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Autore: JulesBerry    23/02/2013    4 recensioni
Seguito di "I have finally realised I need your love".
[Prevista revisione - e anche piuttosto urgente, Santo Merlino - dei capitoli già pubblicati.]
- Dal capitolo 26 -
«Ci sono sempre stati troppi cocci di me, sul pavimento. Potresti farti del male tentando di raccoglierli e rimetterli insieme» sfilò la mano dalla presa di Fred, percependola più allentata, e si alzò sotto il suo sguardo attonito. «Non sentirti in colpa se non ce la fai più. Non sentirti in colpa se decidi di aprire quella porta. Fosse possibile, sarei la prima a varcarne la soglia per allontanarmi un po’ da me.»
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Fred Weasley, George Weasley, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Che l'amore è tutto, è tutto ciò che sappiamo dell'amore'
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Capitolo 2

 


 
 
Una nonna è una madre
alla quale viene offerta una seconda possibilità


 
Little darling, I feel that ice is slowly melting
Little darling, it seems like years since it's been clear
Here comes the sun
Here comes the sun, and I say
It's all right

 
Anche quel giorno, così come tutti gli altri, ai Tiri Vispi Weasley c’era un immenso lavoro da fare: i clienti entravano e uscivano continuamente, creando un’atmosfera notevolmente caotica, mentre l’ultimo venerdì di luglio, con il suo caldo sempre più insistente, sembrava annunciare l’arrivo di un mese di agosto decisamente torrido.
Margaret aveva ricevuto da pochi giorni i risultati dei suoi esami, che avevano avuto esiti più che soddisfacenti, e così aveva spedito domanda di lavoro all’Ufficio Internazionale della Legge sulla Magia, al Ministero. In attesa di una risposta, però, aveva accettato la proposta di Fred e George di dar loro una mano con il locale.
In quel momento, la ragazza era da sola in negozio, poiché i gemelli erano ormai sul retro da qualche minuto, ed era sottoposta alle richieste insistenti dei numerosi clienti. Proprio mentre stava prendendo un prodotto dalla cima di uno scaffale, qualcuno suonò il campanello del bancone per reclamare la sua attenzione.
«Buonasera, sono Margaret e sono subito da voi, in cosa posso esservi utile?» domandò lei ai nuovi arrivati, non voltandosi, in quanto intenta a sistemare degli scatoloni fuori posto. Una voce familiare risuonò alle sue spalle.
«Semplicemente concedendo un po’ di attenzione alle tue adorate nonne, tesoro caro» disse dolcemente Vittoria Wilson alla nipote, al che quest’ultima, sorpresa, si voltò di scatto e per poco non cadde giù dalla scala.
«Ehi, non vi si vede spesso da queste parti! A cosa dobbiamo quest’onore?» chiese loro, mentre rimetteva saldamente i piedi sul pavimento e porgeva a un cliente il prodotto che questi aveva detto di voler acquistare.
«Un po’ di shopping fa bene, ogni tanto, anche se devo ammettere che i nostri portafogli non sono molto d’accordo! A parte tutto, vorremmo cogliere l’occasione per scambiare due parole con te e Fred, Maggie» fece nonna Julia, sorridendo in modo così radioso che parve illuminare chiunque le fosse vicino in quel momento. Margaret, che poteva percepire distintamente la curiosità crescere dentro di sé, rivolse un’occhiata interessata alle due signore e annuì, prima di controllare le lancette dell’orologio.
«Chiudiamo tra mezz’ora, spero non abbiate troppa fretta! Se volete…» iniziò la ragazza, ma Vittoria la interruppe con un cenno sbrigativo della mano, dal momento che la sua attenzione era appena stata catturata da una serie di No-Pupù-No-Pipì esposti su uno scaffale vicino – come dimostrava, in effetti, la sua espressione ai limiti umanamente possibili dello stupore.
«Quei due piccoli teppisti sono proprio…»
«Vittoria, non ora!» la riprese Julia, non disposta a sorbirsi un altro sermone su come “quei due” non sarebbero mai cambiati di una virgola; dopodiché, tornò a occuparsi della nipote. «Maggie, honey pie, non preoccuparti per noi. Aspetteremo quanto sarà necessario, sarà un’ottima occasione per dare un’occhiata al negozio: è davvero delizioso!» la rassicurò, per poi invitare la consuocera a seguirla senza alcuna lamentela e sparire con lei tra la folla.
Meg, d’altra parte, nonostante la curiosità di sapere cosa le sue nonne avessero intenzione di dirle, non riuscì a trattenersi ancora dal ridere: poteva perfettamente immaginare quale sarebbe stata l’espressione di Vittoria una volta vista la caricatura della propria faccia sulle confezioni di Frisbee Zannuti.

Una quindicina di minuti più tardi, Fred e George tornarono dal retro del negozio, e sui loro volti era possibile scorgere delle espressioni notevolmente perplesse – suscitate, con ogni probabilità, dalla visione delle due donne sopracitate. Mentre il secondo, fulmineo, si precipitava a minacciare un ragazzino che in quel preciso istante stava tentando di rubare una bella scorta di Crostatine Canarine, il primo si diresse al bancone e, interessato, prese a osservare la sua ragazza che, con estrema disinvoltura, gestiva le continue richieste dei clienti appena arrivati.
Una volta che quest’ultima fu riuscita a liberarsi degli ennesimi genitori apprensivi che s’interrogavano con perplessità sull’innocenza delle Puffole Pigmee, si voltò a guardare il suo ragazzo e gli rivolse uno sguardo esasperato. Questi rise, invitandola ad avvicinarsi.
«Sei una commessa deliziosa, lo sai? Perché ti ostini a riservare solo a me la tua parte peggiore? Credo che, ogni tanto, sarebbe molto divertente vederti dare in escandescenze con qualche povera anima che ti ha solo chiesto un’informazione» scherzò, allacciandole un bottone della camicetta che doveva essere scappato dalla propria asola. Lei sollevò entrambe le sopracciglia, fingendo superiorità.
«Si chiama professionalità, dolcezza. Ne hai mai sentito parlare?» lo stuzzicò, al che lui non tardò a ostentare un’aria di sfida.
«Quello è il mio secondo nome, Pasticcino. Per dimostrartelo, adesso mi comporterò da persona professionale con quella ragazza molto carina che è appena entrata!» disse, ghignante, ma venne subito trattenuto per il braccio dalla fidanzata, diventata viola dalla gelosia.
«Fermo dove sei, Weasley. A meno che tu non voglia che ti scagli scontro la mia personalissima combinazione di Fatture, sarà meglio che tu non ti muova da qui» gli sussurrò lei a denti stretti, minacciosa, ma tutto ciò che riuscì a suscitare nel ragazzo fu una reazione di ilarità.
«Come siamo permalosi! Potrei mai farlo sul serio, secondo te?»
«Eccome se potresti farlo! Sai, ti conosco da più di diciotto anni, è un periodo di tempo abbastanza lun-…» iniziò lei, ma prima ancora che potesse finire di lamentarsi Fred le aveva preso dolcemente il viso tra le mani e le aveva stampato un bacio sulle labbra. Nonostante tutto, questo gesto la fece sorridere teneramente.
«Non puoi risolvere sempre tutto così, sai?»
«Io credo di sì, invece» commentò Fred, baciandola nuovamente. Dopodiché, le scostò i capelli dal volto e assunse un’aria pensierosa. «Mi è parso di aver intravisto le tue nonne aggirarsi per il negozio, diversi minuti fa. Avevano un atteggiamento abbastanza sospetto, soprattutto Vittoria. Cos’hanno in mente?»
«Non ne ho idea, ma mi hanno detto di voler parlare con noi due, quindi deve essere una cosa importante. Andiamo dopo la chiusura, sei d’accordo?»
«Potremmo anche raggiungerle adesso, se vuoi! George, ci pensi tu a chiudere?» gridò Fred al gemello, che cercò di ergersi al di sopra di tutte quelle teste che affollavano il negozio.
«Sicuro! Spero solo di uscirne vivo
 
***
 
«Sappilo, Stevens: questa storia non mi piace» commentò Fred, che subito dopo cadde rovinosamente a terra.
I due ragazzi, insieme alle due anziane signore, camminavano già da qualche minuto, ma – come ebbero modo di capire fin dall’istante in cui si furono Materializzati sul posto – la situazione non era certamente una delle più propizie: il sentiero che stavano percorrendo era abbastanza ostico e scivoloso, e Fred sembrava non perdere occasione di lamentarsi.
«Per gli slip di Merlino, vuoi stare un po’ zitto?!» esclamò Margaret, alzando gli occhi al cielo e porgendogli una mano per aiutarlo ad alzarsi.
«Oh, scusatemi tanto, ragazzi! Ci siamo Materializzati sulla parte opposta, è tutta colpa mia!» si scusò Vittoria, che guidava la fila con determinazione.
«Non preoccuparti, nonna, va tutto bene! Potremmo almeno sapere dove stiamo andando, per favore?»
«Vedrai, cara! Non vogliamo rovinarvi la sorpresa!» disse Julia, sempre con il suo tono allegro e rilassato – fintissimo, in quel caso, dal momento che aveva più volte pregato la consuocera di memorizzare con precisione le coordinate di destinazione, sprecando solo del fiato prezioso.
«Spero vivamente sia qualcosa che valga tutta questa fatica» sussurrò Fred alla fidanzata, che dovette raccogliere la più grande e inimmaginabile forza di volontà per frenarsi dalla voglia di dargli un calcio nel sedere.
«Di’ un’altra parola e giuro che mi vedrai chiedere il divorzio ancor prima di averti sposato. Non sto scherzando!» lo minacciò Margaret, facendolo ammutolire.

Camminarono per parecchi altri minuti, tanto che, a un certo punto, entrambi i due giovani iniziarono a credere che non sarebbero mai arrivati, fino a quando il sentiero non terminò e davanti a loro si aprì l’incantevole visuale di una spiaggia isolata, sulla quale si ergeva quella che un tempo doveva essere stata una splendida villa: un vasto porticato con delle colonne corinzie precedeva una grande porta d’ingresso ormai scomparsa, e all’esterno dei due piani superiori della casa erano stati costruiti dei grandi balconi che dominavano lo spazio circostante. L’edera aveva ricoperto buona parte delle mura esterne e il tetto era stato danneggiato dalle intemperie, ma questi elementi di decadenza non riuscivano a celare i residui di quella nobile bellezza che doveva esser stata emblema dei giorni di gloria di quel posto. 
«Per Salazar, ecco dov’era l’altro! Quello è di gran lunga più breve e facile da percorrere!» esclamò Vittoria, riferendosi all’altro sentiero collocato proprio in prossimità del retro della villa.
«Ehm, perdonate la mia inappropriata curiosità, ma… cosa dovrebbe significare tutto ciò?» domandò Fred, stranito. Meg, ancora incantata da quella visuale, intrecciò le sue dita con quelle del fidanzato.
«La casa, Fred» sussurrò la ragazza, stringendo ancor di più la mano di lui, i cui occhi parvero illuminarsi di una netta consapevolezza.
«Per i tanga leopardati di Merlino» commentò a mezza voce, sconvolto, piegando la testa di lato per ammirare meglio quel capolavoro architettonico.
«Ai mobili ci penseremo il nonno ed io, non dovrete occuparvi neanche di quello» aggiunse Julia, sorridente, contemplando anch’ella la casa.
Margaret socchiuse gli occhi per parecchi secondi, incapace di rendersi effettivamente conto di ciò che stava accadendo. Da circa un mese lei e Fred continuavano a ripetersi che avrebbero dovuto trovare una casa più grande per quando sarebbero diventati marito e moglie, ed entrambi sapevano perfettamente che il tempo stringeva e che undici mesi non erano tanti, e forse neanche sufficienti – considerando, poi, che di lì a poco avrebbero dovuto iniziare a occuparsi dei preparativi per le nozze, scegliere i testimoni, organizzare il catering, decidere il luogo dove si sarebbe tenuta la cerimonia, designare le damigelle, comprare gli abiti, e tanto altro ancora –, e il pensiero della casa, e dei soldi necessari per comprarne una, tormentava entrambi quasi ogni singolo giorno. Avevano girato Londra, dintorni e – per la felicità di Molly – persino Ottery St. Catchpole, e avevano anche consultato gli annunci sulla Gazzetta del Profeta e su alcune riviste Babbane, ma nulla aveva soddisfatto le loro aspettative. 
«Dinanzi a voi avete Villa Diana, prende il nome dalla buon’anima di mia madre. Devi sapere, tesoro, che questa casa apparteneva ad Athena, mia sorella: una bellezza straordinaria, devi credermi! D’altronde, eravamo gemelle.»
«Vittoria, sei una vecchia civetta vanitosa!» commentò la consuocera, facendo ridere la nipote.
«Taci! Allora, Meg, dicevamo? Prima che quella falsissima ruffiana della tua nonna paterna m’interrom-…» cercò di continuare Vittoria, che, però, fu nuovamente zittita da Julia.
«Come osi? Io non sono falsa!»
«Ruffiana però sì! Ti conosco da venticinque anni, non puoi negarlo!»
«Vecchia megera di una Wilson
«Mills in Wilson, prego! E devo forse ricordarti che ho solo otto anni in più di te?»
«Ferme un attimo! Questo è forse uno dei vostri modi esasperanti di dirmi che, tra circa quarantacinque anni, sarò proprio come voi due?» intervenne Meg nel tentativo di riportare la situazione a uno stato di quiete. Le due litiganti, allora, si rivolsero sguardi di fuoco; poi, Vittoria continuò.
«Athena, come tutti noi, faceva parte dell’Ordine, e... be’, era il 1979, e mia sorella rimase uccisa durante una missione. Aveva quarantanove anni. La casa rimase inabitata: suo marito, pover’uomo, ci era rimasto secco l’anno prima, e suo figlio aveva avuto l’ottima idea di rifugiarsi negli Stati Uniti; tornò solo per il funerale e poi sparì di nuovo» la donna si bloccò un attimo, e un velo di lacrime di tristezza fu visibile nei suoi occhi. La nipote le rivolse uno sguardo comprensivo, e ciò la portò a continuare il suo discorso. «Questo posto è rimasto inabitato per troppo tempo, e sono necessari diversi lavori di ristrutturazione per consentirgli di ritornare a uno stato ancor migliore di quello originario, ma neanche questo dovrebbe essere un problema: il signor Perkins è estremamente affidabile, se ne occuperà lui. Insomma, credo che abbiate capito che il nonno ed io vogliamo offrirvela come regalo di nozze, no?» terminò Vittoria, guardando con dolcezza Meg, che – così come Fred – si ritrovò spiazzata e commossa.
Sua nonna – quella più dura, altezzosa, irremovibile – le aveva fatto il regalo probabilmente più utile: aveva deciso di donarle quella casa, quel luogo ricco di significato dal punto di vista affettivo; le stava procurando un posto in cui vivere con la sua famiglia, il posto dove avrebbe visto crescere i suoi figli e dove – Guerra permettendo – lei e Fred sarebbero invecchiati.
La ragazza la abbracciò, riconoscente, mentre una lacrima solitaria scendeva giù per la sua guancia.
«Non so cosa dire, e soprattutto non riuscirò mai a ringraziarti abbastanza. È... accidenti, sarà assolutamente perfetta. E anche tu, nonna, con l’arredamento! Non ho parole, dovete credermi» disse Meg, rivolgendosi non unicamente a Vittoria, ma anche a Julia, che si unì all’abbraccio.
«Non devi ringraziarci, amore mio: faremmo di tutto per renderti felice. D’altronde, tu e le tue cugine siete la mia ultima possibilità» le confidò Vittoria, ricambiando l’abbraccio, al che la nipote sgranò gli occhi, colpita.
In fondo, però, le parole di sua nonna non erano mai state più vere: lei, Abigail, Blanche e Jamie erano l’ultima chance rimasta a Vittoria, l’ultimo modo per dimostrare che dietro quella maschera impenetrabile e perfetta si trovava una donna capace di amare e di provare emozioni, e pareva stesse impiegando anima e corpo al fine di raggiungere quest’obiettivo, di riscattarsi, di provare ai suoi figli che non si era mai troppo in ritardo per provare a cambiare gli aspetti più spigolosi di sé.

Una volta che le tre ebbero sciolto l’abbraccio, Fred le raggiunse e rivolse loro un gran sorriso, soffermandosi infine su Vittoria.
«Anche se una volta mi hai appeso a testa in giù, anche se non approvi la metà delle cose che faccio, e anche se hai traumatizzato un buon numero di domeniche della mia infanzia, voglio che tu sappia che ti voglio bene» ammise, grattandosi la testa e non avendo idea di quale reazione avrebbe fatto bene ad aspettarsi; l’anziana signora, però, avvolse anche lui in un abbraccio, lasciandolo di stucco.
«Ragazzo mio, tu sì che hai una bella faccia tosta! Sarai anche una piccola canaglia, ma non esiste altra persona al mondo che possa meritare l’amore della mia cara nipote quanto lo meriti tu.»
 
***
 
Quella sera, nella cucina del loro piccolo appartamento, Fred, George e Meg cenavano con spensieratezza, e l’euforia di cui erano portatori poteva essere percepita anche a chilometri di distanza. Degli enormi sorrisi erano stampati sui loro volti, e il cibo cucinato splendidamente da Margaret andava giù che era un piacere.
«Non ci credo! Ancora non riesco a rendermene conto!» esclamò la giovane donna mentre serviva un delizioso tiramisù.
«È sensazionale!» assentì Fred addentando una fetta di dolce che lo mandò in estasi; stessa reazione ebbe il fratello.
«Zuccherino, cos’è questa meraviglia?» domandò George a Meg, che sorrise ancora di più.
«Ricetta di nonna Julia, l’ha trovata in una rivista Babbana. Ti piace?»
«Per le sottane più indecenti di Morgana! Se mi piace? È una delle cose più buone che abbia mai mangiato! Devo ammettere che la tua cucina mi mancherà da morire una volta che sarete andati a vivere per conto vostro» commentò George che, subito dopo, dovette assistere con espressione perplessa agli sguardi eloquenti del gemello e della cognata.
«Sei scemo o cosa?» gli chiese Fred, ironico. Meg mosse vivacemente il capo in segno di assenso.
«Perché? Che ho detto?» fece George, enormemente stranito e confuso. Fred, con aria sconvolta, si voltò a guardare la fidanzata, che lasciò cadere la forchetta e inarcò il sopracciglio.
«Meg, amore, ricoveriamolo al San Mungo! Forse siamo ancora in tempo!»
«Fammi capire, George: credi davvero che ti lasceremmo qui?» domandò Margaret sfoggiando un cipiglio contrariato. George fissò inebetito i due.
«State dicendo che...»
«Che sei un idiota. C’è una guerra, lì fuori: dobbiamo restare uniti» terminò per lui Fred, riempiendo il proprio piatto con una seconda porzione di dolce.
«Ma non c’entra nulla, voi avete diritto alla vostra intimità, di certo non devo essere io a guastarla.»
«La stai già guastando, copia imperfetta, non è che cambi poi così tanto!»
«Fred!» sbottò Meg, gli occhi schizzati fuori dalle orbite. Il fidanzato si rannicchiò e portò braccia e mani e protezione del viso.
«Stavo scherzando, avanti! Non farmi del male, ti prego!» fece lui con un’inquietante voce stridula, al che la ragazza non seppe se ridere o piangere al pensiero di dover passare il resto della sua vita al fianco di quell’uomo. Alzò gli occhi al soffitto, esasperata, e scosse la testa.
«George, quella villa è enorme. Ci potrebbero abitare due famiglie, credimi. Tu verrai con noi, almeno fino a quando non sarà tutto finito» disse con quel tono autoritario che indisponeva chiunque volesse contraddirla. Il suo migliore amico, però, provò a lanciarsi temerariamente in quell’impresa senza alcuna possibilità di successo.
«Potrebbero volerci anni!»
«E allora vorrà dire che ci abitueremo a sopportarti» concluse Meg, e George capì che non c’era nient’altro da aggiungere.
Si alzò, sorridente, e andò ad abbracciare la sua futura cognata, per poi iniziare a sparecchiare; non appena ebbe finito, si diresse in camera sua, avvolto da un alone di contentezza.

Fred lanciò uno sguardo complice alla sua ragazza e la strinse a sé, prima di baciarla intensamente: aveva bisogno del suo sapore e del suo profumo allo stesso modo in cui un ubriaco sente l’irrefrenabile necessità di continuare a bere. Non ne era mai sazio, e mai avrebbe potuto esserlo, perché stancarsi di lei sarebbe stato come stancarsi dell’aria fresca e pulita di una mattina di primavera.
Chiuse la porta della camera da letto alle loro spalle, e la luce si spense in quella che si prospettava una lunga notte.


- Angolo dell’autrice

Come promesso, eccomi qui, puntuale come un orologio svizzero! *Ricorda carinamente ai lettori che il prossimo aggiornamento sarà sabato 9 marzo*
Allora, questo capitolo è stato un parto.
L’ho scritto i primi di settembre, l’ho revisionato a novembre, durante le vacanze di Natale ed infine venerdì scorso ignorando bellamente il libro di filosofia che mi chiamava con la sua adorabile vocina e mi chiedeva di aprirlo per evitare di ridurmi all’ultimo giorno.
Ma, nonostante tutte queste modifiche, fa totalmente orrido. Chiedo perdono.
Non ho molto da aggiungere riguardo questo capitolo, a parte che mi fa schifo. Che lo odio. Che dopo averlo scritto mi sarei molto volentieri data all’ippica. Okay, ho rotto le palle. :D
Il titolo è di Richard Exley (in realtà la fonte non è certa, ma pazienza), mentre la canzone in apertura è Here Comes The Sun, come tutti sappiamo dei Beatles *occhi a cuoricino*.
Ringrazio chi ha inserito la storia tra le preferite: EmmaDiggory15JeckyCobainMaryWeasleyMy smile is Niall e NosferatuAbby

Tra le ricordate: Zakurio e _Lucrezia97_
Tra le seguite: bridilepoChiaraColfer95Daniela_97DeaderFranChanJeckyCobainMadHatterJoePolloGirl_98valepassion95Waindo18 e _LenadAvena_
E chi ha recensito lo scorso capitolo: JeckyCobainMaryWeasleyMy smile is Niall ed EmmaDiggory15
Se volete, magari lasciate una recensione... Sapete, non vi mangio! :D
Anzi, solitamente accolgo le recensioni con spargimento immenso di amore, di cioccolatini (vi lascio scegliere persino quali! Quanto sono dolce! *-*) e di fiori di campo. :D
Un bacione,
Jules


- Curiosità:
 
Per i componenti della famiglia della madre di Meg, ho pensato fin da subito di utilizzare dei nomi “importanti”. Essendo stati tutti (tranne Gloria), in passato, Serpeverde, li ho immaginati come aventi continue manie di grandezza. Da qui i nomi Diana, Vittoria, Athena, Regina e Gloria. Per quanto riguarda i nomi maschili, è stato un po’ più difficile, ma la scelta finale è ricaduta su Paul e Nicholas (fratello minore di Gloria). La mania di grandezza, conseguentemente, si riflette anche sui loro beni personali, come la Villa.



Ultima revisione: 26.04.2015
   
 
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