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Autore: Julia Weasley    07/08/2013    7 recensioni
Seguito di “Eroi non si nasce, si diventa”.
Regulus è morto in circostanze misteriose, lasciando dietro di sé soltanto domande senza risposta. Ma quando una fidanzata che non si dà pace, un vecchio Indicibile in pensione e un elfo domestico che sa molto più di quanto possa sembrare incroceranno per caso le loro strade e uniranno le forze, tutto sarà destinato a cambiare.
Genere: Guerra, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Famiglia Black, Mangiamorte, Nuovo personaggio, Ordine della Fenice, Regulus Black
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'R.A.B.'
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Non può piovere per sempre

Capitolo 59
Lo scontro finale

« Caramelle Mou! La parola d'ordine è questa, lo giuro! »
Lo strillo soffocato del custode risuonò nel corridoio, subito seguito da un gemito quando i due Mangiamorte che lo tenevano fermo lo scaraventarono sul pavimento di pietra.
Lord Voldemort lo fissò con i suoi occhi rossi e serpenteschi.
« Lo spero per te. Vediamo se per una volta ti sei reso utile, Magonò ».
Voltò le spalle a Gazza e ai due Mangiamorte e si rivolse al gargoyle di fronte a lui, pronunciando la parola d'ordine che aveva appena estorto al custode della scuola. Stavolta era quella giusta. Un attimo dopo, il gargoyle iniziò a muoversi, rivelando una scala a chiocciola che saliva in alto e finiva davanti ad una porta di legno massiccio.
« Portatelo via » si limitò a ordinare ai due seguaci. Gazza strillò ancora, spaventato, ma Voldemort lo ignorò. Con passo sicuro e un'espressione trionfante dipinta sul volto, salì la scala ed entrò nell'ufficio del Preside.
Il mormorio che aveva sentito quando aveva aperto la porta davanti a sé si interruppe bruscamente quando i ritratti degli antichi Presidi di Hogwarts si resero conto che ad entrare non era stato Silente. Ci furono alcuni istanti di silenzio assoluto, durante il quale Voldemort si guardò intorno con aria soddisfatta. Poi qualche ritratto più coraggioso degli altri si decise a parlare.
« Questo è l'ufficio di Albus Silente ».
« Non più. La scuola è sotto il mio comando, adesso ».
La sua affermazione non doveva essere una novità per loro, dal momento che le voci tra i ritratti correvano più velocemente che tra le persone in carne e ossa, ma loro tacquero lo stesso, quasi raggelati dallo shock.
Voldemort li ignorò. Aveva ben altro a cui pensare. Anche se il Diadema di Corvonero adesso era ben sorvegliato e al sicuro, non si sentiva affatto tranquillo. Tutti gli altri Horcrux erano stati distrutti. Una rabbia cocente divampò dentro di lui quando quel pensiero tornò a tormentarlo. Erano andati, pezzi della sua anima erano ormai perduti per sempre. Gliene restavano solo due, quello nascosto nel Diadema e quello che aveva sede nel suo corpo. Si sentiva debole e vulnerabile come non era mai stato negli anni precedenti. Aveva dimenticato cosa significasse tornare ad essere quasi mortale, e se lui che aveva comunque una seconda possibilità era tornato a temere la morte, non riusciva proprio a immaginare come potessero vivere tranquille le persone comuni, quelle menti limitate e insignificanti che di vita ne avevano solo una.
Sapeva da chi era partito quel disastro. Non era Silente, stranamente: lui non ci era arrivato né avrebbe potuto farlo. Era stato Regulus Black. Quando aveva letto il messaggio nascosto nel falso medaglione di Serpeverde, all'inizio lo shock e il terrore erano stati troppo devastanti per permettergli di ragionare lucidamente e capire chi si celasse dietro la sigla R.A.B. Ma, una volta tornato in sé, Voldemort aveva capito. Solo il suo inutile elfo domestico aveva visto la caverna e, a quanto pareva, era stato l'unico a uscirne vivo. Il come non gli interessava più di tanto; dopotutto la vita di un elfo era irrilevante. Come avrebbe mai potuto immaginare che per un Black, invece, fosse così importante? Era un elfo domestico, una creatura nata per servire, talmente inferiore che ucciderla non era nemmeno divertente. Ma dopotutto ogni nobile Purosangue aveva una fissazione strana, un capriccio o un lato eccentrico. Non era questo che gli interessava. Ciò che gli faceva ribollire il sangue nelle vene era stato il proprio errore di sottovalutare Black. Lo aveva considerato un moccioso che voleva sentirsi grande e potente ma alla fine si era spaventato ed era fuggito. Invece si trattava di una serpe in seno, un traditore che si era finto stupido e ingenuo, per poi carpire il suo più grande segreto e usarlo per distruggerlo. Ma non ci sarebbe riuscito. Con quel messaggio di sfida che gli aveva lasciato, aveva condannato a morte se stesso e tutte le persone che gli erano vicine.
Ma per il momento Voldemort doveva pensare a se stesso. Non poteva permettere che la sua immortalità, conquistata con tanta fatica, venisse messa a repentaglio da un Purosangue viziato, un ragazzo che aveva sempre avuto tutta la strada spianata e che non aveva bisogno di fare alcuno sforzo per ottenere quel che voleva, solo perché si chiamava Black, e non Riddle. Doveva costruire un nuovo Horcrux, al più presto. E in quel momento aveva davanti l'oggetto che aveva scelto.
Sopra la scrivania che fino a poche ore prima era appartenuta a Silente, appena al muro, c'era la spada dell'ultimo dei quattro fondatori di Hogwarts. Fino a quel momento Voldemort non aveva voluto usarla per trasformarla in un Horcrux: in fondo era di Grifondoro. Ma ora la necessità e il bisogno lo avevano spinto a cambiare idea. Perché no? Era sempre uno dei quattro e quella spada era una delle reliquie più antiche del mondo magico. Senza contare il fatto che usarla per nascondervi un frammento della sua anima avrebbe rappresentato una certa vittoria nei confronti di Grifondoro, l'eterno rivale di Salazar Serpeverde. Chi altri se non l'Erede avrebbe potuto farlo? E in più, quella volta non voleva accontentarsi di uccidere un vagabondo, o il primo che gli fosse capitato davanti. No, per creare quell'ultimo Horcrux, avrebbe ucciso Albus Silente.
Il mormorio di dissenso tra i ritratti tornò a farsi sentire quando Voldemort tese il braccio, pronto ad afferrare la spada.
« Mio Signore! »
Voldemort si voltò di scatto, irritato da quell'interruzione.
« Che cosa vuoi, Codaliscia? » sbottò, rivolto al ragazzo che aveva appena fatto irruzione nell'ufficio, senza alcuna autorizzazione.
Minus era in pessime condizioni. Non aveva trascorso molto tempo ad Azkaban, ma quei pochi giorni erano bastati a farlo sembrare di colpo più vecchio e debole. Il suo volto era pallido e grigiastro, fin troppo smunto per un fisico che era sempre stato in carne come il suo. Solo la costante paura che animava i suoi occhi era ancora intatta, anche se spesso Voldemort vi leggeva anche qualcos'altro, un sentimento che sembrava svuotarlo e farlo diventare ancora più spento e debole. Quando tutti gli altri Mangiamorte erano evasi da Azkaban, Minus non aveva avuto altra scelta che quella di tornare con loro. Voldemort però non si fidava più, dal momento che le sue informazioni non lo avevano aiutato a catturare i Potter, quando ancora credeva nella Profezia. E ora che si era fatto scoprire dall'Ordine della Fenice, non gli era nemmeno più utile come spia. Tuttavia, si era limitato a torturarlo un po', senza ucciderlo. Uno come Minus poteva sempre tornare utile in qualche modo.
« Chiedo scusa, mio Signore » esordì Codaliscia, servile e spaventato come al solito. « Il castello è stato attaccato! Sono entrati di nascosto ma sono stati scoperti... e ora combattono! »
Voldemort s'irrigidì, irritato. Sapeva che quella situazione non sarebbe durata a lungo, ma sperava di poter contare su un po' più di tempo.
« E Silente? Dov'è? »
« Dicono che sia anche lui... ma non riusciamo a trovarlo » rispose Minus, tremante.


La porta della Sala Grande esplose, facendo schizzare frammenti di legno e schegge per tutto l'ingresso e scaraventando Hestia e gli altri con una potente onda d'urto. La ragazza si ritrovò semicoperta da detriti e frammenti. Tossendo a causa della polvere, si rialzò dolorante, mentre vedeva la battaglia imperversare intorno a sé.
« State tutti bene? » chiese, preoccupata.
Sirius e gli altri dell'Ordine della Fenice confermarono, tossendo a loro volta. Poi, tutti insieme, entrarono nella Sala Grande. Non fu difficile sconfiggere i due Mangiamorte rimasti di guardia, dal momento che tutti gli altri erano intenti a combattere nel resto del castello. Gli studenti erano terrorizzati, stretti gli uni agli altri per farsi forza a vicenda.
Quando anche i professori furono liberati dalle corde che li legavano, la McGranitt fu la prima a prendere il controllo della situazione.
« Bisogna far evacuare subito i minorenni! » tuonò.
« C'è un passaggio segreto vicino alle cucine » propose James. « Conduce a Hogsmeade, ed è il più facile da raggiungere ».
« Molto bene, li faremo passare di lì. Tutti gli studenti con meno di diciassette anni si radunino » ordinò la McGranitt. « Noi faremo loro da scudo. Chiunque voglia offrirsi volontario è ben accetto ».
Mentre i professori, l'Ordine della Fenice e gli studenti dell'ultimo anno formavano un cordone protettivo intorno ai ragazzi più giovani, Hestia fu raggiunta da Kingsley.
« Non ti ho vista da nessuna parte. Pensavo che ti avessero uccisa! »
« Non mi hanno mai catturata » spiegò lei mentre James iniziava a fare strada attraverso la sala d'ingresso, con tutti gli altri che lo seguivano a ruota. « Ero nelle cucine » ammise, imbarazzata.
Non appena i Mangiamorte li videro scappare in direzione delle cucine, li attaccarono, e professori e Ordine cercarono di rimandare indietro le loro fatture. Hestia si trovava in coda al gruppo ed era bersagliata da maledizioni letali; nonostante il terrore che provava insieme alla consapevolezza del fatto che ogni suo nuovo respiro poteva essere anche l'ultimo, riuscì a Schiantare e mettere fuori combattimento un paio di Mangiamorte.
Erano quasi arrivati al corridoio, quando accadde qualcosa. Hestia si sentì sbalzare lontano per la seconda volta nel giro di cinque minuti. Atterrò di schiena sul pavimento di pietra e colmo di schegge di vetro, graffiandosi diverse parti del corpo. Rimase senza fiato per alcuni istanti ma si affrettò a rialzarsi non appena delle urla atterrite riecheggiarono per la sala d'ingresso.
Gli studenti minorenni erano stati intrappolati all'interno di una cupola trasparente. Accanto a essi, con in mano la bacchetta che aveva evocato la loro gabbia, c'era Voldemort.
« Arrendetevi » tuonò con la sua voce serpentesca, amplificata magicamente in modo tale da essere udita in tutto il castello. « O loro moriranno tutti ».
Si guardava intorno con gli occhi rossi che lampeggiavano, come eccitato all'idea di avere il controllo completo delle vite di decine di innocenti.
La battaglia si era interrotta di colpo e un silenzio orripilato cadde sulla scuola, interrotto solo dai singhiozzi dei ragazzini tenuti sotto tiro. Alcuni volontari provarono a intervenire, ma furono fermati dai loro stessi alleati. Una ragazza, che era tra coloro che avevano tradito facendo entrare i Mangiamorte a Hogwarts, aveva assunto un colorito bluastro, mentre fissava con terrore uno dei ragazzini che l'Ordine aveva cercato di proteggere. Forse era suo fratello, pensò Hestia, e lei era stata così ingenua da credere ai Mangiamorte che le avevano assicurato che lui non sarebbe stato toccato.
« Non ho intenzione di sacrificare tutte queste vite » continuò Voldemort. « Propongo un compromesso: un duello tra me e Albus Silente. So che è tra voi e so anche che sta cercando di prendere tempo, nella vana speranza di trovare un modo per sconfiggermi, ma così facendo voi morirete uno dietro l'altro, mentre lui continua a tenersi lontano dalla prima linea ».
Hestia si guardò disperatamente intorno, e non era l'unica. Tutti cercavano Silente con lo sguardo, ma non lo videro da nessuna parte. La ragazza colse già alcuni sguardi fugaci di persone che iniziavano a dubitare.
« So che mi puoi sentire, Silente » insisté Voldemort, con un tono di trionfo. « Ti concedo dieci minuti per raggiungermi nel cortile e affrontarmi. Altrimenti i tuoi alleati subiranno le conseguenze della tua codardia ».


Le ultime parole di Voldemort continuavano a risuonargli nella testa, ininterrottamente e senza per questo diventare ogni volta meno dolorose. Albus Silente si trovava nella torre di Astronomia quando il Signore Oscuro gli aveva lanciato la sua sfida, cogliendolo alla sprovvista. Non era ancora pronto per affrontarlo. Nessuno di loro aveva ancora trovato l'Horcrux, né sapevano quanti altri ne restavano, e ora che il loro avversario sapeva cosa stavano cercando, probabilmente aveva spostato i rimanenti, mettendoli ancora più al sicuro, in modo tale da rendere impossibile la loro distruzione.
Albus non aveva idea di che cosa sarebbe successo con esattezza se avesse colpito Voldemort con una maledizione mortale anche se il Diadema di Corvonero era ancora intatto. Sarebbe morto momentaneamente, per riassumere sembianze corporee poco dopo? Oppure non gli avrebbe neanche fatto un graffio? Dopotutto era ancora immortale. Meno di prima, ma lo era.
Aveva già provato una sensazione simile, trentasei anni prima, nei minuti immediatamente precedenti alla sua decisione di affrontare Grindelwald in duello. La situazione era diversa, tuttavia. Gellert non era immune ai suoi incantesimi. Il loro era stato un duello alla pari. Adesso invece Silente non aveva alcuna possibilità di vincere. Per quanto abile fosse, non era un caso se il mago oscuro che fino a quel momento lo aveva sempre temuto era diventato improvvisamente così fiducioso: Voldemort aveva un ultimo, ma essenziale, vantaggio, e sapeva già che sarebbe risultato vittorioso.
Dalle finestre lungo il corridoio che stava percorrendo poteva vedere il cielo notturno, che era coperto dalle nuvole cariche di pioggia, nere e minacciose come non mai. Per la prima volta da anni, Albus Silente si ritrovava senza una strategia. E adesso aveva ben poco da pianificare. Se non avesse accettato la sfida, tante vite innocenti avrebbero pagato per la sua scelta. Si disse che sarebbero morti anche se Voldemort avesse trionfato, ma alcuni avrebbero anche potuto arrendersi e passare dalla sua parte. Per quanto lui lo ritenesse sbagliato, quale diritto aveva di privare tutte quelle persone della possibilità di scegliere se sacrificare o salvare le proprie vite e quelle dei loro cari?
Sapeva di dover accettare, ma ancora non se ne riusciva a fare una ragione. Era assurdo, pensò, mentre stringeva tra le dita sottili il Mantello, l'anello con la Pietra e la Bacchetta. Aveva riunito i tre Doni, diventando il Padrone della Morte, eppure quelli erano gli ultimi minuti della sua vita.
« Sai cosa significa davvero essere Padroni della Morte, Albus? »
La domanda postagli da Grindelwald continuava a tornargli alla mente a intervalli regolari. Ormai sapeva la risposta, dal momento che aveva avuto parecchio tempo per rifletterci, ma questo non voleva dire che intendesse accettarlo. Non era ancora pronto per morire, la sua ora non poteva essere già arrivata, pensava, ogni nuovo passo che diventava sempre più difficile e pesante.
Eppure, in ogni caso il mondo non sarebbe finito con lui. Non era l'unico a sapere degli Horcrux. C'erano anche Regulus, Sirius, i Potter e Rachel. Tutti loro sapevano bene cosa dovevano continuare a fare, anche se il suo aiuto fosse venuto meno. Tutti loro avrebbero continuato a provarci, ne era certo. E quasi tutti loro quella sera si trovavano lì a Hogwarts, intenti a cercare gli Horcrux rimanenti. Forse il suo compito sarebbe stato proprio quello di concedere loro del tempo per cercarli, tenendo occupato Voldemort il più possibile. Ma non era molto ottimista al riguardo. C'erano ancora troppi posti da controllare, e troppo poco tempo. Nemmeno lui sarebbe riuscito a combattere contro un Voldemort immortale in eterno. Eppure continuò a camminare.
« Accetto la sfida » disse infine ad alta voce, mettendo finalmente piede nel cortile di fronte all'ingresso della scuola, dove Voldemort lo stava aspettando, circondato da combattenti di entrambe le fazioni, immobili e tesi come corde di violino.
Silente trovò la forza per mostrare un'espressione serafica, anche se non era sicuro di esserci riuscito.
« Accetto, ma con delle condizioni » ripeté. « Devi permettere agli ostaggi di lasciare la scuola ».
Con sé non aveva nient'altro se non la bacchetta che adesso stava puntando contro Lord Voldemort.
« Sai cosa significa davvero? »
« Accogliere la Morte come una vecchia amica ».
Albus Silente aveva deciso di lasciare la Pietra della Resurrezione e il Mantello dell'Invisibilità sulla torre di Astronomia.


Regulus e Rachel si voltarono di scatto nello stesso momento, pronti ad attaccare il loro aggressore, ma lui fu più veloce e li disarmò, costringendoli ad alzare le mani in segno di resa.
Era stato Severus Piton a sorprenderli alle spalle. Il Mangiamorte li scrutava con la sua solita espressione indecifrabile mentre loro cercavano disperatamente una via di fuga.
« Continuate a tenere le mani in vista » disse infine, per poi fare un cenno in direzione del corridoio dietro l'angolo. « Camminate ».
Loro obbedirono; non avevano alternative, dal momento che le loro bacchette erano in suo possesso.
Mentre Severus li spingeva lungo il corridoio, Regulus valutava le loro prospettive. Li avrebbe portati da Voldemort, non aveva dubbi. Un fremito di paura li percorse da capo a piedi quando pensò al momento in cui il Signore Oscuro avrebbe potuto finalmente vendicarsi di lui, un ragazzino che aveva osato giocarlo.
Si stava sforzando di trovare una soluzione per impossessarsi di nuovo delle bacchette, quando da dietro l'angolo successivo si udirono delle voci concitate. Dovevano essere per forza altri Mangiamorte. Regulus e Rachel si scambiarono un'occhiata sconfortata: avrebbero potuto reagire e avere la meglio contro un solo Mangiamorte, ma adesso ogni loro speranza era diventata vana.
« Entrate in quest'aula, svelti » sibilò Piton, con una certa veemenza.
Senza capire, loro entrarono, e Piton si chiuse la porta alle spalle in fretta e furia. Un attimo dopo, i passi dei Mangiamorte, dopo aver svoltato l'angolo, echeggiarono nel corridoio ma oltrepassarono l'aula senza fermarsi.
Per alcuni istanti Regulus non capì. Perché Piton avrebbe dovuto nasconderli ai suoi amici e alleati? Voldemort gli aveva ordinato di fare qualcosa che gli altri non dovevano sapere? Poi si rese conto che il ragazzo teneva le bacchette tese verso di loro, non per attaccarli, ma per restituirle.
« Sei tu l'informatore di Silente? » chiese Regulus infine, colto da una rivelazione improvvisa, mentre si rimpossessava della propria bacchetta.
Lui non rispose in modo esplicito, ma fu evidente a entrambi che Regulus avesse detto il vero.
« Avresti potuto dircelo subito, invece di aggredirci » commentò Rachel, perplessa e non proprio convinta.
« Perché, mi avresti creduto? » le chiese Severus, scettico.
« No » ammise lei senza mezzi termini.
« Appunto ».
Regulus intercettò lo sguardo della ragazza. Sembrava volergli chiedere se fosse il caso di fidarsi, ma quella era una domanda alla quale lui non sapeva rispondere. Si chiese per quale motivo Severus avesse deciso di tradire Voldemort a sua volta. Piton era sempre stato il più attratto dalle Arti Oscure, molto più di lui, che era diventato un Mangiamorte nella convinzione di poter fare qualcosa che all'epoca riteneva giusta. Ma Severus non aveva mai dato segni di cedimento. Forse era stato più abile di lui a nascondere i propri pensieri, ma Regulus ricordava bene anche il loro precedente incontro: quella notte Piton gli era parso tutt'altro che restio a continuare a collaborare con Voldemort. Ma chissà cosa poteva essere successo mentre lui era latitante... Del resto il Signore Oscuro non aveva scrupoli nemmeno nei confronti dei suoi alleati.
« Come siete arrivati qui? » chiese Severus, interrompendo bruscamente le sue riflessioni.
« Con una Passaporta. Prima eravamo al Ministero della Magia » rispose Regulus che, per qualche strana ragione, aveva inconsciamente deciso di fidarsi.
Piton aggrottò la fronte.
« Com'è la situazione al Ministero? »
« Stanno combattendo ancora. Ci sono state perdite da entrambe le parti, ma per lo meno Rodolphus Lestrange è morto » rispose Regulus, e il tono che usò non nascose affatto la soddisfazione vendicativa che aveva provato poco prima, quando lo aveva visto ormai senza vita e incapace di nuocere a nessun altro.
« Qui invece che cosa è successo? Hanno ucciso qualcuno? Perché hai permesso che Voldemort conquistasse Hogwarts se eri già dentro e potevi avvertire tutti gli insegnanti prima che succedesse? » chiese Rachel con un tono inquisitorio: evidentemente non si fidava di Piton.
Regulus si guardò intorno per la prima volta da quando erano entrati lì. Una sensazione spiacevole si fece strada in lui quando si rese conto che quella era l'aula di Incantesimi. Non l'aveva mai vista ridotta in quel modo. Il legno dei banchi era stato scheggiato, i cumuli di libri che di solito erano accatastati lungo le pareti ora giacevano per terra in maniera scomposta e disordinata, e il seggiolino sul quale il professor Vitious era solito salire per riuscire a vedere oltre la cattedra era stato scaraventato dall'altra parte dell'aula.
« Una cosa per volta » disse Severus, senza scomporsi. « Silente mi ha ordinato chiaramente di restare nelle grazie di Voi-Sapete-Chi. E inoltre non potevo agire come mi pareva. Molti studenti sono sempre stati dalla sua parte e gli hanno aperto le porte del castello. Ma sto già provvedendo a rimediare. Quanto a Hogwarts, adesso è sotto il controllo del Signore Oscuro. Il castello è stato attaccato da da Auror, volontari e i loro alleati, ma Voi-Sapete-Chi ha dichiarato una tregua, a condizione che sia Silente a sfidarlo a duello ».
Rachel non sembrava del tutto persuasa.
« Se è vero che sei dalla nostra parte, perché non ci dici qual è stato il motivo che ti ha spinto a cambiare? »
Per la prima volta Severus perse il controllo che aveva sempre avuto. Di colpo il suo volto si fece livido e le parole che pronunciò sembravano affilate quanto coltelli.
« Questo non ti riguarda! »
« Vuoi scusarci un secondo? » gli disse Regulus, trascinando Rachel in un angolo dell'aula e rivolgendosi infine a lei, sottovoce. « Lascia perdere, d'accordo? Dobbiamo fidarci per forza ».
« Ma come facciamo? »
« Non lo so, lo facciamo e basta. Sei tu quella che ha sempre avuto fiducia in tutti ».
« Mi sbagliavo ».
« Allora fidati di me, se non riesci a farlo con gli altri. Dopotutto non abbiamo alternative » insisté Regulus.
Rachel era ancora scettica, ma non replicò. Quando entrambi si riaccostarono a Severus, quest'ultimo aveva assunto di nuovo un'espressione annoiata.
« Avete deliberato? »
« Fino a prova contraria » ribatté la ragazza.
« Cercherò di sopravvivere al dolore » commentò lui, sarcastico. « Ora, per quale motivo siete venuti qui? »
Regulus esitò. Andava bene credere alla sua redenzione, ma non fino al punto di parlargli degli Horcrux.
« Dobbiamo trovare mio fratello e i suoi amici » rispose comunque con una mezza verità. « Si sono intrufolati a Hogwarts prima di noi, ma c'è una cosa che non sanno ».
« Non potete andarvene a zonzo come se nulla fosse. Se il Signore Oscuro ti vedesse, Black, ti farebbe fuori senza che tu abbia il tempo di battere le palpebre ».
« Aiutaci tu a trovarli, no? Tanto a questo punto siamo tutti dalla stessa parte » disse Rachel, provocando una contrattura involontaria dei muscoli facciali di Severus.
« Non è una mossa saggia. Rumoroso com'è, quell'idiota di suo fratello si sarà già fatto catturare. E anche nel caso contrario, non posso farmi vedere insieme a voi due: Silente vuole che resti sotto copertura fino all'ultimo ».
Rachel emise un verso sarcastico, come se avesse data per scontata quella risposta. Regulus non era altrettanto diffidente, ma non aveva nessuna intenzione di restare nascosto senza fare nulla.
« Allora lasciaci andare da soli. Abbiamo una cosa molto urgente da fare. E se è vero che Silente sta andando a duellare con lui, dobbiamo sbrigarci, perché le speranze sono già poche così » disse con il tono più determinato che aveva.
« Credo di sapere cosa dovete fare ».
« No, fidati: non lo sai ».
« State cercando il Diadema di Corvonero ».
Per alcuni istanti un silenzio di tomba cadde nella stanza, mentre sia Regulus che Rachel restavano a bocca aperta per lo shock.
« Che cosa? » esordì lei poco dopo. « Come fai a saperlo? »
Severus fece una smorfia esasperata.
« Me l'ha detto Silente ».
« E si fida di te fino a questo punto? »
« Non mi ha spiegato esattamente di cosa si tratta » spiegò lui. « So solo che il Signore Oscuro non vuole che si trovi, e che va distrutto. Ce l'hai tu l'arma per farlo, vero? »
« Questo non ti riguarda » rispose Regulus, ancora incredulo. Che cosa aveva mai fatto Piton per meritarsi tutta quella fiducia da parte di Silente? O forse il vecchio era semplicemente rimbambito come aveva sospettato prima di iniziare a collaborare con lui. « Sirius e gli altri sono andati a cercarlo. Per questo motivo dobbiamo trovarli ».
« È inutile che esci di qui. Tuo fratello e i suoi compari potrebbero aver trovato il nascondiglio del Diadema, ma non hanno fatto in tempo a prenderlo » commentò Severus, mentre una strana espressione prendeva forma sul suo volto.
Regulus e Rachel si scambiarono un'occhiata preoccupata e incerta.
« Perché? Cosa è successo? »
« Potrei essere arrivato prima di loro » rivelò Piton.
E, dopo averlo estratto da una tasca interna del mantello, mostrò loro, sbigottiti e increduli, il Diadema di Corvonero.


Silente schivò l'anatema appena in tempo, ma Lord Voldemort non si lasciò abbattere da quel fallimento. Anzi, traeva una certa soddisfazione da quel duello. Più tempo sarebbe durato, e più lui avrebbe gustato la propria vittoria finale. Una volta morta la loro guida, quasi tutti i suoi avversari avrebbero deciso di arrendersi e unirsi alle schiere dei Mangiamorte, e il suo trionfo sarebbe stato completo.
Con un elaborato movimento della bacchetta, Silente evocò una raffica di vento che iniziò a girare su se stesso, creando un vortice che si avventò mulinando verso Voldemort. Quest'ultimo gli fece cambiare direzione, trasformandolo in un vortice di fuoco che tornò indietro in direzione del suo originario creatore. Silente non ebbe particolari problemi a estinguerlo con un potente getto d'acqua, ma alla fine sembrava avere il fiato corto.
« Tutto qui? » lo provocò in tono trionfante. « Puoi sempre arrenderti, se vuoi. »
Silente ignorò la sua affermazione, e continuò ad attaccarlo. Voldemort sogghignò. Poteva quasi leggere cosa il vecchio Preside di Hogwarts stava pensando in quel momento. Sapeva già di essere spacciato, che qualsiasi cosa avesse fatto non sarebbe riuscito a ucciderlo, non con un Horcrux ancora integro e al sicuro. Forse non sapeva nemmeno che ne restava solo uno. Tanto meglio per lui.
Il combattimento stava andando avanti da parecchi minuti, ma Voldemort era sicuro di farcela.
« Sai bene che non potrai mai uccidermi. Non hai ancora trovato tutte le cose che volevi trovare, lo sai, vero? Hai già perso, Silente. Hai avuto un pessimo tempismo, e sei arrivato troppo tardi. Lo sai quello che dice la gente: sono immortale ».
Ma proprio in quel momento una voce si levò a rispondergli, e non era quella di Silente.
« Non più ».
Entrambi i duellanti si bloccarono, tutti e due sbigottiti, e si voltarono a guardare nella direzione da cui era provenuta la voce. Una vena nella tempia di Voldemort iniziò a martellare, come percependo un pericolo imminente. Poi, senza che lui avesse il tempo di ordinare al proprietario della voce di farsi avanti, quello avanzò di un passo, facendosi strada tra la folla.
La mano di Voldemort, stretta intorno alla bacchetta, formicolò dalla voglia di usarla contro di lui, non appena vide che a parlare era stato Regulus Black.
« Tu! Prova a ripetere! »
Aveva proprio voglia di morire, allora, e stavolta per davvero. Ma Lord Voldemort lo avrebbe accontentato prima di quanto pensasse.
Regulus gli lanciò un'occhiata di sfida. Non sembrava più temerlo, e questo, nonostante tutto, indusse Voldemort a stringere i pugni e irrigidirsi.
« Non è più immortale. Adesso può essere ucciso » disse il ragazzo, rivolto a Silente, i cui occhi improvvisamente si illuminarono.
Il Signore Oscuro iniziò a udire un fischio acuto nelle orecchie, ma un attimo dopo si riscosse. Non era possibile.
« Il tuo è un bluff. Stai mentendo ».
« E perché dovrei? »
E poi Black guardò accanto a sé. Versi di stupore si levarono dalla folla quando tutti videro avanzare la persona che era accanto a lui. Non appena Voldemort incrociò lo sguardo imperscrutabile di Severus Piton, il fischio nelle sue orecchie si trasformò in un boato. Il sangue gli si gelò nelle vene e i momenti successivi trascorsero come al rallentatore.
Piton aveva qualcosa in mano. Lo lanciò verso i duellanti, come se fosse stato un guanto di sfida, e l'oggetto rotolò sul lastricato del cortile, finché non si fermò proprio ai piedi di Voldemort che, non appena trovò il coraggio di guardare, a quel punto si rese conto di quello che era successo.
Il Diadema di Corvonero giaceva a pochi centimetri da lui, la grande pietra incastonata al centro spezzata, e il resto dell'Horcrux incrostato di sangue secco e rappreso. Distrutto, perduto per sempre, proprio come l'ultimo frammento dell'anima che era riuscito a sottrarre al proprio corpo.
La consapevolezza di essere tornato mortale lo colpì con una violenza tale da fargli mancare il respiro, come se qualcuno lo stesse soffocando, stringendogli le mani intorno al collo.
Poi il tempo tornò a scorrere alla stessa velocità di prima. Voldemort si voltò a fronteggiare Silente proprio mentre quest'ultimo levava la bacchetta e iniziava a pronunciare la formula della maledizione.
« AVADA KEDAVRA! »
Reso ancora più fulmineo da un disperato istinto di sopravvivenza, Voldemort pronunciò a sua volta le due parole, gridandole come per caricarle della propria rabbia e frustrazione.
Non vide mai se la propria maledizione andò a segno. Il getto di luce verde lo investì, e poi fu il nulla.

***

« È finita, Bella. È morto! »
« Non ci credo! Sono tutte menzogne! Se lo sono inventato! »
Bellatrix stava continuando a togliere incantesimi protettivi alla porta che si erano chiusi alle spalle e che li divideva da un intero esercito di Auror.
Rabastan si asciugò il sudore e il sangue dalla fronte, fece un passo avanti e la strattonò, impedendole di continuare e ignorando le proteste della cognata.
« Non è una bugia. Nell'Atrium stanno già festeggiando. Abbiamo perso, Lui ha perso! »
« Taci! »
Bellatrix alzò la mano che reggeva la bacchetta, decisa a colpirlo, ma Rabastan la anticipò, bloccandole il polso.
« Tutti gli altri sono scappati, o si sono arresi. Non possiamo continuare a... »
« Io continuerò a combattere! Cosa vorresti fare? Vuoi fuggire come tutti quegli altri vigliacchi? »
Rabastan le lasciò andare il polso con uno scatto violento, cercando di trattenere la rabbia. Erano stati sconfitti, la causa in cui avevano creduto per anni era perduta, e suo fratello era morto. Ma niente di tutto questo era peggio dei dubbi che Bellatrix nutriva nei confronti delle sue intenzioni.
« Non sono un traditore! Io non mi arrenderò ai nostri nemici. Ma non possiamo affrontarne cento tutti da soli. Ci faremo solo ammazzare! »
Bellatrix non gli rispose e tornò a togliere gli incantesimi. Qualcosa nello sguardo di sua cognata gli fece intuire che a lei non importasse per niente vivere.
È impazzita, ha perso il senno, pensò.
Ebbe pochi istanti per decidere cosa fare. Quando gli Auror sfondarono la porta e irruppero nel corridoio, Rabastan le aveva voltato le spalle, diretto verso l'ascensore. Non si sarebbe mai arreso, ma la scelta di Bellatrix non aveva senso. Era dettata solo dalla sua disperazione.
Rabastan non volle assicurarsi di cosa le fosse successo, anzi, forse preferiva non saperlo. Molti Auror lo stavano inseguendo, perciò accelerò e raggiunse l'ascensore. Non era al piano, quindi premette ripetutamente il tasto di chiamata, voltandosi poi ad affrontare gli assalitori.
Riuscì a resistere a sufficienza, fino a che un suono alle proprie spalle lo avvertì dell'arrivo dell'ascensore. Mise fuori combattimento l'ultimo Auror più vicino e, prima che i rinforzi potessero raggiungerlo, fece per entrarvi.
Ma all'interno vi erano già due persone, che gli puntarono le bacchette contro e lo disarmarono prima che lui potesse reagire.
« Sei circondato. Arrenditi, Lestrange » tuonarono Frank e Alice Paciock.
Non aveva altre vie d'uscita, era in trappola. Rabastan cadde in ginocchio, sconfitto. Mentre gli Auror lo legavano, poteva già sentire il gelo della sua futura cella di Azkaban, pronta ad accoglierlo.








Sono imperdonabile! Mi dispiace per l'attesa di più di quattro mesi, ma è stato un periodo in cui non avevo voglia di scrivere (in breve, il post laurea è stato un'altalena di momenti entusiastici in cui volevo fare tutto quello che non ho potuto fare mentre studiavo e altri depressi in cui non avevo idea di cosa fare della mia vita, quindi spero che capirete xD).
Non sono pienamente soddisfatta di questo capitolo, avrei voluto metterci più azione, ma in fondo c'è stata nel capitolo scorso, a questo ho dato un'impronta più riflessiva. Comunque, ora manca solo l'epilogo, che spero di riuscire a pubblicare in tempi brevi xD

Ora posso dirlo. La decisione di salvare i Potter (che all'inizio non avevo preso in considerazione) mi ha limitata nelle scelte sul finale, quindi la battaglia non è venuta come speravo. Però non tornerei indietro. E dal momento che non poteva essere Harry a uccidere Voldemort, ne ho approfittato per sfruttare Silente e completare il suo percorso di comprensione della faccenda dei Doni prima di quanto faccia nei libri (per questo ho inserito la scena con Grindelwald). Io stessa vado più fiera del capitolo precedente che di questo, ma vi assicuro che tutte le altre alternative che avevo in mente non erano migliori. Spero che vi sia piaciuto comunque, nonostante la mia scrittura fosse un (bel) po' arrugginita.
Nell'epilogo ci sarà qualche chiarimento e soprattutto saprete se anche l'Avada Kedavra di Voldemort ha fatto centro :S
Un abbraccio stritolante alla Hagrid a tutti!
  
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