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Autore: Love_in_London_night    04/07/2013    4 recensioni
Una promessa difficile da mantenere, quella del titolo. Difatti è una promessa infranta.
Una scelta da cui ne conseguono tante altre, molte obbligate.
Quindi c’è Pemberley, che non si è fermata un attimo negli ultimi dieci anni e non sa quale direzione ha preso la sua vita.
C’è Nathan che è il suo passato, il suo primo grande amore. Il custode di quel cuore che poi la proprietaria si è ripresa con la forza.
C’è Rhys, che non è perfetto e lei mai si sarebbe vista con un tipo simile, ma qualcosa tra loro sta succedendo.
E c’è Naive, l’ago di una bilancia troppo delicata, come l’equilibrio che tutti questi personaggi faticano a trovare.
Rhys è l’occasione di Pem per voltare pagina dopo anni, ma cosa succede se il passato, con le fattezze di Nathan, ritorna, anche se non proprio per lei? E se ci fossero nuove responsabilità per qualcuno a complicare il tutto?
Una storia, un grande inganno su come la scelta sbagliata possa essere quella giusta.
Dalla storia:
“«Mi piace il buio» sentenziò Pemberley dopo poco.
«E perché?» lui la trovò strana come affermazione.
«Perché può essere sempre illuminato».”
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Video Trailer di Ti ruberò il cuore


Nella puntata precedente: Rhys si era presentato a casa di Pemberley di sorpresa con Austin, un ragazzino taciturno e spaventato. Il nostro protagonista racconta a Pem che questo bambino è il fratellastro, unico parente rimastogli dopo che il padre è morto. Il suo viaggio in Russia era dovuto a questo. Rhys è ormai il tutore legale di Austin, anche contro la sua volontà.
Si presenta da Pemberley per chiederle una mano, dato che lei di bambini se ne intende. Lei vorrebbe odiarlo e dirgli di cavarsela da solo, ma è felice che Rhys sia corso da lei non appena ne ha avuto bisogno e, intenerita dalla storia del povero bambino, accetta di aiutarlo, non senza piazzare una morale all’uomo di ghiaccio.
La sera successiva Pem è invitata a cenare nella nuova casa di Nathan, dove Naive ha una stanza tutta per sé. È trano per le donne di Nathan trovarsi lì, abituate com’erano a incontrarlo in ristoranti e per poco tempo. Dopo un siparietto famigliare attorno alla tavola e alla cena, è il turno di Nate e Naive di rimanere da soli e conoscersi un po’, anche tramite il passato.


Capitolo 8

Conflitti d'interesse

All’inizio l’aveva ritenuto orribile, ora che il momento era passato era riuscito a metabolizzarlo e a ridurlo a quello che era: la sua prima esperienza come figura genitoriale.
Il giorno dopo essere stato da Pemberley, Rhys si era informato per iscrivere Austin presso una scuola media privata davvero esclusiva, ma prima aveva rivolto la parola al fratello per capire quanto conoscesse l’inglese; non voleva che facesse fare brutta figura agli Hewitt, rischiando di diventare lo zimbello della classe a causa delle sue lacune. Aveva constatato che Austin aveva un pronuncia fortemente contaminata dal russo e dalla sua cadenza rigida, ma conosceva bene la lingua inglese. Dopo molte reticenze  il bambino aveva confidato al fratello maggiore che, nonostante nella vita il russo fosse la sua lingua madre, a casa, con loro papà, parlava inglese; anche se – e gli costò precisarlo – non amava molto aprirsi con Mitchell perché gli faceva paura, non che lui ci tenesse a parlare con il figlio.
Davanti a una simile dichiarazione Rhys si fermò a guardarlo e per la prima volta riuscì a provare pena per quel bambino che così presto aveva perso tutto senza nemmeno possederlo davvero, ritrovandocisi un po’, perché non solo Austin gli assomigliava in maniera quasi paurosa – specialmente se si paragonava a quando aveva la stessa età – ma soprattutto perché anche lui aveva sempre provato soggezione e timore nei confronti del padre. Si domandò perché, data la sua protratta freddezza, si fosse ostinato a mettere al mondo figli da spaventare e non da amare, chiedendosi infine perché Mitchell avesse riservato lo stesso infausto destino a lui, che non sapeva amare altri che se stesso, e lo faceva pure male.
Dunque si era deciso a portare Austin, dopo aver dato la precedenza al proprio lavoro – così pieno di variabili ma sempre più gestibile della sua vita privata – in un negozio di giocattoli nel centro di Manhattan. Voleva che il fratello scegliesse qualcosa con cui distrarsi, in modo da non ricorrere a lui per ogni cosa.
«Puoi scegliere tre giochi a tuo piacimento da comprare». Gli aveva detto con tono austero che doveva coprire il panico che lo pervadeva.
Suo padre non gli avrebbe mai permesso di comprare così tanti giocattoli in una volta sola senza alcun merito, e la scelta lo fece sentire uno smidollato. Poi una rabbia cieca si impossessò di lui. Rhys non voleva essere come il padre. Non riusciva a vedere con affetto Austin, nemmeno con interesse, per lui era quell’impiccio capitato tra capo e collo di cui, però, non poteva liberarsi; forse non si sarebbe curato di lui come un genitore avrebbe fatto, e nemmeno come di una persona a lui cara, ma una cosa era certa: non si sarebbe comportato come Mitchell.
E mentre Austin sceglieva un castello magico da costruire con dei mattoncini colorati e una consolle da collegare allo schermo al plasma, Rhys giunse alla conclusione che non l’avrebbe viziato, non era nella sua indole, ma avrebbe colmato la loro distanza riempiendo la sua vita con interessi ed esperienza, cosa che Mitchell non si era premurato di fare, forse nemmeno di immaginare.
Guardò gli occhi commossi di Austin mentre fissava le sue scelte in coda alla cassa, e qualcosa gli stava dicendo che il fratello poteva essere il bambino che lui non era mai stato prima di diventare l’uomo che lui stesso era divenuto.
«Grazie mille» sussurrò il ragazzino una volta fuori dal negozio.
Si vedeva che voleva aggiungere altro per dimostrare quanto fosse riconoscente per quei regali, oggetti che pensava potessero avvicinarli al posto di allontanarli, ma il gene che li accomunava era forte e non aggiunse altre parole, perché era di famiglia non parlare a vanvera.
«Cosa c’è? Sei triste?»  Rhys era deluso, si aspettava da Austin la stessa felicità che vedeva dipinta sul volto di ogni bambino che usciva dal negozio di giocattoli, ma per lui non era così. La poca soddisfazione negli occhi del fratello lo insultava nel profondo, era come sbagliare una partnership a lavoro. «Non ti piacciono?»
«No! Sono bellissimi, davvero!». Si affrettò a rispondere il bambino, impaurito per essere stato scoperto in fallo «Solo che…»
«Cosa?»
Austin abbassò le spalle, arreso all’insistenza del fratello. «Vorrei leggere al momento. Ho in mente una saga su un mago, la stessa storia del castello che ho scelto» e indicò il sacchetto che reggeva tra le dita. «O altri libri… Sai, gli dei greci nell’epoca moderna. L’olimpo sull’Empire state building. Mi piace la magia, e nei libri ce n’è un sacco». Fu una rivelazione che gli costò, ma lo alleggerì al contempo, era da troppo che desiderava dedicarsi a certi libri.
«La magia? È stupida, non esiste!» come poteva piacere la magia? Era una cosa totalmente senza senso ai suoi occhi così pratici. Non riusciva a credere che potesse davvero interessarsi a cose simili.
«Anche papà diceva così, ecco perché non mi ha mai preso determinati libri».
Lui non era Mitchell. Rimembrava la sua infanzia colma di solitudine e poca fantasia con cui riempire quel vuoto, perché l’avevano istruito a dedicarsi a cose ben più materiali dei sogni. Ricordare quei momenti gli dava fastidio, immaginarsi piccolo e inadeguato lo faceva sentire a disagio, come se potesse ancora essere in torto allo stesso modo di quando era bambino e innocente. No, non gli era mai piaciuto.
Ma perché seguire le orme del padre e negare a un intelletto comunque sveglio e attivo come quello di Austin di svilupparsi e negargli un periodo sì difficile ma a cui lui si era adattato bene come l’infanzia?
Non riuscì a trovare le giuste motivazioni davanti a quella domanda, se non che i libri per ragazzi erano un buon modo per un bambino di undici anni di approcciarsi alla lettura. Insomma: oggi Percy Jackson e domani il Finacial Times.
«Austin, oggi è il tuo giorno fortunato. Andiamo in libreria prima che me ne penta».
Sconfitto, sbuffò e lo condusse verso il primo negozio utile.
Rhys non credeva nella magia, era un concetto troppo astruso e poco concreto per i suoi gusti, ma la scintilla che animò gli occhi di Austin era un qualcosa che aveva messo a dura prova il suo credo di sempre, perché aveva qualcosa di soprannaturale quella felicità. Forse perché lui una soddisfazione simile non l’aveva mai provata.
Non riusciva a capire se Austin fosse stato fortunato nella sua disgrazia. Era uscito con entrambe le saghe nei sacchetti, e a chi comprava il cofanetto della storia del mago veniva regalata una bacchetta magica. Era uscito dal negozio in uno stato di completa felicità, tanto che faticò a parlare al ritorno. Sulla limousine era stato intento a sfogliare le pagine dei vari libri, sgranando gli occhi davanti a determinate parole lette per sbaglio.
Ripensarci in quell’istante, ora che l’aveva davanti mentre, da solo, costruiva il castello con i mattoncini colorati cercando di spostarli a suon di incantesimi e movimenti di bacchetta, Rhys non poteva credere di aver fatto davvero una simile esperienza ed essere sopravvissuto.
Ed era solo l’inizio, perché ormai l’aveva capito.
Era strano per lui essere appoggiato allo stipite del salotto e fissare un ciuffo biondo appartenente a un bambino che si agitava in quell’ambiente così ordinato e freddo fino al giorno prima. Nel suo caos quei movimenti erano quasi rilassanti.
Nel vederlo Austin si bloccò. Lasciò il braccio sospeso a metà e gli riservò l’ombra di un timido sorriso. «Ciao»
«Ciao. Tutto bene?» era noto che cercare un dialogo era un buon metodo per creare determinati rapporti, soprattutto tra parenti; aveva così deciso di provarci e vedere come andava.
Il bambino serrò le labbra, spaventato e concentrato. Avrebbe dovuto dirgli che i compagni, quella mattina, l’avevano preso in giro per il suo strano modo di parlare e quindi aveva deciso di rimanere in silenzio e intervenire solo lo stretto necessario? Forse no, dato che dopo Ester e Luke si erano avvicinati e avevano iniziato a fare amicizia, anche se lui pensava alla scuola di magia da costruire che lo aspettava a casa.
«Sì, grazie. Tu pensi di tornare sempre così tardi?» e, dopo aver posto quella domanda, tornò a comporre le mura con i mattoncini grigi. Era stata un’impertinenza ma, preda del gioco, non se ne era accorto.
Rhys scostò il polsino della camicia per controllare l’ora, erano le sette meno dieci, per lui era fin troppo presto per rincasare. Era abituato ad avere cene di lavoro con i rispettivi clienti la sera, non a tornare a casa e ad aspettare che la domestica preparasse la cena quando prima aveva badato ad Austin. Per fortuna aveva concordato con Josie di aumentare le ore e farle svolgere anche il ruolo di baby-sitter.
Jospehine, di origini francesi, era al servizio della famiglia da trent’anni circa. Aveva marito e figli, ma erano tutti più che indipendenti e potevano cavarsela senza di lei, al contrario di Rhys.
«Non è tardi. Comunque sì, di solito è l’orario in cui rientro dopo lavoro».
Austin sorrise, almeno sapeva che dalle sei e mezza poteva aspettare una persona con trepidazione, l’unica persona che gli era rimasta e che voleva sforzarsi di non vedere più come un’estranea.
«Vuoi costruire con me il castello magico?» gli occhi chiari ancora tradivano l’emozione che quelli del fratello maggiore avevano imparato a tacere, sommersi da bocconi amari digeriti con dignità anche nell’età più tenera.
Rhys rimase colpito da quella domanda. Aveva comprato i giochi e i libri affinché Austin fosse occupato con le proprie faccende da lasciare lui in pace, invece il bambino aveva trovato il modo di coinvolgerlo e cercare un contatto. L’odio verso il padre e quel fratellastro che tanto lo legava a lui si riaccese con facilità, perché ricordava sempre quanto fosse costretto a subire le volontà di colui che non si era mai curato del suo primo figlio e perché non era pronto per assumersi un tale fardello.
«No» rispose glaciale come solo Rhys sapeva fare, senza sfoderare la sua solita affettata cortesia che di norma lo spingeva a ringraziare per l’invito.
Poi, vedere lo sguardo rotto da quella sillaba, gli fece sentire il sapore di fiele tra le labbra. Il gusto della sconfitta davanti a due occhi che avevano perso un po’ della loro magia e felicità. Perché Austin non sapeva nascondere le proprie emozioni e nemmeno la delusione dietro l’azzurro così simile a quello del fratello, tanto che quella tristezza raggiunse anche il cuore infreddolito di quest’ultimo.
Era lui la fonte di quello sconforto, lui e il suo non dialogo, il suo no scortese e asettico; probabilmente, il suo essere così crudelmente simile al padre che condividevano ma che non avevano mai conosciuto davvero.
Si sentì in dovere di rettificare, così iniziò a schiarirsi la voce per scacciare il tono incerto chiuso dal nodo alla gola.
«Dobbiamo cenare tra poco. Magari dopo aver mangiato».
Non era da lui mentire, ligio al dovere e alla correttezza com’era, ma sapeva che poi Austin avrebbe trovato altro da fare dopo cena e lui sarebbe stato salvo. L’importante era aver riacceso la speranza in quegli occhi così vivi come lui stesso al tempo non aveva avuto.
Il fratello minore si alzò dal tappeto chiaro del salotto ben più contento, dopo quella risposta, per correre da Josie in cucina e chiederle cosa avrebbe cucinato e se le fosse servita una mano.
Per la prima volta Rhys si sentì indifeso davanti alla carica emotiva di un bambino, perché non c’era libro o gioco che tenesse in confronto all’affetto, una cosa di cui lui aveva sentito parlare come se fosse una leggenda o, al massimo, come un’imposizione di buone maniere.
Perché sapeva di avergli dato tutto, tranne quello di cui aveva bisogno.
 
Il campanello la rese eccitata e felice: il primo ospite sarebbe arrivato di lì a poco, e lei avrebbe dovuto impersonare, senza troppo sforzo, la perfetta padrona di casa.
Era l’undici marzo e dato che non aveva ancora avuto occasione di incontrare Nathan, aveva deciso di organizzare una festicciola di compleanno in suo onore. Aveva invitato, oltre che la figlia e la nipote, anche Silene e Cassidy, perché non conosceva altre persone amiche di Nathan.
Aveva pensato che, essendo senza genitori, sarebbe stato un buon modo per farlo sentire a casa e, perché no, per studiarlo a dovere. Due o tre semplici domande sul suo ritorno non avrebbero ucciso nessuno; forse scatenato la silenziosa ira di Pemberley, cosa a cui era abituata fin dall’adolescenza, dato che la guardava con odio ogni volta che provava a insegnarle le buone maniere o i modi di vivere di persone con un certo tenore di vita.
Felicia si sistemò i capelli e lasciò che Olga continuasse a finire di preparare la tavola in modo perfetto, così da permettere che fosse lei stessa ad aprire la porta.
«Silene, cara! Entra, dammi la giacca» era felice di vedere l’amica della figlia, era una persona così a modo ai suoi occhi, pronta a stemperare i modi a volte troppo vivaci di Pemberley. Era l’evidente prova che Felicia si fidava troppo delle prime impressioni.
«Olga non c’è?» il fatto che ad aprirle fosse stata Feelie, come la chiamavano in famiglia, l’aveva sorpresa; di solito non si abbassava mai a svolgere i compiti della cameriera.
«Oh sì, è di là. Siccome è affaccendata a rifinire la tavola e la cena ho pensato di non farla uscire di testa». Ecco perché Silene l’ammirava tanto: era una donna ferma e decisa, forse troppo puntigliosa, ma sotto quello strato di ghiaccio era umana, pure più degli altri; solo che non le piaceva mostrarlo.
«Vieni, accomodati» continuò guidandola verso il salotto per farla accomodare.
«Sono la prima?» Sil doveva aspettarselo. Era lei quella puntuale, tra tutti.
«Sì. Come al solito Pemberley è in ritardo…»
«… Non che Cassidy sia da meno».
Dopo averlo detto si morsicò la lingua, lei non doveva sapere certe cose; conoscere le abitudini di Cassidy come e anche di più di quelle degli altri, era stato un suo difetto. Aveva studiato il suo nemico fin troppo bene, cercando di trovare un punto debole e attaccarlo senza pietà, ma non aveva trovato crepe nel muro costruito dall’assenza di pregiudizi, morale e regole dietro cui lui si era barricato.
Felicia stava per sedersi di fronte alla propria ospite, ma il campanello suonò di nuovo. Come se avesse subìto una scossa, scatto di nuovo in piedi, si scusò con Silene e si diresse alla porta con uno dei sorrisi più compiaciuti di sempre. Adorava quando la casa veniva popolata da ospiti, che fossero cento o solo sette.
Era bello per due anziani avere a che fare con un po’ di vita. Era come se il vuoto lasciato da Pem venisse riempito da questi sprazzi festaioli.
Davanti a Silene comparve Terrence vestito di tutto punto nel suo completo blu coordinato alla cravatta lunga e stretta. Sembrava un vero Sir.
«Buonasera Silene» la salutò cordiale e allegro. Ai suoi occhi era una ragazza seria e posata, era contento che fosse sempre stata al fianco della figlia durante tutti quegli anni. Un’amicizia sana su cui entrambe potevano contare, e Terry sapeva che non c’era altro a cui poter aspirare a riguardo.
«Ti offrirei un sigaro, ma è un passatempo per noi uomini» disse indicando la scatola tra le mani. «Quindi mi limito a farti aspettare ancora un attimo, vado da Olga a dire di portare qualche stuzzichino per l’aperitivo, così diamo il via alla festa e faccio arrabbiare Feelie per non averle lasciato questo privilegio».
Le fece l’occhiolino, la lasciò in compagnia della propria risata, ma non davvero sola, perché la voce di Felicia si faceva sempre più vicina, ed era in compagnia.
«Non sono il primo?» e chi fra tutti poteva essere arrivato?
«No, c’è Silene» rispose Felicia.
«Sempre ad aspettarmi, piccola Luna» esordì così, con quella piccola verità che fece sanguinare il cuore di Sil, troppo colpita sul vivo per muovere la lingua e articolare la cattiveria che risiedeva sulla punta di questa.
Cercò di non dare a vedere lo sgomento momentaneo, facendo violenza su se stessa e la propria lingua.
Felicia, avvertendo la tensione nell’aria, decise di raggiungere Olga per comunicarle decisioni improvvise.
«Veramente stavo aspettando che il karma facesse il suo lavoro e mi portasse il tuo cadavere, ma vedo che non è ancora arrivato il momento. Purtroppo». Aggiunse un sorriso minimo e tirato, giusto per rimarcare il sarcasmo.
Cassidy ignorò la battuta e le baciò una mano, presa contro la sua volontà. Solo dopo aggiunse in un sibilo, guardandola dritta negli occhi in modo da inchiodarla sul posto ed essere sentito solo da lei, nel caso Felicia tornasse da un momento all’altro. «Penso di aver fottuto anche il karma, Sil. Però mi fa piacere vedere che ti urto ancora così tanto, vuol dire che non mi hai dimenticato»
«Dimenticare una ferita è impossibile Cass, sei la cicatrice che vedo sempre e sempre mi ricorda il male che mi hai fatto. Però posso essere la vendetta che non ti aspetti» e, nel dirlo, sorrise arrogante, tanto da spaventare l’interessato cui la smorfia era rivolta.
Feelie tornò in salotto, con un sorriso teso, nella speranza che la vibrazione tra i due fosse cessata.
Il campanello suonò e colse l’occasione per lasciarli soli di nuovo.
«Pem, tesoro! Finalmente!» l’abbracciò cordiale, felice di vederla arrivare in un momento in cui non sapeva gestire i propri ospiti, e odiava simili cose, perché non le capitavano spesso.
«Ciao amore» alla nipote riservò un sorriso e le diede un bacio veloce sulla testa, era sempre bello averla intorno, le dava serenità.
«Scusa mamma, ma ero in ritardo e abbiamo trovato traffico in autostrada»
«Non preoccuparti. Ma se proprio vuoi farti perdonare, separa i tuoi amici, per favore»
«Chi c’è? Nate è già qui?» era preoccupata. Aveva fatto tutto di corsa per non tardare poi molto, non voleva lasciare Nathan nelle grinfie di sua mamma. Non aveva voglia di litigare con lei, non ancora.
Sapeva che quella di Felicia non poteva essere gentilezza fine a se stessa, perché non aveva senso per lei organizzare una festicciola per il compleanno di Nathan. Pemberley la conosceva abbastanza da sapere che voleva rivederlo dopo il suo ritorno in città, dato che lei non aveva creato l’occasione in cui i due si rivedessero. Di sicuro l’avrebbe sottoposto a qualche strana domanda da cui lei avrebbe tratto sempre le conclusioni che più la aggradavano, travisando le vere parole di Nate.
«Pem, tesoro, al festeggiato ho dato un altro orario, in modo che tutti gli invitati fossero già qui. È lui che deve arrivare per ultimo, non i semplici ospiti» e nel dirlo guardò la nipote allontanarsi verso il salotto, contenta che la sua sola presenza potesse sedare gli animi di Silene e Cassidy.
Quella risposta era riuscita a calmarla e a farle riprendere fiato. Nate sarebbe stato così furbo da non farsi incastrare da delle domande sagaci e di sicuro non si sarebbe fermato oltre il dovuto, conosceva Felicia e avrebbe fatto ogni cosa pur di evitare un dialogo approfondito con lei.
«Zio, cosa hai regalato a papà?» era entrata in salotto quasi correndo, con la domanda che le era sfuggita dalla labbra dalla troppa felicità: era strano ritrovarsi con i nonni, entrambi i genitori, lo zio e la cosa più vicino a una zia che avesse, sotto lo stesso tetto.
«Niente scricciolo, ha già tutto. L’unica cosa che non posso regalargli è una donna: quella se la deve cercare da solo!» disse alla nipote accarezzandole una guancia.
«Ti sembrano cose da dire a una bambina?!» lo ammonì Silene, tirandola piano verso di sé e lasciandole un bacio sulla guancia tra le risate divertite di Naive. «Sei veramente un pessimo esempio»
«Sil, sei bellissima stasera» le aveva detto la figlia dell’amica, ammirandola apertamente come faceva ogni volta. Stimava la ragazza con tutta se stessa: da grande avrebbe voluto essere forte come lei.
Felicia stava per seguire i propri ospiti, intrattenuti ormai dal marito e dagli stuzzichini di un ottimo aperitivo, quando il campanello si mise a suonare per l’ultima volta: il festeggiato era arrivato. La festa poteva iniziare.
«Ranocchietta, ragazzi!» esordì Nathan sorpreso: era convinto di ritrovarsi davanti solo la figlia, Pemberley e quelli che considerava come dei suoceri. Trovare suo fratello e Silene pronti per festeggiare con lui era un bel regalo inaspettato.
«Tanti auguri!» Naive, euforica, cinse la vita del padre e gli sorrise come a volergli trasmettere la propria felicità.
«Grazie» le accarezzò la testa, scompigliandole i capelli, poi salutò Terrence, dato che con Feelie aveva già scambiato qualche convenevole appena entrato in casa. «Terry, grazie dell’invito. È da un sacco che non ci vediamo».
Sorrise riconoscente, perché il padre di Pem era sempre stato una persona affabile nei suoi confronti, di sicuro più tenero della moglie.
Terrence, dopo averlo accolto con fare cameratesco, gli assestò una poderosa pacca sulla spalla, allungandogli con l’altra mano un bicchiere di vino. « Tanti auguri Nate. Prendi, questo ti servirà. Te ne serviranno tanti bicchieri quanti gli anni in cui non ci siamo visti. Sai che non scapperai dalle grinfie di Feelie tanto facilmente, vero?»
No, sapeva che sarebbe stata una lunga serata.
Pemberley, dal canto suo, avrebbe fatto di tutto pur di alleggerirgli l’invasiva presenza della madre, tanto che, mentre si diressero a tavola, fermò Cassidy per chiedere aiuto.
«Farai qualsiasi cosa per aiutarmi a distrarre mia mamma da Nate, vero?»
Lui sorrise, enigmatico «Tutto, qualsiasi cosa»
«Promettimelo» non era contenta di quella risposta così ironica.
«Ne sei sicura?»
Pemberley annuì.
«Lo prometto. Ma poi non rinfacciarmelo».
 
La cena era deliziosa. Il primo aveva ammutolito tutti, e nella pausa tra questo e il secondo i commensali si stavano intrattenendo tra loro. Silene stava parlando delle novità dello studio in cui lavorava, perché Terrence veniva da un ambiente simile e gli faceva piacere ascoltare i pettegolezzi di un ufficio somigliante a quello dove lui stesso aveva lavorato. Cassidy stava prendendo in giro Pemberley e Nathan era intento a sistemare il tovagliolo a Naive mentre Felicia osservava tutti compiaciuta.
Pem mise in bocca un pezzo di pane alle noci, il suo preferito, e fu in quel momento che Feelie sentì di poter iniziare a sfoderare il suo personale attacco.
«Nathan, com’è tornare a casa dopo anni in giro per l’America?»
Felicia aveva visto Pemberley irrigidirsi, ma la figlia si stava impegnando per non intromettersi nella discussione, anche se era chiaro che stava ascoltando ogni parola. Aveva davvero paura che lei potesse mettere in imbarazzo Nathan o era solo una scusa per conoscere le risposte di quello che una volta era stato il suo primo amore?
«È bellissimo. È il lavoro che ho sempre rincorso, in più sono vicino a Naive. Ora posso conoscerla e passare del tempo con lei». Nate sorrise, perché sapeva che vertere su Naive l’avrebbe fatto parlare molto, facendogli così sperare di deviarla dal suo vero intento. «Ho un appartamento a Brooklyn, e Naive ha la sua cameretta. Una volta a settimana si ferma a dormire da me, ed è una cosa bellissima».
Felicia era soddisfatta di vederlo così attento alla figlia che avevano messo al mondo per sbaglio; passò il tovagliolo sulle labbra per rimetterlo poi sulle ginocchia, accostò gli avambracci al bordo del tavolo e, con il sorriso più famigliare possibile si rivolse di nuovo a Nate «Oh, certo, non ho dubbi. Inoltre sei anche vicino a Pemberley…»
Sapeva che sarebbe arrivato quel momento. Felicia era una cacciatrice: studiava la preda fino a chiuderla in un angolo, la attaccava solo quando sembrava che il pericolo fosse passato, senza lasciare possibilità di fuga.
E lui, in quel momento, era così: senza via d’uscita.
«Certo, anche Pemberley. È la madre di mia figlia, non posso certo dimenticarla…»
«Direi di no» rispose sempre più soddisfatta Felicia.
«Mamma» la interruppe Pem sempre più preoccupata «Sai che Cassidy è un bisessuale molto libertino?! Hai presente Joshua, il mio amico orientale della caffetteria? Beh, ecco, al momento esce con lui, però tenta da una vita di infilarsi negli slip di Silene».
Sperava di aver fatto abbastanza per distrarre la madre dal suo vero intento. Di sicuro era riuscita a catturare l’attenzione dell’intera tavola. Tutti erano ammutoliti davanti a quella dichiarazione e, con un sospiro di sollievo, si accorse che Nate aveva tappato in tempo le orecchie di Naive, che li guardava interessata e smarrita senza capire cosa fosse successo.
«Oddio la bambina!» urlò Felicia sconvolta «Pemberley!» la redarguì dopo aver constatato che Nathan l’aveva estraniata dal contesto. «Bisex? Ma cosa stai dicendo?»
Era troppo per lei, non ci stava capendo nulla.
«Tesoro, vai a fare un giro in cucina…» intervenne deciso Nate sulla figlia.
«Ma papà…»
«Ho detto di andare. Torna tra poco» non era stato cattivo, ma fermo e sicuro nell’allontanarla da quella situazione tesa e surreale. Non erano discorsi adatti per una bambina.
«Ok. Odio essere piccola, mi perdo tutto il divertimento». Si alzò dal tavolo con il broncio e tutti la fissarono. I bambini avevano uno strano concetto di divertimento, davanti a parenti sull’orlo di una crisi di nervi.
«Pem, sei pazza a dire le cose così?». I due fratelli le si rivolsero nello stesso momento e tono.
«Bisessuale? Ci puoi spiegare meglio la cosa?!» Terrence, con il suo solito aplomb pacifico, aveva appoggiato un gomito sul tavolo e posato la guancia sul pugno chiuso, in attesa di delucidazioni.
«E, tengo a precisare, nei miei slip non ci entrerà mai. MAI». Quelle frasi simultanee stavano diventando surreali.
«Davanti ai minori!» continuò scioccata Felicia, concludendo il giro di espressioni senza connessione.
Calò un silenzio assurdo, dove ognuno si guardò in faccia per capire cosa era stato detto.
«Ok, riportiamo l’ordine. Pemberley, sei stata più infantile di tua figlia, mi hai delusa». Prese in mano la situazione la padrona di casa, piena di cose da dire. «Silene, cara, quello che fai con le tue parti intime dovrebbe rimanere tra te e il tuo partner, sono comunque contenta che tu abbia un certo criterio e che tu indossi la biancheria. Visti i giovani d’oggi, è un bel passo avanti» le confidò rassicurata con una mano sul petto. «Nate, ho apprezzato il tuo modo di saper gestire Naive senza essere crudele. Ho gradito anche come hai rimproverato quella sciagurata di mia figlia» e nel dirlo gli aveva messo una mano sul braccio, grata.
«Cassidy, ma sei davvero bisessuale?»
Ecco il vero punto della questione.
Pemberley sorrise trionfante sotto lo sguardo truce dell’amico, era riuscita a distrarre la madre a dovere.
Finì di bere il vino e rispose amabile e ammaliatore come solo lui sapeva essere: «Perché prendere i difetti di uno, quando posso avere i pregi di entrambi?!»
«Coinciso, chiaro. In due righe hai sintetizzato i benefici della tua scelta. Bravo ragazzo, mi piaci» Terry era soddisfatto della risposta.
«La finiamo qui?» Felicia era sfiancata da quella conversazione.
Annuirono tutti.
«Richiamiamo la piccola e facciamo portare il secondo, è meglio».
«Vado io» si offrì Nathan. Un buon modo per non ricordare a Feelie che avrebbe potuto riprendere il discorso dato che la bomba era stata sganciata e il clima si era disteso nuovamente.
«Sicuri che posso tornare?» era strano sentire il tono di Naive piccato, in particolare per Nathan, dato che fino a quel momento l’aveva vissuta nel suo lato migliore, la parte allegra e sempre sorridente. Il tono recriminatorio strideva con gli occhi brillanti e le fossette ai lati delle guance.
Ognuno annuì a modo proprio mentre Naive riprendeva il suo posto a tavola, accomodandosi il tovagliolo sulle ginocchia come solo una persona educata poteva fare.
Olga nel frattempo aveva portato il secondo ancora caldo, riempiendo i piatti di ogni commensale e ravvivando l’acquolina in bocca di ogni persona al tavolo.
Nonostante si fossero dedicati all’arrosto, il silenzio che regnava era teso e imbarazzante.
«Quindi esci con Joshua?» cominciò Felicia, interessata e cauta.
Non si capiva se fosse davvero affascinata dal discorso o volesse riempire l’assenza troppo assordante calata tra di loro.
«Sì, da un po’. Però ci esce anche Silene» e la indicò con il coltello mentre parlava con la bocca mezza piena.
«Dio mio ragazzi» posò la forchetta sul piatto, indignata «Ma dove avete lasciato la morale?»
«Su un dondolo il primo anno di università, insieme alla mia dignità» fu la risposta pronta di Silene, all’apparenza calma e padrona di se stessa ma con una scintilla cupa d’ira ad adombrarle lo sguardo chiaro, una frazione infinitesimale che solo chi la conosceva davvero poteva aver notato con un certo timore.
Cassidy si schiarì la gola, in difficoltà, riprendendo in mano la situazione per non occorrere in altri errori.
O per salvare Nathan dalle grinfie di Felicia.
E un sorriso di vendetta si allargò sul suo volto.
«Pem, tu che ci dici? Esci ancora con quel Ryan?»
Era ufficiale: mai più, a una cena, avrebbe osato masticare alcun boccone. Non era cibo quello, ma il modo più semplice per dare spazio agli altri di colpirla.
Cercò di deglutire a fatica, notando come gli altri fossero avidi di quella risposta. Nathan era sorpreso tanto quanto i genitori, dato che non si aspettava che lo vedesse ancora. Silene era stupita dalla rivelazione, mentre Cassidy sorrideva soddisfatto di averle tornato il favore di prima.
«Rhys zio, non Ryan! Oh diglielo mamma quanto è bello»
«Lo stesso Rhys che ho conosciuto io quella sera?!» intervenne senza dare modo a Pemberley di rispondere o intervenire. Dire che era stupito era minimizzare la cosa.
Non sapeva perché, ma era stato sicuro che dopo quell’incontro finito male non si fossero più visti. Pemberley non gliene aveva mai più parlato, quindi aveva dato per scontato che non fosse stato importante.
Ma perché avrebbe dovuto parlarne a lui, dopotutto?
E lo disturbava il fatto che Naive non solo lo sapesse, ma stravedesse per quel tizio dall’aria arcigna e strafottente; lo si notava dal tono entusiastico della bambina nel parlare di lui.
Aveva conquistato entrambe le sue donne senza nemmeno chiedergli il permesso; e se su Pem non aveva diritto, riguardo a Naive non poteva proprio accettarlo.
Era lui il padre. Un padre che stava iniziando ora a conoscere la figlia, una bambina che poteva confondersi facilmente davanti a un’altra figura maschile di dubbia origine. Come si era permessa Pemberley di portare quel tipo nella vita di Naive con una tale leggerezza?
Dopo così poco tempo non si poteva certo definire la durata e l’importanza di un rapporto; d’altro canto anche loro due ai tempi sembravano destinati a stare insieme per sempre, invece al momento erano poco più di due conoscenti accomunati soltanto da una figlia.
Forse, a ferirlo davvero, non era stato tanto l’essere considerato per ultimo e come la parte meno importante della faccenda, quanto il fatto che Pemberley fosse riuscita per la prima volta a costruirsi una relazione normale, che andasse oltre il rapporto fisico, con una persona che non fosse Nathan, quando lui, che di letti ne aveva fatti passare diversi, ancora non aveva pensato alla reale opportunità di legarsi a qualcuna.
Perso nei suoi pensieri non aveva quasi badato al timido e colpevole annuire della sua ex ragazza, ormai vittima dell’interrogatorio della madre.
«Pemberley, tesoro, tu trovi qualcuno disposto a sopportarti di nuovo e non dici nulla ai tuoi genitori? Minimo dovremmo mettere un annuncio sulla sesta pagina del New York Times» Terrence era riuscito a infilarsi tra una frase stupita e l’altra della moglie, riportando alto il livello di ilarità attorno al tavolo.
«E com’è? Racconta» Felicia era ormai curiosa di conoscere il ragazzo. Voleva sapere di più dell’uomo che si era intromesso tra i suoi piani che, alla fine, vedevano riuniti i genitori della nipote.
Ma Pemberley non sapeva da dove iniziare. Avrebbe dovuto dire di essere stata scaricata per poi essere ripresa come un semplice supporto, ma non era pronta ad ammettere così tanto con la propria famiglia, men che meno ad aprirsi su Rhys in quel modo, la vede come una parte troppo intima di lei, che lei stessa non riusciva ancora a capire.
Quel suo risistemare le idee le costò parecchio, perché a prendere parola fu di nuovo Naive, che in quella conversazione si sentiva coinvolta, dato che Rhys gli aveva portato il suo nuovo amico di giochi e dispetti Austin.
«Nonna, è così bello!» e si mise una mano sulla guancia, quasi a voler trattenere l’emozione. «È altissimo, biondo, con gli occhi celesti. Sembra un principe!»
«E trasuda soldi da ogni indumento che indossa» continuò Nate scocciato, bevendo tutto il vino rosso nel calice che aveva riempito in attesa dell’arrosto.
«E, se non erro, è a capo di una grande società qui a New York» concluse Cassidy soddisfatto dell’attenzione sollevata. D’altronde era stata Pemberley a chiedere il suo aiuto nel tentativo di evitare che sua madre non facesse un terzo grado a Nathan, no?
Lei avrebbe voluto dire qualcosa, ma gli altri avevano detto tutto al posto suo, anche più del dovuto.
«Sembra interessante» disse Felicia dopo aver inumidito le labbra con un po’ d’acqua. «Mi ha fatto tornare alla mente Rhys Hewitt, l’unico con lo stesso nome di mia conoscenza. Curioso come lo ricordi anche nella sua descrizione» lo aggiunse sovrappensiero, immaginando  che un tipo simile per la figlia non sarebbe stato poi così male.
La figlia in questione, colta in fallo, non aveva avuto il coraggio di alzare la testa per incrociare lo sguardo distratto della madre che, non appena l’avrebbe guardata avrebbe capito tutto. Un conto era omettere certi dettagli – come, per esempio, il ritorno di Nathan – un altro era mentire sapendo di farlo, e non era da lei.
Eppure lo sguardo della madre non tardò ad arrivare, attratta da quel prolungato silenzio; la studiò a fondo, facendole sollevare gli occhi a furia di guardarla e incrociò infine uno sguardo colpevole e delle labbra morsicate dal rimorso.
«Rhys Hewitt?». Appoggiò di nuovo le posate ai bordi del piatto, sempre più esasperata. «Buon Dio, questa cena si sta rivelando tutto, tranne una celebrazione»
«Bel colpo ragazza!» suo padre sollevò un po’ il pugno in un gesto trionfante, approvando il soggetto cui si faceva riferimento.
Felicia, per la prima volta in vita sua, era rimasta senza parole.
Si aspettava che sua figlia prima o poi avrebbe trovato qualcuno diverso da Nathan con cui provare a costruire qualcosa, un uomo contro cui lei avrebbe combattuto con tutte le forze e i mezzi, per aprirle gli occhi al momento opportuno e indirizzarla sulla giusta via. D’altronde era una stratega e non l’aveva mai nascosto a nessuno.
Ma era difficile combattere contro Rhys Hewitt, lo stesso tipo d’uomo che, se non ci fosse stato Nathan nella vita di Pemberley, avrebbe desiderato per la figlia.
Di ottima famiglia, con un’ancora migliore posizione sociale ed economica, bello e acculturato, Felicia non avrebbe chiesto di meglio per lei; ecco perché quando aveva scoperto la gravidanza l’aveva presa male, sapeva che si sarebbe preclusa il meglio, dovendo sempre far riferimento anche al passato con Nathan.
Eppure sembrava che in quel momento le preghiere di una madre preoccupata fossero state esaudite.
Una situazione simile era troppo per lei, e ben più grande. Era arrivato il momento di deporre le armi, almeno per un breve periodo.
«Bene, sai come di solito la penso a riguardo Pem. Questa volta c’è inoltre un conflitto di interessi notevole per me, quindi voglio rimanerne fuori. Mi auguro solo che non influisca sulla Lost Children» concluse più severa di quel che avrebbe voluto essere.
«Tranquilla mamma, non influenzerà sull’associazione. Per il resto non preoccuparti: sono sempre stata dell’idea che la mia vita sentimentale non fosse affar tuo». Non voleva essere cattiva, ma odiava che sua madre le desse la concessione di frequentare Rhys piuttosto che un altro. Aveva smesso di decidere per lei da molto tempo, dato che si era fatta mettere incinta senza il suo consenso. La società, in quella sottospecie di rapporto che intratteneva con Rhys, non c’entrava proprio nulla.
«Facciamo portare il dolce, sarà meglio arrivare alla fine di questa cena, prima che mi venga un infarto».
«O la rabbia» sussurrò Pemberley tra sé, senza essere sentita da nessuno ma fissando Cassidy con ostilità.
«Te l’avevo preannunciato: non rinfacciarmelo. Io ti ho dato solo il mio aiuto» furono le parole bisbigliate che lui le rivolse quando fece finta di raccogliere il tovagliolo caduto a terra.
Mai più avrebbe chiesto aiuto a terze persone, avrebbe fatto tutto da sola.
 
Era surreale il pensiero che a dividerli ci fosse solo una parete, e che Rhys stesse controllando i bambini. O forse a sorprenderla era il fatto che quasi due settimane prima lui l’avesse baciata e non avesse ancora smesso.
Era diventata una dolce quanto inaspettata regolarità. Non erano più i baci affamati delle prime volte, quelli che dovevano dimostrarle che la voleva ma a comandare era lui. Erano baci di una persona stanca e spaventata, conditi da una tenerezza che nemmeno Rhys sapeva di avere. Arrivavano sempre nei momenti più inaspettati, quando, ad esempio, i bambini correvano in un’altra stanza o andavano davanti a un’altra ricostruzione di dinosauro al museo di scienze naturali; erano le brecce nel muro di una persona all’apparenza rigida, che rivelava con piccoli gesti quanto si sentisse fragile in realtà, e Pemberley adorava queste debolezze per più motivi. Constatare che anche lui era umano e sbagliava tanto quanto lei la tranquillizzava, e adorava il fatto che, inconsciamente, quel ragazzo sempre così freddo si stesse aprendo nei suoi confronti.
Si era stesa sul letto esausta: quel sabato sera Austin e Naive erano stati instancabili. Avevano giocato con qualche gioco in scatola, poi al gioco dei mimi e, non ancora senza forze, Rhys e Pemberley li avevano rilegati in camera della piccola per vedere qualche film per ragazzi, Austin voleva vederne uno tratto dai libri che si era fatto comprare settimane prima.
Nel frattempo lei aveva iniziato a riordinare la tavola ancora apparecchiata mentre Rhys, in imbarazzo per quella quotidianità a lui mancata da sempre, la osservava stranito senza saper dove mettere le mani.
Si era seduto su una sedia e l’aveva osservata finché lei non aveva ripulito tutto, facendole strane domande riguardo l’economia domestica che l’avevano fatta ridere di cuore.
Avevano guardato un film nel buio del salotto, un misto tra baci e commenti senza senso di Rhys, che non era abituato a uno schermo così piccolo.
«Meglio controllare i ragazzi, non li sento da un po’» aveva detto lei dopo i titoli di coda, alzandosi e stiracchiandosi stanca.
«Vado io, tu sei stanca» le aveva detto, come se per lui la cosa non fosse stata valida.
Si era offerto perché ormai era diventato il suo mantra fare l’esatto opposto di quello che Mitchell avrebbe fatto al suo posto. Era stata una forzatura, come ogni contatto con Austin, ma sperava che, prima o poi, sarebbe divenuta per lui una cosa normale.
Pem era finita così distesa sul proprio letto, in attesa di ricevere notizie dei piccoli.
Rhys apparve poco dopo, sfinito dopo la giornata al planetario e al parco. Al posto di parlarle dalla porta come faceva di solito, si buttò accanto a Pem sul letto, sul lato sinistro, lasciato libero come se dovesse essere occupato da qualcuno, ma in realtà doveva solo essere l’abitudine. Anche lui, d’altronde, odiava occupare il centro del letto: era come levare a esso l’equilibrio che le due parti, delimitate dai cuscini, avevano.
Uno sbuffo afflitto gli uscì dalle labbra.
«Tutto ok?» Pem continuava a fissare il soffitto, incantata e impossibilitata a spostare lo sguardo, anche se avrebbe voluto osservare i tratti gentili ma decisi di Rhys nella semioscurità della sera. C’era una bella luna a illuminare un po’ la stanza, quel chiarore pallido che rendeva tutto più calmo e surreale.
Annuì.
«Sono profondamente addormentati. Un po’ mi dispiace svegliare Austin per tornare a casa, ma è meglio che vada, dato che anche io sono stanco e devo affrontare la strada del ritorno» sospirò, doveva solo trovare la forza per alzarsi e arrivare fino all’auto. E percorre le cinquanta e più miglia che li separavano da Manhattan.
«Fermati qui. Fermatevi qui» aggiunse subito Pemberley per cercare di non farlo sentire in trappola, sapeva che anche una sola parola sbagliata poteva farlo scappare a una velocità che nemmeno lei avrebbe saputo giudicare, e lei di fughe se ne intendeva.
«Qui?» e indicò il morbido materasso che già stava pretendendo il pedaggio in sogni da un tipo che riposava soltanto come lui.
«Austin sta già dormendo con Naive, tu sei già sdraiato sul letto. Di sicuro è la soluzione più comoda per entrambi. Almeno non rischi di schiantarti quando torni a casa… E io sarei più tranquilla» alzò le spalle in quella finta indifferenza che aveva imparato a utilizzare davanti a lui.
«Sei sicura non ti dispiaccia?» era davvero stanco, ed essere sdraiato e con un paffuto cuscino sotto la testa non aiutava la sua forza di volontà ad avere la meglio. Cosa ne aveva fatto la vita di lui, sempre così pronto a fare ciò che era più giusto?
«No, se no non te l’avrei chiesto»
«Come fai a sopportare tutto questo?» domandò Rhys indicando la camera dei bambini, dopo aver sbadigliato con una mano davanti alla bocca. «È così degradante»
Pemberley sorrise. Era capitato in quella situazione per sbaglio, e non si era ancora abituato. Si percepiva da come ne parlava che la trovava una circostanza a tempo determinato, ma così purtroppo non era. Prima se ne sarebbe convinto, prima avrebbe potuto convivere con tutto quello e far pace con la propria vita.
Sorrise cortese e divertita, quel suo lato così palesemente cieco la interessava sempre, era come parlare con Naive, doveva spiegare tutto da capo. Era strano però farlo con un adulto.
«Non è degradante, ma è faticoso, quello sì. E non smetterà mai di esserlo».
Rhys si mise sul fianco, voltato verso il suo profilo che, nonostante tutta quella fatica millantata nel discorso, non portava i segni degli anni di esperienza a riguardo, ma gli mostrava il volto di una ragazza arruffata e imperfetta che lui aveva imparato ad apprezzare un po’ meno in superficialità dei suoi soliti standard.
Pemberley, convinta da quello sguardo liquido e insistente, aveva fatto lo stesso, rigirandosi in modo da avere il volto davanti a quello di lui. Aveva sistemato il cuscino sotto la testa e aveva preso a fissarlo con la stessa tenacia che Rhys le aveva riservato.
Era stato facile, per lui, allungare una mano e accarezzarle una guancia, nonostante fosse stato impacciato nel gesto. La stanchezza, che gli segnava il contorno degli occhi, giocava brutti scherzi alle sue sinapsi: l’avevano reso più incline a dare ascolto alle emozioni che alle ragioni. E lui aveva condotto una vita sempre guidata dal cervello e mai dal cuore, era ormai convinto di non possederlo nemmeno più.
Eppure, in quel momento così debole ma che lo faceva sentire partecipe del mondo per la prima volta, i loro respiri che si mischiavano e si infrangevano sulle loro pelli erano la cosa più inebriante che potesse succedere nella penombra della stanza. Era inutile tentare di combattere, quando le proprie labbra si erano avvicinate a quelle di lei ancora prima che Rhys potesse elaborare il pensiero di volerlo fare.
Era stato bello essere accolto con un trasporto sincero e sentito, così diverso da quello vorace e vuoto che Addison gli riservava convinta che a lui potesse piacere. Non cercava sentimento in quell’arrivista, ma solo lo sfogo del proprio corpo. Si stava rendendo conto che con Pemberley, invece, era diverso. Percepiva il desiderio di Pem e cercava di accrescerlo con ogni bacio, carezza o gesto.
Era stato bello attirarla con forza verso il proprio corpo, ma ancora migliore era stato il momento in cui lei si era incastrata con il suo, ricoprendolo con una gamba per avvicinare i bacini di entrambi, e i baci si erano fatti meno casti.
Lei aveva iniziato a sfilare il semplice maglione che Rhys indossava, così diverso e morbido dal suo solito completo, una sensazione nuova che lo faceva sentire a disagio nella sua semplicità. L’aveva aiutata sollevando il petto; steso ormai sulla schiena dove l’aveva spostata sopra di sé, per poterla liberare allo stesso modo di quella camicetta che al momento non le serviva affatto.
La voleva da tanto tempo e non si sarebbe fatto sfuggire il momento, non sarebbe intervenuto nessun Nathan a interromperli e non avrebbe permesso a Pemberley di cambiare idea. Dopotutto era pur sempre Rhys Hewitt, e se decideva di avere una donna non poteva fare altrimenti.
Forse doveva solo dimostrare a se stesso di non aver perso tutto il potere e l’autorità che aveva avuto fin da bambino. Facile però esercitare queste doti su una persona consenziente e trasportata quanto lui.
«Non dobbiamo fare rumore» accennò Pemberley tra un respiro affannoso e l’altro, più nuda che vestita, indicando con la testa la camera dove i bambini dormivano, tornando poi a succhiare un labbro dell’uomo.
Rhys si alzò subito a chiudere la porta, come scottato dall’idea di essere interrotto da dei ragazzini che poi avrebbero preteso imbarazzanti spiegazioni. No, meglio stroncare ogni tentativo di rivolta sul nascere e chiudere la porta a chiave, la soluzione più facile per serrare fuori dalla stanza la possibilità di offrire un dialogo serio con Austin.
Pemberley approfittò del momento per togliersi i pantaloni e scostare le coperte sotto cui rifugiarsi subito dopo per paura che quello che aveva da offrirgli non fosse all’altezza delle donne cui lui era abituato.
Rhys abbandonò i pantaloni sul pavimento insieme al proprio intimo recuperando dalla tasca le dovute precauzioni.
Riprese a baciarla con foga, con la paura malcelata che quello che aveva iniziato a provare prima potesse fuggire da un momento all’altro. Le tolse di dosso il lenzuolo e la osservò con la dovuta calma, accarezzando il profilo del suo corpo nudo con l’indice, scendendo a baciare ogni parte che aveva guardato, dichiarando così il suo tacito apprezzamento.
Il tempo era divenuto avido dei loro sospiri, ladro di quell’istinto che li guidava l’uno verso l’altra in un vortice che di secondo in secondo li logorava, facendo perdere loro pezzi di coscienza e lucidità.
Era stato bello per Rhys catturare con la propria bocca i gemiti che a Pemberley non dovevano sfuggire, ma lui riusciva a strapparglieli lo stesso, gli era piaciuto plasmarla al proprio volere, rigirandola come un foglio di carta crespa tra le proprie mani. Non era bello soltanto vedere il controllo che aveva assunto nella situazione, ma constatare quanto lei glielo lasciasse prendere, era stato così inebriante da fargli apprezzare la leggera pressione delle unghie nella schiena quando Pemberley aveva trovato il punto di fusione con qualcosa di più profondo del semplice corpo di Rhys.
Si addormentarono ognuno nel proprio lato del letto dopo un breve bacio sulla guancia, ma con entrambi un accenno di sorriso sulle labbra che non avrebbero saputo spiegare, soprattutto lui.
Forse, il giorno dopo, avrebbe dovuto chiarire ad Austin come mai avevano dormito lì, e forse, per la prima volta, si sentiva in dovere di dargli delle spiegazioni.
Ma quello non era ancora il momento, era l’ora di riposare perché la notte non aspettava nessuno.

 

* * *

Buonasera a tutte. Mi devo scusare, lo so.
So che vi ho detto che non ci sarebbe stata certezza sulla data del prossimo aggiornamento, ma MAI avrei immaginato di lasciar correre più di due mesi. Santo cielo, che vergogna!
Spero solo che questo capitolo vi sia piaciuto, non mi dilungo più di tanto a riguardo.
Posso solo giustificarmi dicendo che le ripetizioni erano diventate un vero e proprio lavoro, lo studio e la pallavolo occupavano il tempo, il resto era preso da una persona che aveva occupato anche i miei pensieri, ma che da poco ha deciso di andarsene da me. Nemmeno a farlo apposta, questo ha permesso la conclusione del capitolo. Era difficile scrivere quando pensavo di essere felice o soddisfatta, molto più facile ora che mi serve ogni cosa per non pensare.
Baideuei, non ho davvero molto da dire a riguardo, perché penso che sia tutto scritto.
L’ultima scena è solo accennata, lo so. Di rosse ne ho scritte in passato, o così ho sempre pensato, ma non penso di esserne assolutamente in grado e, a mio avviso, questa storia non ne ha affatto bisogno.
Vi posso dire che in questi mesi ho scritto una shottina (è piccina, giuro) su una mamma per amica, su Dean in particolare. Qui: Stars Hollow non fa per me.
Ora, per l’estate (inteso come periodo personale di cazzeggio), dopo l’esame di lunedì per dirla tutta, mi dedicherò a una shot che avevo in mente e che ho iscritto a un contest, dato che era troppo adatta.
La sfida più grande è finirla entro il 21, dato che in quella data parto per il mare una settimana.
Alle recensioni inizio a rispondere stasera, o comunque appena possibile.
Ringrazio di cuore le persone che, nonostante gli aggiornamenti biblici, continuano ad aggiungere tric e ad aspettare i capitoli. Grazie davvero!
Se volete saperne di più riguardo il futuro capitolo o la OS in questione o i personaggi delle mie storie in generale questo è il link al gruppo: Love Doses.
A presto (spero), sbaciucchiamenti, Cris.

   
 
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