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Autore: Meow_    13/10/2012    9 recensioni
Mi ricordo che quando avevo più o meno dieci anni, vennero ad abitare nell’appartamento sopra il mio delle strane persone. Non erano strane loro, ma più che altro il loro comportamento.
Mi dissero che la ragazza era sempre ubriaca.
La sorella stava legando e imbavagliando la ragazza, che cercava di liberarsi.
Il poliziotto disse a mamma che era stata trovata una ragazza morta.
Genere: Drammatico, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo 2

Incubi





Nei giorni seguenti scoprimmo un fatto che mi sconvolse particolarmente. La ragazza era stata rinchiusa, viva, dentro un freezer e fatta morire congelata. Una morte orribile, che probabilmente avrebbe potuto evitare se solo io avessi parlato. Questo aumentò sproporzionatamente il mio senso di colpa.
    Quel senso di colpa di accompagnò per diversi anni insieme ad un sogno, e tutt’ora questi vivono in me. Ormai avevo il terrore di addormentarmi, perché non avevo pace, né di giorno, né di notte. Durante la giornata pensavo spesso al fatto accaduto e mi sentivo sempre responsabile; spesso, specialmente quand’ero sola, mi venivano degli attacchi di panico. Mi tornavano alla mente tutti quei ricordi, che, nonostante gli anni passati, erano sempre nitidissimi. Vedevo la povera ragazza che veniva picchiata e legata da sua sorella, vedevo lo sguardo assassino di quest’ultima che mi ordinava di tacere.
    Di notte, invece, facevo sempre lo stesso sogno: era un sogno particolarmente strano, perché apparentemente era privo di senso. Vedevo una ragazza rinchiusa in una specie di botola nel pavimento, ma non riuscivo a vederla in viso poiché la stanza aveva un’illuminazione molto scarsa. Sentivo il suo respiro affannato, come se fosse stata imbavagliata. Cercava di muoversi, ma tutti i suoi sforzi risultavano inutili perché era legata. Poi, arrivava una persona, e anche di quest’ultima io non potevo vedere il viso, perché mi dava le spalle. Questa persona s’inchinava verso la ragazza e le toglieva il bavaglio.
Quest’ultima iniziava ad urlare, chiedendo di essere liberata e dicendo di avere fame e sete. Ma quella persona le dava uno schiaffo e la faceva tacere. In seguito, le passava un piccolo pezzo di pane e un bicchiere d’acqua. Era una quantità di cibo e acqua che a stento garantiva la sopravvivenza. La ragazza chiedeva di più, ma un altro schiaffo prontamente la zittiva; dopo le rimetteva il bavaglio e richiudeva la botola. Il mio sogno finiva lì.
    Puntualmente, mi risvegliavo in un bagno di sudore e ansimante. Mi guardavo intorno, col terrore di essere dentro una botola o dentro la stanza del sogno. Solo dopo un’abbondante manciata di minuti realizzavo di essere nella mia camera e che quello era solo il solito sogno che facevo ogni notte. Nonostante ciò, il senso di ansia persisteva. Mi chiedevo chi potesse essere così crudele da fare una cosa del genere, mi chiedevo chi fossero la ragazza e la persona, e mi chiedevo come mai facessi sempre quello stesso sogno. Avevo qualche sospetto riguardo tutte queste domande, ma mi rifiutavo di crederci.


    La bambina, nel frattempo, era cresciuta. Ora aveva otto anni e viveva ancora nella casa sopra la mia. Sì, la stessa casa dell’omicidio. Nei primi anni successivi alla morte di sua madre era stata affidata a numerose famiglie, perché a quanto pare la ragazza non aveva parenti, oltre a sua sorella. Ma la bambina era sempre triste, chiedeva in continuazione di sua madre e si rifiutava di socializzare con gli altri bambini della sua età. Aveva una situazione seriamente problematica.
    La sorella della ragazza, comunque, era magicamente sparita. Non era stata trovata nessuna traccia di lei, e la polizia, dopo anni di ricerche, aveva archiviato il caso. Non era stato trovato nessun colpevole per la morte della ragazza. Quando la bambina aveva sei anni, fu adottata da una famiglia che accettò di trasferirsi nella vecchia casa della bambina. Lei, ovviamente, non aveva alcun ricordo di quella casa, ma da sempre insisteva per tornarci, come se qualcosa la legasse ad essa.
    Quando mi dissero che sarebbe tornata a vivere in quella casa, mi decisi a fare qualcosa per lei. Mi dissero che era una bambina molto sola, così decisi di farle compagnia. In questo modo il mio senso di colpa pesava un po’ meno del solito; gli incubi, invece, erano sempre gli stessi. Iniziai ad andare da lei ogni pomeriggio, e lei pian piano iniziava a fidarsi di me. Mi parlava di tutto: di quanto le mancasse la madre, del fatto che non riusciva a socializzare con gli altri. Non parlavamo mai di sua madre. Le avevo raccontato che, anche se per poco, l’avevo conosciuta. Dal giorno iniziò a tempestarmi di domande, ma io le rispondevo raramente. Ogni volta che la nominava non riuscivo a guardarla negli occhi, perché dopotutto continuavo a sentirmi responsabile della sua morte.
    A volte, quando ero a casa sua, la sentivo bisbigliare. Pensavo che fosse un suo modo di giocare, ma era strano. Come se stesse conversando con qualcuno, ma io ero più che sicura che nella camera ci fossimo solo io e lei. A lungo andare mi convinsi che si era fatta un amico immaginario, d’altronde non sembrava una cosa strana per una bambina con i suoi problemi.
    Passarono tre anni e io continuavo sempre a passare i pomeriggi con lei, e restavo l’unica persona con la quale lei parlava tranquillamente. Continuava a non avere amici, e il rapporto coi genitori adottivi non era dei migliori. Si sopportavano, ma lei non era mai riuscita ad affezionarsi a loro come dei veri genitori.
    Un giorno, però, accadde un fatto davvero strano. Tanto per cominciare devo dire che da due anni non l’avevo più sentita bisbigliare. È cresciuta, mi ero detta, ormai non è più in età per avere un amico immaginario. Ma quanto mi sbagliavo! Un giorno, entrai in camera sua, mentre lei sembrava immersa in una discussione piuttosto accesa. Da sola. Non fece neppure caso a me, era come in trance. La salutai, ma niente, non mi degnò di uno sguardo.
    «Non è cattiva» la sentii dire, in tono arrabbiato seppur sottovoce.
Poi una pausa, silenzio assoluto.
    «Non voglio che se ne vada»continuò lei. Ancora silenzio.
    «Ti ho detto di no!» disse ancora.
Poi ci fu la cosa più strana che mi era mai capitata. La finestra era chiusa, ma nonostante questo si alzò un vento fortissimo. La bambina continuava a non notarmi e sembrò non notare nemmeno il forte vento. Era incredibile, non riuscivo nemmeno a reggermi. A poco a poco, quel vento mi stava spingendo fuori dalla stanza. Quando fui praticamente fuori, finalmente la bambina mi notò. Non disse nulla, si limitò a guardarmi dispiaciuta. Non avevo idea di cosa stesse succedendo.
    Poi, un attimo dopo, mi ritrovai fuori dalla stanza, e la porta si chiuse bruscamente. Mi avviai velocemente verso il portone di casa, e quando incontrai la madre adottiva della bambina, le dissi che mi ero scordata di avere un appuntamento importante.
In realtà, corsi a casa mia e mi chiusi in camera. Non volevo pensare a quanto era appena accaduto, era un fatto talmente strano che mi metteva angoscia. Pensai che probabilmente ero solo stanca, quindi mi misi a letto, intenzionata a riposarmi un po’. Ma forse, quello fu l’ennesimo errore della giornata. Appena mi addormentai, feci il solito sogno. Stavolta, però, era molto più realistico del solito, tant’è che provai veramente una paura immensa. Ma non era solo quello a essere diverso, stavolta il sogno non s’interruppe nel punto solito. Passò un po’ di tempo in cui non successe nulla; poi, vidi tornare la solita persona, che aprì la botola. Fu una rivelazione sconvolgente. L’illuminazione, ora, era migliore e riuscivo a vedere perfettamente il viso della ragazza nella botola e… era lei. La madre della bambina. L’avevo sempre sospettato, ma mi ero auto convinta che non fosse possibile. Invece ora ne avevo la certezza. La vidi contorcersi per cercare di divincolarsi dalle funi, ma con scarso successo. Poi sentii una voce che, tutt’a un tratto, mi parve familiare. Sentii una lunga risata, sadica, e poi: «Forse, un giorno, capirai come ci si comporta…» e poi un’altra risata. Volevo fare qualcosa, ma come succede nei sogni non si riesce mai a fare nulla. Poi la persona – che ormai avevo riconosciuto come la sorella della ragazza- si inchinò a togliere il bavaglio alla ragazza. Lei cominciò subito a gridare.
    «Sta’ zitta» le disse la sorella.
    «Lasciami… Lasciami…» pregava la ragazza.
Ma la sorella fece un’altra risata e la imbavagliò di nuovo. Poi vidi che si alzò e che andò verso un’altra stanza. Dopo qualche minuto tornò dalla ragazza e, con mia grande sorpresa, la tirò fuori dalla botola. La trascinò verso l’altra stanza, che con mio grande terrore conteneva, tra le altre cose, un freezer enorme.
Tutte le mie peggiori paure si avverarono: la ragazza fu letteralmente lanciata dentro il freezer.
    «Ora ti fai un bel viaggetto qui dentro» disse la sorella, sadica.
Vidi il terrore dipinto sul viso della ragazza. Volevo fuggire, ma al tempo stesso aiutarla, peccato che fossi paralizzata dal terrore. Si sentì il pianto di una bambina e la sorella si diresse verso la stanza da cui proveniva il pianto. Dopo poco, tornò con la bimba in braccio e si avvicinò al freezer.
   «Fai ‘ciao ciao’ alla mamma» disse, con un tono apparentemente dolce ma che trasmetteva molta inquietudine.
La bambina mormorò un lievissimo ‘mamma’, ma in quello stesso momento la sorella sbatté con forza il coperchio del freezer, chiudendovi la ragazza dentro.

    Mi svegliai con un urlo. Mia madre, spaventata, corse in camera mia. Mi chiese cosa fosse successo, ma io non risposi, limitandomi ad abbracciarla mentre piangevo fortissimo.
Passarono diversi giorni, ma io ero caduta come in una specie di depressione. Non mangiavo, non dormivo, pensavo costantemente a ciò che avevo visto. Mi chiedevo se fosse possibile che avessi visto ciò che realmente era accaduto, anche se la maggior parte delle volte mi dicevo che la mente può giocare brutti scherzi. Eppure, era tutto così reale…
Poco a poco mi ripresi, e finalmente tornai a fare visita alla bambina. Non disse niente sulla mia assenza. «Mi dispiace» disse, invece.
    «Per cosa?» le chiesi.
    «È colpa sua se è successo quello» rispose lei. Ero piuttosto confusa.
    «Sua… Di chi?» chiesi.
    «Lei… Lei non ti vuole qui! Gliel’ho detto, gliel’ho spiegato, ma lei non ti vuole!» rispose lei, come se non avesse sentito la mia domanda.
    «Non mi hai risposto: lei chi? Dai, non farmi preoccupare» dissi.
    «Non vuole… Non vuole… È intuile, ci ho provato, ma lei non vuole. Mi dispiace… mi dispiace… Via, vai via! Ora, scappa!» farfugliò lei.
Io continuavo a non capire, ma dal tono di voce e dal suo sguardo, capii che la situazione iniziava a farsi grave. Me ne andai immediatamente, accompagnata dall’eco dei suoi “Scappa, vai via”. 







Ciao a tutti! Spero di non aver deluso le aspettative di nessuno. 
Voglio ringraziare chi ha letto e recensito lo scorso capitolo, grazie mille.
 

Vi chiedo nuovamente di recensire, per favore. Questa è la mia prima esperienza con l'horror, quindi ho bisogno di tutti i vostri pareri e consigli, positivi o negativi che siano. 

Ci vediamo col prossimo capitolo, che sarà l'ultimo. 
Bye! 


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