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Autore: Cataclysm    02/04/2013    1 recensioni
"Sono Chris, ma il mio nome non vi dirà mai nulla su di me, come non lo faranno i miei capelli stinti o le mie camicie a quadri.
Mi piacerebbe potervi dire di essere un ragazzo come tanti, ma non voglio mentirvi."
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il fumo filtrava tra le sue labbra, si disperdeva tra la foschia di quell’insignificante mattinata d’inverno.
Le pupille gli si dilatavano, straripando nelle iridi verdastre, per poi confondersi con i suoi capelli corvini , eternamente nascosti da quei colli di lana scura usati a mo’ di cappello.
Un altro tiro. Scrollò le spalle, gettando lo sguardo sul mio album da disegno.
“Dai qui” disse, afferrandolo.
Abbassai lo sguardo, mi sentivo in completa soggezione quando qualcuno osservava i miei disegni.
Era come se tenesse sospesa tra le sue mani la mia vita, come se potesse decidere da un momento all’altro di gettarla via, o di darle fuoco.
Dicevano che fossi un libro aperto, che le mie emozioni traspirassero dai pori della pelle, si intravedessero tra le filature delle iridi. Ma quando Eric aveva tra le mani i miei disegni non gli serviva neanche guardarmi per capire cosa provassi, bastava dare un’occhiata a quello che gettavo su quei fogli.
“Chi è?” chiese.
Posai lo sguardo sulla ragazza, seduta sull’altro lato della strada.
Mormorò qualcosa che non riuscii a percepire, ma conoscendolo aveva di sicuro commentato il corpo perfetto e pallido della ragazza, che aveva catturato il suo sguardo prima dei suoi enormi occhi chiari o dei suoi eccentrici capelli tinti.
La ragazza iniziò a dirigersi verso di lui, accennando una camminata lenta e sicura, delineata dallo sguardo saldo di Eric.
“Hai da accendere?” sillabò, mettendo in risalto la voce schietta.
Eric distolse pigramente lo sguardo, posandolo sull’accendino che aveva tra le mani.
“Sei di qui?” disse, porgendoglielo.
Annuì, adocchiando l’involucro che Eric stringeva tra le labbra.
“Io sono Eric” sorrise “e lui è Chris”.
Alzai le sopracciglia, accennando un saluto.
Mi squadrò più insistentemente di quanto avessi voluto.
“Alice”.
Sprofondai tra le spalle, li lasciai parlare.
Non m’interessava di attaccare bottone, il mio concetto di bellezza coincideva perfettamente con quello di Eric, e sapevo che alla fine sarebbe stato lui a portarla a letto.
Non ero mai stato un buon partito per le ragazze, i loro canoni erano troppo alti per un miscuglio d’ossa gettate a caso, come me.
E a dirla tutta, non m’interessava neanche instaurare una qualsiasi relazione, sapevo che i miei fini erano altri, e di solito le ragazze del posto non erano così facili: aspiravano ad una di quelle storie d’amore da quei film melodrammatici di merda, ad avere una famiglia, un marito per bene e magari anche con un impegno fisso.
Quella roba non faceva per me, non ero in grado di gestire il mio bipolarismo, figuriamoci una ragazza nel pieno delle sue crisi ormonali, o addirittura una famiglia, con lattanti che non ti lasciano neanche quei cinque minuti a riflettere su cosa cazzo hai sbagliato nella tua esistenza.
Raccolsi la mia roba e accennai un saluto, prima di alzarmi dalla panchina.
“Dove vai, Chris?” chiese Alice.
“A casa, suppongo”.
“Io ed Eric pensavamo di andare a mangiare qualcosa, non ti unisci a noi?”.
Davvero sperava che avrei fatto da terzo incomodo per il resto della giornata?!
Eric si gettò la testa tra le mani, probabilmente sperando in un “no” come mia risposta.
“Devo andare a casa” l’accontentai, gettando lo sguardo sul polso, privo d’orologio “è tardi”.
 “Puoi renderci partecipe dei tuoi impegni, uomo di mondo?” Alice abbozzò una risata.
“Divertitevi” accennai un sorriso, evitando di trafilarle altre balle.
Mi allontanai lentamente, con le loro risate e le loro voci da fare da sottofondo ai miei passi insicuri.
Forse avrei dovuto iniziare a fregarmene anche io, smetterla di seguire Eric come fossi il suo cagnolino, smetterla di usare i miei disegni come suoi luridi vermi d’esca, smetterla di andarmene quando i pesci avevano abboccato al suo amo.
Eric mi usava. Ero il suo stupido tappabuchi, il suo compagno occasionale con cui annerirsi i polmoni, fondersi il cervello per poi non salutarsi tra i corridoi scolastici.
Eppure era come se non m’interessasse, io stavo bene così, o meglio, ero consapevole di non essere mai stato in condizioni migliori.
Perché nel suo menefreghismo e nel suo ottimismo, Eric, era come se mi completasse.
Avevo bisogno di passare le mie giornate ad annerirmi i polmoni con lui, avevo bisogno di poter parlare a ruota libera con qualcuno senza dar peso alle conseguenze delle mie poche ma dirette parole, avevo bisogno di lui.
Di non sentirmi tanto sbagliato almeno una volta. Dei suoi sorrisi a trentadue denti che foderavano le mie labbra malinconiche. Dei suoi monologhi interminabili che invadevano i miei silenzi scomodi.
Come se fosse l’ancora nella mia mareggiata di cinismo. Come un dirigibile nei miei temporali inconsolabili.
  
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