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Autore: HappyCloud    07/05/2012    32 recensioni
Una giornalista e una scommessa fatta da ubriaca che le travolgerà la vita, facendole incontrare molti uomini per poi giungere al punto in cui è sempre stata: dal suo Lui.
Sullo sfondo, un intricato caso su cui investigare e al quale trovare una soluzione per aiutare un amico. Guardandosi sempre bene alle spalle, perché il nemico non è mai troppo lontano.
Dal secondo capitolo:
Gli lanciai un’occhiataccia che non lasciava nulla all’interpretazione.
- “Tu sei pazzo se pensi che io possa accettare di prestarmi a tutto questo”.
Nick non si scompose neanche per un secondo.
- “Sammy, tu hai già accettato” mi rispose, sventolando quel dannato foglio che riportava la mia firma, con un dannato ghigno di scherno stampato sul viso.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'C'eral'acca'
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Cap. 37
Capitolo trentasette. State Of Love And Trust.

Smisi di contare le volte in cui avevo sperato che Nick mi chiamasse quando sfiorai quota cento in un giorno.
Quel maledetto biglietto aveva rovinato tutto; no, Nick l'aveva fatto. Lui e quel mezzo neurone eremita che si ostinava a popolare quella taiga del suo cervello. I pensieri e le idee sensate si rifiutavano di stare lì, c'era troppa eco.

Nick, purtroppo o per fortuna, in quei sei mesi era riuscito a farmi desiderare un sacco di cose: di morire - soprattutto di vergogna - e di farlo morire; di coccolarlo e di strozzarlo; di innamorarmi e di disinnamorarmi... di tornare a casa.
Glasgow non mi era mai mancata tanto; i momenti imbarazzanti con Alex, l'ingrasso forzato a cui mi sottoponeva mia madre, i silenzi logorroici di mio padre, le urla di Lily che rimbrottava Byron e, soprattutto, zia Annie. Suonava strano dire e pensare che quell'anno non avrebbe passato il Natale a vegetare in poltrona, attorniata dagli sbuffi dei parenti, me compresa. Non avevo mai badato troppo alla sua presenza e proprio ora che avrebbe fatto la differenza - ora che avrei sentito la differenza - lei non ci sarebbe stata. Ero rimasta con un pugno di mosche e qualche labile ricordo di attimi trascorsi insieme. E la lettera, che non faceva altro che riportare alla memoria due occhi chiari e una boccaccia che non perdeva occasione per prendere aria.
Il problema di Nick era che parlava sempre troppo o troppo poco, ed io non ero capace di interpretarlo; credo di aver fallito ogni singola volta che ho provato.
Meno male che c'era Warren e la sua ossessione per Sebastian. Quei due avevano in atto una vera e propria telenovela che faceva un baffo a Beautiful. Mi aveva fuso un orecchio quella mattina al telefono, raccontandomi per filo e per segno l'intreccio complicato di intrighi e di tradimenti che lui e quell'altro avevano messo in piedi. Ovviamente aveva ascoltato i miei problemi per cinque secondi, per poi decidere che i suoi erano molto più interessanti. Chissà perchè me lo aspettavo...
Nonostante Will si fosse mostrato recalcitrante a partecipare alla conversazione, Warren aveva cercato in tutti i modi di coinvolgerlo nelle sue sporche faccende, per avere opinione maschile.
- "E chi sarebbe questo Sebastian?".
Dopo mezzora di monologo sebastiancentrico, a Warren era venuto un colpo; non si era mai capacitato del fatto che la gente potesse essere poco interessata alla sua vita e Will venne istantaneamente declassato da gnocco con cervello a deve star zitto, ma è comunque gnocco.
M'intromisi con molto piacere in quel battibecco e risposi alla domanda che era rimasta in sospeso tra la perplessità del mio vicino e il cruccio dell'altro.
- "Presente la dignità? Ecco, Sebastian è colui per il quale Warren perderebbe la propria. Ovviamente se ne avesse ancora una".

Mi sedetti sulla valigia e tentai, con un ultimo disperato salto, di riuscire a far scattare la chiusura. Avrei dovuto fare rapporto a qualche compagnia aerea. A tutte, anzi, perché è scorretto chiedere ad una donna di portare solo quindici chili di bagaglio. E se fosse piovuto? - e visto che si trattava dell'Inghilterra, era praticamente una certezza -, o nevicato? Oppure sole splendente per tutti e quattro i giorni? Bisogna essere preparate e una donna non può essere preparata con quindici miseri chili di bagaglio!  
Con una certa riluttanza, avevo affidato Romeo a Will e a Kay, raccomandandomi che non trascorresse troppo tempo con quest'ultima; la cosa più buffa è che lei pensava che stessi scherzando. I due piccioncini Beckett stavano per passare un felice e sereno Natale in casa di nonna Inge, con i MacCord, Katy e il resto del parentado; un'occasione più unica che rara per Babbo Natale: in un solo colpo, avrebbe potuto distribuire simpatia per tutti.
- "Romeo verrà con noi, tranquilla" aveva detto Kay. 
E, a quel punto, ero stata io a pensare che scherzasse. Avevo sbarrato gli occhi e, mentre mi appropinquavo a rinfilare il mio gatto sottobraccio, la mano di Will mi aveva fermata e si era riappropriata della palla di pelo nera che già gli stava facendo le fusa.
- "Andrà tutto bene, Sam" mi riassicurò.
Certo, sto lasciando l'unico essere che si curi della mia esistenza nelle mani di una tizia che odio cordialmente e porterà il mio pargolo in una gabbia di nazisti che probabilmente lo cucinerà. Oh, diamine, ne faranno sapone da regalare agli amici! È così grasso che ne uscirà un quintale.
- "Ripensandoci, penso che lo porterò con me. Sai, non vorrei che disturbasse..." tentai, ma la Piattola mi bloccò con un abbraccio. Perché mi stava abbracciando? Ci doveva essere un qualche strano veleno esotico che agisce a contatto con la pelle.
- "Nessun disturbo. - le mie braccia ritte lungo i fianchi e la mia espressione tra lo sbalordito e lo schifato non sembravano infastidirla. Stavamo ufficialmente entrando nel Guinness World Record per l'abbraccio più lungo e indesiderato del mondo - Buon viaggio e buon Natale. Ah, quasi dimenticavo: vedrai che c'è una spiegazione per il biglietto di Nick ".
D'accordo, il bacio sulla guancia avrebbe potuto risparmiars... cosa? Guardai Will con il palese intento di trafiggere il suo costato con una scarica di schegge immaginarie e vederlo sanguinare fino alla morte.
L'ho sempre detto che il Natale mi rende più buona.
- "Me lo ha estorto con la forza" si difese lui. 
Fece un sorriso per scusarsi di aver vuotato il sacco - ancora una volta! - con Kay circa le mie vicissitudini sentimentali ed io ritrassi gli artigli, preferendo non immaginare quale forza avesse utilizzato lei per farsi raccontare i fatti miei e del cugino.
- "Come no... grazie Kay, ricambio gli auguri". 
Feci per uscire, ma lei mi bloccò.
- "Anche alla famiglia? - la guardai con aria confusa, non capendo del tutto la sua domanda - Sì, intendo, sono auguri estesi anche alla mia famiglia?".
- "Ehm... c-certo" balbettai, sempre più convinta della stranezza della domanda e della ragazza di fronte a me.
- "Quindi anche per Nick?".
Se l'avessi abbracciata prima, magari sarei riuscita a strozzarla... che stupida.
- "Come ti pare".
- "È un no? Un sì? Un vedi tu al momento?".
- "Hai carta bianca" tagliai corto.
- "Mi lasci davvero molta scelta... è una bella responsabilità. Pensi di riuscire ad essere più precisa? Non vorrei trovarmi a dire 'Ehi buon Natale a tutti da parte di Samantha Grayson, tranne che a te, Nick'. Sarebbe un po' antipatico, no?".
Stavo per urlarle in faccia quale diavolo fosse il suo problema, quando mi ricordai che l'astio e il nervosismo che provavo per il cugino erano sufficienti per l'intera famiglia e almeno per le prossime cinque generazioni. Mi calmai e le risposi in tono pacato.
- "Puoi farli a tutti".
- "Oh, che sollievo! Perché nonna farà di sicuro dei biglietti di ringraziamento e dobbiamo firmarli tutti, ma se Nick non è incluso negli auguri, non credo dovrebbe farlo".
Siamo inglesi, e che diamine! Diciamo più volte grazie, per favore e mi scusi in un giorno di quanto lo faccia il resto del mondo in un anno. Non credo lo ucciderebbe ringraziare per un augurio che non ha ricevuto.
- "Sono per tutti" chiarii, prima che cominciasse una nuova discussione sull'aria fritta.
Kay espirò a fondo, rannicchiandosi soddisfatta sotto l'ascella di Will, che ancora reggeva un lietissimo Romeo. Salutai per un'ultima volta con un sorriso di circostanza il trio, soprattutto la Piattola che mi seguì sino all'ascensore e mi salutò con la mano finché non si chiusero le porte.
Avevo appena trovato un tardivo regalo di Natale da farle: una bella seduta dallo psichiatra. Per l'intera famiglia.

Casa dolce casa.
In quel momento davvero mi sfuggiva cosa mai ci potesse essere di dolce ad essere al centro di un pandemonio. 
I miei erano venuti a prendermi in aeroporto e mia madre non aveva fatto altro che parlarmi dell'imminente matrimonio di una mia ex compagna di liceo, un modo molto velato e altrettanto delicato per ricordarmi che l'orologio biologico scorreva anche per me e che era ora di accasarsi. Mio padre nemmeno si degnava di ascoltarla, limitandosi a bofonchiare e a commentare con qualche raro sbuffo di disapprovazione.
Non appena entrata in casa, vidi Lily correre in bagno a vomitare per via delle nausee mattutine della gravidanza e rimasi sola con Alex, mio nipote, mentre i miei bisticciavano tra loro per il menu della serata. Mamma si mise ai fornelli e papà scese in cantina a scegliere i vini da abbinare. 
- "Ciao zia! - Alex mi corse incontro e, quando mi abbassai per raggiungere la sua altezza, mi depositò un bacio umidiccio sulla guancia - Dov'è il tuo fidanzato?".
Non è meraviglioso essere tornati a casa? Che accoglienza.
- "E' qui con me, non lo vedi? -  fece una giravolta su se stesso, ma proprio non gli parve di notare alcuno - E' invisibile... se non lo vedi è perchè sei stato un bimbo cattivo e Babbo Natale non ti porterà niente".
- "Sam!". 
Ops, Lily mi aveva sentito.
Pensai che fosse meglio non aggravare la mia situazione, facendole notare quanto poco fosse attraente in quel momento, con quel cardigan sformato che la invecchiava di almeno dieci anni e quei capelli legati attorno al viso cadaverico.
- "Scusa tanto se stavo cercando di risparmiare una delusione al mio nipotino preferito" mi difesi, invece.
- "Zia, sono l'unico che hai." intervenne Alex.
- "E quindi? Sei il preferito tra tutti i miei non-nipotini che non ho, contento?". Non ero certa nemmeno io di quel che avevo detto, ma ormai...
Mi costrinse a giocare con lui per l'intero pomeriggio, utilizzando la scusa del non sei mai qui. Costruimmo castelli e torri con le lego, finimmo di adobbare l'albero di Natale ed io scoprii a malincuore che ero troppo vecchia per giocare a nascondino: lo spazio sotto la scrivania dello studio di mio padre era davvero piccolo! 
Mi domando come abbia fatto Monica Lewinsky...
Verso le cinque, mia madre spedì a casa Lily e Alex perché si preparassero per la serata. Io presi il cappotto e la sciarpa dall'attaccapanni e mi avviai a piedi verso il cimitero in cui era stata seppellita la zia Annie. Avevo bisogno di qualche momento di tranquillità, in previsione del caos festoso e festivo che avrebbe animato casa Grayson per i successivi giorni.
La città era stranamente allegra. Intere famiglie si erano riversate per strade e negozi, racimolando gli ingredienti per il cenone o gli ultimi regali, nonostante il freddo di quella vigilia. Camminai per quindici minuti, prima d'intravedere da lontano il cancello spalancato del cimitero. Affrettai d'istinto il passo, come se ad un tratto avessi un'urgenza fisica di trovarmi di fronte a quel che mi rimaneva della zia Annie. La sua lettera era accuratamente piegata all'interno del libro che mi aveva consegnato il signor Kerry, l'amico della zia, il giorno in cui era morta. Lo trassi dalla borsa e lo aprii soltanto nel momento in cui mi ritrovai davanti alla lapide; c'era un mazzo di rose bianche, la brina intrappolata tra i petali, che pareva essere nato per vivere per sempre, congelato dall'inverno scozzese. 
Il segnalibro era ancora nello stesso punto in cui la zia lo aveva lasciato.

Non sprecare il presente a preoccuparti del futuro...
...su la testa, infilati le scarpe e segui il tuo cuore fino in capo al mondo. 

Non serviva farlo. Non dovevo seguirlo in capo al mondo, non quando tutto era così difficile da interpretare - mi sta prendendo in giro? -, eppure così facile da ammettere - sono innamorata di lui.
- "Cosa dovrei fare?" dissi al vento.

Sii la custode dei tuoi sogniaveva scritto la zia nella lettera. Ma come avrei potuto proteggere i miei sogni, quando nemmeno sapevo quali fossero? Nella mia testa era tutto così confuso che mi era impossibile pensare con chiarezza a quello che volevo.
Non sprecare tempo Samantha, perché, credimi, non ne avrai mai a sufficienza. Annie si era raccomandata di fare una cosa ed io stavo facendo l'opposto: stavo perdendo tempo. Stavo utilizzando il Natale come scusa per fuggire dai miei problemi, lontano da Londra e da Nick. Tornare a Glasgow per le feste mi aveva fornito un pretesto per fare ciò che mi riusciva meglio, quando il gioco si faceva duro: scappare. Avrei dovuto sfruttare quei momenti per passarli in famiglia e rilassarmi, invece che impuntarmi su quanto stava succedendo nella capitale, a casa o nella testa dei MacCord. 
È Natale, Sam, non Nickale. O ChristSam. O NaviSam. O Nickël. D'accordo, basta.
Magari, prima di mettere una ics defintiva sull'argomento, avrei dovuto leggere il biglietto che mi aveva dato, dopo che mi aveva riportata a casa. Sì, era ora di prendere la situazione di petto, anche se il mio non era proprio voluminoso.  
Frugai nelle tasche del cappotto alla ricerca del foglietto. Le rivoltai, cercando disperatamente quel pezzo di carta che non avevo ancora avuto il fegato di guardare. Non c'era. Però ero certa di averlo messo lì, perché ero sicura che un giorno mi sarebbe venuta perlomeno la curiosità di leggerne il contenuto, se non proprio il coraggio. E adesso che ero pronta, che mi sentivo preparata ad affrontare le conseguenze - in positivo o in negativo - delle parole di Nick, il biglietto era scomparso. 
Ed ecco che tornavano le paranoie: è un segno del destino se non lo trovo, fu il primo pensiero. Significava che semplicemente non dovevo trovarlo. Ma perché? Perché ciò che vi è scritto mi avrebbe fatto troppo male? Oppure perché non era il momento giusto? E se invece il fato avesse voluto che io pensassi che non era destino, quando in realtà lo era, ma era solo rimandato e quindi era comunque destino?
Strabuzzai gli occhi: mi ero incasinata ancora di più le idee. Chissà per quale motivo mi ero illusa di trovare la risposta ai miei problemi in un cimitero. Non ero abbastanza meritevole per un'apparizione dall'oltretomba, avrei dovuto immaginarlo.
Nemmeno Casper per un piccolo consiglio?

Sin still plays and preaches, but to have an empty court, 
And the signs are passin', grip the wheel, can't read it.

Salutai la zia con un sorriso e una promessa: un giorno avrei imparato a seguire i suoi consigli. 

Per la cena della vigilia, venni messa al confino accanto a mio nipote. Quella era la tacita punizione che mamma Grace impartiva a coloro che dovevano scontare una pena. Non avevo ben capito quale di preciso fosse la mia - le quotazioni oscillavano tra te ne sei andata via da Glasgow e dovresti trovarti un marito -, ma quella sera accettai di buon grado la scomoda posizione in fondo al tavolo, lontano dai grandi. Al centro, c'erano Byron e mio padre che discutevano animatamente di politica e sport, mentre Lily e mia madre, di fianco a loro, commentavano la riuscita del risotto.
Alex non mi concesse nemmeno un minuto di tregua; mi sommerse di domande, di qualunque genere. Se non conosceva il significato di una parola, chiedeva che glielo spiegassi, e, dopo che mi ero prodigata per interi minuti a cercare di farglielo capire, o faceva spallucce, disinteressato, oppure domandava il perché un tal cosa avesse proprio quel nome.
C'era un motivo per cui nessuno voleva mai sedersi accanto a lui.
- "Cos'è una delusione, zia Sammy?".
Rieccolo all'attacco, dopo aver colto casualmente un brandello della conversazione tra suo padre e il mio, circa la stagione calcistica dei Glagow Rangers.
- "Hai presente quando hai chiesto un cane e ti è arrivata una sorellina? Non ne eri molto felice, giusto? - Alex scosse energicamente la testa - Ecco, quella è una delusione.
- "E Nick ti ha delusionizzata, zia?".
Non mi preoccupai di correggerlo e risposi il più sinceramente possibile.
- "Già".
- "Quindi vuoi metterti con Brody? - chi? Questo Brody mi mancava all'appello - È un mio amico. Vive in camera tua, dorme nel tuo letto. Che regalo mi hai fatto per Natale? Me l'hai già fatto?" cambiò d'improvviso argomento ed io lo ringraziai in silenzio: i discorsi sugli uomini in compagnia dei miei mi rendevano parecchio nervosa, visti i precedenti.
- "Già pronto ed incartato".
- "Peccato. Altrimenti potevi andare in camera con Brody e chiamare gli angeli con lui".
La forchetta di Lily con un boccone di carne grondante salsa rimase a mezz'aria, mentre si lasciava sfuggire un risolino. Mia madre, invece, non lo trovò per niente divertente.
- "Tua zia ha già chiamato a sufficienza gli angeli, per non avere ancora la fede al dito".
Arrossii in un battibaleno: mio padre non aveva mai fatto allusioni così palesi; tutta colpa dell'aperitivo alcolico di Lily. Meglio scriverlo sull'agenda a natale 2011: niente aperitivo.
- "Stasera vai a letto con Brody?" incalzò Alex, che ancora non aveva ottenuto risposta.
Il tracollo era vicino: mamma Grace era sull'orlo del collasso. Byron tentò di far tacere il proprio figlio e sua moglie si alzò e mi versò nuovamente del vino rosso; stava facendo bere a me tutto quello che a lei non era permesso a causa della gravidanza.
- "Perchè devo stare zitto, papà? Brody dorme sempre nel letto di zia Sam. Lei non c'è mai!".
La situazione stava sfuggendo al controllo delle rigide regole dei Grayson: io mi sentivo in colpa per non esserci mai - perchè mi sono trasferita? -, il mio posto era stato occupato da un fantasma - è questa la considerazione che hanno di me? - e il mio nipotino pensava che io fossi una zitella procace che chiamava gli angeli con tutti.
- "E poi, mamma, dov'è Nick? Mi avevi detto che c'era anche lui".
Guardai Lily con istinti omicidi.
- "Non è vero!" si difese blandamente, confermandomi la sua colpevolezza.
- "Sì, invece!" ribadì Alex con convinzione.
- "No-o".
- "Sì-ì".
Mia sorella era rimasta senza molte parole da dire, perciò esitò qualche istante, prima di addentrarsi in una ridicola lite verbale con il proprio figlio.
- "Pettegolo" lo accusò.
- "Tu, penfegolo!".
- "Si dice pettegolo!" lo redarguì Lily con fare da saputella. 
Alex scoppiò in lacrime; non aveva la minima idea di che volesse dire quella strana parola usata da sua madre, ma, a giudicare dal tono di voce utilizzato, doveva essere brutta. Scagliò il piccolo pugno sulla tavola imbandita, facendoci sussultare, scese celere dalla sedia e corse veloce dalla nonna, a rifugiarsi nel suo grembo. Ed ecco che, sull'onda emotiva causata dal pianto del figlioletto, anche mia sorella cominciò a frignare.
- "Sono una madre pessima!" piagnucolò, gettandosi sulla spalla di Byron.
Stava annacquando il meraviglioso pollo arrosto di mia madre, ma forse era il caso di tacere. Anzi no! Lo mangiavo due volte l'anno... che almeno non me lo rovinasse, lessandolo!
- "Lily, se devi piangere, fallo sul pudding, per favore!". Utilizzai il tono più cortese e meno polemico che mi appartenesse.
I coniugi Grayson non parvero apprezzare il mio humor.
- "Sam, sono gli ormoni della gravidanza!" mi rimbrottò mia madre, dando immancabilmente ragione alla sua bambina sforna-figli prediletta.
Scommetto che quando l'ha messa incinta, Byron non pensava di averle firmato un coupon valido otto mesi come giustificazione per qualsiasi cosa.
Lily e mamma Grace si diedero il cambio per riempire la bocca di Alex fino alla fine della cena, affinché non vi uscisse nient'altro sufficientemente compromettente da far vacillare il già labile equilibrio in cui si trovava la morale della famiglia, ovviamente a causa mia.
Ci fu concesso di alzarci da tavola solo dopo aver implorato la padrona di casa di smettere di portare altri dolci dalla cucina. Distribuii i regali che mi ero portata da Londra. Lily mi aveva fornito una lista completa di cose che avrebbe voluto per sé e per gli altri, perciò me l'ero sbrigata in poco tempo. Quel che davvero era irrinunciabile era vedere l'espressione di mia madre di fronte al proprio dono; aveva un'aria diffidente, come se tutto quello che veniva da Londra fosse contaminato radioattivamente o stregato. Scartò il pacchetto e ripropose per l'ennesima volta il suo scetticismo, che malcelava la contentezza di ricevere il suo profumo preferito: Chanel N. 5. 
Alex interruppe il momento solenne, tirandomi la manica della giacca con veemenza. Mi costrinse ad alzarmi e a seguirlo in camera mia per darmi il suo regalo.
 - "Ti regalo Amy" annunciò, non senza una punta di orgoglio.
- "Chi è Amy?". 
Se mi dice un'altra amica immaginaria, siamo nei guai, perchè o mi propone una cosa a tre con Brody, oppure pensa che collezioni fantasmi, come le vecchie fanno con i gatti...
- "Mia sorella. - Io e una bambina? Forse era meglio una cosa a tre - Te la regalo. La vuoi?".
Sam, pondera le parole, ogni cosa potrà essere usata contro di te in futuro.
- "È di tua madre e tuo padre" tentai di spiegargli. Tralasciai la parte dell'illegalità e conseguente prigione.
Mio nipote non parve molto ben disposto ad accettare la mia come una risposta soddisfacente, ma la cosa non era abbastanza interessante, perciò cambiò domanda. 
- "E io quando divento zio?".
- "Tra un bel po', speriamo, perché con le ragazze facilotte che ci sono in giro...".
- "Cosa vuol dire facilotte?".
Ecco come si fa a fregarsi con le proprie mani. Stavo per ribattere di getto, quando mi resi conto di quanto le mie parole sarebbero state inappropriate con un bambino di quattro anni.
- "Facili da trom... - sei a casa di mamma e papà con il tuo nipotino, non con Warren in un bar gay - trovare" mi corressi rapida.
- "E mia sorella è una facilotta?".
- "No!" sbottai, spaventandolo.
Alex riflettè per qualche momento: qualcosa non gli tornava, era evidente dal suo musetto confuso.
- "Ma io l'ho già trovata: è nella pancia della mamma".
E ora che mi sarei inventata? 
- "Ehm... facile da trovare per il suo principe azzurro".
- "Ah" commentò deluso. Cioè, delusionizzato. 
- "E quando tu hai un bambino, io cosa divento?".
- "Tesoro, ma ti sei tenuto tutte queste domande per Natale? I miei bambini - a pensarci, mi veniva l'orticaria - saranno i tuoi cugini".
- "E quando lo fai, un cugino?".
- "Quando gli asini voleranno, cucciolino".
Quella conversazione mi aveva provato fisicamente. Non osavo neanche immaginare che diavolo significasse vivere con un bimbo di quell'età tutti i santi giorni. Semmai ne avessi avuto uno, la prima cosa da fare sarebbe stato allontanare elementi come Warren dal pargolo. E anche Kay. Però, a quel punto lei e Will si sarebbero già lasciati. Lo speravo, almeno.
Va beh, era Natale: quale periodo migliore per credere in un miracolo?

Grazie al cielo, il giorno dopo Lily e famiglia erano stati invitati dai genitori di Byron per il pranzo. Casa mia si affollò di parenti più o meno noti, tra cui i nonni, qualche prozio e cugini vari. Cercai di mimetizzarmi nella folla per passare inosservata, ma molti riuscirono a braccarmi e, c'era da scommetterci, s'informarono sulla mia vita sentimentale, ancor prima di farmi gli auguri o complimentarsi per il lavoro svolto sull'inchiesta. Provai a rispondere in modo educato, nonostante i toni acidi e indagatori di alcune zie mettessero a dura prova i miei nervi.
Gli ultimi invitati se ne andarono solo verso l'una e mezza del ventisei, quando mia madre stava già cominciando a cucinare per la giornata successiva. Io caddi a pezzi nel letto, perché tutte quelle inutili chiacchiere mi avevano distrutto il fisico e lo spirito.
Io alla tua età ero già sposata. Sono rimasta incinta del terzo figlio a ventitré anni. Ho diciassette nipoti.
Che diamine volevano da me? Un applauso?
Io ero sposata con cinquantaquattro paia di scarpe, per figlio avevo un gatto e avevo un nipote e mezzo. Non era sufficiente?

Quando venne il momento di ripartire, mia mamma divenne, come sempre, lo spettro del dolore. Quella messinscena si ripeteva ogni santissima volta dovessi tornare a Londra.
- "Te l'ho detto che siamo orgogliosi di te, vero?".
- "Grace, per cortesia, - brontolò mio padre - è la quindicesima volta che glielo ripeti oggi. Lasciala andare a casa!".
- "Questa è casa sua, non !" rispose arrabbiata. 
E quel , quella misera sillaba, raccoglieva in sé tutto il male possibile. Perché la capitale era la città del peccato, luogo di oscenità e traviamento, di loschi individui. Ma anche dell'inespugnabile Regina Elisabetta II. Solo lei teneva alto l'onore di Londra.
Diedi un bacio a tutti e salii sul taxi.
- "Ciao zia! - mi urlò Alex, mentre abbassavo il finestrino - E, non ti preoccupare, diventerai anche tu una facilotta!".
Tutti si voltarono bruschi verso di me, poi tornarono ad osservare mio nipote, in pantofole a forma di squalo, sorridente in braccio a Byron. Lily, accanto al marito, lo stava rimbrottando con i suoi soliti metodi spicci; non potevo sentire ciò che si dicevano, ma potevo vedere chiaramente mio nipote additarmi, un broncio sul viso per via dei rimproveri subiti.
Piccolo Giuda.
Prima che qualcuno venisse a sgridare anche me, urlai 'Parti!' al taxista, che avviò il motore, lanciando in aria per lo spavento le pagine di un quotidiano.

I viaggi di ritorno mi hanno sempre messo malinconia. Vacanze finite significano valigie da disfare, solita routine da riprendere, relax che se ne va e stress cittadino che ti aspetta sulla porta di casa.
Presi l'ascensore, accennando un sorriso al portiere del mio condominio e cominciai a trafficare nella borsa, alla ricerca delle chiavi dell'appartamento. Avevo il cappotto zuppo di pioggia e i capelli legati in un frettoloso chignon improvvisato, così instabile da farmi temere di vederlo crollare ad ogni passo. Non mi era mancata l'umidità di Londra.
Evitai accuratamente di incontrare il mio riflesso nella pulsantiera, perché mi sentivo così brutta e in disordine che sarei stata colta da una crisi isterica di pianto e riso, se mi fossi specchiata. Ero stanca e infreddolita e avrei voluto mollare il trolley sullo zerbino di casa e attendere il comitato di accoglienza a cura di Romeo, Will e quell'altra, solo dopo essere passata sotto il getto della doccia ed essermi data una sistemata. 
Purtroppo lo zerbino era già occupato. Nick era appoggiato con la schiena alla porta del mio appartamento, le braccia conserte sul petto e lo sguardo imperscrutabile. Rimanemmo immobili entrambi per alcuni secondi, fissandoci a vicenda, in attesa della mossa dell'altro.
Indossava un giubbotto blu scuro e dei pantaloni grigi di una tuta. Le scarpe da tennis, i capelli bagnati e le cuffiette dell'mp3 che pendevano dalla tasca dei calzoni mi fecero capire immediatamente che era uscito per fare un corsa. Ottima idea, con quell'acquazzone ad allagare strade e parchi.
- "Ti sei perso?" dissi, mentre uscivo dall'ascensore, trascinando la valigia lungo i pochi metri che ci separavano. 
Mi seguì con lo sguardo, ma non si spostò nemmeno per farmi inserire le chiavi nella serratura. La sua vicinanza mi stava facendo agitare e dovetti impormi di non sudare freddo o irrigidirmi troppo perché una mano tremolante era esattamente ciò di cui non avevo bisogno in quel momento.
- "Passavo da queste parti..." rispose, dopo attimi di silenzio.
- "Qualche altra informazione da raccogliere?" chiesi scontrosa, dando una botta alla porta per farla spalancare. Nick mi lasciò passare e poi entrò a sua volta.
La temperatura nel salotto sfiorava i diciassette gradi e non riuscii ad impedirmi di rabbrividire, pensando di dovermi spogliare davanti a lui. Solo il montgomery fradicio, ovviamente. Lo feci controvoglia e misi tutto sull'attaccappanni. Le finestre erano ancora chiuse e solo la debole luce esterna riusciva a oltrepassare le sottili fessure delle imposte. Le aprii dalla prima all'ultima, nel vano tentativo di procrastinare la conversazione e ritrovare un po' di tranquillità.
Non ha chiamato. È venuto solo a predere un altro po' di te. Poi sparirà di nuovo. E tornerà, per rubare un nuovo pezzo di te. Non rimarrà nulla. Ti consumerai per lui.

And I listen for the voice inside my head
Nothin', I'll do this one one myself.

- "In effetti, sì. Ero curioso di sapere se fossi ancora viva. Sei sparita".
C'era da ammettere che aveva proprio una bella faccia tosta.  
- "Respiro, come vedi". Nick avanzò verso di me e mi aprì la mano, il palmo voltato verso l'alto, e ci poggiò qualcosa di piccolo, freddo; scostò le proprie dita, affinché io riuscissi a vedere di cosa si trattava: un paio di monete, due sterline per la precisione.
- "Nel caso tu non ti possa permettere una chiamata al sottoscritto". 
La sua voce non era accusatoria, era piatta e talmente controllata da farti impazzire. La calma è la virtù dei forti ed è proprio quella che manda al manicomio gli avversari. 
- "Avresti potuto chiamarmi tu!" lo accusai, rimettendogli a forza gli spiccioli nella mano. Lui mi fissò inerme, quindi infilò tutto nella tasca con noncuranza. 
- "Toccava a te. Io ho fatto un passo gigante verso di te, era il tuo turno di dimostrare qualcosa".
Ero indecisa se afferrare il manico del trolley ed utilizzarlo come mazza da baseball per colpirlo o se guardare l'effetto che facevano le mie unghie affondate nel suo collo. L'unica cosa che mi trattenne dal farlo fu la consolazione di vedere finalmente che si stava sbilanciando.
- "Cos'altro avrei dovuto dirti?" abbassai rapida la voce; Will sarebbe potuto essere in agguato e in quel salotto c'era già un odore nauseabondo di tradimento. Era chiaro come il sole che il mio vicino gli avesse detto che sarei tornata da Glasgow proprio quel giorno.
- "Onestamente? - dal suo tono ormai traspariva tutto il risentimento nei miei confronti - Mi aspettavo un commento al biglietto".
- "Vuoi il mio commento? - urlai frustrata - Dimmi dove preferisci: lo vuoi sull'inguine o sul sedere?".
Nick mi fissò stralunato e qualcosa mi disse che la mia non era la reazione che si aspettava. Aprì la bocca, ma dovetti attendere qualche secondo prima che effettivamente emettesse un suono.
- "N-non capisco. Come hai trovato ciò che ti ho scritto nel biglietto? - Attenta, Sam, questa domanda è insidiosa... soprattutto perché non l'hai nemmeno aperto, quel foglietto. Nick carpì la mia indecisione e cambiò tono. - Perché l'hai letto, vero?".
La risposta era no; ero troppo occupata a fare l'indignata per pensare di aprirlo. L'avevo appallottolato e cacciato da qualche parte; nella borsa, tra i cuscini del divano, tra gli abiti nell'armadio, o forse in bagno. Oppure l'avevo gettato mentre ero a fare quattro passi nel marsupio di un canguro. Quel che contava era che il biglietto fosse andato, scomparso, desaparecido. 
- "Certo che sì!" ribattei. Ovviamente.
- "Sicura?".
- "Sì". Dovevo avere l'aspetto fiero di una leonessa, ma dentro mi sentivo un coniglio, di quelli pasquali di cioccolata, che si decapitano con un colpo nemmeno troppo forte. E la ghigliottina era vicina, molto vicina.
- "Quindi, come giudichi il contenuto?".
Lo giudicavo sparito, al momento.
- "Era... ehm - gli occhi di Nick sembravano aver capito tutto - ... inenarrabile".
- "Definisci inenarrabile".
Tutt'ad un tratto sembrava incuriosito dal mio vocabolario.
- "Inenarrabile significa che non può essere raccontato" spiegai pedante.
Nick sbuffò e roteò gli occhi, scocciato dal mio fare da maestrina. D'altronde, era la mia unica occasione per spostare l'attenzione dall'argomento principale, su cui ero assolutamente impreparata. Da maestrina a scolara in pochi secondi.
- "Grazie, genio. Ho una laurea in letteratura inglese ed un master in teatro; so cosa significa inenarrabile".
- "Stai attento alle tue piume, - risposi acida - non vorrei che si rovinassero troppo mentre fai la ruota".
Per una volta tanto, la sua vanità e lo suo sconfinato orgoglio mi stavano tornando utili.
- "Non mi sto pavoneggiando, sto solo esponendoti come stanno le cose. Torniamo al biglietto".
- "Mi pare che parli da sé...". 
Cambiai strategia: forse fare la vaga sarebbe servito a mantenere la conversazione abbastanza astratta e generale da consentirmi di uscirne in modo onorevole, o quanto meno non con troppe ossa rotte.
- "Su questo siamo d'accordo".
Mi sembrava di scorgere la luce fuori dal tunnel: c'era speranza di rimanere indenne in quello scontro verbale. 
- "Ecco, quindi non c'è proprio nulla da aggiungere".
Nick si grattò nervosamente la testa, passandosi una mano tra i capelli umidi di pioggia.
- "Devo essermi sbagliato" ammise mogio.
- "Credo anch'io". Ero soddisfatta che alla lunga abbia capito che non sono più quel genere di persona.
- "E la tua risposta?".
- "No". 
Avevo preso una decisione: non avrei continuato con la scommessa, neppure se mancava solo un uomo, nemmeno per avere la soddisfazione di averla finita. 
Dovrò pagare? Pagherò, l'importante è chiudere questo capitolo ed andare avanti. 
Nick sembrò a corto di parole e nemmeno io ero troppo a mio agio in quel limbo di frasi a metà e segreti. 
- "Okay. Ehm... - si scrocchiò le dita fra loro e si passò nervoso la mano nei capelli - Ci si vede Sam".

Qualcosa si era rotto. Lo sentivo, l'avevo capito chiaramente da come era uscito da casa mia, quando aveva aperto la porta e mi aveva salutato.
Ci si vede Sam.
Sam.
Potevo contare sulle dita di una mano le volte in cui aveva usato il mio diminutivo e non quel ridicolo e derisorio nomignolo che detestavo, Sammy. Per una volta avrei voluto sentirmi chiamare così. 
Mi stavo convincendo che la chiave di tutto fosse ritrovare il biglietto. Se solo avessi avuto la minima idea di dove l'avevo ficcato... maledetta memoria a breve termine! 
Richiamai a rapporto Warren, Valerie e Will per aiutarmi nella caccia al tesoro; a ciascuno abbinai una stanza della casa, tranne che a Warren, offertosi volontario per battere - parole sue - i corridoi del condominio. Il perché si fosse portato appresso Sebastian rimaneva un mistero, ma mi faceva pensare che il suo obiettivo primario non fosse trovare il foglietto.
- "Ho bisogno di trovarlo. Potrebbe essere dovunque, anche nella pancia di Romeo, per quanto ne so. Perciò, cercate, cercate, cercate!".
Warren mi guardò con aria interrogativa e percepii che stava per dire qualcosa in merito al mio piano. Infatti, eccolo agitare la mano in aria.
- "Ho una cosa da chiedere. - non vedevo, purtroppo, come avrei potuto impedirglielo - In questo contratto è prevista una pausa spuntino?".
Lo fissai annoiata, mentre lui continuava imperituro a scambiarsi occhiate con Sebastian e a cercare di farsi notare da Will.
- "Nessuno ha mai parlato di contratto, Warren. - chiarii - Mi state facendo un favore".
Al solo sentire la parola favore, la sua postura si modificò: petto in fuori e gambe ritte come due spiedini corredavano gli occhi sbarrati e la bocca spalancata.
- "Un favore? Per quale assurdo motivo dovrei aiutarti, sottostando alle tue regole da mercato nero? - si voltò verso il resto della gang di lavoratori sottopagati, parlando a bassa voce - Avete visto come ha cercato di eludere la mia domanda? Si crede furba".
- "Perché sei una miserabile sgualdrina che se la fa con un uomo impegnato e se io volessi potrei spifferare tutto al fidanzato di Sebastian, che sono certa non esiterebbe un attimo a grigliarti il fondoschiena per aver adescato quel povero cerbiatto innocente e tonto del suo ragazzo. Nulla di personale, Seb" sorrisi, senza rinunciare ad un aspetto autoritario.
- "Maledetta! - replicò Warren - Ti adoro quando fai la gattona. Nick è un uomo fortunato. E fantastico, meraviglioso, bellissimo".
Tutti smisero di fingere di lavorare e si voltarono verso di me, allarmati. Chiusi gli occhi e respirai a fondo, immaginando gli sguardi minatori rivolti a Warren e al suo celeberrimo misto di sbadataggine e superficialità. Quando li riaprii, quest'ultimo aveva le braccia piegate, le mani sui fianchi e l'aria da santarellino.
- "Che vi prende, gente? Avete capito che stavo scherzando, vero? Nick non è nulla di tutto questo... è brutto, antipatico e, per Barbra!, ha un fisico orrendo" mentì, sforzandosi di essere credibile.
- "Non c'è bisogno che tu finga" lo bloccai.
Lui sì portò una mano sul cuore e espirò sollevato.
- "Grazie, Zucchero! Pensavo sarei finito soffocato da tutte quelle bugie! Non sono abituato, io".
- "Disse quello che stava con il ragazzo fidanzato..." intervenne Valerie. 
- "Disse quella che indossava una pelliccia di puzzola con la cirrosi" ribatté Warren seccato, alludendo al poncho di Val, la quale restituì uno sguardo in tralice. 
Dopo ore di battibecchi e ricerche più o meno approfondite - chi in cucina, chi in salotto, chi nella gola del proprio amante -, ci buttammo sconfitti ed avviliti sul divano. Romeo fece uno scatto da camera mia ai piedi di Will, pur di accaparrarsi il posto tra le sue gambe, perdendo almeno qualche mese di vita: non lo avevo mai visto correre, se non per andare a mangiare nella ciotola. 
Il mio vicino accettò le coccole e gli strusciamenti e tutto ciò il non fece altro che aumentare i miei sospetti: Kay doveva essere una frana in quelle cose, se il suo fidanzato si riduceva a elemosinarne al mio gatto. Per questo Will doveva lasciarla. 
Babbo Natale, non mi sono dimenticata di quello che ti ho chiesto.
Valerie fu la prima ad andarsene, seguita da Sebastian - che per una volta tanto si era ricordato di avere un compagno. Warren si rifugiò in cucina a sgranocchiare qualcosa, mentre io e Will rimanemmo in salotto.
- "Getta la spugna" mi consigliò.
- "Sai meglio di me che non posso. - risposi mesta - Voglio sapere cosa c'è scritto, devo".
- "Ne sei sicura? Raviolo, semmai decidessi di dargli un'altra chance, dovrai decidere di fidarti, perché non starete insieme ventiquattr'ore al giorno...".
Senti chi parla.
- "Ah no? Mi sembra che tu e Kay lo facciate sempre..." replicai, ben consapevole che mi sarei beccata un rimprovero per quanto detto.
- "Non essere pedante. - disse, infatti - Sono appena tornato dagli Stati Uniti, siamo stati distanti per settimane. Ci siamo fidati".
- "Ma per voi è diverso. Tu sei diverso. Nick ha cercato di fregarmi dalla prima volta che ci siamo visti, non puoi pretendere che io dimentichi di essere la ragazza paranoica che sono e mi butti a capofitto in una storia con una persona che non ha fatto nulla per guadagnarsi la mia fiducia".
- "Non ti sto dicendo di farlo! Voglio solo che ci pensi bene, prima di prendere una decisione affrettata. So che la tentazione di scappare da questa situazione è grande e soffocante; sarebbe più facile chiudere defintivamente l'intera vicenda, ma è davvero questo ciò che vuoi? Chiuderti a riccio e non lasciare mai entrare nessuno?".
Odiavo il vecchio e saggio Will: finiva sempre con il dire qualcosa di molto intelligente, ed era davvero seccante dover prendere in considerazione l'idea di guardare le cose dal suo punto di vista.
- "Ora sei ingiusto: ho lasciato entrare te".
- "A me pare che ultimamente abbia lasciato entrare molta gente nel suo guscio. Troy vi ricorda qualcosa?".
Warren era ritornato in sala, giusto in tempo per rovinare l'atmosfera di sano dialogo tra me e Will. Quest'ultimo, infatti, lo fulminò con lo sguardo, ma lui, come al solito, interpretò a suo modo l'occhiataccia e ne restituì una sensuale e rovente. Poi tornò con la tazza di tè in cucina, dopo aver imprecato per essersi bruciato la lingua.
Quando si dice punizione divina.
- "Sam, andiamo, sai bene che non è la stessa cosa. Noi siamo amici e quello che c'è stato tra noi non aveva alcun significato per entrambi. Nonostante le mie grandi doti da amatore, - scherzò - è sempre stato lui quello che volevi".
Appoggiai la testa sul divano, fissando il soffitto.
- "Ho paura, Will".
- "Lo so" disse, avvicinandosi a me e cingendomi con un braccio.
- "E se si rivelasse l'idiota che penso che sia?". Mi mordicchiai un labbro e mi strinsi più forte a lui.
- "E se fosse un velociraptor che ti stacca la testa al primo appuntamento con le unghie laccate di rosa?" provò a sdrammatizzare.
- "Stai sempre cercando di convincermi, giusto? - ridacchiai. - E mi pare che tu ti sia già schierato" aggiunsi, più polemica: stava palesemente supportando Nick.
- "Dalla tua, Raviolo. Sempre. Ma forse anche un pochino dalla sua... facciamo quaranta-sessanta?".


Da quando l'inchiesta sul giro di prostituzione era emersa, ero stata invitata ad almeno una ventina di feste. Non ce la facevo più: presentazioni, sorrisi falsi, calici di vino e mal di piedi erano la ricetta base per ognuna di esse e stavo cominciando ad innervosirmi. Era il ventinove di dicembre, avrei voluto stare sdraiata sul divano di casa, con la coda di Romeo a solleticarmi i piedi e non nel mezzo dell'immensa sala riunioni del London Express, sgombra di tavolo e sedie.
All'inizio, avevo pensato di disertare, ma Aldwin Feether, uno dei proprietari del giornale, mi aveva praticamente costretto, stuzzicandomi con la promessa che ci sarebbe stata una sorpresa per me. Più che quella tentazione, però, era stata l'idea di avere una giustificazione per comprarmi un nuovo paio di scarpe, a spingermi ad accettare di partecipare alla festa. 
Nonostante il quarto d'ora trascorso davanti allo specchio per prepararmi all'incontro con Nick, – perché era matematico che ci sarebbe stato – l'agitazione non era svanita; al contrario, se possibile era ancora maggiore. Avevo provato qualche saluto, ma o sembravo una completa cretina, oppure troppo fredda, o troppo accaldata, o... troppo innamorata.
E poi lo vidi entrare nella stanza e intrattenersi con alcuni colleghi. Sorrideva, stringeva mani, ora prendeva un bicchiere di champagne dal vassoio di un cameriere di passaggio, ora brindava al successo dell'inchiesta.
Non mi vergognai di fissarlo per cinque minuti buoni, in compenso lo feci quando lui si voltò per caso nella mia direzione, verso il buffet, e mi scoprì. Si fece improvvisamente serio ed io distolsi lo sguardo, mentre sentivo le guance prendere fuoco.
Sono Samantha, ho ventiquattro anni e sono una stalker: ti seguirò finché non t'innamori di me, direbbe Lady Gaga.
Tutta colpa del papillon nero che aveva messo sulla camicia bianca: urlava Strappami! e non mi capacitavo di come gli invitati non potessero sentire.
- "Anche tu ti sei fatta incantare dai suoi begli occhioni angelici?". 
Alla mia destra, due iridi verdognole mi scrutavano sorridenti.
- "Come?" chiesi con gentilezza, sorpresa dall'uomo distinto che avevo davanti, ma non dalla domanda. Indossava un completo grigio scuro, senza la cravatta, maldestramente infilata nel taschino della giacca. 
- "Non serve che tu risponda. Ho già quel che volevo" esclamò affabile, portandosi alla bocca il calice che reggeva in mano e gustando un lungo sorso di vino bianco.
- "Davvero? E che cosa sapresti?" lo incalzai, mentre mi avvicinavo a lui con un'espressione maliziosa.
- "Conosco il fascino dei MacCord" rispose sicuro di sé. Con uno stuzzicadenti infilzò un'oliva, facendola roteare su se stessa per un paio di volte, prima di decidersi a mangiarla.
- "Anche io, ed ho imparato ad esserne immune. – mentii, invano. Se mi aveva beccato a fissare a Nick, sapeva che ero malata di maccordite senza possibilità di guarigione. – Sai, è come le sigarette: una volta provate è difficile smettere, continueresti a fumare, ma poi scopri che fa male e inizi a chiederti se è valsa veramente la pena rovinarsi la salute per un piacere effimero e passeggero".
Lo sconosciuto tacque per un istante, mentre scandagliava mentalmente quanto avevo detto.
- "E ne è valsa la pena?" chiese, infine.
- "I miei polmoni stanno benissimo".
- "Ne deduco che sia un sì".
- "No, – sorrisi beffarda. – La verità è che non mi è mai piaciuto fumare".
Rise debolmente e nascose la propria bocca divertita dietro un tovagliolo.
- "Sei proprio come mi avevano detto". 
Più lo guardavo – l'aria altera, i modi di fari sicuri e spavaldi –, più mi rendevo conto che mi stavo perdendo qualcosa. Chi era quell'uomo?
- "Non sapevo saresti venuto".
La voce di Nick ci colse entrambi impreparati. Poggiai sul tavolo la pizzetta che stavo per mangiare, prima di soffocarmi. Il tizio accanto a me abbassò lo sguardo sulle proprie scarpe, senza smettere di sghignazzare, e gli rispose con una voce impostata.
- "Non potevo mancare alla celebrazione di un tuo successo così importante, ti pare? E poi mi sono appena imbattuto in questa ragazza deliziosa di cui avevo tanto sentire parlare; mi sembra già di conoscerla".
- "Se mi conoscessi, sapresti che il successo così importante è di entrambi e non solo di Nick" intervenni risentita. La gente, per qualche strana ragione, continuava a dimenticare questo particolare.
Ehi, ho rischiato anch'io di morire al porto di Brighton!
- "Di certo non le manca la grinta. Hai ragione, Sammy. Posso chiamarti Sammy, non è vero?".
- "No che non puoi, – lo interruppe bruscamente Nick, lanciandogli un'occhiata di sbieco. – Odia essere chiamata in quel modo". 
Lo sconosciuto alzò stupito un sopracciglio e si lasciò sfuggire un mezzo ghigno, mentre concentrava la propria attenzione sul tavolo pieno di vivande alle nostre spalle.
- "Strano. Mi sembrava di ricordare che tu usassi quel nomignolo..." disse, fingendo di trovare interessante una quiche al prosciutto.
Nick gli si avvicinò di un passo, arrivando ad una spanna dal suo naso.
- "Hai detto bene: io". 
M'intromisi di nuovo, trattenendo a stento un gridolino di contentezza per la frase rabbiosa che aveva pronunciato un insolito Nick nei panni dell'uomo geloso.
- "Non c'è alcun problema. Mi sto abituando ad essere Sammy" squittii, con l'aria più civettuola e da gattamorta di cui fossi capace. – "Visto, Nick? – lo sfidò. – Posso offrirti un bicchiere di vino, Sammy?".
Declinai l'invito, adducendo come scusante il fatto che nemmeno conoscevo la sua identità. L'uomo si rivolse nuovamente a MacCord che dovette ancora far prevalere l'educazione sulla volontà di tirargli un cazzotto.
- "Sam, Dan. Mio fratello" pronunciò controvoglia.
- "Oh, finalmente! – esclamai meravigliata. – È un piacere, Danny. Ora sono pronta ad accettare quel bicchiere di vino".
Dan non era esattamente un MacCord puro. Niente occhioni angelici del padre e del fratello, ma lineamenti molto simili a quelli di sua madre e della nonna Inge. Aveva un fisico asciutto e non mancava certo di fascino – soprattutto dopo il siparietto con Nick –, però sembrava puntare più sul proprio intelletto che sul corpo.
Ci spostammo di qualche metro e lui prese un calice per entrambi, porgendomi il mio.
- "Per quanto tu possa essere una compagnia affascinante, il mio ego non dimenticherà facilmente questo sgarbo, – commentò, mentre osservavamo il fratello parlare con alcuni signori. – Non mi era mai capitato nella vita di offrire da bere ad una donna così poco interessata a me... ".
- "Avevo voglia di vino" lo interruppi.
- "Non mi hai lasciato finire: così poco interessata a me e così attratta da mio fratello. Allora, che ha fatto di male per meritare di rodersi il fegato dalla gelosia, guardandoci a distanza?".
Quante ore aveva a disposizione per ascoltarmi? Perché qualche minuto non era di sicuro sufficiente per riassumergli i miei ultimi sei mesi.
- "Lo sto solo testando. Me ne ha fatte passare di cotte e crude e adesso voglio tenerlo un po' sulle spine".
Optai per una risposta abbastanza diplomatica da permettermi di non dire troppo né troppo poco. 
- "Flirtando con me?" chiese curioso.
- "Flirtando con te" lo accontentai.
- "Bastava dirlo. Quindi ora mi avvicinerò a te, tu fingerai di ridere ad una mia battuta e mi toccherai il braccio. Esatto, in quel modo, – mi rassicurò, tenendo un occhio vigile sul comportamento di Nick. – Adesso ti sussurrerò qualche cosa all'orecchio e a quel punto vedrai che lui imploderà. Non farti vedere che lo stai guardando".
Era incredibile constatare quanto mi risultasse facile applicarmi per farlo ingelosire: sapevo che era una cosa buona e giusta. Sbirciai da dietro la spalla di Dan e mi accorsi che non era più accanto ai signori con cui stava parlando in precedenza: stava uscendo sulla terrazza.
- "Mi vergogno di averlo come fratello; avrebbe dovuto resistere di più. Che aspetti? Vai fuori a fumare!" sussurrò, dandomi una spinta verso la porta finestra.
- "Ma io non fumo!" tentai di replicare. Dan mi sorrise sornione.
- "Comincerai".

Il quartetto d'archi stava suonando. La musica ci giungeva ovattata dal vetro delle finestre e dal freddo di quella serata di Dicembre. Il balcone era piuttosto stretto e si estendeva per parecchi metri lungo tutto il lato del palazzo. Alcuni signori stavano prendendo una boccata d'aria per togliersi dalle orecchie la confusione della festa, altri fumavano. Nick era isolato da tutti e osservava in silenzio il caos sottostante della capitale.
- "Si gela qui fuori" dissi, coprendomi con le mani le spalle.
- "Torna dentro, allora" esclamò scostante.
Mi avvicinai di un passo a lui e, anche se non si era degnato di voltarsi, notai che aveva in mano una sigaretta.
- "Non sapevo fumassi".
- "Una ogni tanto".
- "Posso fare un tiro?". 
Mi porse la sigaretta ed io la intrappolai tra l'indice e il medio della mano destra. 
Gli soffiai sul viso il fumo e la sua immagine offuscata riemerse poco a poco da quella nebbiolina leggera. Il sapore di tabacco in bocca mi aveva sempre infastidito e, a dire il vero, non sapevo nemmeno perché gli avessi chiesto di farlo. 
- "Simpatico tuo fratello. Siete molto diversi; lui è affabile, gentile, garbato... ". Tolse brusco quel che rimaneva della sigaretta dalle mie dita e riprese a fumare. Espirò frenetico e gettò il mozzicone per terra con stizza, calpestandolo con la scarpa.
- "Torna dentro, ti ripeto, – disse freddo e si appoggiò con i gomiti alla ringhiera. – Dan sarà ancora al buffet, se sei fortunata".
- "Sei geloso?" lo stuzzicai. 
- "Geloso di cosa? Di voi due che bevete insieme? Ma per favore". 
Si volse di nuovo verso la vetrata dell'ufficio, le braccia tese sul parapetto.
- "Mi ha chiesto di uscire e penso proprio che accetterò" mentii.
- "Buon divertimento". 
Fece per entrare, ma lo bloccai. Lo condussi in un angolo isolato del terrazzo, dove nessuno ci avrebbe visti o disturbati.
- "Non ci sono problemi se esco con tuo fratello, vero?".
Lo inchiodai al muro con una mano sul suo petto e lo interrogai, aspettandomi delle risposte brevi e concise. Lui mi guardò con un'espressione confusa, piena di sospetto e d'indignazione.
- "Assolutamente" grugnì a denti stretti, sforzandosi di sorridere.
- "Perché posso fare quello che voglio... ".
- "Assolutamente" ripeté.
- " ... e tu non mi ostacolerai".
- "Assolutamente".
Scossi piano la testa e spostai la mia mano dal suo torace. Saremmo potuti rimanere lì tutta la notte e lui non avrebbe smesso di negare fino alla morte di essere infastidito. Come potevo essermi innamorata di uno che era testardo almeno quanto me?
- "Sarai anche un giornalista di successo, ma sei veramente un idiota, Nicholas MacCord" esclamai piano, perché capisse appieno il significato di ogni singola parola.
- "Assolut... come?".
- "Sei un idiota. I-d-i-o-t-a" ripetei.
A quel punto, Nick si scostò dal muro e si sporse verso di me.
- "Perché? Che cosa vuoi da me? Vuoi ignorarmi per tutta la sera? Perfetto. Vuoi uscire con mio fratello? D'accordo. Vuoi fingere che l'altra sera non ci sia stato niente tra noi? Va bene. Non vuoi più vedermi? Come ti pare. – Stava gesticolando come un pazzo. Più che una lite sembrava un numero di magia. Abracadabra: amami. – No, in realtà non mi sta bene nulla di tutto questo, ma se è quello che vuoi, allora fingerò anche io".
Lo fissai con astio, spintonandolo all'indietro.
-"Tu non sai quello che voglio".
- "No, ma so quello che io voglio. Entrambi lo sappiamo. Ed è indelicato da parte tua farmi sapere che andrai ad un appuntamento con Dan".
Benvenuti nel cervello di Nick MacCord, regno dei paradossi.
- "Non trovi sia indelicato usarmi per fare uno scoop? Non è stato indelicato fingere di essere qualcun altro, sapendo che mi avresti ferito? È indelicato essere venuto a Glasgow per fare ricerche su Banks e stare a casa mia, non credi? E non è forse stato indelicato farmi credere che stessi con Katy?".
- "Quella era una tua supposizione!" si giustificò. Certo, quindi la matta visionaria ero io!
- "Ripeto, sei un idiota. Sarà bene che te lo ficchi bene in quella testaccia che ti ritrovi".
- "Ora non fare la maestrina, per cortesia, – irruppe lui, in difesa del suo sacro orgoglio maschile. – Non sei di sicuro Miss Immacolata nemmeno tu!".
- "Io? Almeno non sono stata a letto con dieci donne solo per una scommessa. E dico dieci perché mi ricordo perfettamente delle cretine Candy e Jamie".
- "Vogliamo parlare di te, allora? Escludendo Warren e il fotografo, direi che ti sei data piuttosto da fare anche tu. Non ricordi un certo Troy?".
Troy era finito nel dimenticatoio alla velocità della luce. Era stata colpa di Nick se c'ero finita a letto e non solo per la scommessa. Ero delusa, ferita, sconvolta e arrabbiata. Volevo solo vendicarmi, in un modo assolutamente stupido e inutile, perché se davvero non gli fosse importato nulla di me, di certo non gli sarebbe interessato di sapermi tra le braccia di un altro. E ora quell'errore madornale, quell'errore di una sera, stava diventando la più solida prova di fiducia che Nick mi potesse fornire. Il fatto che gli bruciasse e la consapevolezza di avermi spinto a casa di Troy erano tutto ciò che avevo e volevo.
In quel momento, capii che andando su quel terrazzo, con lui, a tentare di farlo ragionare, a spiegarci, significava avere già compiuto una scelta: mi stavo fidando.
Gli arrivai vicino al mento e lo fissai con malizia. Calibrai bene le parole da dire e le pronunciai, conscia di non poter tornare indietro.
- "Con Troy è stato fantastico" sussurrai quasi in estasi, prima di baciarlo. 
Oppose resistenza, serrando deciso la bocca come avevo fatto io sul suo fuoristrada, ma non mi diedi per vinta e continuai a mordergli le labbra, a succhiarle e a passare con pazienza la lingua nella strettissima fessura tra le labbra. Mi allontanò di una decina di centimetri da sé, serio, fissandomi con insistenza negli occhi.
- "Non così facilmente. A che gioco stai giocando?".
- "Non sto giocando".
- "Stamattina mi hai respinto e stasera fai la carina con me..." mi spiegò, perplesso.
- "Non ti ho mai rifiutato!".
Nick mi osservò di traverso, scettico. Si prese un attimo per pensare, mentre cercava di mettere a fatica insieme pezzi di conversazioni e avvenimenti.
- "Sammy, hai letto il biglietto che ti ho dato qualche settimana fa?" domandò, d'un tratto. 
Mi presi il viso tra le mani, maledicendo la sua cocciutaggine e la sua razionalità: non potevamo solo baciarci?
- "Perché vuoi rivangare il passato? Ho deciso di dimenticare la scommessa, di fidarmi di te, nonostante quello stupido pezzo di carta" mi lagnai.
- "L'hai letto sì o no?" insisté.
- "Che importanza ha?". Pessima scelta di parole, semmai lo avessi voluto convincere.
- "Ti ho fatto delle promesse quella sera nel mio fuoristrada ed ho intenzione di mantenerle. Avevo, perlomeno – che brutto tempo l'imperfetto. Possiamo continuare ad usare il presente, Nick? - L'hai letto?".

Promises are whispered 
The age of darkness
Want to be enlightened
Like I want to be told the end...

- "E va bene: no" mi arresi.
- "Perché?" urlò.
Strinse i pugni e cominciò ad andare avanti e indietro lungo i pochi metri di balcone che rimanevano all'oscuro dalle luci.
- "Perché ho pensato al peggio, che non fossi cambiato e che avessi intenzione di continuare la scommessa. Cosa di cui non sono certa nemmeno ora" aggiunsi, esitante.
- "E allora che senso ha tutto questo? Tu non ti fiderai mai" gridò, confuso e irato.
- "Non è vero, perché ora sono qui, nell'ennesimo patetico tentativo di starti vicino e spogliarti il più presto possibile – Perché finisco sempre col dire proprio tutto quello che penso? – E ho deciso di fidarmi, nonostante non abbia la minima idea di quello che c'è scritto sul biglietto. Mi sto sforzando di lasciar perdere i miei numerosi patemi d'animo e di prendere l'intero pacchetto a scatola chiusa".
- "È il tuo modo contorto per dimostrare che mi credi?".
- "Non ne ho di migliori" ammisi mestamente. 
- "Forse uno sì...".

Finalmente, quella sera capii l'utilità del corrimano dell'ascensore. Nick fece scorrere verso l'alto la gonna del mio tailleur, toccandomi le cosce con le sue mani forti. Avevamo cinquantadue piani di tempo: niente preliminari. Gli strinsi le mani sulle guance e lo baciai con passione, saggiando la sua lingua con ingordigia. Nick sbottonò la mia camicia, mentre io gli slacciavo la cintura e la zip dei pantaloni.
- "Sei impaziente..." mi soffiò sulle labbra, con voce rauca.
Indirizzai gli occhi verso la pulsantiera e lessi.
- "Quarantuno piani" gli risposi e quelle uniche due parole gli fornirono una giustificazione più che sufficiente.
Mi tolsi rapida gli slip e li lasciai impigliati nella scarpa per non farli toccare terra. Nick mi strappò un gemito, quando, senza gentilezza, intrufolò due dita tra le mie cosce.
Trentaquattro piani.
Lo baciai sul collo, lasciandogli tracce di rossetto porpora sul colletto della camicia. Poggiò una mano sul mio seno, mentre mi aiutava a sistemarmi meglio – per quanto fosse possibile – sul corrimano. Quando si accorse che ero già pronta ad accoglierlo, sorrise diabolico ed entrò con foga dentro di me, muovendosi ritmicamente, facendomi sospirare ad ogni affondo.
- "Dio, come sei bella" sussurrò nel mio orecchio, con un tono caldo e sensuale che mi provocò il solletico lungo tutta la spina dorsale. Mi appoggiai sul suo petto e gettai la testa all'indietro, totalmente assoggettata alle sue mani e alla sua bocca, sul collo e sul seno.
Diciotto piani.
- "Dovrò aumentare il ritmo. Ti dispiace?" ghignò, fermandosi qualche istante per rinsaldare la presa sui miei fianchi e riprendere fiato.
- "Niente affatto" gli soffiai sulle labbra.
Quindici piani. 
Come promesso, riprese a muoversi più veloce; affondai le unghie nella sua camicia per avvicinarlo il più possibile a me e ansimai i suoi movimenti che si facevano via via più profondi. 
- "Nick!" biascicai, con l'ultimo briciolo di lucidità rimasta, prima di raggiungere l'apice insieme a lui.
Sette piani.
Mi baciò sulle labbra a lungo, senza abbandonare la sua posizione tra le mie gambe.
Due piani.
Il trillo dell'ascensore ci ricordò che stavamo per arrivare al piano terra e che eravamo ancora mezzi spogliati. Cominciamo a rivestirci in fretta, per evitare di mostrarci mezzi nudi una volta che le porte si fossero aperte. Mi sistemai alla bell'e meglio, senza riuscire a staccargli gli occhi di dosso; era bello, sexy, eccitato ed eccitante.
Tempo scaduto; le porte si spalancarono e una coppia sui settanta ci guardò cordiale, nonostante Nick avesse le labbra contornate da un alone rossastro di rossetto sbavato e il papillon sfatto ed io fossi terribilmente a disagio, con i bottoni slacciati. Se solo avessi avuto un minuto per ricompormi in modo decoroso... mancavano almeno trenta secondi buoni per sistemarmi e rendermi presentabile.
Cavolo. Mancavano le mutandine.
Abbassai il volto verso il pavimento, alla ricerca degli slip perduti, mentre i due anziani trovavano spazio proprio davanti a noi. Il mio povero brasiliano di pizzo era finito nell'angolino di sinistra, accanto al signore baffuto che accompagnava verosimilmente la moglie. Nick parve capire al volo ciò che stava frullando nella mia testa e si allungò finché vi ci poté poggiare la scarpa.
L'ascensore si bloccò.
- "Non è il vostro piano, ragazzi?'" domandò la signora. 
- "No, - risposi per entrambi - ho dimenticato una cosa al piano di sopra" mentii.
Il marito premette il pulsante, mentre la voce serafica di Nick mi sussurrava nell'orecchio.
- "Le mutandine, forse?".
Abbassai lo sguardo, imbarazzata, sentendomi andare a fuoco il ventre al solo sentire il suo respiro sulla nuca.
La coppia anziana scese al terzo piano, permettendomi di tirare un sospiro di sollievo e di tornare presto tra le braccia di Nick. 
- "Salvataggio in extremis, eh, Sammy?" disse, alludendo a quanto nascosto sotto la sua scarpa verniciata di nero.
Di nuovo al piano terra, stavolta riuscimmo a lasciare l'ascensore prima ed il palazzo poi.
Gettammo gli slip, ormai imbrattati, in un cestino ed io fui costretta ad andare in giro senza.
Nick passò un braccio dietro la mia schiena, attirandomi a sé.
- "Non si era detto 'niente effusioni in pubblico'?"domandai curiosa.
- "Non avevo considerato il fatto che avresti potuto vagabondare per Londra senza mutandine. E, a proposito, la cosa mi eccita da morire" sospirò tra i miei capelli.
- "Buono a sapersi..." lo stuzzicai.
- "Verrà mai il giorno in cui riuscirò a capirti? Sei dannatamente complicata, Samantha Grayson".
- "Semmai staremo ancora insieme... – stare insieme? – cioè, voglio dire... sai, sono una persona imprevedibile... non è per questo che mi am...?".
Oh, cavolo. Che mi venga un colpo.
Mi zittii in un istante, il viso colorato di rosso vergogna di fronte alla maschera di puro divertimento che era la faccia di Nick.
- "Am... cosa?" ridacchiò.
Un verbo con la A, un verbo con la A, un verbo con la A...
- "Adombri" sputai veloce, come se fosse veleno.
Adombrare? Sul serio? Ammirare era troppo difficile? Adorare? Abbracciare?
- "Adombri?" ripeté lui, palesemente rallegrato dalla sfilza di mie pessime figure.
- "Sì, ehm... ho dimenticato la borsa, devo tornare su. Ci sentiamo domani, okay?".
Scappare sembrava l'unica soluzione per sfuggire a quella catastrofica sequela di gaffe che io stessa avevo provocato. Nick cercava di contenersi, ma non gli riusciva molto bene. Bloccò la mia fuga, prendendomi per un polso e facendomi voltare verso di lui.
- "Non te ne vai da nessuna parte, Sammy". Mi catturò tra le sue braccia, poco prima che la voce di Dan ci costringesse a spostare lo sguardo all'ingresso del palazzo della redazione.
- "Nick, non stai forse dimenticando qualcuno? Sono venuto in taxi ed ho intenzione di tornare a casa con te" brontolò suo fratello.
- "Trovati un passaggio".
- "Non fare lo scorbutico, 
 lo rimbrottai.  Vi vedete così poco...".
- "Dormi a casa mia" provò di nuovo Nick.
- "Domani mattina dobbiamo fare colazione con la nonna alle sette e trenta.
 Meglio dormire direttamente a casa di papà e mamma".
Nick cominciò a fare un paio di calcoli, pur sapendo che non c'era modo di trascorrere ciò che restava della notte insieme.
- "Porto lui dai miei, torno, dormo con te un'ora e poi riparto. Ah, la vedo dura. Sammy, lo so che sei ancora nella fase in cui mi vedi come Superman, perfetto, ma purtroppo te lo devo dire: non lo sono". 
- "Non c'è mai stata quella fase" lo informai seria.
- "Ci sarà sempre, invece! Chiamami quando torni a casa. Verso le dieci, prometto di venire a portarti la colazione a letto. Facciamo che ti porto la colazione e che ti porto a letto" disse, abbassando la voce.
Mi avvicinò a lui e mi baciò sulle labbra.


Decisi che avrei chiesto un passaggio a Valerie, non appena fossi riuscita a braccarla nella confusione della festa. Purtroppo, quando ritornai nella sala riunioni, Aldwin Feether m'informò che l'aveva appena vista dal balcone lasciare il palazzo a bordo di una Spider, quella di suo marito Jonathan.
- "Ma non ti preoccupare, sono sicuro che qualcuno ti porterà a casa, cara".
Aldwin era un vivace signorotto sui settanta, coi capelli impomatati e un'acqua di colonia talmente forte da battere in intensità un intero campo di lavanda in piena fioritura. Si era levato la giacca già da parecchie ore, lasciando in vista la pancia strizzata in una camicia turchese e le bretelle scure. Mi prese sottobraccio e cominciò a passeggiare lungo la stanza, trascinandomi con sé. Al terzo giro di sala in cui discutevamo del prezzo del petrolio in Kazakistan, lo fronteggiai, gli misi una mano sul petto e lo fermai. 
- "Che c'è, Aldwin?" domandai sospettosa.
I suoi folti baffi neri si arcuarono per la sorpresa. Non riuscii ad interrogarlo, perché mi sfuggì da sotto il naso, correndo goffamente verso il centro della stanza. Soltanto in quel momento mi resi conto che tutta la gente era fluita verso una parte della sala e che eravamo rimasti solo io e il quartetto vicino al buffet. Gli invitati mi fissavano con insistenza, le bocche sorridenti e lo sguardo sereno, come di chi sapeva esattamente ciò che stava per accadere.
Perché mi guardano tutti? Oddio, ho un pezzo di prezzemolo tra i denti? Troppo piccolo perché lo possano vedere tutti. Una foglia di lattuga sui capelli? Carta igienica attaccata alle scarpe? Oh, Gesù, dimmi che non sanno tutti che sono senza mutande!
Un blackout intervenne a salvarmi da quell'imbarazzante situazione; ci ritrovammo al buio, la stanza rischiarata dal debole riflesso delle luci artificiali delle vie di Londra sotto di noi e dal segnale verde che indicava le uscite di emergenza. La cosa non parve affliggere la festa: non ci fu nessun chiacchiericcio preoccupato, nessuna rassicurazione da parte dei padroni di casa, solo qualche risolino diffuso, presto soffocato.
Prima che potessi rendermi conto di ciò che stava succedendo, un grosso faro pendente dal soffitto si accese ronzando, e illuminò me e il quartetto. Mi guardai attorno a disagio, mentre mi riparavo gli occhi da quella luce penetrante che mi scaldava la pelle.
- "Che sta succedendo?" gridai stridula. 
I violini cominciarono a suonare una melodia conosciuta, mi ci vollero pochi secondi per riconoscere la canzone che le note stavano componendo: My heart will go on. Celine Dion.
Molto efficace, anche se un po' struggente e catastrofica, sconsigliabile in caso di viaggi in nave, soprattutto se traversate transatlantiche.
Altro che nonna Inge... Nick stava per presentarci come coppia ufficiale davanti a colleghi e amici; come al solito aveva previsto tutto.
Certo, tutto quell'impianto non era proprio nel mio stile – un tantino pomposo e megalomane e sdolcinato – e di sicuro l'indomani avrei dovuto fissare un appuntamento dal dentista per controllare le carie.
Ero terribilmente a disagio: musica in sottofondo, centinaia di occhi che immaginavo puntati su di me e faro effetto abbronzante schiaffato su di me significavano tonnellate d'imbarazzo. Avrei preferito - e di molto! – un divano, lo stereo, luci soffuse e un ben più riservato tête-à-tête.
La porta in fondo alla sala si spalancò, aprendo un fascio di luce che si allungava man mano che l'uscio si allontanava dal battente. Il raggio mi lambì i piedi, un attimo prima che una figura maschile si delineasse sulla soglia della stanza, riempiendo d'ombra la luce.
La silhouette slanciata e ben costruita era illuminata posteriormente; avanzava verso il piccolo corridoio creato per la serata con un andamento che trasudava sicurezza. Ad ogni suo passo corrispondevano almeno tre battiti del mio cuore. Stavo tremando come una foglia e avrei voluto andarmene a gambe levate. Veloce, in bagno, scambiarmi con un Warren – magicamente apparso proprio nella toilette – che avrebbe gradito di certo tali esagerate attenzioni.
L'uomo avanzò verso di me e abbassò un braccio per allungarlo lungo il fianco, rivelando di avere in mano un oggetto di forma pressoché conica: un mazzo di fiori.
La tensione e l'attesa mi stavano logorando; il tavolo del buffet era troppo lontano per prendere in considerazione l'idea di cercare un'arachide e sperare in un provvidenziale shock anafilattico che mi togliesse da quell'agonia.
Era tutto troppo sbagliato, così lontano dal mio modo di fare e di intendere una dichiarazione d'amore.
Sam, vuoi davvero stare con uno che ti organizza tutto questo? 
E rieccola che tornava, la voce della coscienza, pronta a mettere in dubbio ogni mia (non) certezza. No, che non ci volevo stare. Chiusi gli occhi, mentre la figura che sapevo appartenere Nick macinava gli ultimi metri che ci distanziavano.
- "Apri gli occhi, passerotta".
Quel soprannome me li fece spalancare in un baleno.
Ma che diavolo...?
- "Ralph?" gracchiai sorpresa.
La mia voce venne sovrastata dall'inopportuno acuto di Celine Dion. Incravattato e imbellito come al proprio matrimonio, il rapper più discusso degli ultimi mesi ridacchiò giulivo del mio stupore e mi porse un mazzo di rose rosse. Che originalità!
- "È finalmente arrivato il momento, amore mio".
Il momento di farti internare?
Le luci si riacceso e scoprirono i volti complici di tutti gli invitati; i mariti osservavano la scena vagamente annoiato, al contrario delle donne, l'aria sognante per il traboccante – e presunto – romanticismo del gesto. Ralph d'improvviso s'inginocchiò e sfoderò dalla tasca interna della giacca una scatolina da gioielleria. Lo guardai terrorizzata ed inorridita aprirla, svelando un grosso diamante, montato su un'ingombrante base di oro giallo.
- "Lady Samantha Ellen Grayson di Glasgow, vuoi diventare la signora Ralph J?".
Nella mia vita passata dovevo essere stata qualcuno di molto cattivo: un dittatore sanguinario, un omicida seriale, un boia, un bambino mangiacaccole o l'inventore della bomba atomica, perché non era possibile che mi cacciassi costantemente in situazioni al limite del surreale.
Più guardavo quell'anello, più realizzavo che la situazione mi era del tutto sfuggita di mano. Ralph J mi stava chiedendo in moglie. Io e lui. Disastro garantito.
E poi quella presentazione da proposta di matrimonio del Settecento! Nemmeno il signor Darcy si era rivolto a quella maniera a Elizabeth Bennet. 
- "Sam? – mi richiamò. – Allora? Hai un  da pronunciare, fragolina". Sorrise e si voltò verso gli altri invitati, in cerca di approvazione e complicità.
Vediamo... come dire ad un uomo che hai già rifiutato una volta, con cui sei andata a letto per una scommessa, a cui hai promesso che un giorno sareste stati insieme, che hai aiutato ad uscire dal carcere dopo un'accusa di favoreggiamento della prostituzione, che ha l'età cerebrale di tuo nipote di quattro anni, che ha organizzato una dichiarazione del genere davanti ad una folla adorante di un centinaio di persone... bene, come dirgli che l'ultima cosa che vorresti fare nella vita è sposarlo?
- "Possiamo parlare in privato?" provai a prendere del tempo per trovare il modo di edulcorare almeno un pochino la realtà.
- "Sentito, ragazzi? La mia crostatina deve parlare con me. Tutti fuori!".
- "Fermi! Ralph, usciamo noi, d'accordo?".
Ralph si avvicinò e mi bisbigliò sul viso, mentre il resto degli astanti tentava disperatamente di tendere le orecchie e carpire almeno qualche stralcio di conversazione.
- "Pesciolina, ma quando dici che vuoi 'parlare', intendi che vuoi fare del sesso? – s'informò, confuso. – Perché altrimenti posso fare qualche flessione e gli addominali risulteranno più tonici".
Lo guardai inorridita e lo trascinai nell'ufficio più vicino.
- "Senti, io ti voglio bene, davvero, e sono contenta di vederti fuori di prigione. Però, non ci conosciamo: non sai che odio le rose rosse, non sai che il mio secondo nome è Eleanor e non Ellen, non sai che non indosso mai l'oro giallo perché... beh, perché è giallo e non mi pare s'intoni molto bene con il mio colorito. Sono piuttosto pallida e purtroppo devo andare controtendenza: niente colori fluo per me, sembrerei un cadavere rifrangente. Un tragedia, no? Ad ogni modo, capisci cosa ti sto dicendo?".
Ralph annuì vigorosamente, come un soldato avrebbe fatto con un comandante, gli occhi sbarrati e l'espressione vacua.
- "Al nostro matrimonio il tuo vestito non sarà di un colore fluo? – No, non era proprio ciò che intendevo. – Coniglietta, non capisco. Dopo la favolosa notte d'amore che abbiamo trascorso insieme mesi fa, mi hai detto che non era ancora tempo per noi. Ho aspettato un segno che ci facesse ricongiungere e tu mi hai fatto uscire di galera. Topolina, più chiaro di così! Dobbiamo rimanere uniti per sempre".
E se gli dicessi che sono lesbica? Meglio essere chiari.
- "C'è qualcun altro nella mia vita al momento" dissi, nel tentativo di essere il più delicata possibile. Ralph sorrise comprensivo.
- "So che hai un gatto, frittatina. Non c'è alcun problema" mi spiegò.
- "Non in quel senso. C'è una persona".
- "Vivi con tua madre. Ho indovinato?"
La mia pazienza si stava drammaticamente esaurendo.
- "No, è un uomo" provai.
- "Oh, allora è tuo padre?".
- "No, Ralph, volevo dire che ho una specie di ragazzo". 
- "Tuo figlio? Scimmietta, sarò un patrigno perfetto!".
No, niente, non ci arriva.
- "Intendevo una specie di fidanzato".
- "Un fidanzato fidanzato?". Stavo per prostrarmi a terra ad urlare dalla gioia: ce l'avevamo fatta!
- "Sì, cavolo, sì" urlai dalla contentezza che avesse finalmente compreso e dalla liberazione.
La porta si spalancò e sbatté contro il muro, mentre due signore sui settanta si facevano avanti per abbracciarmi ed una terza urlava nella sala riunioni attigua.
- "Ha detto , ragazzi!".
Oh. Merda.

La limousine di Ralph accostò proprio sotto il mio condominio. Era scoppiato il finimondo, subito dopo che quelle tre vecchiacce avevano rivelato all'intera festa il nostro presunto fidanzamento. Decine di persone erano venute a congratularsi con noi, senza nemmeno darci il tempo di spiegare il malinteso perché di sicuro, no, insieme non avremmo avuto figli maschi e no, non avremmo invitato loro, gente perlopiù sconosciuta, che prometteva frullatori o vasi come regali di nozze.
Ralph e io eravamo riusciti a sgattaiolare via, grazie all'aiuto della sua nuova guardia del corpo – incredibilmente dalla fedina penale intonsa – e del signor Feether.
- "Dovrò scrivere almeno un paio di canzoni su di te, lo sai, vero? – annuii, sorridendo. – E dovrò chiamarti 
stronza o sgualdrina, o entrambe le cose. Forse anche vacca o quella brutta parola con la t..."
- "Sì, d'accordo, ho capito, – tagliai corto: il concetto era limpido e cristallino. – Grazie del passaggio, Ralph". 
Mi sporsi verso di lui e gli depositai un bacio sulla guancia. Mi stritolò in un abbraccio e cominciò a singhiozzare.
- "Non ti dimenticherò mai, Sam!".
- "Mica sto morendo! Possiamo sempre sentirci e uscire a bere qualcosa. – I suoi occhi lucidi tornarono a sorridere. – L'importante è che ti tieni fuori dai guai" mi raccomandai.
Scesi dall'auto e sentii il finestrino scendere.
- "Ciao, farfallina. Un giorno staremo insieme, vedrai".
Feci di sì col capo e lo salutai mentre l'autista avviava il motore e partiva.
Un giorno, certo: ho libero il 21 dicembre 2012, che te ne pare?

Il campanello. Qualcuno ci si doveva essere addormentato sopra, perché altrimenti non si spiegava quel rumore odioso e continuo che mi stava stordendo le orecchie da almeno cinque minuti. Neanche mettere la testa sotto il cuscino e il piumone era servito.
Mi alzai con un diavolo per capello ed andai ad aprire alla porta, domandandomi se un omicidio fosse il modo giusto per cominciare la giornata. Mah... tutto quel sangue sul pigiama. Visto la mia scarsa compatibilità con la lavatrice, meglio di no. Rompere l'osso del collo sarebbe stato meglio.
- "Will ti odio" dichiarai aprendo, con un occhio semichiuso.
- "Pensavo di morirci, sul pianerottolo, – 
Nick. Mi leggi nel pensiero. – Stamattina mi è successa una cosa strana: mi sono svegliato presto, ho fatto una doccia, mi sono seduto sul divano per gustarmi la colazione con i miei in santa pace davanti al telegiornale delle 7.30. E sai cosa ho scoperto? Pare che la mia ragazza si sia fidanzata con un altro. In diretta nazionale" affermò calmo, mentre io lo precedevo nel salotto, dove ci sedemmo uno di fronte all'altro.
- "Davvero? – Non so per quale motivo, ma d'improvviso mi ero del tutto svegliata. – Non sono la tua ragazza" ribattei.
La Samantha tredicenne che c'era in me non aspettava altro che lui la smentisse, per cominciare a disegnare 
S e N attorniati da cuoricini su fogli trovati per casa, durante qualche telefonata. Che le mie figuracce del giorno precedente stessero dando i loro frutti?
Nick mi fissò senza scomporsi, alzando un sopracciglio sorpreso.
- "Infatti parlavo di Harmony" disse tranquillo.

Presi un cuscino dal divano e glielo scaraventai in piena faccia, premendo; gli stavo facendo un favore, in realtà. Era una metafora: vuoi stare con lei? Bene, sarebbe soffocante quanto un sacchetto di plastica in testa. Io? Fresca e leggera come una boccata d'aria fresca di montagna in una giornata estiva, con il cielo pieno di uccellini, le farfalle che volano felici, il sole che ti scalda il viso, gli alberi che si muovono nel vento, il rumore di un ruscello in lontananza... devo continuare?
- "Scherzavo, dai, – si difese lui, bloccandomi le braccia. – Non sulla questione del fidanzamento, però".
- "È una lunga storia. Ti basti sapere che ho declinato la proposta" dissi vaga e mi alzai per andare in cucina.
- "Per qualche ragione in particolare?" s'informò lui.
In un attimo si era alzato e mi aveva seguito, sedendosi al tavolo da pranzo.
- "Ho la testa altrove, diciamo. Tornando ad Harmony, hai qualcosa da dichiarare?".
Sorrise furbo, come se non attendesse altro che sentirsi fare quella domanda. Sapeva che prima o poi l'avrei posta.
- "Ho dovuto coinvolgerla perché mi serviva una ballerina di cui fidarmi al 
Pumping Pumpkin".
Presi una mentina dalla cucina per rinfrescarmi l'alito mattutino e capii perché aveva chiamato la gallina biondo platino: gli unici talenti che servissero in un night-club erano i due respingenti davanti, e con Harmony era andato sul sicuro. I miei – piccoli, preziosi e rari – si sarebbero consumati troppo a stare in quell'ambiente.
- "Avresti potuto chiedere a me..." azzardai. 
Mi raggiunse dall'altro lato del tavolo e aprì un armadietto, in cerca di un bicchiere che riempì con del succo d'arancia trovato nel frigo.
- "Oppure no. Diciamo che non mi faceva impazzire l'idea di coinvolgerti ulteriormente".
- "Sarebbe stato pericoloso?".
Se attaccava di nuovo con la storia della principessa da difendere...
- "Saresti stata mezza nuda di fronte ad altri uomini. – La sua spiegazione era 
molto meglio della mia. – Poi cosa avrebbero detto i tuoi colleghi della redazione? Già ho dovuto zittirli quella volta al bar, quando avevano scoperto della scommessa. Il problema è che parli troppo. Motivo per cui ho dovuto mettere della valeriana nel tuo bicchiere d'acqua, prima di portarti in aperta campagna" si risedette e mi osservò di sottecchi.
- "Qu-quando? – gridai sconvolta. Ragionai su quella sera e mi accorsi di qualche stranezza. – Non è un caso che sia squillato il telefono e che non ci fosse nessuno dall'altro capo del telefono, vero?".
- "Sono astuto, che ci vuoi fare, – si compiacque. – Tu, piuttosto, ti presenti così a Will?".
Notai com'ero vestita: una maglia con degli orsetti e un paio di pantaloncini ridicolmente corti, abbinati ad un elegantissimo paio di calze antiscivolo.
- "Non c'è nulla che lui non abbia visto" commentai, conscia di punzecchiarlo.
- "Capisco, – tentò di fare l'indifferente, poi si mostrò curioso di conoscere altri dettagli. – L'avevi fatto con lui quella sera che mi sono presentato da te, dopo la lite per Harmony?".
- "No. – Nick parve sollevato dalla mia risposta. – Quella volta avevamo giocato a strip-poker".
Il succo che stava bevendo gli andò di traverso, facendolo tossire. Mi voltai verso la credenza e presi la scatola dei biscotti, giusto per non mostrargli quanto largo fosse il sorriso sulla mia faccia.
- "È una cosa che fai abitualmente con i tuoi amici uomini?".
- "Sono una donna libera e indipendente" alzai le spalle.
Rubò il biscotto smangiucchiato che avevo nella mano, lo mandò giù in un solo boccone e appoggiò il gomito sulla tavola. 
- "Facciamo che ora sei una donna indipendente."
- "Se lo dici tu...".
Sorrise e mi fece cenno di seguirlo sul divano, senza biscotti o merendine, naturalmente. Briciole sui cuscini? Per carità!
Ci accomodammo uno accanto all'altro, il suo braccio ad avvolgermi le spalle e il mio corpo rannicchiato contro il suo. Mi sollevò il mento con un dito e mi baciò piano.
- "Buongiorno, – gli risposi socchiudendo gli occhi e riposizionando la testa sul suo petto. – Di mattina, sei sempre così fredda come un ghiacciolo?".
- "Mi sto solo godendo un po' di pace, – brontolai. – Ma sarà meglio chiarire un paio di cose: innanzitutto, se io ho perso il mio status di persona libera, è ovvio che l'abbia perso anche tu". 
- "Mi sembra giusto, – concordò. – E ti farà piacere sapere non sono andato a letto con tutte quelle donne. Alcune erano solo delle colleghe che hanno finto di fare altri mestieri per aiutarmi. Tanto sapevo che non avresti mai avuto il coraggio di guardare i video".
In realtà, uno l'avevo visto: il primo, in compagnia di Will. Un filmato amatoriale che mi aveva fatto accapponare la pelle e che non ero riuscita a vedere fino alla fine, ma le cui immagini si erano ormai stampate indelebilmente nel mio cervello. 
- "Anche le sorelle Rowell?" chiesi, sebbene conoscessi la risposta.
- "Ero giovane e ingenuo all'epoca..." sospirò, guadagnandosi una gomitata nel costato.
- "Già, avevi sei mesi di meno, – risposi sarcastica. – E comunque nemmeno io sono stata poi così sincera: solo con il cantante, il ladro, il tecnico dei computer e con Troy".
- "Sono comunque due in più di me, – constatò contrariato. – Quindi, chi vince la scommessa?".
Sbuffai e mi allontanai di qualche decina di centimetri dal corpo caldo di Nick; non mi sentivo ancora a mio agio a discuterne apertamente, ma lui mi riacciuffò le spalle e se le riportò di nuovo addosso.
- "Non m'interessa, Nick. Sai come la penso su questo argomento" cercai di divincolarmi e lui, questa volta, mi lasciò fare.
- "E come?".
- "Basta con i giochi" sentenziai, alzandomi dal divano.
- "Andiamo, Sammy, manca solo una cosa e potremo chiudere definitivamente la questione".
- "Cioè?".
- "L'ultimo bigliettino".
M'irrigidii d'istinto. Ne avevo le tasche piene di questa storia, non vedevo l'ora di lasciarcela alle spalle, senza
 contare che non ero in possesso di questo stramaledetto pezzo di carta.
- "E allora non lo sapremo mai. L'ho perso" ammisi.
- "Ah, davvero? – ridacchiò Nick. – E, quindi, questo che ho in mano che cos'è?".
Tra le sue dita era comparso magicamente un foglietto di carta. O, meglio, 
il foglietto di carta.
- "Dove l'hai preso?" urlai, avvicinandomi con delicatezza, neanche avesse in mano una ciglia – preziosissima! – di Marc Jacobs.
- "Un uccellino me l'ha ridato".
Un uccellino? Un angelo!
- "Chi?" – domandai subito, ma mi vidi negata la risposta.
- "Ho promesso di non dirlo. – Guardai Nick in cagnesco e lui cambiò subito opinione. – Ma, visto che vogliamo inaugurare subito la nuova politica del 
niente più segreti, te lo dico: è stato Warren".
- "Warren?".
La mia superficiale checca isterica che non pensa a nessun altro oltre che a se stesso medesimo e alle sue regioni subequatoriali? Ho sempre creduto che in fondo, molto molto molto in fondo, ci fosse un frammento di cuore umano in lui.
- "L'ha trovato mentre era qui a casa tua e me l'ha restituito, perché ha pensato che se avessi voluto fidarti, avresti dovuto farlo anche senza conoscerne il contenuto".
Esitai per qualche istante, poi lo presi e lo accartocciai nella mano. Andai in cucina e lo gettai nella pattumiera: non avevo bisogno di uno stupido foglio di carta per fidarmi di Nick.
- "Non mi serve più, – commentai, tornando nel salone. Lui stava ridendo sotto i baffi, ben sapendo che, qualche secondo dopo, la curiosità mi avrebbe divorata viva. – Però magari una sbirciatina, giusto per stare sicuri" esclamai. 

Per fortuna, il cestino era vuoto; c'era solo quel biglietto solitarioe  c'impiegai meno di tre secondi a recuperarlo ed aprirlo.

Fidati di me. 
P.S. Ti adombro anch'io.

Rilessi quel bigliettino almeno una decina di volte, senza riuscire a togliermi il sorriso dal viso. Quella seconda frase, aggiunta da poco con un inchiostro nero, era quanto aspettavo di sentire da tempo immemore. E quello era un modo assurdo e decisamente originale per dirlo, ma ero certa che non ce ne fossero di migliori.
- "Quindi?" domandò.
- "Quindi cosa?".
Richiusi il foglietto e lo misi sul tavolo con noncuranza, fingendo che ciò che avevo appena letto non mi avesse messo sottosopra cervello e stomaco.
- "Non dici nulla?".
Avevo così tante cose da dire, da urlare a tutto il condominio ed erano tutte ammassate e pronte ad esplodere! E non avevo idea con che cosa avrei cominciato, perché ciascuna sembrava essere quella giusta per il momento.
- "Ho fame, – esclamai infine: avevo bisogno di digerire quelle quattro paroline che mi si erano bloccate in gola. Forse sotterrandole con del cibo, sarei riuscita a riprendere a respirare con regolarità. – Vuoi un pancake? Sai, qualcuno mi ha detto che mi avrebbe portato la colazione...".
- "È mezzogiorno e un quarto, pensavo fossi già sveglia da ore".
- "È l'alba, Nick".
Cominciai a togliere dall'armadietto e dal frigorifero gli ingredienti necessari a cucinare. Presi uova, zucchero, sale, farina, zucchero a velo, vanillina, lievito... non avevo idea di come si facessero i pancakes nella vita di tutti i giorni, figuriamoci in quegli istanti, con il cervello fritto e lo stomaco chiuso.
Ruppi un paio di uova e le frullai con una forchetta, sale, pepe.
Forse queste sono le omelettes?
Nick mi fissava incuriosito dalla mia incapacità e inorridito dalla poltiglia giallognola che avevo creato. Si tolse il maglione e rimase con la sola maglietta a mezze maniche. Anche lui d'un tratto si era accorto del caldo che regnava nel mio appartamento?
- "Ma i pancakes non si fanno così! – mi sgridò. – Hai diviso i tuorli dagli albumi? Dammi qua!".
Il risultato della sua vicinanza fu che la mia mano strinse ancora più forte la forchetta, mentre lui si sistemava dietro di me, avendo cura di far aderire il suo corpo al mio. C'erano dei problemi logistici, però: lui, essendo mancino, non era in grado di utilizzare la posata con la destra, mentre io avevo l'handicap contrario. Alla fine, si limitò a cingermi la vita e a baciarmi il collo per distrarmi.
- "Lasciami lavorare, per cortesia. Credi che non sia in grado di fare uno stupido pancake! Sono dieci volte più brava di te".
- "Scommettiamo?".
Prese altre uova dal frigo e un'altra ciotola dalla credenza per fare la sua – che non dubitavo fosse l'autentica – versione dei pancakes.
- "Certo".
Interruppe la ricetta solo per dettare le condizioni.
- "Se vinci tu, ti offro il pranzo giù al bar, perché è ovvio che non mangerò quella sbobba che stai preparando e tu di certo mangerai la mia. Se vinco io... – Fece una pausa strategica, puntando i suoi occhi sul mio pigiama striminzito. – Mi offro di pranzare con lo sciroppo d'acero su di te".
Guardai il mio intruglio nella terrina, era evidente che non ne sarebbe uscito nulla di buono. Perciò, catturata l'attenzione di Nick, lo costrinsi ad osservarmi, mentre ne vuotavo il contenuto nel lavandino. 
Lo sciroppo d'acero era già sul tavolo. Lo acchiappai con la mano destra e con la sinistra afferrai il braccio di Nick, trascinandolo in camera da letto. 
Perché per una volta, no, non mi sarebbe dispiaciuto perdere una scommessa.


State of love.

Non mi sembra vero di essere riuscita a finire questa storia e, nonostante mi dispiaccia un pochino, sono contenta di aver portato a termine qualcosa.
Voglio semplicemente ringraziarvi per essere arrivati fin qui, per aver recensito o anche solo semplicemente letto.
Un ringraziamento particolare va a nes_sie, (che oltre a betare è anche una grandissima rompipalle e mi ha costretto a finire il capitolo, e soprattutto perché ricorda molte più cose di questa storia, di quante ne ricordi io), a SunshinePol che ha gentilmente trascritto a computer parte dei miei confusi appunti scarabocchiati a mano e in generale a tutte quelle che mi hanno spronato - un termine elegante per indicare qualcosa che non lo è stato - a scrivere questo maledetto capitolo 37.
La canzone del titolo è dei Pearl Jam e se qualcuna di voi avesse notato che sono un pochinoinoino in ritardo nella pubblicazione... beh, sappia che è la sola a pensarla così ;)
Se vi andasse, ho cominciato una nuova storia, una mini totalmente diversa da C'eral'acca. La trovate qui: In Her Shoes.
Grazie ancora.
S.  

   
 
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