattività è calata in modo ragionevole, tanto che il governo permette visite più frequenti alla vecchia città permettendo l’ingresso anche ai bambini.

“Vedo che ti è cresciuto il seno, e che seno!” Irina apparve da dietro una tenda posta a separare il laboratorio dalla sala d’aspetto. Fece il solito incantesimo per permettere di parlarci.

Ci venne incontro e mi abbracciò come una mamma fa con la figlia. Aveva il viso carico di gioia e mi squadrò dalla testa ai piedi: “Sei diventata una donna meravigliosa, e dire che quando ti ho conosciuto eri ancora una mocciosa!”

“Schietta come sempre. Non è stato facile trovarti!”

“Mi sono spostata molto in Europa ma alla fine ho aperto questo studio con mio Marito, piuttosto: che cosa ci fai qui?”

“Spero che tu ricordi ancora quegli schizzi che mi hai fatto in ospedale, ad Agropoli.”

“Certo.” Si scostò i capelli biondi da davanti il viso. “Non dimentico mai un mio disegno: vuoi i fiori di ciliegio, uno per ogni polso!”

“Esatto.”

Seguii la donna che un tempo mi aveva quasi ucciso nel laboratorio e mi fece accomodare su di una poltrona per prepararmi ad essere punzecchiata per bene.

“Ho chiamato mia figlia, la secondogenita, come te!” Irina disegnò i fiori di ciliegio con un pennarello rosso sui polsi interni di entrambe le braccia, era incredibile vederla lavorare.

“Perché?” Non me l’aspettavo.

“Spero che lei possa avere la tua stessa forza, la bellezza e la voglia di vivere che ho percepito stando vicino a te. Sei una persona speciale ed hai dimostrato di essere la persona dotata di poteri più potente oggi in circolazione. Altri si sarebbero montati la testa ed avrebbero intrapreso la conquista del mondo, o peggio. E’ un bene che abbia vinto tu.”

“Che fine ha fatto Pierfrancesco?” In quel momento gli aghi cominciarono a delineare i contorni del fiore destro, fece un gran male, il tatuaggio nei polsi è tra i più dolorosi.

“Chi lo sa?! Penso che sia da qualche parte in Turchia o India, se non a Torino, comunque in qualche luogo carico di magia. Non l’ho più visto ne sentito. E tu? Il cinesino che era con te?”

Non seppi che rispondere e dribblai la domanda. A fine mattinata ebbi in regalo due splendidi fiori di ciliegio nei polsi. Erano meravigliosi, sembravano così veri e quanto si sarebbero cicatrizzati i dettagli delle ombreggiature li avrebbero rei ancora più veritieri; i fiori mi avrebbero ricordato per sempre ciò che era successo in Italia e il fatto che se si ha qualcosa per cui vale la pena andare avanti gli sforzi prima o poi, saranno ricompensati.

 

So’ che volete sapere di Li.

Siamo rimasti in contatto, certo, ma non lo rividi fino al primo anno di Università, quando venne per sbrigare alcune commissioni a Tokio. Questa è un'altra storia, molto contorta ma che tengo nel cuore, dopo quella vicenda non lo vidi per molto tempo ma ora è molto vicino.

Crescemmo e acquisimmo esperienza lontani, in due realtà culturali diverse, e da un punto di vista adulto fu giusto così. So che lo volete sapere, brutti maliziosi, e ve lo dirò: non ho perso la verginità con lui e aggiungo anche che l’ultimo anno di liceo ho avuto due ragazzi, per non parlare di quelli all’Università, una volta ne tradii uno, fu una vendetta ed un po’ me ne vergogno ancora.

Magari fosse tutto come nei film, eh?

Alla fine trovò lavoro a Tokio, mi ha sempre raccontato che un giorno il suo capo entrò in ufficio e gli chiese come avrebbe reagito se fosse stato trasferito in una filiale nipponica. Era un lavoro come un altro, dice lui.

Quando ci incontrammo per caso alla stazione di Shibuya non ci riconoscemmo subito ma ci voltammo nello stesso istante dopo pochi secondi.

 

 

Fine

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Card Captor Sakura / Vai alla pagina dell'autore: Angemon_SS