Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Hiraedd    16/11/2012    4 recensioni
A volte capita che il Capitano Grifondoro si ritrovi tra le mani uno strano enigma chiamato Dorcas Meadowes, che in sei anni gli ha rivolto la parola tre volte al massimo, tutte nel giro dell’ultima settimana.
Può anche capitare che un Serpeverde solitario e innocuo inciampi in una maschera che non nasconde solo un volto, ma un mondo intero. Perchè Benjamin odia Caradoc Dearborn, sia chiaro, e quegli occhi dorati non gli fanno alcun effetto. Forse.
Oppure può succedere che il Caposcuola sia innamorato da anni della sorellina del proprio migliore amico, che ha perso la testa per un Auror di stanza in Polonia, e abbia una fottuta paura che Edgar lo scopra e lo torturi perché no, quelli che fa verso Amelia sono tutto fuorché casti pensieri d’amicizia.
Per fortuna, però, che c’è Hestia Jones, deputato diario segreto degli studenti del settimo anno, che tutto osserva nonostante, a conti fatti, non distolga nemmeno per un secondo lo sguardo dal suo adorato fidanzato, il Prefetto Sturgis Podmore.
*
Siamo ad Hogwarts, è l’autunno 1969 e la guerra è già più vicina di quanto non sembri.
*
Altri personaggi: Gideon Prewett, Kingsley Shacklebolt, Sturgis Podmore, Amelia e Edgar Bones.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Benjy Fenwick, Caradoc Dearborn, Dorcas Meadowes, Fabian Prewett, Hestia Jones
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'oltre il fuoco comincia l'amore'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
NOTE:
 
dunque, mi devo scusare innanzitutto per questo mese e più di silenzio in questa storia. Devo ammettere che la colpa è proprio di questo capitolo. È stata una Via Crucis, tra i dubbi su come scriverlo e il computer che ad un certo punto si è rotto e mi ha abbandonato al mio destino. Non sono proprio sicurissima di questo capitolo, devo ammetterlo, ma alla fine ho deciso di pubblicarlo così anche se non mi entusiasma. Cioè, alcune parti mi piacciono, altre avrei preferito scriverle in altri modi, ma non mi venivano quindi alla fine ho optato per lasciare tutto così.
Comunque sia, vi aspetto in fondo con qualche altra piccola precisazione.
 
 
 
 
 

Capitolo 14

 
 
 

Lui conobbe lei e se stesso,
perché in verità non s'era mai saputo.
E lei conobbe lui e se stessa,
perché pur essendosi saputa sempre,
mai s'era potuta riconoscere così*
 
 
C’è una dignità immensa, nella gente,
quando si porta addosso le proprie paure**
 
 

 
 
Hestia Jones deglutì per l’ennesima volta, in quella orrenda serata, cercando di far trasparire il proprio stato d’animo il meno possibile.
 
Fingeva per due motivi, principalmente: un po’ perché non voleva offendere Sturgis, felice come un bambino che attenda il Natale, e un po’ per non giocarsi la reputazione da dura dal cuore d’oro che si era costruita attorno negli anni.
 
-ehi, Hes, non ti agitare così- esclamò Kingsley con un sorriso bonario, appoggiato al muro dietro di lei –sarai fantastica come al solito-.
 
Kingsley Shacklebolt aveva il fantastico pregio di farti sentire unica e invincibile con quei suoi complimenti casuali. Erano più che altro considerazioni di cui ti metteva a parte nel suo tono inimitabile, calmo e profondo e… rilassante. Sebbene amasse il proprio ragazzo con un’intensità da non sottovalutare, Hestia spesso aveva dovuto ammettere che i complimenti di Shacklebolt proprio non avevano prezzo.
 
Non stentava a credere che Meli si potesse essere innamorata di un ragazzo del genere.
 
-dopo la figura che ho fatto con la Rosier alle selezioni, mi manca proprio uno spettacolino umiliante. Se stasera qualcosa va male mi seppellirò dalla vergogna in qualche buco pulcioso e non mi farò mai più vedere in giro- brontolò la ragazza assottigliando lo sguardo pericolosamente –e come al solito Meli è in ritardo. Aveva detto che sarebbe venuta a darmi un po’ di sostegno morale-.
 
Kingsley rispose con un sorriso enigmatico, di quelli che forse non avrebbe voluto far trapelare davanti a qualcun altro.
 
-Amelia è sempre in ritardo- rispose –una volta appurato ciò, perché non gli hai dato appuntamento qui per le cinque? Magari sarebbe arrivata puntuale, per la prima volta in vita sua-.
 
-quella ragazza è astuta quanto Salazar- Hestia scrollò le spalle rassegnata –non puoi cercare di farla a una come lei e pensare di uscirne vincitrice. È la vita, Shacklebolt-.
 
-credo che…-
 
-di che andate discorrendo, miei cari?- esclamò Gideon Prewett circondando le spalle dei migliori amici con le braccia e piazzandosi proprio nel mezzo, tra i due, con un sorriso in volto e l’aria densa di aspettative –emozionati?-.
 
Lo sguardo di Hestia, colmo di tedio, rispose per lei.
 
-che ha Fabian?- chiese invece Kingsley, glissando abilmente la domanda dell’amico –sembra pensieroso e…-
 
-in realtà sembra la versione antipatica di Dearborn- specificò allegro il ragazzo in risposta, facendo un cenno con la mano che implicava a non prendere la cosa troppo sul serio –la versione antipatica in menopausa di Caradoc Dearborn, per l’esattezza. C’entra qualcosa la Meadowes, ma non mi è dato saperne di più-.
 
-Dorcas?- domandò Hestia sentendosi tirata in causa. Ultimamente, si sentiva un po’ come il ponte di collegamento di quella ragazza con il resto del mondo, e soprattutto con i propri amici.
 
Dorcas non frequentava i Prewett e gli altri, ma la Jones aveva captato una sorta di curiosità nella ragazza rivolta alla compagnia del settimo anno. Curiosità pienamente ricambiata, tra l’altro, dai ragazzi, che vedevano la giovane come un’esemplare anomalo di strega.
 
Gideon rivolse uno sguardo scettico all’altro lato della sala, dove Benjamin Fenwick e Fabian Prewett erano intenti a parlare in maniera amichevole.
 
-credo tema la sua reazione di fronte al molliccio- spiegò Gideon scrollando il capo –e in effetti posso anche capirlo. Insomma, se di ritorno a casa avessi trovato il cadavere di mio padre con sopra il marchio nero, immagino che avrei terrore di…-
 
-secondo me, tra tutti, sottovalutate un po’ troppo Dorcas- lo interruppe Hestia con un sorrisetto di compatimento, indicando la figura della giovane, ora appoggiata ad uno dei pilastri del caminetto, intenta a rimirarsi le mani –potete anche non crederci, ma la Meadowes è forte. Davvero, non lo dico per difenderla. Dorcas non ha bisogno di qualcuno che la difenda, lo fa benissimo da sola. E, sai… secondo me, vi sbagliate, sul molliccio. Dorcas è una persona complicata, non giudicherei lei e le sue paure prima che ci mostri quello che sa fare-.
 
-e se fossi te a sopravvalutarla?- domandò Kingsley incuriosito. Dallo sguardo, pareva in parte d’accordo con Hestia; tuttavia conservava quella riserbatezza che lo contraddistingueva quando non aveva ancora chiara in mente l’immagine vera di qualcuno. Per anni aveva continuato a scrutare Caradoc cercando di saggiare i confini oltre la maschera che portava sul volto, e solo alla fine, quando si era convinto di conoscerlo veramente, aveva allentato il controllo.
 
-non credo- scosse il capo la ragazza con un sorriso sicuro sul volto –altrimenti perché la McGrannitt avrebbe deciso di darle fiducia nel…-.
 
Si era bloccata appena in tempo, proprio nel momento in cui, continuando a guardare Dorcas, l’aveva vista alzare lo sguardo per incrociare il suo.
 
-cosa ha fatto la cara Minerva?- domandò con interesse Gideon.
 
Hestia scosse il capo, silenziosa.
 
-non sono affari nostri- tagliò corto scrollando le spalle –non dovevo accennare a questo, mi dispiace. Se Dorcas vorrà dirvelo, lo farà lei. Ma, credimi Gid, non è debole come sembra. Perfino Fenwick lo sa, anche se fa di tutto per proteggerla. Se c’è una cosa di cui Dorcas Meadowes non ha per niente bisogno, sono cavalieri dall’armatura scintillante pronti a ficcare il naso nelle sue cose. Vado a salutarla, vi spiace?-.
 
 

*

 
 
Se Benjamin Fenwick avesse avuto sottomano quello smisurato idiota che era a tutti gli effetti Caradoc Dearborn –checché ne dicesse Dorcas della questione- probabilmente avrebbe evitato di estrarre la bacchetta con il solo scopo di dargliele di santa ragione alla babbana.
 
Perché se era vero quello che il giorno prima aveva asserito Fabian Prewett in biblioteca –cioè che l’idea iniziale di tutta quella buffonata era stata partorita dalla mente bacata del Capitano Corvonero- allora davvero, Dearborn questa volta non l’avrebbe scampata nemmeno invocando Merlino e Circe.
 
La riunione al Club era iniziata da dieci minuti e, in via del tutto eccezionale, il Professor Mathison aveva permesso di partecipare anche a chi si era presentato con l’esclusiva intenzione di assistere. Obbligato sarebbe stata una scelta dei termini più corretta.
 
-come va la mano, Fenwick?- domandò allegra trillando come una campanella la Bones, gioviale come sempre, in coppia con Shacklebolt.
 
 Ben si domandò come il Caposcuola Grifondoro potesse non accorgersi della cotta per niente velata che Amelia si era presa per lui. Insomma, non che Fenwick fosse una cima in campo di donne, e di certo non poteva permettersi di giudicare dal momento che la sua esperienza rasentava ridicolmente lo zero, però quella era palese. Insomma, più che camminare sembrava fluttuare dalla felicità ad un metro da terra!
 
-credo di potermi ritenere fortunato vista la triste fine fatta dal mio libro- rispose con un tono lievemente divertito –io me la sono cavata con appena qualche bruciatura, alla fine-.
 
La Bones mise su una faccia totalmente desolata.
 
-prometto che te lo comprerò nuovo- giurò portandosi gli indici incrociati alla bocca per sigillare la promessa –guarda, domattina scriverò al Ghirigoro e…-
 
Scrollando il capo la mise a tacere.
 
-in realtà credo che mia sorella abbia ancora la sua vecchia copia di Pozioni Avanzate, Lumacorno non  cambia mai i libri, di anno in anno. Mi farò spedire quella da mia madre, entro la prossima settimana- spiegò rivolgendo uno sguardo alla propria partner di quella sera.
 
Per quanto poco esperto in materia di ragazze potesse essere, perfino Benjamin Fenwick faceva fatica a deglutire in presenza di Cinthia Rosier.
 
Era la ragazza più bella di Hogwarts, e contemporaneamente anche la più stronza.
 
-Fenwick, a quanto pare stasera tocca a noi- mormorò passandogli accanto con un sorriso accattivante sulle belle labbra. Perfino con i capelli raccolti in una crocchia alta e severa, riusciva ad essere sensuale. Una ciocca, un’unica ciocca del colore del miele, scendeva sul collo e poi più giù, a seguire il tratto lieve ed elegante della clavicola.

Finiva così, ad uno sbuffo dalla scollatura modesta, come per caso.
 
La Rosier non era solo bella. Era un’ottima stratega, del tipo che non si fa alcuno scrupolo, nata senza il beneficio di una coscienza. Bellissima e letale, come una tempesta di sabbia.
 
-a quanto pare è così- annuì computo Ben, voltando di nuovo lo sguardo su Amelia.
 
-Amelia- lo sorprese la Rosier, con un tono incredibilmente innocuo rispetto a quello che usava per rivolgersi anche al più piccolo degli studenti. Normalmente aveva un potere enorme, sulle persone con cui parlava, e sfruttava il proprio tono per far cadere il malcapitato di turno ai propri piedi. Di solito ci riusciva. –non ti ho mai vista ad assistere alle riunioni. È la prima volta che vieni qui, quest’anno?-
 
Domanda completamente superflua, eppure pareva seriamente un tentativo di instaurare una conversazione civile. Amelia sorrise di quei suoi sorrisi atipici, quelli che la rendevano confidente di tutti e amica di nessuno.
 
-non potevo proprio perdermela, a sentire gli altri- mormorò in tono dolce, parandosi di fronte a Kingsley e sguainando la bacchetta. Benjamin la vide trattenere un sorriso divertito quando Shacklebolt arricciò le labbra nel tentativo di ignorare la Rosier. Se c’era un essere umano di sesso maschile in tutta Hogwarts che proprio non sopportava i modi di fare della Rosier –e la Rosier stessa, a ben vedere- quello era proprio il Caposcuola Grifondoro.
 
-leggendo tra le righe, quindi, sei qui in supporto alla Jones- rispose Cinthia Rosier lasciando vagare lo sguardo sulla ragazza del Prefetto Corvonero, in coppia per l’occasione con Fabian Prewett.
 
Anche i muri, a Hogwarts, conoscevano l’acida rivalità che corrodeva il rapporto già esiguo di Hestia Jones e di Cinthia Rosier. Erano entrambe belle –sebbene la Rosier fosse comunque un passo davanti alla Jones-, entrambe purosangue, entrambe capaci e di buona compagnia, quando lo desideravano. Erano famose, intelligenti.
 
Ma se Hestia Jones risultava decisamente emotiva, con le sue guance rosee, gli occhi morbidi e castani e la tendenza a scoppiare a ridere e a piangere senza troppi filtri, la Rosier pareva quasi una regina dei ghiacci, con gli occhi di un azzurro intenso e penetrante e quei modi freddi e strafottenti di schiacciare gli avversari.
 
-Rosier, cosa…-
 
-venite avanti, vi prego- li richiamò proprio in quel momento Mathison, affiancato da Sturgis –la prima cosa che faremo, oggi, sarà…-
 
Fenwick vide chiaramente la Bones sporgersi verso Shacklebolt per accecarlo con un sorriso innamoratissimo. Come facesse il Caposcuola Grifondoro a non accorgersene rimaneva un mistero.
 
 

*

 
 
-non credevo che esistesse sulla faccia della terra qualcuno in grado di far arrabbiare Kingsley Shacklebolt, devo ammetterlo- mormorò Amelia, un braccio posato su quello del Caposcuola in una posa quasi settecentesca.
 
Il gruppo intero si era rivelato, per una sera, decisamente troppo numeroso per poter esercitarsi tutti insieme allo stesso momento. Sturgis aveva quindi proposto una scissione, due gruppi di sette coppie ciascuno che si sarebbero alternati per affrontare questa o quella creatura, o per battersi l’uno contro l’altro a seconda dell’esercizio svolto.
 
Con una fortuna sfacciata, sottolineata brillantemente da un sorriso un poco ironico della Jones, Amelia si era vista mettere in coppia proprio con Kingsley. Aveva per un attimo pensato di dover raggiungere Hestia per approfondire il significato di quel sorrisetto –la Jones non doveva assolutamente sapere nulla di tutta la tempesta ormonale dalla quale si sentiva scuotere ogni volta che si nominava Shacklebolt-, poi però ogni buon proposito era andato a farsi friggere nello stesso medesimo istante in cui si era trovata a fissare il sorriso bianchissimo di Kingsley, che l’aveva raggiunta decisamente allegro. Ah, Hestia e i suoi sospetti avrebbero potuto aspettare almeno l’indomani mattina.
 
Sturgis e il Professor Mathison avevano fatto proprio le cose per bene, rendendo una semplice riunione al club dei duellanti un’entusiasmante rievocazione delle migliori lezioni di Difesa Contro le Arti Oscure, cosa che aveva tenuto la maggior parte dei partecipanti al Club con lo sguardo puntato negli occhi dell’avversario e la bacchetta ben salda in mano.
 
Alcuni esercizi prevedevano semplicemente l’apprendimento di incantesimi strani e divertenti con cui sbalordire l’avversario, incantesimi che non avessero poi con il tempo strascichi imbarazzanti. Il Professore li aveva considerati come appartenenti alla stessa categoria di incantesimi ben conosciuti -il singhiozzante, il tarantallegra, il languelingua- e ne aveva insegnati loro una quantità di nuovi quasi strabiliante –il soprasotto, che faceva perdere l’orientamento nello spazio e i punti di equilibrio, il salterino e il piumosarto, che trasfigurata gli arti dell’avversario in appendici ricoperte di piume, fornendo un diversivo efficace per la battuta successiva-.
 
C’erano stati, poi, berretti rossi, folletti della cornovaglia e marciotti, che erano poi le stesse creature che il docente utilizzava nelle proprie lezioni. In quel caso, dovevano coordinarsi e le coppie di duellanti diventavano coppie di partner, in cui pensare invece che alla propria salvezza, all’incolumità della squadra formata.
 
Nel bel mezzo della riunione, c’era stato poi il pezzo forte della serata, ossia il molliccio.
 
Era una cosa che piaceva: l’idea di affrontare la propria peggior paura, la sera di Halloween, davanti a tutti gli altri, faceva crescere l’entusiasmo e l’idea –sempre presente, in un  branco di diciassettenni allo sbaraglio- di essere assolutamente invincibili.
 
-non mi pareva fosse un mistero- le rispose Kingsley strizzando gli occhi e incrociando lo sguardo della Rosier, accanto a Fenwick, al lato opposto della stanza –non mi piace, Cinthia-.
 
-è la ragazza più bella di Hogwarts- obbiettò la Bones, ragionevolmente stupita –può permettersi di essere stronza-.
 
Kingsley diede in uno sbuffo divertito, guardandola dall’alto in basso come se non credesse alle proprie orecchie.
 
-tu sei molto carina, ma non ti prendi le libertà che si prende la Rosier con qualsiasi essere di sesso maschile si ritrovi sotto le scarpe-.
 
Amelia si voltò, sbalordita, incrociando lo sguardo un po’ sorpreso e un po’ pentito di Shacklebolt. Ignorò con la tempra di un’eroina il crepitare derivante da qualsiasicosacifosseinmezzoalpetto –perché pensare al cuore le avrebbe distrutto istantaneamente ogni più futile speranza-, e sorrise incoraggiante, pronta a recitare per l’ennesima volta la parte della sorellina.
 
-essere molto carina non è essere bella come una dea- glissò elegantemente indicando la ragazza in questione. Aveva lasciato il fianco di Fenwick per avvicinarsi per prima al’armadio che conteneva il molliccio.
 
-molto bene, Miss Rosier- esclamò il Professor Mathison facendo cenno a tutti i partecipanti del Club di disporsi in fila dietro alla Serpeverde –abbiamo trovato chi romperà il ghiaccio, stasera!-.
 
-ti sta simpatica, vero?- domandò Kingsley facendo cenno ad Amelia di precederlo nella fila. Dietro di se, la ragazza poteva sentire la presenza rassicurante del Caposcuola Grifondoro, che la superava in altezza di trentacinque centimetri buoni –Merlino solo sa il perché-.
 
Amelia alzò appena lo sguardo.
 
-è una bella ragazza, sa essere simpatica quando vuole e, si, hai ragione, non si fa scrupoli a usare tutte le armi che ha per ottenere quello che vuole. La natura le ha dato i mezzi per primeggiare, e lei li usa. Non ci vedo nulla di male, in questo-.
 
Una risposta dal sapore agrodolce, che sul finale aveva assunto un tono quasi aspro. Il commento di poco prima, se associato allo sguardo pentito che ne era seguito, risultavano di difficile digestione. Certo, lei sapeva che… ma Merlino! aveva proprio avuto ragione fino a quel momento, a non volersi fare avanti. Kingsley la vedeva proprio come una sorellina, e non voleva darle false speranze. Forse sapeva da tempo, ormai, della sua cotta per lui, e gentile come sempre cercava di fare di tutto per non incoraggiarla a farsi del male da sola.
 
-cosa…?-
 
Un tiepido brusio aveva invaso la sala e la Rosier, normalmente calma e attenta in ogni gesto, indietreggiò rapida e pallida come non la si era mai vista. Un nugulo di formiche minuscole, un brulicare inquietante, spuntava da un formicaio grande quanto un pugno e si dirigeva verso di lei, avanzando sempre più velocemente. Un battito di ciglia dopo, i formicai erano due, ad un metro di distanza l’uno dall’altro, e le formiche ormai raddoppiate erano arrivate a nemmeno mezzo metro dalla Serpeverde.
 
-ricorda, Miss Rosier, per sconfiggere un molliccio servono…-
 
-riddikulus-
 
Al posto di uno dei due formicai, dal pavimento sgorgava allegro a fiotti succo di zucca. Il secondo formicaio era invece mutato in una fontana naturale di burro birra speziata.
 
Ai complimenti di Mathison, la Rosier rispose con un sorrisetto saputo, scostandosi per fare spazio a Fenwick, dietro di lei.
 
Il molliccio si prese qualche manciata di secondi per raggiungere la forma della paura più grande di Benjamin Fenwick. Alla fine, però, avvenne tutto piuttosto velocemente.
La creatura prese la forma di un’onda anomala alta almeno quattro metri, e il fragore del mare ebbe il potere di spaventare chi si stava abituando al silenzio curioso della stanza. Con un gesto veloce della mano, come a difendersi con uno scudo, Fenwick urlò l’incantesimo difensivo, e l’onda d’acqua si tramutò in un’esplosione di luce e coriandoli.
 
-c’è da dire che Serpeverde stasera ha aperto i giochi in maniera spettacolare - commentò a bassa voce Amelia, alzando la mano a sfiorare un coriandolo colorato e qualche scintilla di luce, divertita.
 
-le più grandi aspettative sono puntate in casa Corvonero, comunque- scrollò il capo Kingsley, indicando la quarta persona in testa alla fila.
 
-Corvonero?- domandò Amelia aggrottando la fronte –non c’è nemmeno Caradoc, che è quello un po’ più interessante di tutta la…-
 
-veramente, parlavo della Meadowes. Prima Gideon e Hestia discutevano della preoccupazione di Fabian. Sembra che abbia cercato di dissuadere la Meadowes dal partecipare a questa riunione…-
 
-e perché mai?-.
 
-beh, sai, è…- Kingsley abbassò il tono di voce con gentilezza –è ancora in lutto e…-
 
-senti, se la Meadowes pensa di farcela non vedo perché dovreste guardarla come un esperimento alchemico. È una ragazza responsabile, conosce i suoi limiti. Ed è… forte- insistette Amelia bloccando Kingsley semplicemente con un gesto della mano. Davanti a quella mano che sicuramente era grande meno della metà della propria, Shacklebolt rinunciò a ribattere per ascoltare cosa aveva da dire la Bones –comunque, guarda, lei è la prossima. Tutte le vostre domande e i vostri dubbi troveranno una risposta, così…-.
 
Dorcas Meadowes era davvero il prossimo studente che avrebbe dovuto affrontare il molliccio.
 
La creatura si stava proprio in quel momento trasformando in un clown babbano dal naso grande e rosso, in risposta all’incantesimo urlato da Tricia Beauchamp. I soliti applausi si levarono dal gruppo di studenti già disposti lungo le pareti e, lievemente in ritardo, anche da quelli ancora ordinati in fila.
 
-Miss Meadowes, venga avanti, prego- la invitò Mathison, con un largo sorriso dipinto sul volto.
 
La Meadowes si fece avanti, con la stessa noncuranza con cui faceva anche tutto il resto in quella scuola. Parve accorgersi perfino lei del livello di aspettativa con cui il club intero attendeva la trasformazione del molliccio, perché si volse verso gli altri allievi con la fronte corrugata e l’aria perplessa.
 
Un forte suono, però, attirò ancora la sua attenzione al molliccio, che aveva già mutato forma.
 
-vedi, non c’era niente di cui preoccup…-
 
Amelia Bones, fortemente confusa, si bloccò quando scorse il pinnipede di media grandezza proprio al centro della sala, poco prima dell’armadio.
 
-una foca?-.
 
 

*

 
 
Seguendo le indicazioni di Fenwick, l’aveva trovata in Guferia.
 
Che strana ragazza era la Meadowes. Con la temperatura più fredda di tutto l’autunno fino a quel momento, con una pioggia torrenziale che scrosciava oltre le arcate di pietra sul parco di Hogwarts, Dorcas sceglieva di riflettere proprio nel punto meno riparato di tutta la scuola, esclusa forse la Torre di Astronomia.
 
Scompigliata e infreddolita stava ritta in piedi come un fuso, stagliata contro le arcate e coperta a malapena da quei vestiti di foggia babbana che indossava ogni secondo in cui non doveva vestire la divisa. Sembrava quasi una paladina della notte, intenta a vagliare il cielo con sguardo scuro e insondabile.
 
-Fenwick ha detto che saresti stata qui- borbottò rabbrividendo e facendo un passo nella stanzetta. La maggior parte dei gufi era assente, probabilmente per consegnare la posta e poterne recapitare la risposta con l’arrivo del mattino.
 
-Ben dovrebbe imparare a tacere, qualche volta- gli rispose la ragazza senza alcuna inflessione nel tono. Detta da chiunque altro, la frase avrebbe potuto assumere un che di scortese e stizzito; detta da lei, pareva una semplice considerazione. Sapeva di ovvietà, come tutto in Dorcas Meadowes.
 
-si preoccupa per te…- le fece notare lui muovendosi in modo che la pioggia, picchiettando il pavimento all’interno della sala esposta, non gli raggiungesse che l’orlo della tunica.
 
-già, sembrano farlo tutti-.
 
Dorcas scosse il capo, voltandosi. Aveva il volto molto pallido, quasi esangue, e in quella pelle talmente chiara da sapere quasi di malessere giacevano incastonati due occhi così scuri da sembrare onice nella penombra malata della notte.
 
Scorgendo un tratto di pavimento asciutto, Fabian si sedette sulla pietra gelida e aspettò che anche lei facesse lo stesso. Si sentì scrutare da capo a piedi, all’inizio, poi il tonfo attutito dei passi sul pavimento lo raggiunse, e la ragazza si raggomitolò accanto a lui.
 
Doveva avere freddo. Aveva un paio di jeans chiari e lievemente strappati, e una camicia a quadri rossi di taglio quasi maschile indossata sopra ad una maglietta completamente nera. Apriva e chiudeva le mani in spasmi quasi involontari, come a trattenersi dall’iniziare a tremare tutta, e aveva le labbra più chiare di quanto non le avesse di solito.
 
Non che Fabian Prewett si fosse mai soffermato a guardare troppo le labbra di Dorcas Meadowes.
 
Dopo qualche minuto di un silenzio quasi oppressivo, reso ancora più greve dal ritmico cadere della pioggia all’esterno, quelle labbra si mossero.
 
-mia madre è rimasta incinta quando aveva solo diciassette anni. Era di famiglia benestante, viveva nel centro di Londra. Mio padre aveva dieci anni più di lei e radici ben piantate in un’isola poco popolosa della Scozia. Era un campagnolo che per vivere si era improvvisato scrittore, riscontrando un certo successo, ma non aveva grandi disponibilità economiche. Mia madre però lo amava… certo, dell’amore sciocco di una diciassettenne ricca e viziata che a causa di una lite con i genitori per una gravidanza indesiderata è costretta a rifugiarsi nel cottage isolato di un uomo più vecchio. Però lo amava, a modo suo-.
 
Dorcas lo guardava negli occhi, con quello sguardo che metteva soggezione e una ruga di precisione disegnata proprio in mezzo alla fronte. Aveva uno strano sorriso disegnato sulle labbra, e pareva non avere più freddo.
 
Quando la ragazza si interruppe, forse per riflettere, Fabian si sporse verso la borsa che si era trascinato dietro fin dalla sala professori.
 
-non ho più molto, solo uno zenzerotto stantio- le mormorò quasi all’orecchio porgendoglielo –sembra una storia degna di essere ascoltata sgranocchiando qualcosa, non credi?-. 
 
Inclinando appena il capo, Dorcas lo guardò per qualche attimo.
 
Invece di prenderlo, alla fine, alzò la bacchetta e la mosse sul biscotto con un movimento veloce del polso. Il dolce si divise in due metà perfette, e lei ne afferrò una.
 
-è rimasta a Kerrera dai diciotto ai ventinove anni. Un’eternità. A covare una bambina che si è rivelata anormale e ad amare di amore malato un uomo più vecchio che non avrebbe mai fatto ciò che lei fece per lui: abbandonare tutto per seguirla. Alla fine, è stato semplicemente troppo- sussurrò fermandosi ancora una volta. Dopo aver sbocconcellato un’estremità del biscotto, puntò lo sguardo sul muretto di fronte a lei –una figlia e un marito non erano abbastanza se sul piatto opposto della bilancia c’era la vita di una donna che avrebbe preferito essere ovunque, ovunque, piuttosto che in quel cottage di pietra seppellito nelle Ebridi. Non le ho mai serbato rancore, per questo. Se ne è andata con il primo battello per Oban, una mattina come tante altre, e quando mi sono svegliata non c’era già più. Il giorno prima avevamo ricevuto la visita di un uomo che diceva di essere un mago. Non poteva sopportare anche questo, capisci?-.
 
Fabian scosse la testa. No, non capiva.
 
-tutto questo spiega la tua paura per le foche?- chiese il ragazzo, riflettendo ad alta voce.
 
In qualunque altro contesto, tutto ciò sarebbe sembrato bizzarro. E lo avrebbe fatto ridere, parecchio. E fu strano sentir ridere lei, di una risata calda e rauca. Bizzarra. Con uno sguardo curioso la Meadowes si portò il resto del biscotto alle labbra, ma riprese a parlare solo una volta finito di masticare.
 
-credo che sia per…- esitò tornando a guardare il muretto lì davanti. Sembrava fissarsi sulle gocce che dall’esterno riuscivano, passando oltre l’arcata, a rompersi sul pavimento vicino a loro, bagnandolo di pioggia –le selkie. Sono donne che, spogliandosi della loro pelle di foca, vivono con i mortali per anni. Donne bellissime. L’uomo deve seppellire la pelle da qualche parte, perché se la donna la ritrova probabilmente tornerà da dove è venuta, lasciandolo. È una leggenda delle mie parti, e mio padre la usava per fuggire le domande che gli facevo sulla mamma, nei primi tempi. Avevo finito per credergli-.
 
-che tua madre fosse una foca?-.
 
Fabian Prewett avrebbe volentieri battuto ripetutamente la testa sul pavimento. Come aveva potuto essere così privo di tatto da porre una domanda del genere? Avrebbe dovuto iniziare a ragionare, un giorno o l’altro, prima di fare domande. E se la Meadowes si fosse offesa?
 
-che mia madre fosse una selkie- lo corresse con un sorriso beffardo sulle labbra. Pareva rivolto più che altro a se stessa, quasi a prendersi in giro da sola –cerca di capire, avevo appena scoperto che gli unicorni e le fate esistevano veramente, perché non poteva essere così anche per le selkie?-.
 
-beh, probabilmente esistono- annuì allora Fabian, chiedendosi d’altronde perché non dovesse essere vero –le leggende babbane in genere si aggrappano a cose realmente esistenti-.
 
Questa volta Dorcas rise più a lungo, scrollando le spalle e portandosi una mano alla fronte e agli occhi, quasi imponendosi di non ridere troppo.
 
-probabile. Ma mia madre non è una di loro, e l’ho capito quando ho riconosciuto il timbro delle poste babbane di New York, e non quello degli abissi del Mar d’Irlanda, nella lettera che mi ha scritto quest’estate-.
 
La sua risata si spense nell’aria, mentre Fabian Prewett, accanto a quella strana ragazza, ancora faticava a capire perché mai una foca dovesse terrorizzarla.
 
Dorcas aveva ripreso un po’ di colore, forse per merito del biscotto o della conversazione che avevano intrapreso, ed ora sembrava avere di nuovo freddo. Non che lo mostrasse apertamente, quello no, ma si morse le labbra come per riscaldarsele e incrociò le braccia al petto, in un gesto quasi casuale.
 
-oh, aspetta…- borbottò cercandosi a tentoni addosso la bacchetta  -è naturale che tu abbia freddo, probabilmente siamo di appena qualche grado sopra lo zero. Hestia fa sempre…-
 
Brandì vittorioso la bacchetta, spostandosi di qualche spanna per creare un breve spazio tra se e la ragazza, che adesso lo osservava perplessa.
 
-cosa…?-
 
-… non so come si chiami in realtà, ma è molto utile se riesci ad evocarlo prima che ti si congelino le dita- replicò con un sorrisone divertito in volto, provando con uno svolazzo di bacchetta. Al terzo tentativo gli riuscì di evocare un fuocherello grande quanto il palmo di una mano, di un azzurro brillante e con splendidi riflessi violacei tra le fiammelle –scalda ma non brucia, prova a toccarlo-.
 
Avvicinandosi quanto più possibile al fuoco per accaparrarsi un po’ del calore, la ragazza tese le dita fino a sfiorare le fiamme. Erano calde, ma di un tepore sopportabile che dava un po’ il solletico sui polpastrelli.
 
-quindi hai ripreso i contatti con tua madre?-.
 
 

*

 
 
Dorcas Meadowes proprio non riusciva a capire come fosse finita in Guferia a raccontare a Fabian Prewett cose che probabilmente al ragazzo non interessavano nemmeno.
 
Alla fine della riunione, quando tutti avevano cominciato ad andarsene commentando in modo più o meno entusiasta ciò a cui avevano appena assistito, lei aveva a malapena gettato uno sguardo su Benjy ed era scivolata oltre la porta. Aveva camminato con il suo solito passo spedito e alla fine si era ritrovata esattamente dove voleva essere, senza nemmeno sapere che era diretta lì.
 
Si era ritrovata il ragazzo alle spalle, soprappensiero com’era non lo aveva nemmeno sentito entrare, e lo aveva visto sedersi per terra nell’unico spazio non bagnato sul pavimento. Sembrava realmente intenzionato a tenerle compagnia, e Dorcas aveva pensato che sarebbe stato scortese andarsene o cacciarlo malamente, soprattutto dal momento che non poteva vantare alcuna pretesa su un luogo pubblico come la Guferia. D’altronde, lui si stava dimostrando gentile.
 
-ci siamo scambiate solo un paio di lettere, in realtà- scosse il capo in risposta alla precedente domanda di lui –lei vive a New York con la sua… scusami, so che non ti interessa veramente. Forse parlo troppo-.
 
Questa volta fu il turno di Fabian, di ridere decisamente divertito.
 
-tu parli troppo? In realtà credo sia la prima volta che ti sento mettere in fila più di quattro parole per risposta. Scusa, non intendevo essere maleducato- si scusò poi più serio, conservando comunque un accenno di sorriso sulle labbra –se non mi interessasse non sarei qui, ti pare?-.
 
Fabian Prewett aveva un modo di fare diretto e conciso, e questo a Dorcas piacque proprio nell’istante in cui lo capì, lì su quella torre. Niente svolazzi, niente finzioni. Niente discorsi complicati o modi di dire su cui scervellarsi. Riassumeva tutto in poche parole, grandi sorrisi e sguardi divertiti.
 
-sei stato tu che hai detto a Ben del molliccio, vero?- chiese quindi con un sorrisetto curioso –di tutta la serata, intendo. Ieri, in biblioteca-.
 
Fabian si limitò ad annuire.
 
-quindi l’invito per domenica pomeriggio era solo una copertura?-.
 
La ragazza vide Prewett fermarsi dall’annuire solo per iniziare a scuotere la testa in senso opposto, come a rassicurarla sull’autenticità dell’invito.
 
-assolutamente no- rispose leggermente infastidito dal pensiero che la ragazza lo potesse catalogare come uno di quei buzzurri che si rimangia le cose –ci farebbe davvero piacere avervi con noi. Tu sei sempre…?-
 
-purtroppo si, ho un impegno che proprio non posso rimandare. Vi raggiungerò quando avrò finito, se sarete ancora al parco- lanciò un’occhiata al cielo, ancora carico di pioggia –sempre se il tempo lo permetterà, naturalmente-.
 
Nel silenzio che seguì, Dorcas si limitò a gustare il calore del fuocherello vispo che Fabian aveva acceso e che era anche l’unica fonte di luce della stanzetta. La pioggia aveva diminuito l’intensità e anche il vento, che fino a poco prima fischiava forte, sembrava pronto a cessare quasi del tutto.
 
Trovarsi lì con lui era davvero strano, ma per nulla sgradevole.
 
Il silenzio era piacevole, colmo di pensieri e quasi rilassante, e la sensazione del corpo accanto a lei, oltre il fuocherello, era del tutto nuova. Non aveva mai avuto quella percezione acuta che quasi le causava brividi lungo la spina dorsale: aveva come l’impressione di poter mappare la stanza pietra dopo pietra, segnando dove esattamente stava lui e dove invece c’era quel vuoto verso cui non aveva più alcun interesse. Non si era mai sentita così, con Ben. Forse era a causa del buio.
 
-alla prossima partita di Quidditch noi Grifondoro giocheremo contro i Serpeverde- buttò lì alla fine Fabian, tornando con lo sguardo su di lei –verrai a vederci?-.
 
Stranita, Dorcas esitò per un attimo. Doveva ancora fare i conti con quelle strane percezioni, ed ecco una domanda alla quale non sapeva proprio come rispondere. L’ennesima.
 
-forse non ti conviene- scherzò alla fine con un sorriso –l’unica partita cui ho assistito in sei anni qui dentro, uno dei tuoi migliori amici ha rischiato l’osso del collo. Magari porto sfortuna-.
 
-oh, se è per quello, Caradoc ha rischiato l’osso del collo talmente tante volte da non saperle più contare. Certo, questa è stata pesante, ma non credo nella sfortuna, in questi casi- mormorò alzandosi all’improvviso –però… so che non ti piace il volo, in generale, quindi non ti preoccupare, se non vuoi non…-
 
-mi farebbe piacere, invece- lo interruppe Dorcas, guardandolo dal basso in alto con gli occhi illuminati dal riflesso azzurrognolo del fuoco –ora ci capisco anche qualcosa, non vedo perché dovrei rifiutarmi-.
 
Il sorriso che ebbe in risposta fu quasi più luminoso del fuocherello. Alla fine, dopo qualche attimo, si vide tendere una mano.
 
-è quasi mezzanotte, dovremmo tornare ai dormitori. Ti accompagno alla sala comune, ti va?-.
 
Nemmeno in quella richiesta, Dorcas vide un motivo plausibile per rifiutare. Quindi, ricambiando il sorriso, accettò la sua mano.
 
 

*

 
 
Camminavano silenziosi uno accanto all’altra.
 
La Meadowes aveva il solito passo calmo, come se il timore di essere sorpresa a mezzanotte a infrangere il coprifuoco non la sfiorasse neppure, e passeggiava con lo sguardo fisso al pavimento e il volto atteggiato in un’espressione seria, severa.
 
Fabian, che aveva iniziato il percorso camminando più deciso verso la propria meta, si era dovuto arrestare dopo circa dieci passi per aspettare la ragazza. L’aveva guardata, aveva constatato l’improvvisa calma della Meadowes, e si era chiesto se per caso la giovane non fosse divertita da quella situazione stramba. Alla fine aveva deciso di allentare il passo e di accodarsi al suo, decisamente più lento.
 
-ti fanno paura le bugie?-
 
Dorcas sembrò quasi scrollarsi di dosso alcuni pensieri per riportare l’attenzione sul Grifondoro. Aveva gli occhi appannati dalla stanchezza, ma in qualche modo sempre attenti. Occhi banalmente verdi, non troppo grandi, non troppo belli.
 
-come dici, scusa?- domandò in risposta, raggiungendo con il suo sguardo quello del ragazzo. Si era fermato davanti ad un quadro che rappresentava un paesaggio esotico, una giungla, e l’improvviso arresto aveva colto Dorcas completamente di sorpresa.
 
-il molliccio, giù nella sala professori- spiegò meglio Fabian, inclinando curioso il capo proprio come un bambino –hai detto che la leggenda delle foche era quella che ti raccontava tuo padre per spiegare l’abbandono di tua madre, vero? Ed era una bugia…-
 
Dorcas sembrava vagamente impressionata.
 
Riflettendoci bene, Fabian si accorse che era la prima volta, da quando l’aveva notata all’inizio dell’anno, che la vedeva veramente stupita da qualcosa, o da qualcuno. Pensò che pure stupendosi, la Meadowes riusciva a stupirlo.
 
Dorcas riprese a camminare con passo più svelto, come animata da un’improvvisa voglia di ritornare nella propria Sala Comune, nel proprio Dormitorio, nel proprio letto, nel proprio terreno. Sembrava ansiosa di scrollarsi di dosso quella sensazione –qualunque essa fosse- che l’aveva colta proprio lì, nel bel mezzo del corridoio, in compagnia di qualcuno a cui di lei, probabilmente, non importava assolutamente nulla.
 
-Dorcas…- la inseguì Prewett velocizzando il passo –Dorcas, aspetta. Cosa…?-
 
I capelli della ragazza, sciolti e lunghi, ricadevanocasualmente a creare una cortina tra lei e il resto del mondo. Come il drappeggio di un sipario, che chiude fuori dalle scene gli spettatori  alla chiusura dello spettacolo.
 
Era forse un modo per dirgli che qualunque cosa fosse successa quella sera, era finita nell’istante esatto in cui lui aveva posto la domanda? Eppure era sembrata così innocua.
 
Alla fine, quasi correndo, erano arrivati alle rampe di scale centrali. Entrambi avevano il fiatone per quella strana corsa per il castello e nessuno dei due ricordava più di prestare attenzione alle ronde notturne dei professori.  Fabian Prewett era ancora così intento a spremersi le meningi per cercare di ricordare in cosa aveva sbagliato che, non facendo caso al quarto gradino della scala del ritratto di Balfour Blane, capitombolò a terra soffocando un grido spaventato.
 
Stralunato, cedette all’istinto primordiale che ogni qualvolta che cadeva lo coglieva impreparato. Ansioso, si guardò attorno senza nemmeno pensare al dolore per assicurarsi che nessuno, esclusi i quadri, avesse notato quella pessima figura. Ovviamente trovò, a guardarlo dall’alto del sesto gradino, lo sguardo inquisitore di Dorcas Meadowes, che si era fermata sentendo il tonfo sordo della caduta.
 
-ti sei fatto male?- domandò la ragazza mostrando un riflesso vagamente preoccupato nello sguardo.
 
-niente di grave- rispose lui sottovoce, cercando di distogliere l’attenzione da se. Si alzò velocemente, spolverandosi la veste da mago e guardandosi ancora attorno –sarà meglio toglierci di qua, il rumore avrà attirato l’attenzione di Gazza-.
 
Con più calma, fianco a fianco, i due ragazzi ripresero a salire le scale. Alla fine, arrivati proprio davanti alla lucida porta nera, si fermarono di colpo.
 
-hai ragione- ammise alla fine Dorcas Meadowes, fissando davanti a se il battente come se non lo vedesse neppure –quando mio padre è morto mi sono ritrovata sola al mondo. Benjy lo è venuto a sapere con i giornali, due giorni dopo, ma… tutto quello che mi era rimasto, della mia vita, era una leggenda. Una leggenda falsa, per di più. Non lo augurerei a nessuno, sai? Quando proprio ti ritrovi da solo, senza niente in mano e qualche morto alle spalle, ti accorgi che la persona che per te contava di più al mondo ti aveva raccontato una menzogna sapendo che tu ci avresti creduto, rendendoti ridicolo ai tuoi stessi occhi. Sono sopravvissuta una volta, non so se lo rifarei-.
 
Fabian tacque per qualche istante, poi allungò la mano e mosse il battente a forma di corvo.

 
Negli occhi non si vede
Nel cuore non si sente
Il diavolo ne ha una
terrore e pericolo non ne hanno nessuna
È la testa di ali e la coda di dita
E due sono nella partita.

 
Fabian poteva quasi sentire il ronzio della mente di Dorcas, mentre la ragazza si attardava nel cercare la soluzione. Sapeva di doverle lasciare un po’ di tempo, per tutto. Hestia l’aveva descritta proprio come un animale esotico e selvatico, qualcuno da avvicinare con delicatezza estrema.
 
Fu investito all’improvviso dalla portata dei discorsi di quella sera, Fabian. E lì, davanti alla lustra porta di corvonero, mentre ancora poteva sentire nell’aria l’eco delle parole del corvo, dovette concentrarsi per non restare tramortito da tutto quel fiume di confidenze che Dorcas, in un momento di debolezza, aveva semplicemente gettato al vento.
 
Capì che per lei, abituata a non raccontarsi e, anzi, a nascondersi volontariamente, doveva essere stato uno shock capire quanto oltre si fosse spinta rispetto ai normali confini che quasi involontariamente, da sola, si poneva. Quanto, di se, gli avesse mostrato quella sera.
 
-non dirò nulla a nessuno, Dorcas. Sarà… un segreto-.
 
Sperò davvero di poterla rassicurare, con quelle parole.
 
Dorcas, sorprendentemente, sorrise. Di un sorriso triste, disincantato. Ma pur sempre un sorriso.
 
-un segreto non è più tale quando lo conosce più di una persona- mormorò lentamente, scrollando le spalle. Concedeva sguardi con il contagocce, la Meadowes –la lettera A-.
 
Con un rumore soffocato la porta si aprì; così Fabian osservò Dorcas sparire con la netta, spiacevole sensazione che, il mattino dopo, tutto sarebbe tornato come prima.
 
E con la certezza di aver perso un pezzo, di se stesso, tra gli occhi e il sorriso di quella strana ragazza.
 
 
 
 
 




 
*Italo Calvino, Il Barone Rampante
**Alessandro Baricco, Castelli di Rabbia
 
 
 
NOTE BIS:
 
Dunque. Questo capitolo avrebbe dovuto comprendere anche il racconto del pomeriggio della domenica con la Patria dei Bellocci, ma veniva davvero troppo lungo e dispersivo, quindi ho optato per dividere le due parti. Si approfondisce la conoscenza tra Fabian e Dorcas, il capitolo è praticamente dedicato a loro.
Per chi si aspettava delle parti tra Caradoc e Benjy, il prossimo capitolo sarà decisamente Carenjicentrico; quei due mi piacciono troppo, poche palle.
 
Per quanto riguarda il prossimo aggiornamento dell’Amore ai tempi dell’odio, si dovrà aspettare sicuramente fino a domenica.
 
Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento…
…me lo lasciate qualche commentino? Piccino piccino picciò? Come faccio a sapere se la storia piace e cosa c’è da migliorare, altrimenti?
 
Un abbraccio,
Hir
 
   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Hiraedd