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Autore: Himenoshirotsuki    22/02/2013    36 recensioni
Il suo corpo era luce, la emanava come una stella nella volta celeste, i capelli simili a lingue di fiamma. Ledah guardò quell'anima splendente, mentre si faceva strada tra i rovi e le spine. In quel luogo opaco, a cavallo tra la realtà e il mondo dell'oltre, ogni suo passo era troppo corto, la sua voce non era sufficientemente forte perché lei si accorgesse che la stava febbrilmente rincorrendo. Per un tempo indistinto inseguì quelle tracce vermiglie, testimoni delle catene corporee che la tenevano ancorata a questo mondo. Poi lei si girò, incrociando lo sguardo disperato di Ledah, e in quell'istante egli capì: lei era il sole nell'inverno della sua anima, l'acqua che redimeva i suoi peccati, la terra che poteva definire casa. Lei era calore e fiamma bruciante. Lei era fuoco, fuoco nelle tenebre della sua esistenza.
Revisione completata
-Storia partecipante alla Challenge "L'ondata fantasy" indetta da _ovest_ su EFP-
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Guardiani'
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2

Assalto

"Chi combatte con i mostri deve guardarsi dal non diventare egli stesso un mostro. E se guarderai a lungo nell'abisso, l'abisso guardera dentro di te."
F. Nietzsche
 
Aveva il cappuccio calato sul viso e il mantello blu che ondeggiava dietro di lei. Gli stivali affondavano nello spesso strato di neve che ricopriva il terreno, mentre i lembi della pesante cappa svolazzavano ad ogni passo. 
Il freddo in quei giorni era stato implacabile ma, almeno, aveva smesso di nevicare. Sarebbe stato difficile arrivare a destinazione se si fosse scatenata una bufera, e lei sicuramente si sarebbe arrabbiata se avesse mancato quell'appuntamento. Aveva il cuore ancora pesante e l'animo turbato per quello che era accaduto nelle ore precedenti. Aveva visto i soldati seppellire il cadavere della bambina nella fredda terra, lontano dai suoi cari e dalla sua casa. Nessuno sarebbe venuto a pregare per lei, nessuno avrebbe pianto per quella vita spezzata nel fiore degli anni. Le lacrime, in quella terra fredda e silenziosa, erano un privilegio che nessuno poteva più vantare di avere. Si morse il labbro e si portò una mano al petto, aumentando il passo.
Si mosse lentamente, ombra tra le ombre, avanzando sicura attraverso le tende dell'accampamento, diretta verso il confine del campo. Il tragitto lo conosceva bene, avendolo percorso tante volte, e nonostante non potesse vedere, gli altri sensi l'aiutavano ad orientarsi senza alcuna difficoltà. Quando vi giunse, una raffica di vento gelido le investì il volto. Serrò le palpebre infastidita e senza troppi indugi ricominciò a camminare. Dopo qualche passo, udì in lontananza lo scrosciare delle acque del Tabor e capì di star procedendo nella direzione giusta. 
La foresta di Noumenasse distava meno di quattro miglia: era un enorme agglomerato di alberi sempreverdi che sorgeva sulle rive del fiume e si estendeva per miglia fino a quasi alla sua foce. Si diceva che all'interno vi abitassero alcuni esseri fatati, gli stessi di cui molte leggende popolari parlavano, ma nessuno che vi fosse passato ne aveva mai avvistato uno. 
L'unica cosa che a lei importava era che non ci fossero gli elfi. Avrebbe potuto andare a cavallo, ma il rischio di svegliare qualcuno e diventare bersaglio di domande scomode era troppo alto. Rimaneva comunque quello che scoprissero la sua assenza in qualche modo, ma se avesse fatto in fretta, sarebbe stata di ritorno poco dopo l'alba. Era ancora notte fonda; aveva tempo a sufficienza.
Camminò spedita per qualche ora, fermandosi talvolta per assicurarsi di non essere stata seguita. Quella era una zona sicura, lo sapeva, ma preferiva essere prudente. Girò la testa da una parte all'altra, concentrandosi sui suoni che riempivano l'ambiente intorno a lei. Distinse il vento tra le fronde, lo sciabordio dell'acqua che accarezzava la pietra, e verso Nord udì anche l'ululato di un lupo. Sorrise, compiaciuta per quella melodia così sottile. Poi riprese la sua marcia.
Non appena l'intenso odore dei pini le penetrò nelle narici aumentò l'andatura. Oltrepassò i primi alberi in poche falcate e, dopo alcuni istanti, venne avvolta da una calma assoluta. Sconcertata da quella tranquillità innaturale, si appoggiò ad un tronco, mentre una sensazione di angoscia le contraeva le viscere. Era come se il mondo fosse stato improvvisamente inghiottito dal vuoto. Mosse il capo a destra e a sinistra, cercando di orientarsi. Si chinò, tastò il terreno e ne studiò la consistenza con le dita. Poi, nel silenzio più totale, imboccò un sentiero sterrato e si inoltrò nel fitto sottobosco. Per fortuna aveva avuto la geniale idea di spedire qualche soldato a fare un sopralluogo nei giorni precedenti, giusto per farsi un'immagine mentale di dove dovesse andare e che tipo di conformazione avesse il bosco. Però era certa che, anche se si fosse persa, lei l'avrebbe guidata.
“Cosa vorrà stavolta?” 
Sospirò e davanti al suo viso aleggiò una piccola nuvoletta di vapore. Non doveva pensarci, tra poco lo avrebbe saputo.
Procedette per un tempo che le parve infinito e per un attimo dubitò di star camminando davvero, ma i leggeri fruscii e i versi degli animali notturni che le giungevano attutiti alle orecchie erano reali. Ogni tanto udiva il tonfo della neve che scivolava via dai rami, ma per il resto il solo suono chiaro che percepiva era il rumore dei suoi passi.
Un refolo d'aria fredda le si insinuò sotto la pesante tunica di lana, ma il suo corpo quasi non reagì, abituato a climi ben peggiori. 
Ad un tratto si fermò e la sensazione di essersi smarrita la pervase in maniera repentina. Abbassò gli occhi vacui e li fissò su un punto indefinito. Si concentrò, acuì l'udito, ma i rumori erano troppo flebili per permetterle di capire dove stesse andando. Era come camminare nel buio più nero. E lei odiava il buio, sebbene ormai fosse costretta a viverci da anni.
Di qua, mio dolce bocciolo.
A quelle parole la ragazza rabbrividì, stringendosi il mantello sulle spalle. Quella voce dolce e femminile che le aveva appena sussurrato nella mente possedeva un tono melodioso e suadente insieme. Se non avesse saputo a chi apparteneva, l'avrebbe trovata meravigliosa. Si sentì avvolgere da un abbraccio caldo e, senza nemmeno accorgersene, le sue gambe ripresero a camminare. Imboccò una stradina anonima che non ricordava nemmeno essere segnata sulle mappe. Percepì il terreno inclinarsi sotto i suoi piedi e rami simili a dita scheletriche l'accarezzarono, impigliandosi nella stoffa del mantello come artigli rapaci. La ragazza si liberò con un gesto brusco della mano e inveì a denti stretti. Non che le importasse molto di rovinarsi le vesti, ma preferiva evitare domande scomode al suo ritorno all'accampamento. 
“Lei a questi particolari non pensa mai.” rifletté con stizza.
Proseguì ancora per mezzo miglio, poi si fermò improvvisamente. L'aria era ferma, come se l'intera foresta stesse trattenendo il respiro. Si inginocchiò, sfiorando appena i timidi ciuffi d'erba che erano miracolosamente sopravvissuti alle ultime nevicate, e appoggiò i palmi delle mani, incurante del gelo che le penetrava nelle ossa. Tastò di nuovo il terreno attorno a lei e sfiorò le leggere inclinazioni della terra e i piccoli sassi che la ornavano. 
"Forse una radura? Uno spiazzo di qualche genere? Ma lei dov'è?” 
Si alzò, fissò un punto nel vuoto e attese impaziente. 
Realizzò quanto fosse una preda facile in quel momento: privata della vista e con gli altri sensi ovattati, accompagnata solo dalla sua spada e dall'armatura, persino il soldato più inesperto avrebbe avuto almeno una possibilità di ucciderla. Ma, forse, la morte sarebbe stata preferibile alla schiavitù che era obbligata a subire.
Quando udì dei passi stava già cominciando a perdere la pazienza. Sapeva che non si trattava di un nemico, poiché nessuno con un minimo di buonsenso l'avrebbe affrontata a viso aperto, ma detestava profondamente sentirsi così inerme, cieca.
- Piccola, finalmente sei arrivata. - la stessa voce di prima le accarezzò le orecchie, - Ero sicura che ti saresti persa. Questa foresta è molto grande e per una persona come te è difficile orientarsi, vero? -
- Perché mi hai chiamata qui? - replicò e riuscì a malapena a celare il fastidio che aveva provato di fronte a quel palese insulto.
- Oh, niente di che. - 
Percepì la mano dell'altra allungarsi e tirarle delicatamente giù il cappuccio. La luna illuminò una cascata di capelli sanguigni, un volto pallido, delle labbra carnose e ben disegnate e due iridi spente adornate da ciglia lunghe. 
- Per tutti gli dei, sei così bella, Airis. Perché ti devi sempre nascondere? - chiocciò esasperata e le accarezzò una guancia. 
Al contatto con quelle dita gelide, la ragazza scattò indietro e i lineamenti del suo viso si deformarono in una maschera d'odio e disgusto. Sentì gli occhi della sua interlocutrice addosso e una piccola parte di lei sperò che non si fosse arrabbiata, altrimenti la punizione sarebbe arrivata più crudele che mai e non avrebbe potuto far niente per sfuggirvi. Soppesò il silenzio che era piombato su di loro, cercando all'interno di esso un significato da cogliere. Non avvertì alcuna vibrazione ostile nell'aria, quindi era probabile che quella donna maledetta si stesse gustando con un ghigno beffardo la sua espressione rabbiosa.
Fece un lungo respiro e s'impose di calmarsi. Si spostò i capelli sulla spalla destra e compì qualche passo avanti.
- Te lo richiedo, Lysandra. Perché hai voluto incontrarmi? -
- Ho un incarico per te, ovviamente. - cominciò a girarle intorno, come un cacciatore che studia la sua preda, - Però stavolta non dovrai uccidere nessuno. Sei contenta? -
Airis sospirò rasserenata. L'ultima volta non era stato per niente facile eseguire i suoi ordini, ma li aveva portati a termine. Tuttavia, non le veniva in mente chi altri potesse essere un possibile bersaglio. Erano al Nord, in mezzo alla neve e al nulla. Chi mai poteva costituire una minaccia?
Dita fredde giocherellarono con una ciocca dei suoi capelli, ne districarono i nodi con facilità e la sollevarono leggermente verso l'alto. 
- E allora, cosa vuoi che faccia? - tentò di allontanarsi, ma le mani di lei si strinsero attorno alle sue spalle e le unghie affondarono nella sua pelle, scavandovi piccole mezzelune rosse e bloccandola sul posto.
- Non. Fuggire. - scandì pacata. 
L'abbracciò da dietro e affondò il viso nella folta chioma rossa. Airis si sentì avvolgere da una fragranza di fiori d'arancio e cannella e ne rimase stordita, come assuefatta. Sbatté le palpebre più volte, cercando di tornare in sé.
- Devi trovare una persona, un elfo. - le mormorò Lysandra all'orecchio. 
Un leggero brivido corse lungo la schiena della ragazza.
- Sarà difficile...- balbettò.
- Lo so, ma tra tutti i miei servi devoti ho scelto te. - le mordicchiò il lobo e strusciò il naso contro la sua guancia, - Ma alla prossima battaglia devi trovarlo. É di vitale importanza, capisci? -
- S-sì. - deglutì, - Ma è comunque complicato. Io... -
La sentì staccarsi improvvisamente da lei e una risata cristallina risuonò nell'aria. Airis rimase sconcertata.
- Oh, per quel tuo piccolo problema non ti preoccupare. - chiocciò, applaudendo soddisfatta, - Quando lui sarà vicino, vedrai un fuoco. -
- Un... fuoco? Lo vedrò? Come? -
- Vedrai una fiamma davanti a te, una fiamma talmente intensa che ti sembrerà scaturire dai meandri più remoti degli abissi e per un solo istante spazzerà via le tenebre che ti circondano. - le si fece vicino e le sfiorò le labbra con le proprie, - Per te non dovrebbe essere un problema, no? -
Un sorriso amaro si formò agli angoli della bocca di Airis. Ovvio che non era un problema e, anche se lo fosse stato, non avrebbe potuto in alcun modo obiettare.
- Capisco. - si limitò a rispondere, - Una volta catturato, cosa devo farne? -
- Oh, te lo dirò in seguito. Per ora... - schioccò la lingua e si allontanò, - beh, non è importante il dopo. -
Airis annuì. Non le piaceva non ricevere tutti i particolari della missione, ma d'altronde sapeva che se avesse domandato qualcosa di più non avrebbe comunque avuto risposta.
- Per quella cosa, invece? - chiese la ragazza.
- Oh. - Lysandra tacque, come se stesse pensando, - Anche per quello non ti preoccupare. Non appena lo avrai preso penserò a tutto io, mio tenero e dolce sogno. -
- Perfetto. -
Airis stava già per andarsene, quando la voce melliflua dell'altra la bloccò.
- Vedi di non deludermi. Non vorrei diventare cattiva... -
La ragazza rimase immobile e poi, senza neppure voltarsi, continuò a camminare, conscia che in qualunque caso lei l'avrebbe sentita.
- Lo so. - borbottò.
Le fece eco una risatina divertita appena accennata. La guerriera ebbe un brivido, ma continuò a percorrere il sentiero. Pochi secondi più tardi venne inghiottita dalla fitta vegetazione.
 
Quando Airis si svegliò, udì dei rumori provenire da fuori la tenda. Senza neanche indossare l'armatura, uscì per controllare cosa stesse succedendo.
Il campo era in fermento, non c'era nessun uomo fermo a oziare. Tutti correvano di qua e di là, i visi animati da una determinazione che non si era più vista dalla rovinosa battaglia al Tabor. I soldati si allenavano con una lena fuori dal comune, con il fiato che si condensava in quel gelido mattino. I loro ansiti e il clangore metallico dell'acciaio delle loro lance e spade che cozzavano le une sulle altre riempivano l'aria, spezzando il silenzio che regnava nella steppa. A quanto pareva il discorso di Ignus aveva sortito l'effetto voluto e ora ogni uomo era deciso a portare a termine l'impresa. 
Forse avrebbe dovuto nutrire un po' più di fiducia nel piano che, per quanto folle e disperato, aveva una qualche probabilità di riuscita. Doveva riuscire.
Coprendosi con il mantello si avviò verso est, in direzione di uno specchio d'acqua poco lontano da lì.
“Questo attacco ha una percentuale troppo bassa di successo così com'è stato esposto e, più che a una vittoria, condurrà l'intero esercito al massacro.”
Man mano che si allontanava dall'accampamento, i suoni giungevano al suo orecchio sempre più attutiti, come se stesse camminando in un mondo onirico.
“ Ci mancava poi la sua richiesta. In tutto quel caos sarà impossibile...”
Inspirò a pieni polmoni l'aria fredda e un fresco profumo di resina, trasportato da una lieve raffica di vento, le stuzzicò il naso, annunciandole che era ormai vicina. Affondando fino a metà stinco nella neve, giunse a una fonte coperta da una spessa lastra di ghiaccio. Intorno a lei, una foresta di abeti e pini che si estendeva a perdita d'occhio.
A poche leghe da lì sorgeva l'immenso altopiano di Rashar, e su, nella parte più settentrionale del continente, la sconfinata foresta di Llanowar.
Airis ruppe il ghiaccio con un colpo di spada e, inginocchiatasi, si gettò quell'acqua gelida sul volto.
"Già, Llanowar..." 
Sospirò e si sfregò il volto con le mani, mentre ormai perdeva la sensibilità nelle dita. Con la memoria tornò indietro a cinque mesi prima, quando era iniziato l'attacco vero e proprio per impossessarsi di una delle più grandi roccaforti elfiche. Ignus e Eigor pensavano che sarebbe stato facile, sicuri com'erano della loro supremazia nelle battaglie campali. Eppure, in tutto quel tempo, nessuno dei due Generali era riuscito a conquistare un solo ettaro della foresta, anzi avevano perso terreno.
Si deterse le braccia, per poi asciugarsi con un panno che si era portata dal campo. 
Dopo circa due mesi, il Gran Consiglio della città di Sershet le aveva ordinato di partire immediatamente per la regione di Ferya, prima che la situazione precipitasse, ma, nonostante i suoi sforzi, era giunta troppo tardi: Edon era caduta, trascinando con sé le vite di migliaia di soldati.
Benché non percepisse quasi più né il freddo né il caldo, si coprì comunque col mantello, fissando la superficie azzurra del laghetto.
Quella volta gli elfi erano stati veramente astuti: dopo aver preso d'assalto una carovana, si erano travestiti e, giunti alla città, erano entrati senza che nessuno li riconoscesse. Nel momento stesso in cui gli abitanti avevano chiuso le porte, erano saltati giù dai carri ed era esploso il caos. I cittadini, terrorizzati, avevano cercato di allontanarsi più in fretta possibile, mentre i soldati avevano cominciato a cadere sotto i fendenti e le frecce degli elfi. Nessuno era stato in grado di fare nulla per impedire quel massacro. Le urla di donne e bambini avevano riempito l'aria, e gli uomini che avevano tentato di opporsi erano stati brutalmente uccisi. L'esercito, incapace di organizzare una difesa, aveva cercato di portare in salvo quante più persone possibili, in una disperata corsa contro il tempo.
Quando Airis si era presentata col suo contingente, ad attenderla c'erano state solo macerie: i canali, prima limpidi e cristallini, avevano assunto un intenso color cremisi e la luce del giorno conferiva a quelle acque dei macabri riflessi purpurei. Cumuli di cadaveri, riversi negli angoli delle strade, marcivano sotto il sole di quel freddo mezzogiorno, impestando l'aria di un pungente tanfo di putrefazione. Addentrandosi sempre di più nella città, i corpi erano aumentati vertiginosamente, rendendo difficile il cammino. Airis, a quel punto, aveva fiutato un altro odore, che si era fatto sempre più denso e penetrante ad ogni passo, e quando era giunta insieme ad un drappello di commilitoni nella piazza centrale, il terrore si era dipinto sui volti dei suoi uomini: la splendida e antica fontana, orgoglio della città, era stata ricoperta da una marea di cadaveri carbonizzati, le orbite vuote e la pelle che ancora pendeva dai bianchi teschi. I soldati più giovani erano indietreggiati fino ad appoggiarsi ai muri delle case, tremando di fronte a quel macabro spettacolo. Persino i veterani, che avevano visto quanto atroce potesse essere la guerra, non avevano saputo cosa dire o pensare. Mai, in cinquant'anni di scontri e battaglie, gli elfi avevano compiuto un simile atto.
Da quel momento, con l'assenso degli altri due Generali, avevano unito le loro forze per far evacuare tutti i civili dai villaggi attorno ad Edon e Mera, ma evidentemente non era stato abbastanza.
Airis sbatté più volte gli occhi, riemergendo dai suoi pensieri, e si incamminò di nuovo verso l'accampamento.
Se voleva impedire che un massacro del genere si ripetesse in futuro, doveva pensare a un piano migliore, che limitasse le perdite al minimo e che garantisse una maggiore possibilità di vittoria.
L'odore di sudore e gli ansiti di fatica la riaccolsero nell'accampamento. Nonostante fosse ormai mezzogiorno inoltrato, il freddo non accennava a placarsi ed ora soffici fiocchi di neve cadevano silenziosi, depositandosi leggeri al suolo. Indugiò vicino ad una tenda, dove due soldati, sfiniti dal duro allenamento mattutino, si stavano riposando scaldandosi al fuoco di un grande falò. Questi accostarono le mani livide e callose alle fiamme e sbuffarono per scacciare i brividi.
Uno di loro, che doveva essere giovane a giudicare dalla voce, disse ridendo: - Salkoz, ti sei rammollito negli ultimi tempi, eh? Ammettilo, la vecchiaia è una brutta bestia. -
Airis udì un colpo secco e poi un “ahia” mugugnato.
- Come ti permetti, pivello? Se non fosse per me, ora saresti uno spiedino elfico. -
- Non è vero! Non sono una mammoletta come credi tu! -
-Oh, sì che lo sei. Anzi, sei pure inutile! Ci hai messo una marea di tempo ad accendere due ceppi! Poco ci mancava che congelassi, imbranato che non sei altro! -
L'altro soldato sospirò sconsolato: - Lo so, lo so. É che questa era l'ultima legna rimasta ed era umida. Questo tempo non aiuta per niente. Ti ricordi come invece bruciavano bene quelli alla festa del raccolto di due anni fa? Era fantastico! -
Airis smise di ascoltare, colta da una rivelazione improvvisa, e si diresse con passo veloce verso il centro del campo.
"Ma certo, il fuoco!" 
Come aveva fatto a non pensarci prima?
Quella che inizialmente era una semplice marcia, divenne una corsa forsennata.
Era un progetto difficile da mettere in pratica e serviva una pianificazione perfetta, ma era possibile.
Con uno strattone aprì la tenda, la stessa dove venti giorni prima gli altri due Generali l'avevano esonerata da qualunque decisione di guerra, ed entrò con il fiatone. All'interno percepì la presenza di Ignus e Eigor, probabilmente riunitisi lì per decidere il da farsi.
Una voce arrogante che conosceva fin troppo bene le diede il benvenuto.
- Cosa ci fai tu qui? Non hai alcun diritto di interrompere la nostra riunione. -
La ragazza sorrise.
- Non sono venuta per parlare di quello che posso o non posso fare, Ignus. -
Avanzò fino al tavolo dove c'era la mappa del continente, tastando le superfici a portata di mano per orientarsi meglio. Si appoggiò al bordo e, dopo aver ripreso fiato, espresse la sua opinione con onestà.
- Il tuo piano, Ignus, non va per niente bene. -
-E perché mai!? - sbottò l'interpellato.
Airis incrociò le braccia al petto e puntò lo sguardo vitreo là dove ipotizzava dovesse trovarsi Ignus.
- Stai per mandare allo sbaraglio le truppe e speri solo che gli elfi non si accorgano che un intero esercito sta marciando contro di loro, cosa che reputo poco probabile, visto che i nostri soldati non viaggiano propriamente “leggeri”. -
Un risolino trattenuto interruppe il discorso della guerriera: il Cavaliere del Drago aveva gradito l'umorismo.
La guerriera represse un sorriso compiaciuto e continuò con voce seria: - Comunque, su una cosa avevi ragione: gli elfi non sono forti nelle battaglie a campo aperto. L'unica cosa intelligente da fare è attirarli fuori da Llanowar e poi schiacciarli con la nostra fanteria, e il solo modo per fare questo è incendiare la foresta. -
Un silenzio tombale cadde nella tenda.
Il primo a parlare fu Eigor: - Come idea va bene, ma hai già pensato a come realizzarla? E' tutto ricoperto di neve, il fuoco non attecchirà. -
Airis sondò la superficie del tavolo con le dita, finché non sfiorò la mappa, una di quelle che aveva tutti gli elementi geografici in rilievo. Almeno con quella non faceva fatica ad orientarsi.
- Dunque, Llanowar copre una buona parte del territorio di Ferya e si estende da nord verso sud-ovest, confinando con la catena dei monti Nores, giusto? - illustrò e tastò con attenzione la foresta e il rilievo montuoso.
Ignus e Eigor si avvicinarono, incuriositi.
- Mi avete detto che già altre volte avevate provato ad attuare questo tipo di piano, ma gli elfi vi hanno sempre intercettato e respinto. -
La voce fredda del Cavaliere del Drago rispose dalla sua sinistra: - Sì, abbiamo già tentato, ma senza alcun risultato. -
- Il problema è che avete mobilitato l'intero esercito. Centomila uomini, armati di spade, lance e fiaccole fanno un rumore enorme. Ma se noi mandassimo in avanscoperta due drappelli, passando per uno dei sentieri dei monti, con un po' di fortuna nessuno li noterebbe. -
Delineò con il polpastrello le cime delle montagne.
Ignus, per la prima volta concentrato su quel che gli stava dicendo, osservò la mappa meditabondo.
- Sì, ma poi? Non bastano così pochi soldati. - obiettò, - Andrete incontro a morte certa con una strategia del genere.-
“Sempre meglio del tuo piano suicida e senza senso.” gli lanciò un'occhiata stizzita e scosse la testa.
- Mi assumo la responsabilità della mia proposta, Generale.- ticchettò le dita sul tavolo e poi fissò un punto davanti a sé, - Andrò io. Mi occuperò personalmente di portare a termine quest'impresa.- disse, decisa.
- E' un suicidio, Airis.- la voce greve di Eigor le giunse all'orecchio.
- Infatti, qui interverrete voi. -
I due uomini la guardarono interrogativi.
- Voi sarete il nostro diversivo. Mentre le fiamme divamperanno, gli elfi saranno costretti a dividere le loro forze per far fronte a entrambi gli attacchi. - spiegò la giovane.
Ignus inspirò a fondo e chiese: - Cosa ti fa pensare di riuscire in un'impresa che altri Comandanti prima di te hanno provato senza alcun esito? -
Airis esitò un attimo prima di rispondere: - Perché, come hai detto tu, quelli erano Comandanti, non Generali di grande esperienza come noi. - lo adulò.
“Certo, se fossimo stati solo io e Felther le cose sarebbero andate in modo diverso fin dall'inizio.” aggiunse nella sua mente.
- Inoltre, i miei uomini sono meglio addestrati. Alcuni mi seguono da quando ho iniziato la mia carriera militare e posso garantire che sono degli ottimi elementi. - sospirò e fissò nella direzione degli altri due, – Lo so che mi avete esonerata dalle decisioni di guerra e so perfettamente che non ho alcun potere in questa sede. Però, credetemi, ci tengo tanto quanto voi a porre fine a tutto questo. Vi chiedo di dare fiducia a me e ai miei soldati e di darci la possibilità di aiutarvi. -
Il Cavaliere del Drago inspirò profondamente, scambiandosi qualche occhiata con l'altro Generale e riflettendo sulla proposta della guerriera.
- Presumendo che riusciate a infiltrarvi nella foresta senza intoppi, - esordì Ignus, - come pensate di appiccare il fuoco? Felther ha detto bene prima: nevica da troppo tempo e la legna è così umida che è impensabile anche solo sperare che le fiamme attecchiscano. -
Prima che Airis potesse controbattere, Eigor prevenne la sua risposta: - Useremo il “Respiro del Drago”. -
Incrociò le braccia al petto e serrò le labbra, sfoggiando un'espressione dura e severa.
Ignus lo guardò sbalordito e anche Airis non riuscì a trattenere il proprio stupore, tanto che sgranò gli occhi nel vuoto e si pietrificò.
- E' pericoloso... - balbettò il Generale, scuotendo la testa, - Quelle fiamme sono impossibili da estinguere. Se anche solo una scintilla venisse in contatto con una qualunque superficie, questa prenderebbe immediatamente fuoco. -
Airis si massaggiò le tempie, valutando la proposta di Eigor. Lo conosceva bene, era un ottimo stratega e vagliava sempre tutte le possibilità prima di lanciarsi in qualunque impresa. Se persino lui aveva proposto di usare il “Respiro del Drago” allora voleva dire che non c'era altra possibilità. Oppure che aveva un'idea su come evitare di restarci tutti secchi una volta che la sostanza avesse ridotto in cenere qualsiasi cosa.
“Con un tempo così inclemente, è l'unica via possibile. Delle normali fiamme sarebbero inutili.”
Si morse il labbro e assunse un'aria assorta. Il pensiero di ricorrere a una sostanza alchemica così poco controllabile non l'entusiasmava, ma, se tutto fosse andato per il meglio, il fuoco inestinguibile generato dal liquido avrebbe garantito a tutti loro la vittoria.
- E' rischioso, Cavaliere... - convenne Eigor e la fissò intensamente, cercando di cogliere le emozioni nascoste dietro quegli occhi ciechi, - Ma, ora come ora, è l'unica cosa che possiamo fare per realizzare la tua proposta e concludere questo conflitto senza troppe perdite. -
Un mezzo sorriso increspò le labbra della guerriera: - Benché le incognite siano ancora molte e benché nessuno possa prevedere come andrà a finire, se continuiamo a tirarci indietro potrebbero ripetersi episodi come quelli di Mera ed Edon. É arrivato il momento di combattere e questa volta vinceremo. Vi chiedo solo di accordarmi la vostra fiducia ancora una volta. -
Un silenzio carico di tensione cadde all'interno della tenda.
I due uomini la scrutarono a lungo, senza rispondere. Alla fine, Ignus scambiò un rapido sguardo con l'altro Generale.
- Va bene. Sarai tu a occuparti dell'incendio della foresta. -
- Sappi che le scorte del "Respiro del Drago" sono poche. - aggiunse il Cavaliere del Drago con tono grave, - Molto è stato usato dai soldati per riscaldarsi durante l'inverno e i rifornimenti dalla capitale arriveranno tra forse tre settimane. -
- Non preoccuparti. - scherzò la guerriera, - Ce lo faremo bastare. -
Prima che potesse aggiungere qualcosa, Airis chinò leggermente il capo e uscì a passo di marcia.
 
La battaglia venne fissata al solstizio d'inverno, esattamente la settimana seguente alla riunione. Fino a quel momento, tutti gli uomini continuarono ad allenarsi senza sosta, insensibili al gelo tagliente di quella regione inospitale.
Airis si occupò personalmente di scegliere tra i suoi uomini coloro che l'avrebbero accompagnata nella missione. Non fu facile: i veterani erano pochi e gli altri erano tutti giovani. Lo capiva da come parlavano, dal loro tono pieno di entusiasmo e speranza. Sebbene avesse combattuto qualche battaglia negli ultimi tempi, nessuno di loro conosceva veramente la guerra o di quali atrocità fosse portatrice. Sorrise triste, immaginando i volti dei familiari di quei ragazzi quando il messaggero avrebbe bussato alle loro porte annunciando che il loro figlio, marito o fratello non sarebbe mai più tornato.
Le giornate si susseguirono una dietro l'altra. La neve lentamente si sciolse, lasciando libere le fronde degli alberi dalla morsa del gelo.
Il giorno prestabilito i soldati si schierarono alle prime luci dell'alba. Un timido sole illuminava le loro corazze, facendole rifulgere dei riflessi dorati. In quel cielo azzurro si stagliarono presto delle nuvole grigie, portatrici di una bufera. Un forte vento soffiò attraverso i rami degli abeti, accarezzò il suolo, scivolò sugli elmi degli uomini e fece svolazzare i mantelli dei tre generali, immobili in testa all'esercito.
Ignus alzò il viso maledicendo quel clima così ostile.
- Con questo vento le fiamme si propagheranno molto velocemente. Siete fortunati. - batté una pacca sulla spalla di Airis, - Contiamo su di voi, Cavaliere del Lupo. -
La ragazza rimase interdetta: era la prima volta che il Generale le si rivolgeva con tale rispetto e reverenza. Infatti, dopo la loro ultima riunione, Ignus aveva cominciato a guardare con stima quella giovane spadaccina, abile come pochi.
Assieme ai suoi soldati, Airis si avventurò su quei tortuosi sentieri fino a giungere a una sporgenza rocciosa nascosta da bassi alberi. I pochi arcieri che avanzavano nelle retrovie portavano appeso sul fianco una piccola borraccia in pelle piena del liquido alchemico.
Si passò una mano sul cuore, ingoiando il groppo che le si era formato in gola.
“E' la nostra unica possibilità. O la va o la spacca.”
Inspirò profondamente l'aria fredda e svuotò la mente da ogni pensiero. Il battito cardiaco rallentò e una placida calma le pervase le membra. Si abbassò, attendendo il segnale dell'attacco. Chiuse gli occhi, concentrata su ogni suono proveniente dalla pianura. Intorno a lei l'aria era satura di tensione. Gli uomini guardavano fissi davanti a loro, immersi nei tipici pensieri di qualcuno che non sa se sopravviverà fino al giorno successivo: chi ripensava alla propria casa, chi ai propri cari, chi alla propria amata, chi con il cuore in mano pregava perchè gli fosse concesso di ritornare nella propria terra.
Airis fiutò la loro paura. Sorrise indulgente e si scostò la lunga chioma rossa sulla schiena. Giurò a se stessa che li avrebbe riportati alle loro famiglie, a qualunque costo.
In lontananza risuonò il corno da guerra, seguito poi dal marciare di tanti piedi che parevano far tremare quella terra desolata e fredda. L'esercito si dispiegò su tutta la pianura di Rashar e gli uomini alzarono le armi verso il cielo, in onore di tutti coloro che erano caduti negli scontri precedenti e che erano stati pronti a dare la vita per la loro patria e per le persone che volevano proteggere.
I soldati insieme ad Airis rimasero in posizione. La guerriera chiuse gli occhi, rimembrando le parole di Lysandra.
“ Ti troverò.”
Il corno suonò per la seconda volta.
Gli elfi li osservarono immobili dalla foresta, accovacciati sui rami e seminascosti dal fogliame. Il sole illuminava a malapena i loro archi e le loro lunghe spade, ma l'esercito umano percepiva comunque la loro presenza, senza aver bisogno di vederli chiaramente. 
Un grido si levò, alto e potente.
Airis attese. Il fiato si condensava in piccole nuvolette di fronte alla sua faccia, il cuore palpitava veloce nel petto e il sangue ribolliva nelle vene. Diede un ultimo saluto agli dei e ai compagni che sarebbero caduti in quella battaglia.
Aprì le palpebre e, nel momento stesso in cui i due eserciti cozzarono, diede il segnale.
  
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