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Autore: Love_in_idleness    22/12/2006    2 recensioni
C'è una sola cosa che accomuna tutti gli uomini in tutto il mondo - il Tempo. Probabilmente, in un angolo del pianeta, nello stesso istante, un’amicizia nasce ed un’altra si spezza; qualcuno porta il lutto, qualcuno ricomincia a vivere; qualcuno muore, qualcuno nasce; qualcuno si innamora, qualcuno si dimentica la passione; qualcuno vive incubi abissali, qualcuno contempla un paesaggio nell’assoluta solitudine. *AVVERTENZA* - la storia è formata da one-shot slegate tra loro. Solo il capitolo II è drammatico e il capitolo X shonen-ai.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Nuovo capitolo

Nuovo capitolo ^_^ leggermente Angst... ma non preoccupatevi, vi spiego una cosa: questo insieme di one-shot è costruito con una struttura simmetrica, per la quale ad ogni tema negativo ne corrisponde uno positivo. Perciò verranno i capitoli leggeri. By the way - Capitolo tre.

 

III.

[Londra – White City; Ventuno Novembre 2006, 16.58]

 

Il tempo è sempre lo stesso in ogni luogo. A volte cambia l’ora, a volte il giorno, a volte la luce. In ognuna di queste sue trasmigrazioni permane la stessa essenza, lo stesso movimento proteso in avanti. È fondamentalmente un attimo cristallizzato nell’infinito, un unico istante vissuto da milioni di anime – quel tempo era una tristissima, cupa, maledetta giornata di Novembre, un pomeriggio che avrebbe potuto essere semplicemente un momento qualsiasi in una vita qualsiasi, e che invece col suo suono di campane a morto e col suo odore di incenso le sarebbe rimasto inciso nella memoria come una lapide tombale che reca il nome di una persona perduta.

Il campanile tuonò fragorosamente le cinque. Meredith alzò lievemente il braccio abbandonato sul suo grembo e con gli occhi ancora un po’ storditi guardò il quadrante dell’orologio. In realtà erano le quattro e cinquantotto. La funzione sarebbe cominciata entro pochi minuti.

Meredith non si accorgeva di quello che stava succedendo accanto a lei, o se il mondo avesse preso a girare vorticosamente e freneticamente attorno alla sua figura immobile e nera come una notte invernale. Tutta la sua visuale era abbagliata dal riflesso accecante della piccola bara bianca che stava proprio lì, a pochi metri da lei, messa a giacere dinnanzi all’altare con un bambino dentro, stretto, infreddolito, morto. Fissava quella macchia bianca con un’insistenza sviata, affascinata, ammaliata da una lucentezza simile, e le pareva che quel chiarore purissimo, quel colore così vicino allo splendore, si stesse ingrandendo e stesse conquistando progressivamente tutta la chiesa. Sarebbe uscito dalla porta ed avrebbe soggiogato il mondo nella sua luce abbacinante e nel lutto incommensurabile che si portava dentro.

Le campane continuavano a suonare. Lei rimaneva immobile nella sua posizione rigida, severa. Quei tumultuosi pensieri si riannodavano in un filo nero e deleterio che la sospingeva fino ai confini della pazzia, fino all’orlo del territorio dove la realtà malvagia si confonde nell’indefinitezza dei sogni e degli incubi atroci. Forse era davvero solo un incubo. Il fazzoletto che stringeva tra le mani era bagnato delle sostanze oniriche della sua mente, quella stoffa nera e quella bara bianca erano soltanto proiezioni intelligibili della sua angoscia più radicata. In fondo, sapeva di non potersi svegliare.

Meredith pensava vagamente. Non esisteva più nulla di chiaro nella sua vita. Tutto ero stato improvvisamente rovesciato, rivoltato, sconvolto. In un istante fatale le era sembrato di cominciare a vedere le cose al contrario, come sospese in un limbo misterioso, in una dimensione estranea alla sua comprensione e all’abitudine che aveva di abitare su questo pianeta, in questa città, in questa via, in questa casa. Necessariamente c’era uno sbaglio, un dettaglio distorto. Non capiva ancora, non realizzava cosa avesse potuto infrangere bruscamente l’equilibrio di quella lineare esistenza, e cosa fosse stato il motore di quella rivoluzione copernicana. Il suo centro era decisamente deviato. Persino quei rintocchi insistenti, quei suoni sordi, rimbombanti, potenti, le sembravano non avere alcun senso rispetto al bianco che stava investendo la sua vista e che stava totalizzando la sua ragione. Uno sciame di persone andava e veniva da lei. Le dicevano parole che non capiva nel loro suono, le ascoltava distrattamente e non le guardava nemmeno, continuava a fissare gli occhi sulla piccola bara bianca luccicante.

Sapeva che se non avesse compreso in fretta il motivo di quella strana sensazione di dolore, di soffocamento, di spasimo, sarebbe impazzita e deperita. Ma, davvero, non distingueva più nulla. Suo marito era alla sua destra, il suo bambino alla sua sinistra. Provava una pena profonda per la madre che doveva guardare la bara bianca intuendo il corpo di suo figlio sigillato tra piccole le assi. Se le avessero strappato suo figlio –

Poi, in un attimo, ricordò ogni cosa. Ricordò quelle scale. Ricordò il rumore ovattato della caduta. Rivide il sangue contro lo spigolo di marmo.

E fu tutto perfettamente chiaro. Volse lo sguardo a sinistra, ed osservò il vuoto pieno di orrore.

Il bambino dentro quella bara,

era il suo bambino.

Si alzò in uno slancio inaspettato e protese tutta se stessa verso il feretro coperto da una soffice coperta di fiori candidi. Sentiva il respiro mancare ed il cuore fermarsi per un istante disperato mentre lanciava un urlo pieno di angoscia, pieno di terrore, pieno di stupefacente lucidità.

Si piegò convulsamente sbattendo contro il pavimento freddo, e rimase così, gli occhi sbarrati, il bianco vuoto nell’anima, finché qualcuno non raccolse il suo corpo inerme.

Non avrebbe vissuto mai più come una persona sana, come una donna.

Il buio della sera penetrava dalle ampie finestre policrome della chiesa decorata a lutto. La luce dei ceri e delle preghiere sussurrate rifletteva sui quei vetri i mille colori della sciagura e della devastazione. Tra le sue navate si sarebbero celebrati due mesti funerali. Seppellivano il piccolo, e dentro la stessa bara seppellivano anche lo spirito morto di Meredith.

Si compiva così un sacrificio feroce ed inesorabile. Meredith sentiva di dissolversi pezzo dopo pezzo, lentamente, con agonia, sul lastricato di quella chiesa, in un’ora qualsiasi, in un giorno qualsiasi di Novembre che con la sua disgrazia ed il suo buio funesto avrebbe per sempre leccato via la sua felicità e prosciugato ogni traccia di umanità dal suo cuore.

 

 

[Una Bara Bianca]

 

___

Uh, è quasi Natale e quasi il mio compleanno. La cosa che amo di più dei regali di Natale è fare i pacchetti, sapete, con la carta speciale e tutti i nastri colorati e luccicanti. E poi sono in vacanza, ma solo apparentemente. Comunque vi faccio tantissimi auguri di buone feste, e ringrazio tutti coloro che hanno letto il capitolo due anche se è stato una strage... lasciatemi una recensione! Per favore! Fatemi un regalo di Natale e di compleanno... Grazie & alla prossima

Love-in-idleness

   
 
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