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Autore: Hiraedd    03/10/2012    3 recensioni
A volte capita che il Capitano Grifondoro si ritrovi tra le mani uno strano enigma chiamato Dorcas Meadowes, che in sei anni gli ha rivolto la parola tre volte al massimo, tutte nel giro dell’ultima settimana.
Può anche capitare che un Serpeverde solitario e innocuo inciampi in una maschera che non nasconde solo un volto, ma un mondo intero. Perchè Benjamin odia Caradoc Dearborn, sia chiaro, e quegli occhi dorati non gli fanno alcun effetto. Forse.
Oppure può succedere che il Caposcuola sia innamorato da anni della sorellina del proprio migliore amico, che ha perso la testa per un Auror di stanza in Polonia, e abbia una fottuta paura che Edgar lo scopra e lo torturi perché no, quelli che fa verso Amelia sono tutto fuorché casti pensieri d’amicizia.
Per fortuna, però, che c’è Hestia Jones, deputato diario segreto degli studenti del settimo anno, che tutto osserva nonostante, a conti fatti, non distolga nemmeno per un secondo lo sguardo dal suo adorato fidanzato, il Prefetto Sturgis Podmore.
*
Siamo ad Hogwarts, è l’autunno 1969 e la guerra è già più vicina di quanto non sembri.
*
Altri personaggi: Gideon Prewett, Kingsley Shacklebolt, Sturgis Podmore, Amelia e Edgar Bones.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Benjy Fenwick, Caradoc Dearborn, Dorcas Meadowes, Fabian Prewett, Hestia Jones
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'oltre il fuoco comincia l'amore'
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Capitolo 12

 
 
 

Per il sentiero del sogno
Senza allentare il passo
Sempre vengo a trovarti;
eppure mai è eguale
allo scambio fuggevole
di sguardi ad occhi aperti
(Ono no Komachi)

 


 
Amelia non frequentava in senso stretto nessun componente della cosiddetta patria dei Bellocci, esclusa Hestia.
 
Quella con suo fratello non poteva essere catalogata esattamente come “frequentazione”. Erano nati a quindici mesi precisi l’uno dall’altra, facevano parte della stessa casa ad Hogwarts e in estate dividevano la medesima stanza. Edgar aveva imparato a non sbuffare quando la sorellina, più piccola di lui, si svegliava preda di qualche incubo e Amelia aveva alla fine accantonato quella gelosia un po’ infantile di cui era preda ogni volta che un’amica esprimeva un parere un po’ troppo gentile nei confronti del suo fratellone.
 
Il fatto che quella gelosia fosse del tutto ricambiata, invece, la mandava in bestie. E, diciamocelo, non è che Edgar lesinasse con le critiche sugli spasimanti di Amelia, anzi, ne elargiva anche di gratuite.
 
Anthony Gallagher aveva il naso troppo grosso (quando annuisce a tavola affetta il pane, quello, Amelia);
 
la voce di Jacob Wilson sembrava quella di una femminuccia (ah, ha la voce peggiore che io abbia mai sentito. Perfino peggio di quella Bertha Jorkins, la primo anno grifondoro cotta persa di Caradoc);
 
Stephen Mason non indossava le scarpe adatte (sembrano quelle di un pagliaccio, Meli!);
 
in Paul Vance era il lavoro, il problema (sta studiando per diventare Auror, Ami! In Polonia, che non è esattamente dietro l’angolo).
 
Ad ogni critica conseguiva una risposta della piccola Amelia, che ci teneva a far capire chelei, proprio piccola non era. Ad ogni risposta ne derivava un’altra, e alla fine quella che era iniziata come una semplice conversazione sfociava nel litigio più truce.
 
Tutto sommato, però, erano piuttosto uniti. Per questo Amelia aveva tanta familiarità con gli amici di suo fratello, pur non frequentandoli troppo in prima persona.
 
-ehi, uomo del momento- trillò allegra entrando in infermeria con un sacchetto di Scarafaggi a grappolo in una mano e una lettera di pergamena fine nell’altra. Vedendo, seduto su una sedia, Kingsley Shacklebolt, sorrise istintivamente rallegrata. Dopo qualche attimo, si voltò verso Dearborn –ti avevo portato una ventata di allegria e un sacchetto di dolci, ma vedo che hai già sia la compagnia che… una quantità indecente di dolciumi, direi. Quando uscirai di qui con le gambe apposto, ci dovrai rientrare per il livello di zuccheri nel sangue, secondo me-.
 
I commenti di Amelia erano pienamente giustificati dai cumuli di ogni tipo di leccornie, magiche e non, stipati nel piccolo armadietto che avrebbe dovuto fungere da comodino.
 
-tranquilla, di allegria e dolci non ne ho mai abbastanza- scherzò Caradoc sbattendo le palpebre con fare civettuolo. Merlino, solo lui fra i suoi conoscenti era in grado di fare il cretino senza sembrarlo affatto.
 
-tu non dovresti essere a lezione?- chiese incuriosito Kingsley, senza riuscire a trattenere un sorriso di fronte all’espressione così fanciullesca della bella ragazza.
 
Amelia alzò gli occhi al cielo, con espressione angelica.
 
-dovevo assolutamente andare in infermeria- cinguettò con grazia prima di sentire Dearborn scoppiare a ridere.
 
-oh, cara, se volevi solamente vedermi bastava dire la verità- rispose il ragazzo sullo stesso tono, raccattando dal vicino comodino una cioccorana e scartandola con attenzione –secondo me ti avrebbero creduto-.
 
Kingsley, accanto all’amico, alzò gli occhi al cielo, per poi puntare lo sguardo in quello sinceramente divertito di Amelia.
 
-chiedo scusa, tesoro- stette al gioco lei, smielosa. Scostando lo sguardo da quello di Shacklebolt, sorrise in direzione del Corvonero mezzo seduto sul lettino –ho già trovato il mio lui ideale-.
 
Non c’era persona ad Hogwarts –e questo Amelia lo sapeva decisamente bene- più pettegola di Caradoc Dearborn.
 
-vuoi dire che Paul Vance è davvero così importante?- domandò con uno scintillio malizioso negli occhi e quel tono da vecchia comare che lo distingueva da un sacco di anni a quella parte –tuo fratello potrebbe avere qualcosa da ridire-.
 
Amelia scoppiò a ridere, divertita, aprendo con entusiasmo il pacchetto di Scarafaggi a grappolo che aveva portato in regalo a Caradoc, e prendendone uno per cacciarselo in bocca.
 
-ma cosa hai capito?- esclamò ridendo di gusto –parlavo di Puzzako, il mio Diricawl di peluche! Pensa, è l’unico di cui Edgar si fidi. Incondizionatamente!-.
 
Anche Caradoc e Kingsley si unirono alla risata, e con un sospiro a stento trattenuto Amelia potè finalmente riportare lo sguardo sul Caposcuola Grifondoro.
 
Era più forte di lei, quella paura folle e completamente insensata di cui era preda ogni volta che, con lui nelle vicinanze, se ne usciva con battute sui ragazzi. Prima di farle, ogni santa volta, si obbligava a distogliere lo sguardo dalla zona occupata da Kingsley.
 
Il fatto, era che Kingsley non era semplicemente un ragazzo. Per quello che la riguardava, Kingsley erail ragazzo.
 
Era stato appena l’anno prima, proprio di quel periodo, che si era accorta che no, non c’era Paul Vance o Jacob Wilson che tenessero, quando li si paragonava a Kingsley Shacklebolt. Non c’era assolutamente nessuno, al mondo, che si potesse paragonare a lui.
 
Allora aveva iniziato a sentirsi in imbarazzo, a straparlare con lui nelle vicinanze, ad essere sempre così maledettamente chiacchierona e amichevole. E aveva iniziato a distogliere lo sguardo.
 
Cioè, insieme alla consapevolezza che, no, Kingsley per lei non era esattamente un fratellone, era arrivata anche la certezza che, si, per lui era solo una sorellina.  E se c’era, in qualche modo, sempre presente la tentazione di fare qualche battuta arguta sui ragazzi per studiare la reazione di King –perché magari si sbagliava, insomma, era una bella ragazza, lei- c’era anche l’assoluta necessità di distogliere lo sguardo, proprio in quei momenti, perché forse non sapere era decisamente meglio.
 
Finché non sai puoi sperare, si diceva. E, in fondo, lei era una tassorosso: non era obbligata ad essere coraggiosa per soddisfare le aspettative della propria casa.
 
-ehi, ma quelle non erano per me?- chiese all’improvviso Caradoc oltraggiato, indicando il pacchetto di caramelle che lei aveva istintivamente rivolto verso Kingsley, ignorando completamente il degente.
 
-cosa?- domandò lei allontanandosi da quella zona dei propri pensieri decisamente troppo pericolosa, e ridacchiando appena –io non l’ho mai detto, in realtà-.
 
Con un sorrisone sulle labbra, si godette appieno lo scoppio d’ilarità di Shacklebolt, che proprio non riuscì a frenare le risate, e la smorfia per metà offesa e per metà divertita di Dearborn.
 
-senti, com’è che non sei finita a Serpeverde?- domandò alla fine alzando il mento in un’espressione superba e orgogliosa e prendendosi uno dei calderotti che qualche ammiratrice doveva avergli portato.
 
Amelia sospirò, affranta.
 
-e poi chi avrebbe badato a Edgar?- esclamò teatrale portandosi una mano alla fronte –beato spirito di sacrificio-.
 
-Edgar è più grande di te- le fece notare Kingsley, decisamente divertito.
 
-dai, non ci credi nemmeno tu- rispose lei con quell’aria di cameratismo che odiava ma che assumeva istintivamente, pur di proteggere qualsiasi fosse la parte di se da tutelare da una rivelazione che avrebbe potuto fare troppo male –e, a voler essere proprio sinceri, è maggiore solo anagraficamente. Ah, che sbadata, prima di dimenticarlo, una tua ammiratrice mi ha detto di darti questo-.
 
Caradoc, con un sorriso di vittoria sul volto, prese la pergamena che la ragazza gli porse.
 
-per piacere- aggiunse Amelia arricciando le labbra abbastanza disgustata –aspetta almeno che io sia uscita, per aprire quel vasetto di miele. Odio la roba troppo dolce-.
 
-è questo il ringraziamento per averti fatto saltare lezione?- chiese offeso Dearborn, riponendo la busta sopra alla montagna di dolciumi sul comodino.
 
-ringraziamento?- questa volta il tono di Amelia è seriamente ilare –hai reso un servizio al mondo, caro, dovrebbero darti una medaglia. Avevo Pozioni. La volta scorsa per poco non ho fatto la pelle a Miranda-.
 
-ah, è per questo che i suoi capelli erano così blu quando è uscita dall’infermeria?- chiese Kingsley incuriosito.
 
-non è colpa mia!- giurò la ragazza portandosi le dita incrociate alle labbra, e guardando con gli occhi spalancati il Caposcuola Grifondoro –giuro. È che, c’erano quei mazzettini di lavanda così carini, li ho buttati nel calderone per vedere quale sarebbe stato il risultato. Poi però c’erano anche gli occhi di pesce palla e, tu non puoi capire, Kingsley! Mi chiedevano di utilizzarli, erano così mogi tutti da soli su quel grande bancone!-.
 
-occhi di pesce palla e lavanda?- chiese stralunato il ragazzo, in risposta –Dio, Meli, è come buttare una scatola di petardi nella stufa! È una fortuna che non sia cresciuto un terzo braccio a te, che sicuramente eri più vicina!-.
 
-eh, si, adesso lo so anche io, Caposcuola Shacklebolt!- gli fece notare un po’ lusingata dal vederlo un po’ preoccupato.
 
-Meli, guarda che fare pozioni non è come cucinare- si intromise Caradoc ragionevole, ma in parte divertito dall’esperimento umano che sembrava essere quella ragazza. Davvero, non ne esistevano altre, che lui sapesse –non puoi aggiungere un po’ di polvere di corno di bicorno solo per vedere come ve…-
 
-ah, quante storie- borbottò in risposta Amelia, alzando gli occhi al cielo –l’ho fatto solo una volta, e ha solo preso fuoco il libro!-.
 
-per fortuna oggi non ci sei andata- concluse Kingsley ritrovando il sorriso, e scrollando il capo –adesso dobbiamo solo farti saltare tutte le lezioni fino ai M.A.G.O. dell’anno prossimo, così non attenterai più alla vita di nessuno-.
 
 

*

 
 
-sai, dovresti proprio invitarla ad Hogsmeade-.
 
La voce di Caradoc Dearborn, inaspettatamente seria come lo era solo con i suoi amici attorno, ruppe il silenzio che si era formato con lo sfumare del rumore dei passi di Amelia Bones nel corridoio attiguo.
 
Kingsley Shacklebolt, a cui tale perla di saggezza era destinata, sbuffò incerto se prenderla sul ridere o fare finta di niente.
 
-no, dico davvero- continuò dedicandosi all’apertura e alla lettura della pergamena che Amelia gli aveva lasciato, dedicando un solo sguardo saputo a Kingsley.
 
-è la sorella di Edgar, Docco- gli fece notare con quel tono tanto ragionevole Shacklebolt –se solo Ed capisse che… Merlino, mi ucciderebbe-.
 
Dearborn diede in un sospiro a metà tra l’ironico e lo scocciato.
 
-secondo me sottovaluti Ed- fece presente con tutta la grazia di cui era capace –vede Amelia come una bambina, ma non lo è più già da un po’. Meglio te che chiunque altro, dico io-.
 
Kingsley Shacklebolt alzò gli occhi al cielo, rifiutando di farsi sconfiggere dalla semplice dialettica di Caradoc Dearborn.
 
Perché, fra lui e i Prewett, non lo lasciavano in pace? Era già abbastanza difficile convivere con i propri sentimenti giornalmente, senza dover anche fare attenzione che uno dei tre non parlasse troppo in presenza di Edgar, o di qualsiasi altra persona sulla faccia della terra.
 
-in più, ho quasi pensato ti fosse venuto un infarto prima che lei specificasse del Diricawl. Sul serio, caro, ormai hai una certa età- commentò il corvonero sinceramente preoccupato per la salute del suo amico.
 
-piantala, Dearborn, pensa alla tua lettera, piuttosto- borbottò stranamente scontroso Shacklebolt.
 
-ah, è uguale a tante altre- tagliò corto con il cambio di argomento, guardandolo adesso parecchio divertito –non mi dire che hai paura!-.
 
Kingsley gli rivolse uno sguardo decisamente poco comunicativo. Quando si apriva questo discorso, in genere, gli veniva voglia di sbattere la testa contro il primo spigolo disponibile e di farsi uscire dalla mente tutti quei pensieri che no, proprio non erano da lui.
 
Merlino Benedetto, Amelia era Amelia! La dolce, piccola, furba Meli che lo considerava un fratellone con cui giocare a sparaschiocco a tempo perso!
 
-sono come un fratello, per lei, Docco! Certo che ho paura!- esclamò decisamente convinto.
 
-sarà, ma non l’ho mai vista rivolgere certe occhiate ad Edgar, per fortuna- aggiunse ragionevolmente scioccato, con un sorrisetto ironico –dovresti davvero invitarla ad Hogsmeade, sai? La prossima uscita è tra due settimane…-
 
-so quand’è la prossima uscita ad Hogsmeade- brontolò scettico Kingsley, alzandosi dalla sedia su cui era rimasto seduto per l’intera ora e dirigendosi all’uscita –e ci andrò con Olave Danes-.
 
-ah, io proprio non ti capisco- alzò la voce vedendo il proprio amico lasciare l’infermeria senza nemmeno salutarlo –se bacia bene è perché gliel’ho insegnato io, l’anno scorso!-.
 
 

*

 
 
Dio, con tutto quello che aveva da fare ci mancavano anche gli amici che lo prendevano in giro per la sua pseudo-cotta per Amelia. Che poi tanto pseudo non era.
 
Se Edgar lo avesse anche solo intuito, lo avrebbe ucciso. E, no, non ingigantiva le cose, lui.
 
Aveva ben sentito parlare il suo amico tassorosso della sorte che sarebbe toccata a chiunque avesse avuto l’ardire di pensare a Meli in termini non esattamente fraterni. C’era stato quello… com’è che si chiamava? Anthony qualcosa.
 
Amelia era rimasta particolarmente scossa dalla fine di quella relazione, un anno prima. Edgar aveva smesso di maledire il nome di quello screanzato solo quando aveva capito che un altro screanzato doveva aver preso il suo posto. Ed era arrivato Paul Vance, bello, solitario e con le spalle di un pallanuotista. Edgar aveva riiniziato a farsi uscire il fumo dalle orecchie, ma a bassa voce, perché quello era grosso il doppio di lui e più grande di un anno.
 
Era stato più o meno a quel punto lì, che Kingsley aveva capito con sorprendente chiarezza cosa c’era di sbagliato nei ragazzi che, di tanto in tanto, sfarfallavano intorno ad Amelia.
 
Santo cielo, non potevano andare a girare attorno alla Rosier, come faceva la maggior parte di loro?
 
Meno ulcere per Edgar, e tutto sommato anche per lui.
 
E si, lo sapeva benissimo di essere un egoista, perché lui non avrebbe mai detto niente alla cara Meli, ma non sopportava ugualmente chi la guardava come fosse l’unica fiamma nel raggio di dieci miglia di tundra fredda. Se la mangiavano con gli occhi, e se a lei non dava affatto fastidio, ci pensava lui a farsi corrodere lo stomaco dalla rabbia.
 
 

*

 
 
-che cosa ci fa qui Prewett, secondo te?-.
 
Dorcas Meadowes sollevò lo sguardo dal libro quel tanto che bastava per puntarlo in quello scuro e imperscrutabile di Fenwick. Evitando di voltarsi verso il sopraccitato Prewett –perché perfino lei, un fallimento in ogni relazione umana, sapeva che fissarlo avrebbe messo il ragazzo in allarme- inarcò delicatamente le sopracciglia.
 
-quante cose si possono fare in biblioteca, Ben?- domandò in risposta, stupita.
 
Erano seduti allo stesso tavolo di sempre, una davanti all’altro. Mentre Fenwick si dedicava alla stesura di un tema di Babbanologia, che lei non seguiva, Dorcas sfogliava un libro del reparto proibito sulla trasfigurazione umana, prendendo diligentemente appunti da una parte.
 
-sono tredici minuti che fissa quasi ininterrottamente da questa parte. E prima ancora lo ha…-
 
-probabilmente cerca un pretesto qualsiasi per non studiare- lo mise a tacere la ragazza con un tono lieve–molte persone normali fanno così-.
 
Un sorrisetto ironico sfumò sulle labbra del giovane, vagamente divertito.
 
-sei diventata un’esperta da quando ti vedi con la Jones?- domandò lieve, intingendo nell’inchiostro la piuma d’aquila che teneva serrata tra le dita.
 
-se la vuoi mettere in questo modo- Dorcas scrollò le spalle, tornando a concentrarsi sul libro che aveva davanti. Dopo qualche minuto di silenzio, interrotto solo dal lieve grattare della piuma sulla pergamena, tornò di nuovo ad alzare lo sguardo, sentendosi fissata dal proprio migliore amico.
 
-lo sta facendo di nuovo- brontolò Benjamin sospirando piano e posando la piuma, questa volta definitivamente –sono quasi quaranta minuti che non sfoglia nemmeno una pagina di quel libro. Se non ha voglia di studiare perché viene in biblioteca?-.
 
Questa volta, Dorcas Meadowes si costrinse a ingoiare una risata.
 
-Ben, perché ti importa tanto di lui?- chiese divertita.
 
-ti guarda come se…-
 
-non guarda me- lo corresse con pazienza, appuntando le ultime cose su un foglio e terminando gli appunti con un paio di precisazioni al margine della pergamena –magari ha pensieri per la testa e ha solo voglia di stare un po’ in pace-.
 
-avevi ragione su Dearborn, sai?-.
 
L’ultima affermazione ebbe il potere di lasciare la ragazza fortemente perplessa.
 
-scusa, non riesco a starti dietro- dichiarò soffiando delicatamente sulla pergamena, per permettere all’inchiostro ancora brillante di asciugare in fretta –da quando i tuoi pensieri vanno in tante direzioni?-.
 
Ben scrollò il capo, facendo un cenno lieve con la mano come a liquidare l’ultima parte della frase.
 
-lascia perdere- mormorò asciugando la punta della piuma con un colpo di bacchetta e riponendo tutto nella tracolla scura che si portava dietro ovunque andasse –ti aspetto qui-.
 
Dorcas annuì appena e, afferrando il permesso firmato dalla McGrannitt, si diresse al banco della bibliotecaria per prendere in presto alcuni libri dal Reparto Proibito.
 
Benjy restò a guardarla, seduto, con la testa appoggiata alla mano e il gomito puntellato sulla superficie lucida del tavolo di legno. Quando Dorcas, seguendo la Madama, sparì oltre gli scaffali dedicati alla Storia della Magia, Fenwick scorse con la coda dell’occhio Prewett alzarsi.
 
-posso fare qualcosa per te?- domandò freddamente cortese rivolto al ragazzo, quando raggiunse il tavolo e si sedette alla sedia accanto a quella che prima era stata di Dorcas.
 
-qualsiasi cosa, pur di non essere costretti a finire il tema per Vitious- borbottò il ragazzo con un sorrisetto sulle labbra, cercando di mostrarsi amichevole. Fenwick non lo sembrava affatto, ma quando mai quello strano Serpeverde si mostrava amichevole con qualcuno che non fosse Dorcas Meadowes? Con un cenno del capo indicò il banco della bibliotecaria –che cosa vi serve nel Reparto Proibito?-.
 
Benjy, il volto imperscrutabile e gli occhi quasi socchiusi, scrollò il capo come a liquidare la faccenda.
 
-un po’ di questo, un po’ di quello- mormorò svogliato, seguendo con lo sguardo il punto indicato da Prewett.
 
-che è anche un modo come un altro per dirmi che non sono affari miei- terminò trattenendo una risata il ragazzo più grande, senza distogliere lo sguardo da quello più scuro e più freddo di Fenwick –è mia abitudine parlar chiaro, con le persone. Non sono il tipo che fa troppi giri di parole-.
 
-già, mi era parso di capirlo- ammise Ben con quella flemma particolare che faceva tanto venir voglia di prenderlo a schiaffi. Il ragazzo vide infatti Prewett distendere la mano, quasi a trattenersi, e diede in un sorrisetto beffardo –quindi, magari, ti va di dirmi perché sei qui. Seduto al tavolo che io, probabilmente la persona che meno sopporti in tutta Hogwarts, e Dorcas, che deve essere la ragazza che in tutta la tua vita hai degnato di meno attenzione, condividiamo quasi ogni pomeriggio. Ti ascolto-.
 
Il fatto che entrambi i Prewett avessero praticamente sempre il sorriso sulle labbra –escluso quando litigavano tra di loro, ma quello era normale- non avrebbe dovuto fargli presumere la totale incapacità ad arrabbiarsi contro gli altri. Vedendo lo sguardo di Prewett, fino ad allora amichevole e sereno, indurirsi all’improvviso, Fenwick si disse che forse aveva sbagliato a giudicare quel particolare ragazzo –e anche suo fratello, dal momento che non aveva la minima idea di quale dei due avesse davanti-.
 
Prewett sospirò.
 
-sai, Fenwick, forse è vero quello che dice Hestia di te. Sei scontroso, egoista e antipatico. E anche pericoloso, se lo vuoi. Ma io posso essere più scontroso, più egoista e più antipatico di te. E almeno dieci volte più pericoloso, se mi insulti. Domani sera è giovedì-.
 
-però, sei anche più intelligente- bofonchiò Benjamin seriamente divertito. Finalmente quel ragazzo stava mostrando un po’ di polso, forse non era poi così male.
 
-non farmi sprecare insulti che non ti meriti- esasperato, Prewett alzò gli occhi al cielo –c’è il club. Ora, Docco è in infermeria e ci resterà per almeno tutta la settimana, ma prima della partita aveva avuto un’idea per… diciamo realizzare una serata un po’ diversa dalle altre riunioni-.
 
Non capendo in alcun modo dove il ragazzo volesse andare a parare, Ben si mostrò lievemente stupito.
 
-allora aspettate che esca dall’infermeria e…-.
 
Prewett gli rivolse un’occhiata fortemente ironica. Quasi a non capacitarsi di tanta stranezza.
 
-Fenwick, domani sera è Halloween-.
 
Ah. Una di quelle feste stupide che lui personalmente odiava. Era anche vero che le uniche due feste che riusciva di buon grado a sopportare erano il Natale e il Capodanno.
 
-ovviamente non sarà niente di particolare, ma sarà una lezione leggermente diversa, so che Sturgis la sta organizzando con Mathison- spiegò Prewett scostando lo sguardo nuovamente verso il banco della bibliotecaria –io… in realtà, presumo che ci sarà un molliccio. Chiunque sa che nell’armadio della sala professori ce n’è uno, quindi non vedo perché non dovrebbero usarlo, soprattutto durante la notte di Halloween-.
 
Rivolse un altro sguardo a Prewett, non capendo ancora il maledetto punto che il ragazzo voleva raggiungere. Per essere uno che non giocava con le parole ce ne stava mettendo, di tempo.
 
Prewett, in cambio, sbuffò e alzò gli occhi al cielo.
 
-senti, io non conosco la Meadowes. Ma credo sia il tipo di persona che, in un momento come questo, così vicina ad un lutto, tutto vorrebbe affrontare esclusa la sua più grande paura. Anche perché un conto è una mantide religiosa gigante che ti attacca, un altro è il cadavere di tuo padre. E la Meadowes non mi sembra il tipo da mantide religiosa-.
 
Nel corso del suo discorso, Prewett aveva tenuto gli occhi fissi sulla superficie lucida del tavolo. Solo alla fine, sentendo solo silenzio dalle parti di Fenwick, si convinse ad alzare lo sguardo.
 
Benjy aveva l’aria di uno a cui hanno appena detto qualcosa di sconvolgente. Lo vide mettere insieme i pezzi, Fabian, e sorrise quasi vittorioso.
 
-a quanto pare ti sei sbagliato, Fenwick. Forse sei una delle persone che sopporto di meno, ad Hogwarts- mormorò divertito voltando appena la testa quando, al banco centrale, Dorcas ricomparve in compagnia di due o tre libri dall’aria losca –ma non pensare di sapere a chi concedo o no la mia attenzione. Non mi conosci, Fenwick-.
 
Il ragazzo tornò a voltarsi verso la ragazza proprio quando quella arrivò a qualche passo dai due. Entrambi, uno rosso e chiaro nello sguardo e uno scuro e buio come la notte, le sorrisero gentili.
 
-Fabian…- salutò con voce roca la ragazza, un sorriso gentile ad incurvarle le labbra screpolate -…ti… serviva qualcosa?-.
 
Fabian scosse il capo.
 
-no, Dorcas, non…- rispose lievemente in soggezione -…in realtà ho invitato Benjy a giocare un’amichevole a quidditch con me e gli altri, domenica pomeriggio, nel parco. Lo facciamo più che altro per allenarci, e sabato Madama Chips dovrebbe dimettere Caradoc dall’infermeria-.
 
Dorcas annuì stupita volgendosi verso Benjy per un attimo. Stranamente, il Serpeverde le parve stupito, oltre quei veli di niente che sempre si cacciava sul volto quando voleva rendersi illeggibile.
 
-oh, ovviamente l’invito è esteso anche a te!- esclamò all’improvviso quasi illuminandosi, con un sorriso –ci saranno anche Meli e Hes, e non giocheranno, puoi tener loro compagnia e…-
 
-mi dispiace, ma domenica pomeriggio sarò impegnata probabilmente fino a tardi. Magari vi raggiungo appena ho finito con…- mormorò Dorcas in risposta, arricciando lievemente le labbra –non importa, sono certa però che Ben potrà…-.
 
Benjy Fenwick le rivolse uno sguardo quasi omicida, al quale lei rispose con un semplice battito di ciglia. Fabian di tutto quello colse a malapena il ringhio seguente di Fenwick.
 
-certamente, sarà un piacere- borbottò quello infatti, di malavoglia. Raccogliendo la propria tracolla, si diresse all’uscita della biblioteca –siamo in ritardo per la cena-.
 
Con uno sguardo di scuse rivolto a Prewett, ed un saluto sussurrato, Dorcas si affrettò a seguire il proprio migliore amico.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
NOTE:
 
leggermente in ritardo, ma ho ritenuto fosse doveroso da parte mia passare il compleanno lontana da Internet, con la mia famiglia. Per questo motivo, ritarderò di nuovo anche con la pubblicazione dell’amore ai tempi dell’odio, credo arriverà entro venerdì/sabato.
 
Riguardo al capitolo, ho assai poco da dire.
 
Qualche approfondimento su Amelia e Kingsley, e i primi segni di interesse da parte di Fabian. Se volete farmi sapere come la pensate, sono qui giusto giusto per ascoltarvi.

Nel prossimo capitolo, approfondimento sotto il punto di vista del povero Fabian Prewett, prometto. Mi sembrava che qui ci stesse male, un suo parere in più. 
 
Sperando che vi sia piaciuto,
Hir!




   
 
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