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Autore: FaDiesis    22/05/2013    2 recensioni
Dal capitolo 3:
Correvamo per i corridoi laccati di bianco dell'aeroporto di Eneta, affannati e gridando un "di qua!" di quando in quando.
Eravamo in ritardo. Terribile ritardo.
E il tutto solo perché litigando, in macchina, ci eravamo distratti e avevamo sbagliato strada. Un sacco di tempo perso per niente.
Alla fine eravamo arrivati, ma mancavano cinque minuti alla partenza del nostro volo.
Con la mia solita sfortuna, arrivammo al gate proprio in tempo per vedere l’aereo decollare nel cielo plumbeo.
Ci buttammo demoralizzati sulle sedie della sala d’attesa.
Passammo un quarto d'ora abbondante a borbottare e discutere di chi fosse la colpa, quando, all'improvviso una figura indistinta ci piombò davanti.
Era atterrata con una gamba piegata e una distesa, e le mani fasciate poggiate leggermente a terra.
Si alzò lentamente.
Piegò la testa.
E sorrise.

- STORIA IN PAUSA A TEMPO INDETERMINATO -
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il Mondo delle Sette Chiavi ~
Capitolo 11: Di veleni e gomitoli 


Fremiti.
La potenza dell’Emissario del nemico mi teneva ancorata al ponte dell’aerovolante.
Mi sentii scuotere e, come risvegliatami da un incubo, respirai affannata.
- Stai bene?- chiese la faccetta preoccupata di Paco. Annuii, spostando lo sguardo intorno sul velivolo.
Durante queste virate e manovre non avevamo subìto pressoché alcun danno, solo una parte del pavimento del ponte si era spaccata netta in due. Ripensai a quel ragazzo, a prima vista doveva avere sui diciannove, venti anni, così giovane… e già in guerra. Perché di questo si trattava, una nascosta, misteriosa guerra che prendeva sempre più forma sotto i miei occhi. Quella cicatrice che avevo intravisto sul volto del ragazzo ne era sicuramente una conseguenza. Non avevo idea di come potesse essersela procurata, ma la mia mente mi portava a pensare a qualche sanguinosa battaglia. Scossi la testa forte, come a voler cacciare via questi pensieri influenzati indubbiamente dagli ultimi avvenimenti.
Mossi qualche passo in direzione della sottocoperta dove si erano rifugiati gli altri.
Ella sedeva su una sedia di legno mentre Sean le tamponava una tempia con un batuffolo di cotone. Mi strappò un sorriso, questa scena, così tranquilla e piena di normalità, dopo giorni movimentati.
-Ahi… Sean, fai piano! – si lamentò Ella, socchiudendo lievemente l’occhio destro che riportava un bel taglio sulla parte superiore e sfiorava il sopracciglio. – L’occhio, attento, fa male… ahia!
Sean arricciò il naso, passando ad asciugare un liquido azzurro che immaginavo fosse disinfettante.
-Ma come te lo sei fatto, Els? È peggio di quella volta che a 9 anni disfacemmo tutti i covoni di fieno del vecchio Jo, e inciampasti su un rastrello sbucciandoti tutto il ginocchio e procurandoti quella storta alla caviglia che durò così a lungo! – ricordò con un sorriso lui. Immaginai si conoscessero da tempo, e che fossero amici d’infanzia. Non so perché, ma me li immaginavo a combinare guai insieme.
-È stato quel tizio con la cicatrice e i capelli chiari… la sua freccia mi ha preso di striscio la spalla, al colpo sono caduta e ho sbattuto la testa al piolo di metallo - disse con una nota di dolore evidente nella voce, ma col sorriso,  dovuto probabilmente alle parole di Sean.
Così anche lei aveva notato quel ragazzo dagli occhi chiari…
Non chiesi nulla e le sollevai il mantello sopra la spalla destra. Lei sussultò ritraendosi al mio tocco.
-Ti fa tanto male? - le domandai guardandola in viso.
Ella annuì, mentre Sean si affrettava a toglierle la veste scura. Automaticamente i miei occhi si spalancarono per la consapevolezza della scoperta che aveva appena fatto intrusione nella mia testa.
Sotto il mantello Ella portava una armatura.
Un’armatura.
Brividi.
Il rebus. Il furto. Una ladra. La leggenda. Un’armatura.
Ella era la ladra che animava le voci del Mondo dei Gialli.
Buttai un’occhiata a Sean, ma il ragazzo non sembrava turbato. Gli avrei esposto la mia teoria più tardi, una volta soli.
Lui le tolse anche lo strato d’argento e le sollevò l’orlo della maglia che aveva sotto.
Il taglio sull’occhio mi pareva grave ma non avevo ancora visto la ferita alla spalla.
Una linea spezzata che le tagliava in due metà nette la spalla, come una saetta caduta sulla terra sbagliata. Sgorgava violentemente sangue, unendosi a quello già uscito copiosamente ed ora raffermo.
La pelle intorno era impallidita, sfiorando alle volte il blu alle volte il trasparente, facendo intravedere le vene flebili al di là del tessuto epidermico.
Non mi faceva impressione il sangue, ma mi venne lo stesso la primordiale reazione di socchiudere gli occhi, tanto era brutale quella ferita.
Mi chiesi come fosse possibile che il colpo di striscio di quella freccia causasse tutto ciò, quando un terribile sospetto mi passò per la mente.
-Veleno. Possibile che la freccia fosse impregnata di veleno? - chiesi con tono cupo.
Sean alzò la testa piano, una grave consapevolezza negli occhi grigi. Prese il calamaio posato sopra il tavolo da toelette e lo scaraventò contro lo specchio che si ruppe in mille pezzi.  Ne afferrò una scheggia e prelevò dal taglio di Ella una goccia di sangue, che piombò sul vetro, depositandovisi.
-Ella. - la chiamò, serio, porgendole il pezzo di vetro con la goccia di sangue.
La ragazza lo portò al naso, odorandone il sentore. Arricciò le narici, toccò con il dito la goccia e se lo portò alle labbra. Aspettò qualche attimo pensierosa, poi annuì.
-Cosa… come hai fatto a riconoscere che c’era del veleno? - Balbettai, curiosa anche di sapere come mai non fosse terrorizzata.
Lei sospirò, mentre Sean procedeva a curarle anche quella ferita.
-Da anni mi alleno a prendere veleno. Piccole dosi ogni giorno, aumentando d’intensità la dose e variandone la “qualità”, diciamo un veleno più forte ogni mese, così da esserne, in un processo lento e doloroso, quasi immune. Per questo non urlo, non svengo. Sarò debole per qualche giorno, questo sì, ma me la caverò.
La guardai ammirata e un po’ confusa, trovandomi ancora a domandarmi cosa potesse averla resa così diffidente e premurosa.
Non feci in tempo a chiedere niente che la testolina riccia di Paco spuntò dalla porta. – Siamo arrivati! – annunciò. Ella gli sorrise. –Ehi, ragazzino, lo sai che non ti si addice il tuo nome? Almeno secondo me… ti chiamerò Jimmy, ho deciso. Si mi piace! – concluse con una risata che, contagiosa, ci fece tornare il sorriso.
Aiutammo la ragazza ad alzarsi e ci dirigemmo sul ponte dell’aerovolante, affacciandoci.
Ed eccolo, un altro panorama da cartolina.
Una foresta, ad est, alta e rigogliosa; dritto a nord un quartiere pieno di casette squadrate e colorate, con dettagli in rilievo sulle pareti, come ad uscire fuori, strade sterrate e grandi piazze con fontane moderne.
Ella afferrò il timone e cominciò a virare, puntando i boschi. – Lì staremo al sicuro e ben nascosti. - disse
- Tra pochi minuti saremo arrivati - affermò, preparandosi ad atterrare.
Una volta messo piede sul suolo terroso, un vento caldo ci investì, scompigliandoci i capelli.
Gli alberi ci sovrastavano altissimi sopra noi, facendo passare giusto il poco che bastava di luce per illuminare attorno di noi, nulla di più.
Sì, decisamente un posto adatto per nascondersi.
Dietro la guida di Ella, camminammo per la foresta, sorpassando massi, cespugli, e imbattendoci spesso in piccoli animali e viscide bisce che strisciavano sulla terra.
Sean come al solito ebbe da ridire sul posto, considerandolo troppo “Umido, e terribilmente buio”, niente da fare, amava la luce e i posti assolati, resisteva veramente poco agli spazi bui, che opprimevano.
- Quanto manca? – chiese appunto, con uno sbuffo.
Ella alzò gli occhi al cielo. – Non cominciare… guarda, siamo quasi arrivati! – e indicò un masso dalla strana forma di cappello di cowboy. – Uso quel sassone un po’ come punto di riferimento. Là dietro ci dovrebbe essere la casa di miei amici fidati, se nulla è cambiato. È una piccola dimora, ma saremo al sicuro da loro.
Le ultime parole famose, come si suol dire.
Appena superato il punto d’orientamento di Ella, non ci trovammo davanti “Una piccola dimora”, ma ben tutt’altro.
Con la bocca spalancata, guardai l’enorme casa, che poi casa non era, dato che un gomitolo gigante stagnava nell’erba alta.
Un gomitolo!Colorato e fornito di fili penzolanti, mai visto una cosa del genere!
Decisamente, quel mondo continuava a stupirmi, passo dopo passo.
Ella ci guardò sorpresa, mentre Sean disse, sarcastico: - Fortuna che era piccola…
- Entriamo? – chiese il novello battezzato Jimmy, dubbioso.
 La ragazza si morse il labbro, indecisa su cosa fare. Poi annuii, cautamente. – Sì, ma con attenzione. Non ho mai visto questa cosa in vita mia, e in più ci dovrebbe essere la dimora dei miei amici, qua. Perciò… teniamo gli occhi aperti.
Con accortezza, ci avvicinammo alla strana costruzione, stando ben attenti a dove mettevamo i piedi.
Arrivati di fronte, mi venne istintivo allungare la mano per toccare la porta di feltro verde prato, incantata dalla stranezza di quel luogo.
…non l’avessi mai fatto.
Come una pianta rampicante, un laccio del gomitolo mi si avvinghiò attorno il braccio, trascinandomi verso l’interno. Sussultai, presa alla sprovvista.
- Aiutatemi! – gridai, girando la testa verso gli altri e piantando più che potevo i piedi a terra.
Vidi con la coda dell’occhio Sean ed Ella afferrarmi per la schiena, mentre Jimmy trafficava con la sua borsa, intento a cercare qualcosa. Non riuscì nel suo intento, dato che un filo inaspettato lo aggrappò alla caviglia e lo fece cadere rovinosamente, trascinando anche lui.
I fili mi facevano sempre più male, pressavano e mi graffiavano la pelle, avevano raggiunto anche Ella e Sean e con un sospiro capii finalmente la cosa da fare.
- Ragazzi, non opponete resistenza, è peggio se lo fate. Ce la caveremo, dentro, lo so. – E con un sorriso, mi lasciai risucchiare dal gomitolo infernale. 
   
 
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