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Autore: Terre_del_Nord    10/06/2013    4 recensioni
Sul finire del primo millennio, i quattro più potenti Maghi del tempo, Salazar Slytherin, Rowena Ravenclaw, Godric Gryffindor e Helga Hufflepuff, raggiungono il Regno di Alba per fondare Hogwarts, una scuola in cui insegnare Magia. Attraverso lotte, amori e naufragi, tradimenti e Magia, realizzeranno il loro progetto; per uno di loro, però, ritornare ad Alba significa anche altro: mantenere una promessa mancata e riappropriarsi del proprio passato.
1. Prologo di "THAT LOVE IS ALL THERE IS - SLYTHERIN'S BLOOD" (si può leggere anche senza aver letto l'altra), la storia tratta personaggi e trame in buona parte originali.
2. Con "Nuovo Personaggio" ho indicato la presenza di vari personaggi rilevanti per le vicissitudini dei protagonisti.
3. Ho introdotto l'avvertimento "Violenza/Contenuti forti" per la presenza di scene di guerra e situazioni in linea con la vita dell'epoca.
4. La storia è in corso di revisione
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Corvonero, Godric, Nuovo, personaggio, Priscilla, Corvonero, Salazar, Serpeverde, Serpeverde, Tassorosso, Tosca, Tassorosso
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'That Love is All There is'
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That Love is All There is

Terre_del_Nord

Old Tales

Terre del Nord - I.008 - Il Nero



Il Mago rimise a terra il bambino e s’inchinò ai suoi piedi. Cuilén lo guardò con tale meraviglia, non riuscendo a capire perché quello sconosciuto gli riservasse parole e gesti intrisi di deferenza e rispetto, che, pur libero dalla presa, non tentò di sfuggirgli. Non era neppure sicuro di riuscirci, a dire il vero, tanto meno avrebbe saputo dove andare, una volta scappato: prima della comparsa dell'uomo, Cuilén si era risvegliato solo, in un ignoto punto della foresta, incapace di allontanarsi dal pino sotto il quale si trovava. A quel pensiero, sul bambino ripiombarono la paura dell'oscurità che si celava tra gli alberi, le mille domande su dove fosse, su come e perché fosse finito lì, su dove si trovasse la sua famiglia, sul perché quello straniero, che aveva la stessa Runa di sua madre, si offrisse di aiutarlo. Più di ogni altra cosa, però, lo ghermì il terrore per l'ombra minacciosa che aveva tentato di piombargli addosso, pochi istanti prima. Cuilén rabbrividì, spaventato. Daghall si rialzò: immaginando cosa turbasse il bambino, gli mise una mano sulla spalla e cercò di assumere un'espressione rassicurante, benché sapesse di avere un aspetto spaventoso e temesse di dover dare delle difficili risposte. La prima cosa da fare era tranquillizzarlo, conquistarne la fiducia, trarre tutte le informazioni utili che possedeva, infine portarlo via con sé: se, come temeva, Habarcat era dispersa nella foresta, il figlio di Sheira nic a'Thon era quanto di più sacro restasse alla Confraternita, l'unico capace, un giorno, di ritrovare la Fiamma e riportarla alla sua gente. Cuilén fissò gli occhi grigi del Mago: non lo conosceva ma era certo che fosse sincero quando gli prometteva che l’avrebbe protetto e l’avrebbe riportato a casa. E questo era il suo unico desiderio.

    «Mi porterai via da qui, vero?»
    «Certo, mio signore, sul mio onore... sono qui per questo... »
    «Dalla mia mamma? E da mio fratello, da Dòmnhall?»

Daghall non rispose, abbassò gli occhi poi annuì al bambino che sembrava non sapere nulla. Non lo vide sorridere, pieno di speranza, non voleva guardarlo mentre gli mentiva, non amava farlo, ma non aveva neanche la forza o la volontà di dirgli tutto, perché conosceva il vuoto che l’avrebbe piegato, una volta scoperta la verità, e non voleva legare il proprio nome a quel dolore. Tanto meno aveva intenzione di gestire un moccioso nel pieno della disperazione. Cercò di cambiare discorso: aveva un compito e intendeva portarlo a termine al più presto, spettava ad altri occuparsi di tutto il resto. Si chinò e gli chiese di alzare le braccia, gli girò intorno, sfiorandolo con la bacchetta, controllando che le vesti non fossero stracciate o sporche di sangue, segno di ferite nascoste.

    «Vi sentite bene, mio signore? Vi fa male da qualche parte? Non mi sembrate ferito... ma... »
    «Ferito? Perché dovrei? Io non sono caduto... »

Daghall tacque, pensoso: non c’era corrispondenza tra quanto aveva visto nella foresta e i comportamenti del bambino, era troppo calmo per aver assistito al massacro. Era così traumatizzato da aver rimosso i ricordi? O era già lontano, quando tutto si era compiuto? Se, però, aveva avuto sentore del pericolo, perché Sheira non aveva difeso anche se stessa e il resto della famiglia? Chi aveva preso suo figlio e perché l'aveva lasciato solo tra gli alberi? Dove si trovava adesso? La speranza illuminò per pochi istanti il Mago, immaginò l'ignoto salvatore intento a nascondere Habarcat in un luogo sicuro, peccato fosse un pensiero infondato: la Fiamma era intoccabile per chi non fosse il suo Custode e Daghall aveva visto morire Sheira con tutta la sua famiglia, eccetto quel bambino. Habarcat però non era lì, Cuilén non l'aveva con sé, la Fiamma era stata nascosta prima, nei paraggi o forse più lontano. Non lo sapeva: il medaglione del Venerabile, l’unico manufatto in grado di percepirla, emanava deboli bagliori solo a tratti, sembrava aver smesso di funzionare.

    “O forse funziona, ma... è il potere della Fiamma Verde che è venuto meno per sempre... ”

Confuso da tutti quegli interrogativi, Daghall puntò la bacchetta su Cuilén e la mosse lentamente intorno alla sua testa: il piccolo sentì uno strano formicolio, una specie di “solletico ai pensieri”, simile a quando Dòmnhall gli stuzzicava i piedi o i fianchi per farlo ridere fino alle lacrime. All'improvviso rivide tutto il giorno precedente, la tenda di sua madre, illuminata dalla Fiamma Verde, suo fratello Dòmnhall che gli regalava il richiamo per gli uccelli e gli prometteva di fargli conoscere, l’indomani, “il nuovo fratellino”. Poi nulla, fino all'angosciante risveglio nel bosco.

    “La Fiamma era con lei, ieri. E Sheira ha partorito, per questo era debole! Oh dei, e se... ”

Il Mago scosse la testa, turbato, e ripose alla cintola la sua bacchetta.

    «Non siete ferito e i vostri ricordi sono intatti, mio signore... andiamo, a casa i Guaritori lo confermeranno... »

Daghall lo guardò, imponendosi di sorridergli rassicurante, Cuilén, però, notò che il suo sorriso era più sfuggente di quello che aveva suo fratello, quando gli faceva una promessa. Allungò la mano, toccò la faccia dell'uomo, la barba folta, la linea dritta del naso, poi scivolò sulla Runa del collo. La fissò e tornò a scrutarlo negli occhi: il Mago, incapace di reggere quello sguardo, abbassò la testa.

    «La tua Runa è solo simile a quella della mia mamma... ma non è la stessa... Tu chi sei?»

Daghall non si aspettava che un bambino vissuto per sei anni nel bosco, in isolamento, fosse in grado di distinguere così bene i dettagli delle Rune: sorpreso, non seppe cosa dirgli, si limitò ad annuire, senza aggiungere altro, senza spiegare altro, poi si alzò, a disagio, chiedendogli di seguirlo.

    «Si sta facendo tardi, mio signore... vostro nonno vorrebbe accogliervi prima del tramonto.»
    «Ho paura... »
    «Di che cosa? Non avete nulla da temere da me: io servo… vostro nonno, il mio Maestro... »
    «... ho paura... del... “mostro”!»

Cuilén volse lo sguardo verso il punto estremo della radura, la vide nascosta tra i cespugli e, con il dito, indicò la massa oscura che si era avventata su di lui, pochi minuti prima. L'uomo si guardò intorno senza capire, poi comprese che il dito era puntato su Heliantòs, l'Ippogrifo con cui aveva sorvolato quella parte delle Terre del Nord, fino alla radura, attratto dalla Magia Antica della Strega.

    «Non temete, mio signore. È Heliantòs, è nostro amico: sarà lui a portarci a casa... »
    «La mia casa è qui... nel bosco... »
    «Certo, mio signore, ma… salite con me sulla sua schiena e voleremo veloci fino a casa... »
    «Volare? Come gli uccelli?»
    «Come gli uccelli... sorvoleremo foreste e montagne, fino a destinazione... »
    «E la mia mamma? Anche la mia mamma è volata via su… quel... la “cosa”?»

Daghall, in difficoltà, non sapeva come rispondere, con un cenno, chiamò a sé la bestia, sperando di distrarre l'attenzione del bambino dalla madre, concentrandola sull'imponente e magnifico animale.

    «Heliantòs è un Ippogrifo, mio signore... ne avete mai visto uno?»

Il bambino negò con la testa, affascinato e terrorizzato da quell'essere che emerse maestoso e terribile, dal folto della foresta, e camminò fino a portarsi accanto al suo padrone: quando un raggio di sole lo colpì illuminandolo in pieno, però, Cuilén urlò, vedendo quel corpo per buona parte simile a quello di un cavallo, ma con le ali e la testa di un'aquila e il petto e le zampe anteriori di un leone.

    «Mandalo via! Ho paura! Mandalo via!»

La bestia s’inalberò, Daghall ebbe difficoltà a riportarlo alla calma, mentre il bambino strillava.

    «Buono Heliantòs! Non fate così, mio signore... gli Ippogrifi sono fieri e pericolosi, certo, ma sono anche validi alleati, quando se ne conquista il rispetto... buono così, Heliantòs... Sono creature meravigliose, ci aiutano a pattugliare le Terre come un tempo facevamo con i Draghi... Un giorno v’insegnerò a cavalcarne uno, da solo... io l'ho appreso quando ero più piccolo di voi... fidatevi, salite sulla sua schiena con me: godrete della carezza del vento sul vostro viso...»

Cuilén, atterrito, vide Daghall prendere qualcosa dalla bisaccia e lanciarlo all'indirizzo della bestia che saltò per divorarla, poi s’inchinò di fronte a lui e la bestia s'inchinò al suo padrone... Heliantòs annusò la mano del Mago, infine si lasciò accarezzare il capo, come facevano i lupi addomesticati di Dòmnhall.

    «Fidatevi, i miei allevavano Ippogrifi e Draghi... avete mai visto un Drago, mio signore?»

Cuilén negò con la testa, incredulo e terrorizzato ma anche sempre più affascinato.

    «Un giorno li cavalcherete... Voi… voi avete il Sangue degli Antichi nelle vene, sapete?»
    «Che cos’è il Sangue degli Antichi?»
    «Vostro nonno vi attende per raccontarvi tutto. Ora ripetete i miei gesti: inchinatevi... alzate la mano, appena... attendete... ecco... non urlate, ora: si sta avvicinando... bene... così... molto bene… »

Cuilén, titubante, fece ciò che gli era stato suggerito e, dopo alcuni minuti di trepidante timore, affondò le dita nel folto piumaggio dell'animale: colmo di stupore, si ritrovò a sorridere, entusiasta.

    «Non vi agitate, ora: vi isso sulla sella e resto a terra per condurlo alla radura, da lì spiccherà il volo. Lo controllo con la Magia, fidatevi di me... E di lui... »

Il bambino, emozionato, annuì, sembrava aver già dimenticato la paura, si lasciò issare tra le ali dell'Ippogrifo ed emise un grido eccitato, quando guardò il mondo, attorno a sé, dall'alto.

    «Ditemi, mio signore, riconoscete forse la strada fatta per arrivare qua? Ci siete già stato? Ricordate se vi siete fermato sotto un albero o vicino a qualcuna di queste pietre, in passato?»
    «No... non so come sono arrivato qui... e non mi sembra di riconoscere questo bosco... »

Cuilén tornò a guardarsi attorno, curioso, Daghall annuì, deluso: aveva sperato che il bambino ricordasse un dettaglio con cui risalire al nascondiglio della Fiamma. Si guardò intorno, puntò di nuovo la bacchetta ma, ovunque, c'era solo una silenziosa, sconfinata, verdeggiante foresta. Guardò il medaglione del Venerabile Thon McCuilén, tese il braccio, secondo i quattro punti cardinali, cercando un segno, invano. Allora il Mago s’inoltrò lentamente nel bosco, il passo sicuro: controllava il suo Ippogrifo e rispondeva con calma e pazienza alle mille domande di Cuilén su Heliantòs e sui Draghi, così che il bambino si tranquillizzasse e prendesse confidenza con lui. Stava in allerta, però, fissando di continuo il medaglione, non voleva farsi sfuggire alcun dettaglio. Ad ogni passo, il Mago si allontanava. Ad ogni passo, Habarcat taceva.

*

Cuilén non era mai stato tanto emozionato. Si stava librando in volo, sentiva il calore tiepido del sole sul corpo e l'aria fresca sul viso, i suoi occhi spaziavano sopra un'immensità di sfumature di verde, su dolci colline e alte montagne fatte di nuda roccia. Si stava allontanando sempre di più dalla foresta in cui era vissuto ma, piccolo e ingenuo com'era, nemmeno se ne rendeva del tutto conto, preso dalle meraviglie di quella straordinaria avventura: aveva visto un gruppo di caprioli correre in una radura e aveva gridato tanto forte da metterli in fuga; si erano alzati in alto e avevano visto da vicino un'aquila in volo. Non aveva paura, perché con lui c'era l'uomo che lo stava riportando a casa. Si era spaventato solo all'inizio, vedendo l'aspetto minaccioso di Heliantòs, ma una volta salito in groppa, Cuilén aveva provato solo un profondo senso di libertà. Era stato sicuro di svenire, quando aveva visto il baratro da cui Heliantòs si sarebbe gettato per spiccare il volo, invece, quando l'aria non era arrivata ai suoi polmoni e il respiro gli si era mozzato, si era sentito vivo e forte, come non mai: cadere in quell'abisso verdeggiante per poi recuperare quota e librarsi in alto non gli aveva provocato la paura paralizzante che lo coglieva di fronte al fiume, sembrava anzi che nell'aria avesse trovato il “suo elemento”, come diceva Dòmnhall. Cuilén non vedeva l'ora di essere a casa, abbracciare suo fratello, parlargli, salire su Heliantòs con lui: forse sarebbe stato proprio Dòmnhall ad aver timore dell'Ippogrifo e sarebbe toccato a lui insegnargli cosa fare. A quell'idea, il bambino scoppiò a ridere, elettrizzato, e l'uomo, alle sue spalle, si chinò al suo orecchio per chiedergli se andasse tutto bene: Cuilén gli rispose di non essere mai stato tanto felice. Il Mago sorrise, sapeva come si sentiva quel bambino, ormai era un uomo ma ricordava ancora la propria emozione, la prima volta che suo padre l’aveva portato in volo sopra il Kernow, su un giovane Heliantòs: gliel'aveva donato quel giorno. Il giorno del suo quinto compleanno.

*

Il sole aveva superato la metà del suo percorso e il picco, alto nel cielo, quando la corona di montagne davanti a loro si aprì all'improvviso, lasciando vedere, meravigliosa, una distesa blu cobalto alle sue spalle, appena increspata da timide striature dorate, illuminate dal sole.

    «Quello è l'oceano, mio signore... »

Cuilén era già a bocca aperta, meravigliato, quando Heliantòs scese a capofitto, strappandogli un urlo euforico. Dietro le montagne non c'era subito il mare ma, gioiello nascosto alla vista, si apriva un vasto altopiano, circondato da alture via via più basse e frastagliate, che si rincorrevano creando un ambiente variegato in cui predominavano il verde dei boschi e il giallo delle radure. Heliantòs sorvolò la pianura in tutta la sua lunghezza, ad ampie falcate, scendendo a poco a poco, tanto che Cuilén s'illuse che si preparasse ad atterrare, anche perché il mare si avvicinava velocemente e la terra si riduceva sotto i loro piedi, sempre di più. Di colpo, invece, l'Ippogrifo riprese velocità e puntò in picchiata dritto davanti a sé, finché la terra mancò del tutto sotto di loro e, improvvisa, luccicò tutto intorno solo la vastità cobalto. Cuilén serrò le dita sulle redini, mentre si voltava, terrorizzato, e vedeva l'altopiano sparire alle sue spalle: si era interrotto in una scogliera ripida che scendeva a picco, come una lama bianca conficcata verticalmente tra i flutti spumosi.

    «Non abbiate timore, mio signore... sono qui, con voi… »

L’Ippogrifo scese prendendo ancora velocità, Cuilén pregò che non volesse tuffarsi nell'oceano, ma sembrava avesse proprio quell'intenzione: vedendosi circondato da tutta quell'acqua, sempre più vicina, il bambino s’irrigidì, il sangue gli imporporò le guance e il respiro gli divenne corto. Non si mise a piangere, però, anzi, la paura uscì dalla sua gola in un unico urlo, prolungato e liberatorio. Non si era mai sentito così, un'energia misteriosa si era liberata dal suo petto. Il Mago gli strinse una spalla, per infondergli coraggio, mentre Cuilén tremava, erano ormai a pochi metri dall'acqua e Heliantòs non accennava a fermarsi. All'improvviso, finalmente, gli dei l'ascoltarono: arrivato a sfiorare le onde con le zampe, Heliantòs riprese a volare orizzontalmente e, invece di gettarsi nel mare, sollevò una pioggerellina salata con il tocco degli artigli. Il bambino riprese a respirare.

    «Non è emozionante volare con un Ippogrifo, mio signore?»

Il Mago rise e Cuilén gli disse di essere morto di paura: da sempre l'acqua lo terrorizzava e di solito scoppiava a piangere, facendo arrabbiare suo padre, stavolta invece aveva urlato e, dopo le urla, gli sembrava di stare meglio; Daghall annuì, estrasse la bacchetta e la puntò davanti a sé, staccò una bolla d'acqua dalla superficie dell'oceano, la fece volteggiare e la attrasse, portandola al bambino.

    «Voi avete paura dell'acqua, come io ne avevo del fuoco... Trattenetela, se volete “capirla”.»
    «Trattenerla? Non si può afferrare l'acqua, lei scivola sempre e ricade giù... »
    «Ne siete proprio sicuro, mio signore? Io la sto trattenendo per porgerla a voi, vedete?»

Heliantòs si era voltato compiendo un ampio semicerchio sull'acqua, ora volavano lievi sull'oceano, a pochi centimetri dalla superficie, puntando verso la costa, la bolla librata in aria, davanti a loro: Daghall iniziò a muovere la bacchetta, imponendo alla massa, con una serie d’incantesimi silenziosi, di assumere varie forme, poi, quando le zampe di Heliantòs toccarono terra, la fece esplodere in una miriade di farfalle umide e salate, sopra di loro. Una specie di globo luminoso si staccò da quella pioggia, volando via, simile a un dardo o un uccello, che sfrecciava alto verso il cielo. Cuilén stava per chiedere al Mago che cosa fosse, quando l'Ippogrifo si scrollò via l’acqua di dosso, inzuppandoli una seconda volta: Daghall e il bambino, fradici, scoppiarono a ridere.

    «Come hai fatto? Era bellissimo!»
    «Magia... Una Magia che imparerete anche voi... tra qualche anno… »
    «Perché usi quel legnetto? La mamma fa le Magie ma non usa i bastoncini, solo le mani... »
    «Il legno serve solo a indirizzare meglio la Magia che sta nelle nostre mani, mio signore... »

Il Mago gli sorrise ma non gli disse altro: ancora umido di acqua di mare, Daghall saltò giù da Heliantòs, poi impose all’Ippogrifo di chinarsi per far scendere anche il bambino. Catturato dall'esperienza del volo e dell'acqua, fino a quel momento Cuilén non si era guardato intorno, ora però, mentre i suoi piedi toccavano la sabbia, si ritrovò a osservare una caletta stretta, a ridosso della parete a strapiombo della scogliera: era così minuscola e piena di rocce e massi, che, dall'alto, non era visibile. Il bambino alzò gli occhi, fino alla cima, la parete appariva liscia e compatta, si chiese da che parte si uscisse da lì, senza un Ippogrifo con cui andarsene in volo.

    «Dove siamo? Non c’è nulla di simile vicino a casa mia... »
    «Prima di portarvi da vostro nonno, devo... incontrare una persona... mi scusate, vero?»
    «Non mi lasciare qui da solo, però... non lo farai, vero?»
    «No, non temete, mio signore, voi verrete con me: devo presentare voi, a quella persona… »

Il bambino lo guardò incuriosito, mentre l’uomo gli puntava la bacchetta addosso per asciugarlo e pulirgli il viso e le vesti, poi si spogliò degli abiti lerci, rimanendo con una strana tunica fatta di metallo, sopra quella di lana, e un vistoso medaglione al collo. Si tolse tutto e, ormai nudo, cancellò con la bacchetta polvere, sangue e sudore dal suo corpo; prese dalla sacca una tunica più leggera, grigia, indossò di nuovo la cotta e sopra infilò una corta toga verde, dagli intarsi elaborati. Il bambino era rimasto a bocca aperta a guardarlo, impressionato dalle Rune: mentre si cambiava, l'uomo gli aveva ricordato suo padre, per quella barba folta, il corpo muscoloso, i capelli resi ricci dall’acqua, i ghirigori d’inchiostro che decoravano tutta la sua pelle. Era la versione più giovane di suo padre o quella più vecchia di suo fratello, a scelta. Continuava a chiedersi chi fosse, magari era uno zio…

    «Andiamo, mio signore, ci aspettano... »

Daghall aveva finito di vestirsi, si era fissato alla cintola il fodero della lama e aveva sistemato sulla schiena un arco e una faretra piena di frecce, più elaborate di quelle che usava Dòmnhall per la caccia: li aveva estratti dalla bisaccia legata alla sella di Heliantòs, quando gli aveva dato un paio di furetti per pranzo. Cuilén non capiva come tutta quella roba potesse stare in una sacca tanto piccola.

    «Heliantòs non viene con noi?»
    «Ci raggiungerà dopo... per la strada che dobbiamo fare... non riuscirebbe a passare... »

Il bambino non chiese altro, l'uomo sembrava teso, poco disposto a parlare. A volte facevano così anche suo fratello e i suoi genitori e Cuilén sapeva che in quei momenti era meglio lasciarli in pace, tanto non riusciva a strappar loro mezza parola. Nonostante le pesanti armi indossate, l'uomo si diresse rapido verso le rocce, doveva esserci un sentiero, invisibile dalla spiaggetta: s’inerpicò tra i massi, rivelando che la parete era compatta solo in apparenza. Cuilén iniziò a seguirlo, con difficoltà, facendo attenzione a non cadere e osservando di tanto in tanto il mare, sempre più basso sotto di lui. All’improvviso, si aprì un varco tra le pietre. Il bambino guardò la spiaggia deserta ancora una volta: Heliantòs si librava tra terra e mare, a caccia di gabbiani.

***

La notte precedente...

    ... Lucretia...

Nella stanza immersa nel silenzio, un braciere rifletteva bagliori morenti e la luce rossastra dei tizzoni scivolava tremula sul corpo nudo di un uomo addormentato, le pelli d’orso calciate via, a terra. Era ancora buio, quando colpi concitati fecero vibrare la pesante porta di quercia, al piano di sotto. Il Mago mugugnò, infastidito, provò a nascondere il capo sotto il cuscino, lottando per trattenere i sogni, per non farli affievolire e diventare polvere. Dopo alcuni istanti di smarrimento, però, la ripida parete rocciosa che stava scalando si sciolse sotto le sue dita e divenne fumo, si sentì cadere nel vuoto e i suoi occhi si aprirono di colpo sulla vista di un baldacchino sfatto e di quattro pareti spoglie. Col cuore in gola, tornato alla realtà di soprassalto, l'uomo prese un respiro fondo, ricacciò indietro i nomi che teneva sulle labbra, si deterse il sudore con la Magia e scivolò fuori dal giaciglio e dai tendaggi che proteggevano il suo letto. Si avvicinò alla finestra e vide la notte da poco giunta al suo culmine. Si chinò ad afferrare il mantello abbandonato a terra, se lo gettò sulla schiena accaldata, drappeggiandoselo addosso, per coprirsi alla meglio. Infine, scese la scala di legno, ravviandosi le ciocche corvine con la mano impreziosita da Rune e anelli.
Non fu sorpreso nel trovarsi di fronte Thon McCuilén: pochi si avvicinavano alla sua porta di giorno; nessuno, a quell’ora della notte, a parte il “Venerabile della Confraternita”, il membro più anziano e importante del Consiglio dei Saggi. Il vecchio aveva un profondo legame con il Mago da quando, dieci anni prima, l'aveva preso sotto la sua protezione, appena tredicenne, giunto nelle Terre del Nord in sella a un Ippogrifo, Heliantòs, in fuga dalla guerra che stava sconvolgendo il Kernow (1). Da quel momento, Thon McCuilén aveva raccolto le confidenze del ragazzo, scoprendone la storia e celandone a tutti, per proteggerlo, l’identità, l’aveva preparato di persona al Cammino del Nord e l'aveva accolto nella sua famiglia come un figlio, dandogli persino la Runa della sua stirpe e il suo nome, un nome delle Terre del Nord: Daghall McThon. Quasi nessun altro, nel villaggio, si era avvicinato volentieri al giovane, il disinteresse anzi si era trasformato in ostilità nel corso dei primi anni, a mano a mano che l'intruso assumeva atteggiamenti ribelli; in seguito, quando, per volontà del Venerabile, aveva acquisito potere e autorità, avevano iniziato a circolare delle dicerie, secondo le quali il giovane era stato inviato dai Maghi del Sud per rubare Habarcat, approfittando che fosse dispersa sul massiccio di Am Monadh. Per questo, dopo anni, nonostante l'agiatezza e una vita ormai irreprensibile, molti uomini della Confraternita si ostinavano a isolare il giovane, a negargli la mano delle proprie figlie, come aveva fatto Cinàed il Pozionista, e il nome delle Terre chiamandolo per sfregio “Daghall il Nero”, lo straniero dalle chiome corvine. Daghall sembrava non curarsene più, ormai si presentava per primo, a tutti, come “Il Nero”; da giovane, invece, aveva sofferto del silenzio e del disprezzo degli altri e, in una notte di follia e alterazione, si era inciso una A, la prima lettera del suo vero nome, sopra la Runa del collo, con una vecchia lama arrugginita, per affermare l'appartenenza a se stesso e al suo vero mondo. Solo l'intervento disperato del vecchio l'aveva salvato da morte certa.
Senza scambiarsi una parola, Daghall si fece da parte e Thon entrò, seguito da un altro Mago, rimasto nell'oscurità fino a quel momento: Padraig, originario di Árd Macha (2), in Irlanda, era un altro dei saggi, un uomo arcigno, alto e rinsecchito, stretto nella sua toga, grigia come il suo incarnato smunto, il cappuccio tirato su a mascherare il volto butterato. Il Venerabile, esile come un fuscello e piegato dall'età e dai pensieri, si avvicinò lentamente al tavolo e si guardò intorno, il nobile e austero cipiglio intriso di disapprovazione, appena gli occhi velati dalla vecchiaia misero a fuoco le ceneri fumanti nel camino: lo addolorava rendersi conto che il suo pupillo, nonostante i tanti insegnamenti e i consigli, cedeva ancora alle emozioni e cercava rifugio dal dolore nello stordimento delle erbe. Il Nero se ne accorse e incrociò le braccia al petto, come faceva da ragazzino, in un gesto d'istintiva difesa: era un uomo, ormai, e nessuno poteva più interferire nella sua vita. Fissò per alcuni istanti il Maestro, poi rammentò a se stesso che quello non era più solo il suo “padrino” e lui stesso non era più solo un figlioccio. L’inaspettata, inattesa visita, nel cuore della notte, del Venerabile Thon McCuilén a Daghall McThon, detto il Nero, Capo della Guarnigione era tutt’altro che una questione privata, era la prova che un fatto d’inaudita gravità era avvenuto nelle Terre e che la sua gente aveva bisogno del suo intervento. Daghall invitò il Venerabile ad accomodarsi, lo guidò a una sedia, sostenendogli il braccio, sotto lo sguardo di Padraig, indeciso se avvicinarsi o restare sulla porta. Il Nero andò alla dispensa, versò dell'idromele e l’offrì agli ospiti: il vecchio rifiutò con un cenno del capo, l'irlandese bevve tutto in un solo sorso. Daghall notò che le mani del Saggio Padraig, un pomposo individuo, famoso per non mostrarsi mai in pubblico privo della sua arrogante sicurezza, in quel momento tremavano e iniziò a preoccuparsi. Con gli occhi fissi a terra, per secondi interminabili, nessuno dei tre fu in grado di iniziare un discorso, finché Thon McCuilén, pallido, alzò lo sguardo d'acciaio sul suo pupillo, in piedi di fronte a lui, e librò la voce cantilenante di Divinatore, spezzando il silenzio teso.

    «La Notte ha assunto il Volto della Morte, figlio mio... tu l'avevi visto per tempo ma noi, poveri sciocchi... non abbiamo agito! Ora la Morte danza nella foresta e la Verde Reliquia... »
    «Il Maestro vuole dire... »

Il Nero non aspettò le spiegazioni di Padraig, che aveva il compito di tradurre e spiegare alla comunità, con parole semplici, i vaticini del Venerabile: Daghall non ne aveva mai avuto bisogno, inoltre temeva e si aspettava quel momento da settimane. Corse alla finestra, scrutò il cielo, sentì il respiro mozzarglisi in gola quando vide Marte ergersi livido nel cielo nero, come un cuore grondante sangue. Il giovane era stato il primo a notare la luce sinistra e a capire che gli eventi stavano precipitando, dando l'allarme, più di un mese prima: da allora, notte dopo notte, Marte aveva gridato sempre più forte la propria collera, rimanendo inascoltato dalle genti delle Terre.

    «... la luce di Marte stanotte... »
    «Lo so... lo vedo... ve l'ho ripetuto io stesso per settimane, Padraig... ve ne rammentate?»

Daghall interruppe il saggio, furioso: conosceva il significato della strana luce rossa dell'astro, ne aveva visto le conseguenze con i propri occhi, da ragazzino, per questo aveva chiesto di parlare al Consiglio; nessuno, però, pur riconoscendo la stranezza del fenomeno, gli aveva prestato ascolto, confidando nel fatto che le profezie delle Pietre Veggenti (3) non prevedevano “sciagure” per la Confraternita nell'“era” che stavano vivendo. Il giovane non aveva replicato, non si aspettava di essere creduto da tutti loro, ma sperava di far breccia almeno nel Venerabile McCuilén... Il Nero scolò l'idromele e fissò i profondi occhi grigi colmi di risentimento su Padraig: dal suo arrivo nelle Terre, quell'uomo di mezza età, presuntuoso e ottuso, aveva colto ogni occasione per screditarlo, opera sua e del suo degno compare, Cinàed il Pozionista, era anzi la maggior parte delle malignità messe in giro sul suo conto. Aveva avuto dimostrazione della fondatezza dei suoi sospetti quando aveva spiegato i propri timori al Venerabile, invitandolo ad agire, ma l'irlandese aveva fatto di tutto per intromettersi e boicottarlo, isolandolo ancora di più con nuove maldicenze.

    «Se non godi di un briciolo di credibilità, non è colpa mia! Vivi nei boschi, come un eremita… a parte il tuo lavoro, non fai nulla per gli altri… cedi a certe... debolezze... l’altisonante nome che porti non basta più a celare le tue mancanze, Daghall, perciò prenditela con te stesso!»

Padraig si era avvicinato al camino, si era chinato a raccogliere la cenere e l'aveva annusata, fissandolo disgustato. Daghall era scoppiato a ridere, beffardo, per celare il proprio nervosismo.

    «Avete ragione… non bastano né il nome, né le azioni, quando c’è chi infarcisce le tue presunte mancanze con le proprie fantasiose falsità... dico bene, Saggio Padraig?»
    «Basta così!»

Thon McCuilén, tremante, si alzò, facendoli tacere, il Nero sibilò un ultimo insulto contro l'irlandese, ben misera soddisfazione, lo sapeva, ma l’unica che potesse prendersi: avrebbe voluto sbattere quel viscido individuo fuori dalla sua casa e dargli la lezione che meritava, a trattenerlo, però, c’erano il debito di riconoscenza che lo legava al vecchio e l’idea dell’espressione trionfante di Padraig appena fosse riuscito nello scopo di cacciarlo dalle Terre. A dire il vero, se non fosse stato per l’orgoglio e per la volontà di difendere l'uomo che l'aveva cresciuto e protetto, Daghall se ne sarebbe andato già da un pezzo, quei luoghi non erano la sua casa; per Thon McCuilén, però, non solo era rimasto, ma aveva persino accettato di guidare la Guarnigione, quando gliel’aveva chiesto. La sua vita era cambiata da allora, non aveva soffocato e vinto la sua rabbia, ma aveva trovato il modo di indirizzarla in maniera costruttiva. Anche le sue relazioni erano migliorate, Daghall aveva assegnato ruoli e turni ai suoi uomini “secondo giustizia e imparzialità”, ottenendo da loro se non amicizia almeno lealtà e rispetto; aveva riservato a se stesso le pattuglie notturne sui pericolosi confini settentrionali, da tutti rifiutati, desideroso com'era di solitudine e silenzio. Impartiti gli ordini agli altri, si allontanava in sella al suo fido Heliantòs, al tramonto, per ritornare solo l'indomani, quando il sole era già alto; vagava per i boschi, controllando le colonie dei Thestral, le rive del lago, i confini che separavano la Confraternita dai Centauri, l'immensità dell'oceano e le coste frastagliate. Quel compito gli consentiva di passare la maggior parte delle notti da solo, all'aperto, lontano dagli altri e Daghall ne approfittava per ritrovare la sua pace interiore, secondo gli insegnamenti del Maestro. Lo esponeva, però, anche a nuove chiacchiere e maldicenze cui cercava di non pensare. Saliva sulle alture, sopra i boschi, sopra le ripide scogliere, fermandosi sull'altopiano battuto dal vento settentrionale, dove attendeva il sorgere del nuovo giorno, ammirando gli astri, come faceva da bambino. Anche se, secondo i Saggi del Nord, “non aveva il Dono della Divinazione”, Daghall amava leggere le stelle, consapevole che erano gli altri a non voler riconoscere la sua abilità nell'interpretare i segni. A volte, raggiungeva la placida quiete della Sorgente (4) e lì, seduto sotto gli alberi, pensava, ammirando il lento sgorgare dell'acqua dalla polla: immerso nel silenzio e nella solitudine, ipnotizzato dal fluire dell'acqua, la memoria di Daghall scivolava a scalfire la sua anima, riportandolo indietro, allo stesso cielo ma a una terra diversa; a sua sorella Laetitia, dai boccoli dorati; a suo padre, di cui portava lo stesso nome, un nome di stella; ad Attius, il precettore dalle chiome leonine: era stato lui a insegnargli a cavalcare gli Ippogrifi, a governare la Magia con la bacchetta, a studiare Marte dalle scogliere di Zennor.

    Zennor… 

Il Nero si sentì mancare il respiro, strinse i pugni e si fece avanti, consapevole di essere sul punto di perdere il controllo, s'inginocchiò rispettoso davanti al suo Maestro e nascose il volto contro la seta verde della sua ricca toga, come se la volesse baciare, in segno di deferenza.

    «Maestro, cosa vi fa credere che il pericolo sia nella foresta e non qui? Potrebbe… »
    «Sheira… mia figlia… mi è apparsa in sogno… chiedeva aiuto… sprofondava nel sangue…»

Daghall percepì un brivido gelido lungo la schiena, non disse nulla, si limitò ad annuire.

    «Volete che vada solo, Maestro, o devo portare la Guarnigione? Quando volete che parta?»

Il vecchio lo fissò, alzò una mano tremante e la poggiò sul capo di quel suo “figlio”, l'unico che gli restasse; la vita gli aveva dato molto in gioventù, l'onore, la gloria, il potere, una famiglia numerosa, ma il destino della sua stirpe era da sempre segnato: un unico ramo poteva sopravvivere (5). Con la maturità, erano aumentati gli acciacchi e, uno dopo l'altro, erano diminuiti i figli. Insieme alle forze. Il dolore più grande, però, restava lei: la figlia più preziosa, la sacerdotessa di Habarcat, quella Sheira che l’aveva tradito, rubando la sacra Fiamma e infrangendo i voti, solo per amore (6). Per il grande Thon, che aveva sconfitto in gioventù persino il gigante Harkmut, guadagnandosi la stima del suo popolo, quello era stato un colpo tremendo: da quel giorno la sua mente non era più stata lucida, la sua autorevolezza e il suo potere erano stati messi in discussione. Quando il giovane profugo del Sud era giunto alla sua porta, però, qualcosa era cambiato, non aveva voluto ascoltare i timori e i consigli degli altri Saggi, aveva agito d'istinto, seguendo il cuore: aveva visto in quel piccolo orfano il riscatto dai suoi tanti dolori, un significato, un senso per le sue giornate inesorabilmente vuote. Non si sentiva più morto dentro, quando vagava per i boschi con lui, insegnandogli a riconoscere le orme e svelandogli i segreti del Nord. Ora quel ragazzino sconvolto dalla guerra era diventato un uomo forte e coraggioso, forgiato dal dolore e dalle avversità, giusto ma anche profondamente umano, tanto da cedere e sbagliare ancora, posto di fronte ai fantasmi del suo passato. Thon McCuilén annuì, turbato, fissando quegli occhi grigi: voleva intervenire e salvare Sheira, più di ogni cosa, anche se in apparenza avrebbe agito solo per ricondurre Habarcat in seno alla Confraternita, e l’avrebbe fatto anche senza il consenso del Consiglio, pronto a pagarne le conseguenze. Non era disposto, però, a compromettere altri con le sue azioni, per questo il Venerabile esitava all’idea di coinvolgere il suo figlioccio, benché non potesse fidarsi di nessun altro, come gli aveva opportunamente ricordato Padraig.

    «Agire porterebbe conseguenze spiacevoli a entrambi, Daghall... e tu… hai già pagato... »
    «Non c'è altro modo, Maestro: il Saggio Eoghan (7) ha fissato la partenza per vostro nipote alla prossima luna nuova, ma mancano ancora tre settimane e muovendosi con la barca, non sarà là prima di un mese... Marte dice che qualcosa sta per accadere, perciò… partirò alle prime luci... »
    «Devi partire adesso, Daghall! Le Pietre Veggenti... Diteglielo, Maestro! Quello che deve accadere, sta accadendo ora... Non tra un mese, o tra una settimana, o tra un giorno... adesso!»

Il vecchio chinò il capo, strinse i pugni e si colpì la fronte, devastato dalla lotta interiore, Padraig pallido gli porse la solita pozione calmante ma il vecchio rifiutò, ormai non più lucido. Daghall fissò entrambi, il sudore gelido iniziava a imperlargli la fronte: aveva un brutto presentimento.

    «Se indugerai, Daghall, il tempo della Magia finirà: Habarcat deve tornare nel suo giaciglio entro il tramonto. Altrimenti si spegnerà, come la Fiamma di Dùn Ceartáin... »

Il Nero annuì, conosceva le leggende di Lugh (8), sapeva che, oltre Habarcat, erano state donate agli Antichi altre due reliquie simili e che la Rossa Fiamma di Ériu aveva già esaurito tutto il suo potere. Non sapeva come ciò fosse accaduto ma non voleva correre il rischio di vederlo con i suoi occhi.

    «Vado a preparare Heliantòs. Maestro… nessuno… deve sapere... dico bene?»

Il vecchio annuì, il colore terreo del volto lasciò il posto al rossore della vergogna: aveva sempre usato la propria autorità per il bene degli altri, aveva sempre ricordato a se stesso di essere il Custode della Fiamma prima di essere un padre, un marito, un uomo… e ora che, per la prima volta, cercava di ottenere qualcosa per se stesso, gli sembrava di commettere un’empietà.

    «Riportameli, figlio mio… te ne prego… riportameli tutti… »
    «Farò tutto ciò che è in mio potere per riportarveli, ve lo giuro, Maestro… »

Il Nero, in imbarazzo di fronte a quella manifestazione di sentimenti, si voltò, evocò l'Elfo Kriantòs, che gli preparò la borraccia e i viveri per il viaggio, salì a indossare le vesti da caccia sopra la cotta di maglia, nascose l’arco e una daga nella sacca magica, perché non sapeva che cosa avrebbe trovato nella foresta, ma era in grado di affrontare di tutto, sapeva combattere con la Magia e alla maniera dei Babbani. Era stato Attius a insegnarglielo, gli aveva spiegato come nascondere la Magia, perché nella terra in cui era nato, confondersi con i Babbani significava sopravvivere, svelare la propria natura, al contrario, portava a morte certa. Mise i calzari pesanti, si avvolse nel mantello di lana, sollevò il cappuccio e annodò il bavero, per affrontare il rigore della notte. Quando tornò dai suoi ospiti, vide con fastidio che, viscido, Padraig sussurrava all'orecchio del vecchio: temendo un inganno, decise di usare la Magia per raggiungere le scuderie. Il Venerabile lo benedì, poi si trascinò alla finestra a osservare le stelle, Daghall, impaziente, si diresse alla porta. Lì Padraig lo raggiunse, lo afferrò per un polso e lo bloccò, sussurrandogli all’orecchio.

*

Daghall raggiunse la scuderia Materializzandosi davanti al recinto, in allerta. Trovò Heliantòs già sveglio, sembrava sentire sempre in anticipo l’arrivo del suo amico-padrone: l'uomo accarezzò la testa dell'animale e affondò le dita nel suo folto piumaggio, ricevendo in cambio un leggero colpetto del muso sulla spalla. Heliantòs non si limitava a percepirne la presenza, lo sapeva, sentiva la sua preoccupazione e sembrava volergli dire che poteva sempre contare sul suo aiuto. Gli dei solo sapevano quanto ne avrebbe avuto bisogno quella notte. Il Nero sistemò la sella e la bisaccia piena di furetti cacciati per placare la fame e la furia dell’Ippogrifo poi, dopo averlo tranquillizzato e nutrito, si levarono finalmente in volo. Il silenzio e la solitudine avrebbero acceso la mente di Daghall, il Mago sperava di riuscire a capire cosa fosse meglio fare prima di raggiungere Am Monadh e trovarsi di fronte la Strega, perché una volta sul posto sarebbe stato troppo impegnato a salvarsi la pelle per definire un piano. Volò veloce, incitando Heliantòs a dare tutto se stesso, come aveva fatto anni prima, quando gli aveva chiesto di attraversare tutta la Britannia: superarono montagne solitarie e foreste tenebrose, nascosti nell’oscurità carica di una notte che annunciava tempesta. Era appena in vista della meta, l’alto e scabro massiccio di Am Monadh faceva intravedere il suo profilo nella luce livida che anticipava l’aurora, quando Daghall capì che i guai sarebbero iniziati ben prima di trovare Sheira: una densa nuvola di fumo si levava alta sopra gli alberi, dall'altro lato del massiccio, illuminando l'ultima oscurità della notte di bagliori rossastri. Più si avvicinava, più Daghall riconosceva nelle voci della foresta il racconto di una notte di orrore, poi l'intenso e acre odore del fumo rischiò di ottenebrargli i sensi. Il Nero odiava il fuoco, tutti i suoi familiari lo odiavano, quasi a dare fondatezza all’antica leggenda secondo la quale il nome della sua “gens” derivava dalla tortura inflitta a tanti suoi antenati, morti bruciati sulle pire. Giunto nelle Terre del Nord, nell’apprendere il controllo dei quattro elementi naturali, il fuoco era stato quello che aveva dato più problemi a Daghall: alla fine, però, aveva superato le sue paure e le sue difficoltà, era diventato un Mago del Nord e sul suo petto ormai campeggiava imperiosa la Runa legata alla padronanza del fuoco.
Il Mago eseguì un incantesimo con cui protesse se stesso e Heliantòs dal calore e dal fumo, si avvicinò e superò la cima della montagna, scivolò sull'altro lato, scendendo in un ampio volteggiare sopra gli alberi fino a raggiungere il letto di un fiume. Smontò nei pressi di una radura protetta e lasciò l'Ippogrifo a cacciare lì, si tolse il mantello, estrasse l’arco e la faretra dalla sacca magica e se li sistemò sulle spalle. Fissò la daga alla cintola e sguainò la bacchetta poi, servendosi delle ultime indicazioni del Venerabile e di Padraig e guidato dal medaglione ricevuto dal vecchio, un manufatto creato a posta da Thon McCuilén per sentire la Magia di Sheira, s’inoltrò guardingo nella boscaglia, fino ai resti di un accampamento. Ovunque si voltasse, tutto raccontava lo scempio messo in atto da uomini senza rispetto per la vita: un brivido percorse la schiena di Daghall, quando comprese che l'orrore annunciato da Marte era figlio di un’orda di Babbani armati. La mente del Mago vacillò, rivide una scogliera a picco sul mare, le sue dita sanguinanti, premute su pietre taglienti; il respiro di Daghall si fece corto, sentiva il dolore, il proprio peso concentrato su quelle dita piagate... mentre tutto intorno, proveniente dal passato, era un sibilare di frecce che, rapide, passavano vicino al suo orecchio e cadevano, rimbalzando sulla pietra.

    Muoviti Laetitia! Muoviti...
    Mamma... mamma…

Si riscosse. Le sue labbra erano ancora contorte nel nome di sua sorella, mentre stava chino su un falò ormai spento, le mani immerse nella cenere, gli occhi chiusi. Non aveva bisogno della Magia per capire che quel fuoco era stato spento ormai da diverse ore, forse tutto si era compiuto quando ancora dormiva a casa sua, ancora prima che il Venerabile bussasse alla sua porta. Non sapeva cosa ne fosse di Sheira e degli altri, ma la loro salvezza, ormai ne era consapevole, non era mai dipesa dalla sua volontà e dalle sue azioni, almeno non quelle che poteva compiere quella notte.

    Dove sono? Dove hanno portato Habarcat?

Daghall estrasse il medaglione, vide il suo luccichio debole accendersi in direzione dei resti di una tenda, il Mago avanzò rapido tra cenere e detriti, scansò a mani nude ciò che restava di coperte e paglia bruciata, annusò la polvere, ma non trovò nulla che potesse riferirsi alla Fiamma, neppure la presenza di cadaveri di eventuali Babbani che avessero tentato, incauti, di toccarla.

    È stata qui… per tanto tempo, è stata qui, ma è stata spostata, da Sheira o dal bambino... 

Cercò tracce a terra per capire in quale direzione andare e notò un odore che lo lasciò interdetto: nonostante tutto fosse ricoperto di cenere e intriso di fumo, l'odore metallico, che sentiva attorno a sé, era chiaro segno della presenza di sangue, tanto sangue, qualcuno in quella tenda era stato ferito ma, non essendoci nessun corpo nei dintorni, doveva essere stato spostato e, soprattutto, doveva aver lasciato tracce, che ora doveva trovare e che poteva seguire. Incoraggiato da un primo segno, Daghall puntò la bacchetta a terra e cercò e quando infine le trovò, tanto sottili da essere quasi invisibili al buio, ringraziò gli dei perché senza la sua bacchetta, non ci sarebbe mai riuscito.
Un tuono squassò le tenebre e, pochi istanti dopo, violenta, la pioggia si abbatté sulla foresta: Daghall ne era lieto, perché avrebbe spento rapidamente gli ultimi focolai d’incendio, d'altra parte, sarebbe stato più difficile ritrovare le tracce da seguire, se l'acqua avesse sciolto il sangue. Iniziò a camminare lentamente, intento ad ascoltare ogni suono attorno a sé, vigile contro eventuali minacce nascoste e attento a non scivolare sul terreno che diventava fango, tutto proteso a cercare le ultime stille rubino sulle foglie, inzuppato come se fosse caduto nel fiume. All’improvviso, dal fogliame, vide emergere un piede: si acquattò, in allerta, scivolò tra i cespugli, scostò delicatamente le foglie per vedere chi avesse di fronte e subito sentì la cena e il vino della sera precedente forzargli lo stomaco, imperiose, tanto da costringerlo a rigettare. Si portò la mano al naso per non sentire più il fetore e non rigettare ancora: lo spettacolo, o meglio lo scempio, che aveva di fronte era così improvviso, orribile e devastante che si sentì smarrito come quando, a otto anni, aveva visto il primo morto ammazzato della sua vita; solo in seguito, corpi a pezzi e orrendamente mutilati erano diventati la norma, per lui, e per cinque lunghi anni non aveva visto altro. In quel momento, sconvolto dalla debolezza che l’aveva travolto, si rese conto di aver vissuto per dieci anni in una bolla ovattata, la vita comoda delle Terre l'aveva cambiato e rammollito. Smise di filosofeggiare e studiò il corpo: era un Babbano, un fante privo di armature difensive, non era morto per una ferita da battaglia, ma dissanguato per uno squarcio alla gola, forse il morso di un lupo; del suo equipaggiamento restava solo una faretra: Daghall si chinò e si rifornì di frecce. Il Mago procedette, la bacchetta nella destra e gli occhi fissi sul medaglione, il cui luccichio era sempre più flebile. Camminò a lungo, ovunque vide i segni del passaggio degli uomini armati, ovunque la pioggia spegneva gli ultimi roghi: la foresta soffriva per l'inferno di fuoco, da ogni parte emergevano cadaveri di soldati mutilati, per lo più attaccati al ventre e al collo. Nella foresta, per qualche motivo incomprensibile, i lupi avevano fatto strage di uomini. Daghall, però, pensò seriamente a un intervento della Magia solo quando vide un uomo orribilmente sfigurato e mutilato dai numerosi morsi di serpente, che si erano accaniti selvaggiamente su tutto il suo corpo (9).

    I serpenti veri, che io sappia, dormono, di notte… 

Pronunciò un incantesimo di Disillusione, per sicurezza, e riprese a camminare sotto la pioggia.

*

Quando l’aveva vista, tra le foglie cadute, per alcuni istanti il Mago si era illuso che la Strega fosse addormentata, tanta era la pace che irradiava dal suo volto. Non l’aveva mai vista prima, Daghall era solo un bambino di sette anni, che giocava sicuro e felice nel palazzo di suo padre, a Zennor, quando Sheira nic a'Thon era fuggita dal villaggio e dal suo destino, per inseguire la vita e l’amore, durante la festa di Samhain. In quei dieci anni, da quando era giunto nelle Terre, Daghall aveva immaginato in mille modi diversi il loro primo incontro: benché tutti parlassero male di lei, infatti, il Mago desiderava incontrarla, per dividere con la Sacerdotessa il proprio antico sapere.
   
    Invece il nostro primo e unico incontro è stato questo… 

Il Mago stava lì, sotto la pioggia, accosciato davanti al suo corpo, la osservava non sapeva neppure più da quanti minuti, attratto da quel bagliore luminoso che era ancora imprigionato nei suoi occhi. Non sapeva cosa fare: forse il vecchio avrebbe voluto darle una sepoltura degna del suo rango, al villaggio, ma sarebbe successo il finimondo, se l’avesse riportata indietro con sé.
   
    Alcuni, i soliti, arriverebbero persino a pensare e a dire che sono stato io a ridurti così... 

Daghall si sollevò, affondò le mani tra i capelli zuppi di pioggia e senza volerlo s’impiastrò la faccia di sangue. Tremò, ricordando il momento in cui aveva allungato la mano, per toccarla… Chiuse gli occhi, deglutì con difficoltà, cercando di soffocare e controllare l’odio che sentiva montargli dentro. Aveva capito subito che non avrebbe trovato sulla Strega ferite visibili, tutta la parte inferiore delle sue vesti era impregnata di sangue e Daghall aveva imparato fin troppo bene, da bambino, negli anni della guerra, il significato di “quel” sangue, aveva visto un'infinità di donne morire in quel modo, uccise dalla peggiore e più umiliante delle violenze. Sentì l'odio librarsi in lui, un odio antico, un odio che non aveva mai smesso di provare, si voltò contro il bastardo che l’aveva uccisa, il suo corpo decapitato (10) giaceva a pochi passi da lei. Daghall estrasse la bacchetta e con le lacrime agli occhi ruggì l’incantesimo con cui diede alle fiamme quel mostro: lo vide bruciare, lo vide scomporsi, ma la rabbia e il dolore, dentro di lui, non si placavano ancora.

    Non si placheranno mai… non mi placherò mai… 

Si voltò, non voleva vedere, respirò profondamente, cercò di contenere la rabbia e dare un senso al dolore. Fece un incantesimo alla terra, perché una porzione si asciugasse, estrasse il mantello dalla sacca magica e lo stese, si avvicinò alla Strega, la sollevò, asciugò il suo corpo e i suoi capelli con la Magia, trasfigurò le sue vesti lacere e sporche in una toga simile a quella che indossava sua madre, l’ultima volta che l’aveva vista, annodò i suoi capelli nella stessa foggia. Infine, sconvolto al pensiero di non essere riuscito a fare tutto questo per la donna che l’aveva messo al mondo, la avvolse nel mantello. Si guardò intorno, vide una robusta quercia adatta ai suoi scopi, appoggiò le mani sul tronco, pronunciò un’antica Magia delle sue terre, preoccupato che lì gli alberi non l’avrebbero ascoltato, se avesse parlato in lingua cornica. Con stupore, invece, vide le radici della quercia sollevarsi fino a creare un varco sufficiente a ospitare il corpo della donna.

    La lingua è diversa, ma siamo e restiamo Daur, figli delle querce…

    «Torna agli alberi che ti hanno creato, mia Signora; Madre Terra ti sia lieve e ti protegga… »

Con sorpresa, dopo aver deposto in quel luogo sicuro la Strega, le radici della quercia non tornarono ad affondare nel terreno. Nervoso, Daghall pensò a come trasportare in breve tempo terra sufficiente a sotterrarla, poi ricordò di aver già visto una quercia comportarsi così e, soprattutto, ne rammentò il motivo. Rapido, con la bacchetta in mano, iniziò a frugare tra i cespugli, invano, sempre più fradicio di pioggia, andò avanti in una porzione via via più ampia di terreno, trovando sempre più corpi di Babbani straziati, ma non quello che stava cercando. Daghall tornò sui suoi passi, fino all’uomo ucciso dai serpenti e lì, a poca distanza, trovò il corpo di Cormacc MacArtgal: dovette chinarsi a voltargli il capo, mettendo allo scoperto la Runa del collo, per riconoscerlo, perché il corpo del Mago era stato trafitto e colpito così tante volte che sul suo petto era ormai scomparsa ogni traccia della imperiosa Runa che doveva campeggiarvi.

    Per fortuna ti ho trovato… ora ti deporrò accanto a lei, altrimenti senza la tua Runa e senza la tua donna a indicarti la strada, avresti vagato nell’oblio oscuro per tutta l’eternità… 

Lo sollevò con difficoltà e lo portò alla quercia, non aveva un altro mantello con sé, con cui avvolgerne il corpo, riuscì, però, a trasfigurargli il poco che indossava e a creare un telo con le foglie di quercia, lo depose accanto alla sposa e, finalmente, le radici s’immersero nel terreno, celando e proteggendo i due sposi per sempre. Daghall sospirò, stanco ma soddisfatto e sollevato.

    Ciò significa che non è questo il posto per il resto della famiglia… i ragazzi sono vivi… 

Doveva essere accaduto di tutto, quella notte: l'uomo forse era rimasto indietro a coprire la fuga della sua famiglia, ma la Strega era stata catturata e aggredita e quando il Mago se ne era accorto, aveva decapitato il Babbano, senza avere però il tempo di salvarla, né di salvare se stesso. La sua furia e il suo dolore bastavano a spiegare i serpenti svegli nella notte e la ferocia dei lupi. In tutto questo, i due ragazzi ce l’avevano fatta e ora, in fuga, erano nascosti con Habarcat, nella foresta.

    Vi troverò... tornerò indietro e sorvolerò la foresta. Col medaglione, riuscirò a trovarvi! DEVO!

*

    «Qualsiasi cosa accada, non farti sottrarre la Fiamma e il moccioso! Hai capito?»
    «Mi credete un idiota, Padraig? Vado per questo! Porterò altri Ippogrifi per la famiglia... »
    «No... gli altri non verranno!»
    «Cosa diavolo state architettando? Avete sentito, l’ho appena giurato al vecchio!»
    «Il Consiglio non vuole che Sheira e Cormacc ritornino: hanno tradito, devono pagare. Per rispetto verso Thon, nessuno ha mai tradotto le parole in atti; ora, però, il Destino ha deciso che Sheira muoia: accettiamo la sua volontà e otterremo giustizia, senza neanche sporcarci le mani!»
    «E il ragazzo? Quello che dovremmo portare qui tra un mese? Quali colpe dovrebbe scontare quell'innocente, di grazia?»
    «Un solo ramo, ricordi? Un solo ramo! Il loro Destino è sempre stato quello… »
    «NO! Voi lo vorreste morto per opporvi a ciò che le Profezie dicono di lui… Due figli: uno sarà Custode della Fiamma, l’altro il più grande Mago di tutti i tempi… Non lo farò, non m’interessa la volontà del Consiglio, non agirò contro il vecchio! Sapete cosa penso, Padraig? Che sia la vostra brillante idea, la sciagura su cui ci mette in guardia Marte: non c’è nessun pericolo da cui salvarli, nella foresta, sono io che, andando a prendere solo il bambino e Habarcat potrei scatenare la furia di Sheira, del marito e di suo figlio contro tutti noi! Io non provocherò la vostra guerra!»
    «Vedo che inizi a capire per quale motivo tutti gli altri devono per forza morire… Senza la morte di sua madre, il figlio non può diventare il nuovo Custode, non prima dei 16 anni!»
    «Io non intendo essere la mano del “Vostro Destino”, Padraig…»

*

Daghall si sentiva svuotato: la ricerca non stava portando a niente, i ragazzi sembravano spariti, Habarcat non dava segni della propria presenza. La realtà che si era trovato di fronte raggiungendo la radura era ben diversa dalle idee che aveva all’inizio, aveva creduto sinceramente che il problema fosse solo la follia di Padraig, che sarebbe bastato parlare con la Strega del desiderio del Vecchio di conoscere il nipote, per disinnescare la tensione, aveva sperato in cuor suo, nonostante le parole del Saggio Padraig, di poter mantenere il giuramento fatto al vecchio, riportando indietro Sheira e la sua famiglia. Invece… Non riusciva a sopportare l’idea che la Strega fosse morta, non voleva dire al vecchio che non era riuscito a mantenere la promessa.

    Un’altra promessa mancata… 

Il Mago stava tornando indietro, rapido, verso la radura, deciso a controllare la foresta dall’alto in sella a Heliantòs, quando un grido gli fece accapponare la pelle, immobilizzandolo dove si trovava. Era ormai a metà del sentiero, in discesa, diretto verso il fiume: si gettò a terra, nascondendosi tra i cespugli, mentre il terreno vibrava e l’urlo che aveva travolto il bosco silenzioso si ripeteva, si moltiplicava, avvicinandosi, in una cacofonia caotica che sembrava sempre più terrificante.

    Centauri arrabbiati… e visto che cosa è avvenuto qui stanotte, non hanno tutti i torti… 

Il Mago pronunciò di nuovo l’incantesimo di Disillusione e avanzò in direzione delle urla, lo scalpiccio era passato a poca distanza da dove si trovava e pareva diretto verso il fiume: doveva trattarsi di almeno una dozzina di esemplari e il baccano che avevano prodotto era stato tale che Daghall non aveva capito nulla di cosa si stessero urlando. Protetto dall’incantesimo, rassicurato dalle vibrazioni e dai suoni che non ci fossero altri Centauri sulla scia dei primi, seguì le tracce lasciate, lanciandosi all’inseguimento, la mano sinistra intorno alla bacchetta e la destra pronta sul pomolo della daga. Improvvise le urla ripresero, sembrava che si fossero fermati, il Mago pronunciò un incantesimo silenzioso, per attutire il suono dei suoi passi nella boscaglia. Fu rapido, troppo: quando, di corsa, lasciò il sentiero tracciato per immergersi nella boscaglia più fitta e il bosco si aprì all’improvviso sullo strapiombo sotto di lui, riuscì a non precipitare di sotto solo per miracolo. Trattenne un urlo di terrore quando i piedi slittarono sul terreno viscido, trascinandolo a terra. Veloce, con la forza della disperazione, aveva intrecciato la bacchetta a un groviglio di rampicanti ma con la coda dell’occhio aveva visto le sottili radici sfilarsi dal terreno velocemente, una dopo l’altra. Allora, mentre ondeggiava pericolosamente nel vuoto con le gambe e buona parte del busto, sguainò la daga e con tutta la forza e il fiato che gli restavano scattò e fece ruotare il braccio, conficcando profondamente la lama nel terreno. Servendosi della Magia, cercò di aumentare il più possibile la resistenza e la compattezza del terreno, così che la daga non si sfilasse, e facendosi forza sulle braccia e sforzando il fiato fin quasi a sputare i polmoni, riuscì a tirarsi su, al sicuro. Restò bocconi a terra, per secondi interminabili, cercando di riprendere fiato, il cuore che pompava così veloce da fargli temere che stesse per scoppiargli.

    Maledetta pioggia!

Fradicio e infreddolito, inzaccherato di fango, esausto, Daghall si mosse tra gli alberi fino a portarsi a breve distanza dalle voci, si addossò di schiena contro una quercia, il fiato ancora corto, appoggiò la testa, non riusciva a vederli ma ora poteva ascoltare i loro discorsi. Cercò di regolarizzare il respiro e pregò tra sé che tutto questo non fosse solo una perdita di tempo.

    «Maledetti… sudicie, immonde bestie! L’avete fatto scappare! È tutta colpa vostra!»

Daghall scattò subito, attento, riconoscendo una voce umana tra le grida bellicose degli ibridi.

    «Silenzio! La tua razza ha causato gli orrori di questa notte… Avevate preso un impegno!»
    «Stupidi, stupidi mostri, lasciatemi! Devo ucciderli! Lasciatemi andare, immediatamente!»
    «Per averci tradito, noi ti condanniamo, figlio di Daur, a… »
    «Ahhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh»

La freccia attraversò rapida l’aria e andò a conficcarsi nel quarto posteriore del Centauro più arretrato: il cerchio degli ibridi vibrò e si frammentò, sorpresi i Centauri si voltarono, si guardarono intorno senza capire, finché Daghall uscì dalla boscaglia, l’arco teso nelle mani, la seconda freccia già incoccata, pronta per un nuovo lancio, avanzando sicuro e minaccioso.

    «Lasciatelo andare! Adesso!»

Quattro Centauri si staccarono dal gruppo, andandogli contro, altri due soccorsero il compagno ferito: Daghall scoccò la seconda freccia che colpì uno dei quattro assalitori alla zampa anteriore destra, scoccò altri due dardi di avvertimento prima di lasciare l’arco ed estrarre la daga, tenendo intanto la bacchetta nella mano destra e lanciando incantesimi a terra per far arretrare gli ibridi.

    «Fermatevi! Adesso! Lasciate il ragazzo a me! Ora! Fermatevi vi ho detto!»

Non ottenne risultato: il suo sguardo spaziò nella luce livida del mattino e vide il figlio maggiore di Sheira vicinissimo al baratro, era ferito, aveva una freccia ancora piantata sul braccio destro e la lunga catena di una mazza chiodata dei Babbani gli teneva strette le mani dietro la schiena, il volto era pieno di lividi e graffi, sanguinava copiosamente da uno zigomo. Nonostante tutto questo, lottava come una tigre per liberarsi dalla presa del suo carceriere al punto che, approfittando della confusione creata da Daghall, con uno strattone, riuscì a liberarsi e a scappare tra gli alberi.

    «Prendetelo!»
    «Lasciatelo andare!»

I tre Centauri rimasti furono addosso a Daghall, s’impennarono e cercarono di caricarlo con gli zoccoli da tre diverse angolazioni, il Mago lanciò un incantesimo che mirava a sbilanciarli, uno dei tre cadde all’indietro, Daghall colpì ancora e l’ibrido si ritrovò con una zampa rotta, annaspava disperatamente, cercando, invano, di rimettersi in piedi. Il Mago sentì un sibilo, si acquattò all’ultimo istante, in tempo per non farsi centrare alla tempia: con la coda dell’occhio vide avvicinarsi da sinistra un’altra decina di Centauri, pronti, con archi e frecce, alcuni avevano anche delle spade strappate ai Babbani, li vide caricare e slanciarglisi addosso. Daghall puntò la bacchetta davanti a sé, i Centauri si disposero in un ampio cerchio per aumentare la superficie che avrebbe dovuto colpire, il Mago, però, a sorpresa, levò la mano a destra e il Centauro che gli era più vicino si ritrovò a scalciare a terra, avvinghiato da rampicanti che gli serrarono con forza le braccia e le zampe. Apertosi un varco con l’astuzia, Daghall corse in quella direzione, non solo per fuggire ma anche per vedere cosa ne fosse del figlio della Strega. Dietro di lui, sentì gli zoccoli scalpicciare all’inseguimento: Daghall iniziava a essere stanco della loro ostinazione, non aveva intenzione di battersi e non poteva perdere altro tempo con loro. Levò la bacchetta, a destra e a sinistra, e una ventina di rami si staccò dagli alberi e crollò a terra, creando una barriera di legna alle sue spalle, non prima di aver colpito e tramortito un buon numero di Centauri. Daghall continuò a correre, lasciando dietro di sé la boscaglia scossa dalle urla degli ibridi feriti. Era riuscito a rallentare il grosso degli inseguitori e aumentato il vantaggio, ma altri Centauri, che prima inseguivano solo il ragazzo, ora si erano messi sulla sua scia.

    Questo significa che, per lo meno, sto andando ancora nella direzione giusta…

Fece altre due volte lo scherzo dei rami, ma gli ibridi non erano più impreparati, ora si muovevano zigzagando e non erano più ammassati ma disposti ad ampio raggio dietro di lui, sempre più vicini, rassicurati anche dal fatto che i suoi attacchi mirassero a rallentarli ma non a ucciderli.

    Voi invece sareste pronti a gettarmi di sotto, se riusciste a mettermi le mani addosso…

Sentì altre urla, davanti a sé, cercò di fare più in fretta, il ragazzo era stato raggiunto: legato, privo di forze, ferito, forse il figlio di Sheira non riusciva a concentrarsi abbastanza da evocare la sua Magia e difendersi. Non poteva lasciare che lo prendessero e gli facessero del male, era ciò che restava della famiglia del Venerabile, l’unico che forse sapesse qualcosa su Habarcat e il bambino. Daghall prese la sua decisione, sospirò profondamente, abbassò gli occhi a terra, poi si fermò, si voltò e si limitò ad alzare la mano, mentre la sua bocca si contorceva in un ghigno strano e la sua lingua recitava un incantesimo oscuro: i Centauri che lo inseguivano crollarono a terra, le loro zampe sembravano non contenere più ossa in grado di sorreggere il loro peso. Uno di loro, annaspando, nonostante tutto riuscì a tendere l’arco e incoccare la freccia, tirò e per poco non prese in pieno il Mago, ferendolo di striscio al collo: Daghall li credeva ormai incapaci di reagire, invece sentì il sangue fluirgli caldo sul collo e la vista annebbiarsi, sollevò la mano e la portò poco sotto la Runa, incredulo la ritirò intrisa di sangue. Il Mago alzò di nuovo la mano e i Centauri stavolta persero anche il controllo delle proprie braccia. Poi si avvicinò all’ibrido che l’aveva ferito, quello iniziò ad agitarsi, minacciandolo, ma Daghall rimase impassibile, lo prese per i capelli con la sinistra e lo sollevò un poco, esponendo per bene il collo, quindi gli fece scivolare lentamente la lama da sinistra a destra sulla gola, in profondità, inzuppandosi da capo a piedi del sangue della bestia, fino a rimanere con la sua testa in mano, sotto gli occhi terrorizzati degli altri Centauri, increduli davanti a quella morte improvvisa e insensata.

    «Al tramonto avrebbe recuperato l’uso dei propri arti, come tutti voi… Siete stai voi, è stato lui, a costringermi... »

Si voltò, riprese a correre, voleva raggiungere il ragazzo e salvarlo: dietro di lui, la foresta si riempì dei pianti e delle maledizioni dei Centauri. Piangevano Magorian, primogenito di Banrigh.

*

    «… Non intendo essere la mano del “vostro Destino”, Padraig… Ho fatto un giuramento! Qualsiasi cosa vada contro la volontà del Venerabile… è un vile tradimento!»
    «Tradimento… se non erro, è usanza della tua gente, dico bene? Per questo sei orfano... perché da voi i fratelli tradiscono i fratelli, i figli i padri... Se stessi ordendo un complotto, pensi che potrei affidarmi a un uomo come te, che ha il tradimento nel sangue, Daghall? Non sono così sciocco: ti farei controllare dai miei uomini o ti farei tagliare la gola nel sonno. Invece, poiché ho a cuore la Confraternita e la buona riuscita della missione, intendo aiutarti… iniziando col ridarti questa… »

Padraig aveva scostato un lembo del mantello e dall'ampia tunica aveva estratto una bacchetta di ebano. Il Nero aveva sentito il proprio respiro sospendersi, il cuore accelerare, la testa turbinare, aveva fissato con desiderio la superficie lucida del bastoncino: dopo dieci anni rivedeva la bacchetta che gli aveva donato suo padre al compimento degli undici anni, unico ricordo della sua infanzia, oltre a Heliantòs, con cui era fuggito dal suo Kernow. Aveva sentito risuonare nelle orecchie la voce di Attius, mentre lo spingeva sull'Ippogrifo e gli stringeva la bacchetta tra le dita.

    “Mai, per nessun motivo, dovrai permettere a qualcuno di privarti della tua bacchetta!”
    “Farò ogni cosa in mio potere, per difendere la bacchetta di mio padre, Attius, lo giuro!”

Daghall credeva di averla persa in volo, di non aver saputo mantenere neppure quella, insieme a tante altre promesse fatte a suo padre. Aveva pianto tutte le sue lacrime, per quella bacchetta, perderla era stato rivivere lo strazio del suo popolo. Il senso di colpa gli aveva tolto il sonno e gli incubi l'avevano perseguitato. Tutto questo era durato anni. E Padraig… Padraig sapeva tutto... era responsabile di tutto...

    «Maledetto, sporco ladro! Come hai potuto… come… »
    «Ho viaggiato, straniero, so quanto valore hanno questi stupidi pezzi di legno per quelli come te. Io ti renderò la Bacchetta e tu farai quello che ti ho chiesto, così la voce di tuo padre smetterà di tormentarti, accusandoti di aver dimenticato chi sei e il suo nome… »
    «Voi siete un pazzo, Padraig… Io non sono in vendita!»
    «Molto bene... chiederò a qualcun altro di aiutarmi, allora… Se è questo ciò che vuoi... »

Padraig aveva preso la bacchetta con entrambe le mani, aveva premuto i pollici al centro, Daghall l’aveva vista incurvarsi sempre più, pericolosamente: non poteva pensare, figurarsi vedere l'unica eredità di suo padre ridotta in pezzi, sarebbe stato peggio di una pugnalata al cuore. Così, quando non aveva ancora deciso come comportarsi, aveva sentito la propria voce supplicare “Non fatelo!” e la sua mano era corsa a strappare il legno dalle mani del Saggio: il bastardo l’aveva deriso, vittorioso, certo di averlo piegato. Daghall aveva guardato l'ebano lucido tra le sue dita: la bacchetta, nelle sue mani di adulto, non sembrava più tanto grande e imperiosa. Non sembrava più nemmeno la stessa. Era lei, però. Era lei: gli fu sufficiente stringerla nel pugno, per sentire la forza che ricordava, quell'unione perfetta e unica che lega un Mago al legno che l'ha scelto.

    «Sapevo che avresti fatto la cosa giusta… tutti hanno un prezzo e tu non sei diverso dagli altri. Prenderai il bambino, gli farai portar via la Fiamma e sistemerai tutto, come va fatto! Portamelo alla spiaggia, ti aspetterò fino al tramonto. Non qui, hai capito? Alla spiaggia… E se stessi pensando di fare il furbo, straniero, se pensassi di svignartela… ricorda che mi occupo io del Venerabile e che a un uomo di quell’età, così debole e anziano, può facilmente capitare di tutto…»

Daghall aveva stretto forte la bacchetta, la rabbia stava montando in lui con violenza; presto gli sarebbe saltato alla gola, senza curarsi più delle conseguenze delle proprie azioni. Si conosceva.

    «Anche a te può capitare qualcosa di grave, Padraig, di molto grave. Lo sai, vero?»
    «Lo so. È per questo che ringrazio gli dei di dover provvedere solo a me stesso, al contrario di… altri… Conosco i tuoi segreti e le tue debolezze, figlio di Zennor… sai… Padraig di Árd Macha non taglia mai la gola a un uomo se… può tenerlo saldamente per le palle… Ahahahah… »

***

    «È ancora molto lontano?»
    «No, mio signore, siamo quasi arrivati… ora scenderemo questo scoglio a forma di cresta e saremo a destinazione… »

Avevano superato il varco nella roccia almeno un paio di ore prima e continuavano a camminare, in un saliscendi di scogli più o meno scivolosi e ampi tratti di spiaggia. A un certo punto, Daghall era persino entrato in una specie di grotta semi sommersa e ne era uscito con una macilenta barchetta, l’aveva aiutato a salire e aveva vogato per un tempo infinito. Cuilén era stato buono e tranquillo a osservarlo, ad ammirare i pesci che nuotavano vicino alla superficie, e soprattutto lo scenario che aveva di fronte, irte scogliere che si tuffavano in mare e ampie spiagge più o meno sabbiose e ricche d’insenature e grotte. Quando Daghall aveva portato a terra la barca, aveva puntato la bacchetta e quella era scomparsa, poi si erano incamminati, stavolta raggiungendo la boscaglia e percorrendo un ampio tratto nella frescura prima di ridiscendere lungo la scogliera.

    «Non potevamo volare fin qua, con Heliantòs?»
    «Ci sono le vedette e gli incantesimi, sulle alture. Non volevo che ci vedessero arrivare… »
    «Perché? E chi è che vuole conoscermi?»
    «Tutti vi vogliono conoscere, mio signore… qualcuno ha più fretta di altri… »

Cuilén lo guardò senza capire e continuò a camminare, sbuffando per il male a un piede.

    «Voglio la mia mamma… »
    «Lo so… tra poco arriveremo… Ascoltatemi, mio signore… mi raccomando ancora una volta… vi ho detto cosa vorrei che faceste quando saremo arrivati: è importante… »
    «Non devo parlare… devo far finta di avere sonno… tanto sonno… »
    «Esatto… non dite di Heliantòs, dei giochi con l’acqua e della piccola spiaggetta… »
    «Va bene… ma perché?»
    «Perché… quello è un posto segreto, mio signore… un segreto tra voi e me… se mi promettete di non dire nulla, io vi porterò ancora laggiù, ogni volta che lo vorrete… vi farò volare sul mare, in groppa a Heliantòs e v’insegnerò tutto ciò che vorrete… tutto… »
    «Allora… io non dico niente, così poi torniamo… domani! E portiamo anche Dòmnhall!»

Daghall abbassò gli occhi e bofonchiò piano.

    « Forse già domani, sì... »

Il bambino si lanciò contro le gambe del Mago, felice, poi tranquillo e speranzoso, gli diede la mano e scese ancora con lui tra gli scogli, fino a raggiungere un ultimo masso dietro al quale si apriva una profonda insenatura: lì la spiaggia era grande e sabbiosa, si estendeva a perdita d’occhio, per un ampio tratto pianeggiante, circondata dalla boscaglia. Cuilén pensò che lì sarebbe stato bellissimo costruire i castelli con Dòmnhall, quando aveva tempo, suo fratello riusciva a costruire con la poca sabbia del fiume delle forme bellissime, se avesse avuto in mano quella sabbia così fine…

    «Bentornato, Daghall… Ti aspettavo, impaziente... »

Il bambino si schermò gli occhi, il sole era quasi all’altezza della sua faccia, ormai, e non riusciva a vedere bene di chi fosse la voce che aveva chiamato il suo “salvatore”; nel punto estremo della spiaggia, a ridosso della scogliera e degli alberi, c’era una specie di catapecchia fatta di tronchi d'albero trascinati a riva dal mare e cortecce intrecciate. In piedi, accanto all’uscio, simile a un tronco pallido, c’era un uomo, avvolto in un mantello scuro, il cappuccio tirato su, a celare in buona parte la faccia. Seduta a terra, una donna sdentata, dai capelli gialli e scarmigliati e gli occhi vacui, tipici dell'età avanzata, stava rimestando qualcosa dal fetido odore dentro un calderone.

    «Molto bene, Daghall… ora avvicinatevi…  e digli di consegnarmi la Fiamma… »

 

*continua*



NdA:
1) Kernow: è l'antico nome cornico del Cornwall, o Cornovaglia se preferite. Tutti i nomi cercano di rispettare le provenienze geografiche, così ci sono nomi Irlandesi per i personaggi irlandesi, scozzesi per gli scozzesi e cornici per quelli della Cornovaglia. Più avanti vedrete dei nomi di origine "latina": ho immaginato che, anche nelle famiglie nobili magiche, non solo in quelle Babbane, nel pieno Medioevo, ci fosse ancora l'usanza di dare ai figli i nomi dei propri antenati.
2) Árd Macha: è il nome gaelico di Armagh, una cittadina dell'Irlanda del Nord, nota agli amanti di Merlin come città natale di Colin Morgan, interprete del giovane Mago...
3-4-5) Pietre Veggenti, Sorgente e "unico ramo" sono tre richiami alla storia madre, That Love:  le Pietre Veggenti sono citate spesso da Alshain Sherton come strumento di cui la sua famiglia si è servita e si serve per interpretare i segni e potenziare le abilità divinatorie in quei componenti della famiglia che son portati per la Divinazione, già ai tempi di Salazar, gli antenati degli Sherton possedevano questo strumento; la Sorgente è, come dice il nome, una fonte di acqua: la prima volta appare in un sogno di Alshain e sappiamo che le sue acque sono considerate "sacre" dalla Confraternita. Infine qui abbiamo il primo cenno della condanna "dell'unico ramo": la famiglia Sherton è sempre riuscita a salvarsi, nel corso della storia, generazione dopo generazione, dinanzi a ogni tipo di avversità, ma il prezzo da pagare è sempre stato una profonda "solitudine", non sono mai stati una famiglia numerosa e a ogni generazione, a portare avanti il nome e il sangue, è rimasto sempre e soltanto un unico figlio.
6-7-8) Sheira e Cormacc, Eoghan, Lugh: La storia di Sheira e Cormacc e altre info su personaggi e vicende si trova in questo capitolo.
9-10) L'uomo decapitato è Áed, signore di Glower, e l'uomo attaccato dai serpenti il suo scudiero Kenneth.
Ringrazio tutti per letture e commenti. A presto.

Valeria



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