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Autore: reb    29/08/2013    7 recensioni
La storia ha partecipato al contest "Dalla vecchia alla nuovissima generazione, per tutti i gusti" indetto da Alistel e si è classificata seconda.
Dal primo capitolo [...] Il ragazzo rimase un attimo immobile a osservarla, per poi realizzare quello che gli aveva appena detto e, una volta che il messaggio arrivò al suo cervello, rischiò di cadere a terra dallo stupore.
-Vuoi che ti inviti a pranzo?- chiese allibito, giusto per assicurarsene.
La vide storcere il naso infastidita da quell’uscita indelicata.
-Non l’avrei messa in questo modo. Ma si, riassumendo, il concetto è quello.- concesse infastidita come una giovane lady costretta a rapportarsi col volgo.
Harry, in quale modo l’avrebbe messa, non riusciva a capirlo, visto che per quanto lo riguardava quello era l’unico modo in cui riassumere l’intera conversazione, e per questo rimase nuovamente in silenzio.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Harry Potter, Pansy Parkinson | Coppie: Harry/Pansy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Il quarto incontro, ad appena tre giorni dal precedente, era avvenuto quando Harry aveva deciso di averne abbastanza, della voce saccente della Hermione undicenne che continuava a ripetergli imperterrita “Questa sì che è una bella sventura. Trovare simpatica la persona che si è prefissi detestare” e tutti gli sguardi superiori che ne erano conseguiti.
Il ragazzo, infatti, stanco di rivivere nella propria testa quella conversazione ai limiti dell’assurdo, essendo purtroppo impossibilitato per qualche oscura ragione a dimenticarla semplicemente, aveva deciso di prendere in mano la situazione e dimostrare all’amica quanto, quella volta, si stesse sbagliando.
Certo non si sarebbe presentato nel suo ufficio per sbatterle in faccia quella verità, teneva ancora troppo alla propria vita per buttarla via facendo saltare i nervi a una ragazza, ma lo avrebbe fatto. Con tatto e maturità, ovviamente, ma niente glielo avrebbe impedito. E quello era solamente il primo passo per dimostrare che la sua teoria, “Questa sì che è una bella sventura. Trovare simpatica la persona che si è prefissi detestare”, fosse soltanto l’allucinazione di una pazza.
Hermione poi avrebbe trovato il modo di sopravvivere con la consapevolezza di aver sbagliato e di essersi sentita dire, per la prima volta, “Ah! Te l’avevo detto, io!”. Ron forse avrebbe avuto davanti giorni difficili, ma ne andava della sua sanità mentale, che l’amico lo perdonasse.
E così, all’alba delle otto e mezzo di sera, si trovava davanti alla boutique più grande di Londra tra quelle appartenenti a Pansy, dove aveva sede anche il suo ufficio privato, con la chiara intenzione di invitarla a cena e dimostrare, finalmente, che no, a lui non piaceva affatto la Serpeverde.
Solo un sadico avrebbe cercato volontariamente la sua compagnia, dopotutto.
Harry, fortunatamente, non aveva mai studiato la filosofia di Aristotele con i suoi collaudati sillogismi, oppure avrebbe individuato con facilità la falla nel proprio ragionamento, ma in quanto ignorante in materia non trovava affatto contraddittorio invitare a cena la ragazza, nonostante solo un sadico avrebbe cercato volontariamente la sua compagnia, per fornire prove alla propria difesa, perché no, a lui non piaceva affatto la Serpeverde.
Convincere la commessa a farlo parlare con la titolare non fu per niente facile e gli costò minuti preziosi della propria vita, poiché sembrava che la proprietaria soffrisse di evidenti manie di persecuzioni. Non capiva proprio, Harry, perché avesse dovuto fargli  tante storie solo perché non era un cliente con qualche ordine speciale o una lamentela sull’ultimo acquisto, non era un fornitore con la necessità di una firma sull’ultimo stock di stoffe, non era un aspirante stilista con portfolio sotto il braccio e nemmeno un avvocato con qualche denuncia a seguito.
-E allora perché vuole vedere la signorina?- chiese indagatrice la donna, con un’espressione arcigna che la faceva assomigliare a una poliziotta di secondo ordine, avendo ormai appurato che quel giovane non apparteneva a nessuna delle categorie di scocciatori abituali che era autorizzata a buttare fuori a calci senza pensarci due volte. Era stata Pansy stessa, ad approvare certe misure. Anzi, le aveva caldamente raccomandate.
-Può chiamarla, per favore?- si arrese alla fine il ragazzo, ormai provato psicologicamente da quell’assedio.
Era sicuro, infatti, che lei non avesse dovuto rispondere a un tale interrogatorio quando si era presentata alla sua scrivania, giorni prima. Aveva semplicemente preso un ascensore e chiesto di lui. E lui era un Auror, per la miseria! Si occupava di salvaguardare i cittadini, non del loro modo di vestire!
-Potter che cosa ci fai qua?- chiese stupita la ragazza quando finalmente ebbero la decenza di ammetterlo al suo cospetto, chiamandola al bancone perché sembrava che, se fosse entrato lui nel suo ufficio sarebbe scoppiata l’apocalisse.
E se non era la Parkinson ad avere problemi mentali, aveva mostrato tanti difetti negli anni di scuola, ma mai uno squilibrio di tale dimensioni, era certamente la commessa, che ancora lo fissava arcigna, a essere sulla strada di un ricovero al San Mungo, nel reparto di igiene mentale.
Probabilmente era una sociopatica con manie ossessive compulsive, Harry ci avrebbe scommesso il mantello.
-Ero venuto a invitarti a cena, se non hai già altri impegni.- le disse alla fine, decidendo che continuare a fissare l’altra donna avrebbe fatto passare lui, l’unico sano nell’edificio, per pazzo.
-Oh! E non potevi inviarmi un gufo, invece che arrivare fin qua? Hai fatto agitare Dora, presentandoti senza avvertire a quest’ora, a pochi minuti dalla chiusura.- lo riprese la ragazza, prima di lanciare un’occhiata solidale alla propria dipendente.
Harry rimase letteralmente a bocca aperta, di fronte a quell’assurda logica femminile cui lui non sarebbe mai venuto a capo, ma per la propria salute, già decisamente messa a dura prova quella sera, decise di non chiedere passando però lo sguardo, sgomento, da Pansy alla cara Dora e viceversa, sperando in un’improvvisa illuminazione divina da parte di una delle due, che gli permettesse di fare luce su quello che le girava in testa.
Certamente non pensava mai alla possibilità di agitare lui, visti i modi che la ragazza gli usava con tutta tranquillità.
Per quanto lo riguardava, presentarsi personalmente per invitarla, essendosi perfino preso la briga di scoprire dove, esattamente, sorgesse il negozio della Parkinson, per poi andare insieme al ristorante invece di farla arrivare fin là da sola, sempre assumendo che accettasse, era sinonimo di buona educazione e non motivo di rammarico.
Ma, poi, perché continuava a presupporre che quella donna pensasse come tutte le altre? Era ovvio che non era affatto così!
-Beh…ecco…la prossima volta farò così, allora.- rispose alla fine, completamente disarmato.
-E cosa le fa presumere che ci sarà, una prossima volta?- chiese indagatrice Dora, ancora con l’espressione di reticente diffidenza stampata in viso.
Pansy ridacchiò divertita sentendo quelle parole, mentre Potter non poté fare altro che lanciare un’occhiataccia irritata a entrambe per l’incubo in cui si era volontariamente cacciato.
Tutta colpa di Hermione, accidenti! Un’altra che non si preoccupava di scuoterlo quando parlavano.
In una vita precedente, con ogni probabilità, doveva aver fatto qualcosa di davvero orribile per meritarsi tanto. Probabilmente era stato un serial killer di cuccioli di foca, un clown alla It o un politico, perché dovesse scontare tutto il male che aveva fatto in un modo tanto sadico.
-Non preoccuparti, Dora, Potter qui, è innocuo.- lo prese impietosamente in giro Pansy, dicendo poi alla donna che poteva andare a casa, per quella sera, e che ci avrebbe pensato lei a chiudere. Sempre, ovviamente, con quel sorrisetto stampato in faccia.
La commessa prese le sue cose con tutta calma e, avviandosi alla porta, lanciò l’ultimo sguardo ammonitore all’inopportuno visitatore, a intimargli di comportarsi al meglio, pena gravissime e infinite penitenze.
Harry non era mai stato uno di quei cattivi ragazzi che le adolescenti trovavano tanto affascinante, eppure era sicuro che, anche lo fosse stato, il suo comportamento sarebbe improvvisamente diventato esemplare, solo per evitarsi la paura di ritrovarsi in un vicolo buio con quella donna psicopatica alle spalle, armata di un coltello insanguinato pronto a conficcarsi nella sua schiena.
Perfino il suo amor proprio, sentendosi definire innocuo, aveva deciso di tacere, per timore di far apparire in viso una qualsiasi emozione che avrebbe indisposto ulteriormente Dora.
-Vuoi fare un giro, Potter?- chiese tranquilla Pansy, cominciando poi a camminare senza aspettare risposta, come era tipico di lei.
Si erano visti solo quattro volte negli ultimi anni, eppure il giovane aveva già inquadrato quell’aspetto del suo carattere, troppo indipendente, arrogante e sicura di sé per accettare niente di meno che l’eccellenza, nella vita privata come in quella pubblica. E adeguare i propri piani, le proprie mosse, a quelli di un altro non era decisamente nel suo stile.
Pur riluttante, perciò, il ragazzo si apprestò a seguirla, solo per sentirsi nuovamente deridere  -Probabilmente è la prima volta, che entri in un posto del genere, quell’antiquato maglione color prugna ne è la prova.-
Lui non aveva idea di come fosse possibile, dopotutto era un Grifondoro fino al midollo checché ne avesse detto, un tempo, il Cappello Parlante, e tali erano anche i suoi più cari amici, ma non sentiva in quel continuo canzonare, per quanto insopportabile, nessun intento di offenderlo realmente. Lo avrebbe piuttosto definito, con ossimorica definizione, un affilato schernire bonario, che lasciava sulla pelle decine di irritanti escoriazioni dalle quali non usciva neppure una stilla di sangue. Di certo, però, quelle continue battutine gli facevano scorrere sotto pelle un’irritazione che poche volte in vita sua aveva mai provato.
Ode a Pansy Parkinson, allora!
Ancora, lui non aveva idea di come fosse possibile, usare tutto quello scherno senza l’intenzione nemmeno di ferire la propria vittima, ma era evidente che quello fosse l’obbiettivo della Parkinson. Non gli sarebbe parso poi strano che nei loro antri sotterranei i giovani Serpeverde imparassero, fin dalla culla, la delicata arte che era il prendersi gioco del prossimo, fino a raggiungerne la suprema conoscenza. Di certo, Pansy Parkinson, aveva raggiunto vette di tutto rispetto, almeno per quanto lo riguardava. E, ricordandosi delle spalle irrigidite di Draco Malfoy, anche il ragazzo doveva pensarla alla stessa maniera.
Ode a Pansy Parkinson, allora!
Fatto un veloce tour nel negozio e sul retro, dove la donna recuperò la propria borsa e soprabito, spensero finalmente tutte le luci, eccetto quelle esterne che illuminavano la vetrina, e si misero in strada.
Erano, solamente, le nove e un quarto. Di quel passo non avrebbero cenato prima delle dieci.
-Certo, Potter, avresti potuto avvertirmi per tempo. Guarda in che stato sono ridotta!- si lamentò dopo un po’ la ragazza, mentre camminavano tranquilli per Diagon Alley.
Harry rispose all’invito lanciandole un’occhiata veloce, osservando l’elegante abito borgogna, come gli aveva saccentemente detto poco prima in negozio, ricordandogli cheera quello, il colore di tendenza quell’anno e non lo squallido rosso sangue del suo prezioso mantello, senza capire cosa avesse, esattamente, che non andasse. Le stava ovviamente bene, o non lo avrebbe mai indossato, mettendo in risalto la vita sottile e le spalle delicate, con il taglio asimmetrico dello scollo.
Non era nemmeno sgualcito dalla giornata di lavoro, le scarpe erano perfettamente abbinate e, il cappotto bianco che aveva attentamente piegato sul braccio, ricordava il candore della neve. Forse lui non si intendeva di moda, mai negato tra l’altro, ma la trovava perfettamente in ordine per una cena. Non andavano certamente all’opera o in qualche altro elitario locale in cui fosse presente il dress code all’ingresso, per la miseria! Lui si teneva ben alla larga dai quei posti, perfino quando era Kingsley in persona a invitarlo. E anche in quel caso, era sicuro che sarebbe stato lui a essere fermato all’ingresso, certamente non lei, che appariva splendida nel suo completo.
La confusione che provava doveva essere evidente, ma si sentì in dovere di rassicurarla in qualche modo, per quanto assurdo fosse quel pensiero –Stai bene, davvero.-
Per tutta risposta Pansy mise su una smorfia disgustata, verso il suo commento, verso di lui in generale o, più probabilmente, verso i suoi dubbi gusti in fatto di moda, da lasciarlo sbalordito.
Che lo reputasse incapace di comprendere perfino i più basilari concetti di stile, gli sarebbe stato evidente perfino se non avesse indossato gli occhiali. E, come Hermione a diciassette anni aveva carinamente notato ritrovandosi nella sua pelle, lui era completamente cieco, senza.
-Tu non sai niente, Potter.- berciò appunto infastidita lei, prima di mettersi a camminare impettita a due passi di distanza da lui.
-Oh, andiamo! Che cosa ho fatto, adesso?- chiese incredulo Harry, dando voce per la prima volta a tutta la confusione mentale che quella ragazza sembrava portare sempre con sé e affrettando il passo per esserle a fianco.
-Voglio dire ti ho appena fatto un complimento. Perché devi reagire così?- continuò con lo stesso tono lamentoso.
Lei nemmeno si prese la briga di rispondere arroccata nel proprio silenzio, da donna lunatica e fuori di testa quale era, tanto che il ragazzo sentì montare il solito molesto fastidio di sempre.
-Dannazione, ti ho appena detto che sei bella, vestita così!- sbottò infatti seccato, rendendosi conto solo dopo, di averle appena fatto un complimento invece che insultarla come aveva avuto intenzione.
Non si sarebbe stupito se il suo alterato stato emotivo fosse conseguenza di una qualche rara malattia a contagio aereo, visto il veleno che la Parkinson spargeva intorno a sé costantemente. Un veleno che lo portava a rincorrerla come un cagnolino adorante ogni qual volta lei si mostrasse infastidita per qualunque ragione, prima ancora che Harry se ne rendesse conto.
Ancora un passo avanti a lui, Pansy sgranò gli occhi stupita, presa completamente in contro piede dal complimento del ragazzo. Fortuna che la strada era male illuminata, pensò grata, sentendo le guance andare in fiamme, altrimenti Potter si sarebbe accorto di averla fatta arrossire con una semplice parola. Per Morgana, quando era stata l’ultima volta che era successo?
Quello, Pansy lo sapeva, era preoccupante. Perché solo Malfoy ci era mai riuscito.
E lei, di Draco, era stata innamorata.
 
 


 
 
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 


 
 
 
 
 
Al quarto incontro era seguito un quinto, un sesto, un decimo. Poi Harry aveva semplicemente perso il conto, troppo concentrato a stare al passo con il lunatico umore di quella pazza senza farsi venire un tracollo emotivo, per poter perdere tempo in altro durante le loro ore insieme.
Eppure quel numero sconosciuto e approssimativo continuava ad aumentare immancabilmente, con gran stupore del ragazzo che ancora non si capacitava di come, ogni volta, finisse per chiederle nuovamente di uscire.
Prima c’era stata la scusa dell’orologio che i Weasley gli avevano regalato per la maggiore età, perso durante la cena del quarto incontro e che aveva costretto Pansy a rispedirglielo via gufo, dimostrandogli quanto fosse affidabile quel mezzo, dopo che lui lo aveva bellamente ignorato presentandosi invece alla porta del suo atelier, con in allegato un appunto dai suoi tipici toni dispotici e insindacabili.
“Il tuo orologio era finito nel reparto di biancheria intima, non voglio sapere come. In ogni caso sei in debito. Una cena al Poison kitchen sarebbe il minimo” aveva scritto quell’irritante donna, senza nemmeno sentire il bisogno di firmarsi.
C’erano voluti due giorni, a Harry, per scoprire dove, esattamente, fosse quel dannato locale e, scoperto che si trovava a Praga le aveva mandato un biglietto a sua volta,rigorosamente via gufo, con su scritto “Sei pazza? Praga?”, eppure alla fine si era trovato a chiedere una passaporta oltremanica per accontentarla. Non che lei avesse minacciato o messo il broncio o qualche altro trucchetto femminile che Harry avrebbe potuto contrastare. Da abile subdola manipolatrice quale era aveva risposto checertamente non lo costringeva nessuno, a scegliere proprio quel posto, che la sua era solo un’idea per passare una simpatica serata diversa dal solito, che si doveva sentire libero di decidere quello che preferisse, e Harry era stato sommerso dal senso di colpa per il brusco biglietto che le aveva inviato. Aveva capito la trappola solo un paio di ore più tardi, davanti all’addetto alle passaporte internazionali e allora era stato troppo tardi, per cercare un altro ristorante, con gran divertimento dell’uomo che lo aveva ascoltato inveire irritato contro vipere velenose e le loro spire malefiche.
Poi c’era stata la volta in cui l’aveva portata al cinema, uscita, quella, causata da una nuova citazione cinefila presa da Star Wars e dalla malaugurata idea di spiegargliene il significato. Pansy, infatti, aveva ricordato la battuta sulla forza che aveva fatto a Malfoy tempo prima e aveva preteso di sapere di cosa stesse parlando, senza sconti, ritrovandosi però, alla fine, più confusa di prima.
Harry aveva scoperto poi, grazie al suo collega Charlie che era tornato a vivere con i genitori babbani dopo che le tubature erano esplose nel proprio appartamento, che in uno dei vecchi cinema alla periferia di Londra davano tutta la serie. Così l’aveva invitata a vedere il primo capitolo della saga, trovandolo un modo carino per farle finalmente capire quella che lei aveva carinamente definito “un’evidente deviazione mentale babbana dovuta alla loro comprovata inutilità”.
A dispetto dei pregiudizi, suoi quanto di lei, la ragazza si era divertita abbastanza da pretendere che la accompagnasse, nelle settimane seguenti, a vedere tutti i film successivi perché “non puoi certo pretendere, Potter, che una ragazza venga da sola in uno squallido quartiere del genere. E oltre a te, poi, chi accetterebbe di venire?”.
Cercare di ribattere sdegnato che non era la ruota di scorta di nessuno, che sebbene in periferia quello fosse un quartiere di tutto rispetto e che, di fronte a qualunque babbano, perfino il più pericoloso, lei avrebbe potuto schiantarlo in un attimo, era stato inutile. Anzi, aveva portato a un’occhiata condiscendente nei suoi confronti, per criticare nuovamente, i suoi modi, rozzi e ineleganti.
Dopo due mesi di incontri più o meno regolari, a seconda degli impegni di entrambi, poi, Pansy aveva trovato da ridire su qualcosa di diverso, di nuovo, rispetto ai suoi soliti commenti acidi sul suo modo di vestire, le sue amicizie, le vecchie diatribe di scuola, e la sua educazione in generale perché aveva lui avuto l’ardire di disdire un appuntamento all’ultimo minuto per due volte di fila. Il ragazzo, impegnato a leggere il menù, visto che la ragazza sceglieva sempre posti nuovi con piatti che definire etnici era un complimento, era come caduto dalle nuvole sentendole dire “Potter, ammettilo. Tu mi eviti.”
E Harry, piccola stella immacolata, si era ritrovato a negare con la stessa convinzione con cui, la prima volta, aveva ammesso di volerla invitare a pranzo di sua iniziativa e non perché lei lo aveva messo all’angolo e senza idea alcuna di come, ogni singola volta, finisse esattamente nel modo in cui la ragazza aveva programmato. Infatti, con ancora in mente quell’uscita assurda, che lo aveva distratto abbastanza da fidarsi di lei per l’ordinazione, ritrovandosi nel piatto uno strano intruglio di carne, cioccolato e broccoli saltati che avrebbe preferito non assaggiare mai, non aveva avuto il cuore, il coraggio, di rifiutare quando lei gli aveva chiesto di accompagnarla a una sfilata per stilisti emergenti, prima di una festa tra nomi importanti della moda a cui, quello si che era equiparabile a un miracolo, lei aveva accettato di graziarlo.
Un modo come un altro per dimostrarle la propria buona fede, gli aveva detto soddisfatta per convincerlo.
Aveva così sopportato un pomeriggio di shopping che lo aveva quasi ucciso, Voldermort si sarebbe mangiato le mani se avesse saputo quanto poco bastasse a sconfiggerlo, perché ovviamente “non posso lasciare decidere a te come vestirti per una serata del genere. E anche affidarti al dubbio gusto dei tuoi amici non è uno scenario accettabile. Ricordo ancora quel pacchiano cappello a forma di leone di Lunatica Lovegood. Ruggiva, se non sbaglio, vero?” e la sola, per niente malcelata repulsione, che il ricordo aveva evocato in lei, fu un incentivo sufficiente per zittirlo del tutto. Dopotutto, aveva pensato Harry distrutto, era vero che lui non aveva mai partecipato a una serata del genere. E anche quando era dovuto intervenire in una di quelle serate al Ministero, subito dopo la guerra, era sempre stata la signora Wealsey e consigliargli la mise migliore per l’occasione.
Ma il vero colpo di grazia era stato quando, un paio di settimane dopo quella sortita pubblica, che Harry aveva trovato esilarante nonostante i più cupi pronostici, quando due degli stilisti in passerella avevano scatenato una rissa perché avevano presentato due capi praticamente identici, e ognuno accusava l’altro di avergli rubato l’idea, minacciando perfino ripercussioni legali, era arrivato un invito per entrambi da Dafne Greengrass, per un brunch, la domenica a venire.
Quasi come se avessero voluto conoscerlo, visto che usciva con la loro amica.
Quasi come gli fosse dovuto, perché la sua non era più una presenza da potere ignorare.
Potter era andato in panico a causa dell’ufficiosità che l’invito recava con sé, allungando la sua ombra perfino su quella specie di relazione che lui e Pansy sembravano avere, ma che lui non aveva mai analizzato nel dettaglio.
Tutte le loro uscite, per una scusa o per l’altra, erano state catalogate dal ragazzo come una bizzarra parentesi temporanea senza futuro e, per quanto lui si scervellasse, senza significati nascosti. Uscivano insieme perché avevano un motivo per vederli. L’orologio e il debito che aveva portato con sé, dimostrare che Hermione aveva torto, il cinema. Tutto quanto per un motivo, mai perché lo volevano davvero.
O almeno era quello che Harry si era sempre detto.
Non aveva cambiato idea, per quanto riguardava la ragazza, giusto? 
La trovava sempre indisponente fino al midollo, arrogante come nemmeno una regina e assolutamente, indelebilmente, irritante come una pozione urticante sotto pelle.
Esattamente come aveva detto a Hermione e come, nei momenti di maggiore insofferenza, aveva detto anche a Pansy. Hermione lo aveva guardato con compatimento, Pansy, invece, gli aveva detto che li considerava complimenti, giacché lui era così visceralmente Grifondoro da non vedere a più di un palmo dal proprio naso. E se, in quel momento, aveva considerato quell’insulto uno strano modo per dargli del razzista prevenuto, da che pulpito, poi!, alla luce dei fatti, forse, intendeva che era un mentecatto.
Un innocente, ingenuo e completo mentecatto, che si nascondeva dietro a paraocchi grossi come delle case.
Aveva continuato a uscire con lei, nonostante tutto, e il suo cervello gli aveva più volte ricordato che, alla lunga, lo stress cui si stava sottoponendo avrebbe potuto portare a un’ulcera precoce, recante il nome di Pansy Parkinson. Ma lui, indefesso, aveva ignorato gli avvertimenti e l’aveva invitata ancora e ancora, accettando i suoi commenti sarcastici, ridendo suo malgrado alle battute acide che chiunque, un ingenuo passante o un vecchio amico non importava, poteva scatenare, e impelagandosi in discorsi su politica, etica e, con sommo gaudio della ragazza, ideali Grifondoro, per scambiarsi punti di vista e finendo, ogni volta, a litigare per gli stessi. Era arrivato perfino a tollerareil tono di superiorità con cui pronunciava abitualmente il suo cognome.
E poi era arrivato quell’invito.
-Harry che fai qua?- chiese stupefatta Hermione, ritrovandosi l’amico alla propria porta alle sette di sabato mattina, quando lui dormiva fino a tardi ogni volta che era possibile.
-Non avevi il giorno libero?- continuò poi, per accertarsi della cosa.
Il ragazzo era così sconvolto che tutto sarebbe stato possibile, in quelle condizioni. Magari aveva passato la notte in ufficio e non ricordava più che giorno era, oppure qualcuno lo aveva maledetto friggendogli del tutto il cervello e vista la sua proverbiale sfortuna quella era l’ipotesi più accreditata.
-Mi piace. Mi piace quell’assurda, irritante e incomprensibile pazza.- esalò incredulo delle sue stesse parole.
-Vieni, entra.- dopo un attimo di silenzio la ragazza lo prese dolcemente per un braccio tirandolo dentro, fino a raggiungere la cucina dove, prima che il campanello squillasse, si stava preparando un caffè.
Ne empì due tazze, sperando che il calore del liquido avrebbe permesso all’amico di riprendersi dopo quella sconvolgente scoperta. Sinceramente, quando ne avevano parlato mesi prima, aveva sperato che ci sarebbe arrivato prima, ma gradualmente, in modo da non vederlo completamente fuori di testa.
Lei ci aveva provato, dopotutto. Glielo aveva detto con tutto il tatto possibile.
 
 
 
 Questa sì che è una bella sventura. Trovare simpatica la persona che si è prefissi detestare.
 
 
 
E chi, meglio di Jane Austen, possedeva il tatto necessario per preservare la salute mentale del suo amico? Anche se sembrava non aver funzionato, visto il suo sguardo allucinato.
-Hermione tu non capisci. Hai presente di chi stiamo parlando? È assolutamente impensabile. Mi farebbe diventare pazzo, perché mai avrei dovuto permetterle di piacermi?- chiese senza nemmeno guardarla, perso in pensieri probabilmente così ingarbugliati da essere completamente incomprensibili.
-Harry, tesoro, non possiamo scegliere di chi innamorarci.- cercò di placarlo con tutta la delicatezza possibile.
-Innamorarsi? Chi ha parlato di…oh!- l’illuminazione sembrò coglierlo improvviso, sebbene forse fosse prematuro parlare di sentimenti importarti come l’amore.
Tuttavia la ragazza conosceva Harry abbastanza da sapere che, se non era davvero interessato a una ragazza, difficilmente si sarebbe lasciato coinvolgere fino a quel punto. Cho Chang e la fine prematura della loro relazione, per motivi assurdi tra l’altro, ne erano l’esempio. Che fossero passati anni, che Harry fosse un ragazzino allora e che lei fosse la sua prima ragazza erano solo dettagli. Harry era sempre Harry, non importava quanti anni fossero passati da allora.
Con una come la Serpeverde, poi, doveva esserci sotto molto più di quanto lei non sapesse. E lei ne sapeva poco, molto poco, vista tutta la reticenza del ragazzo nell’affrontare certi argomenti.
Dopo attimi di attenta riflessione, quando ormai la Granger si era tranquillizzata circa le condizioni dell’altro, Harry lasciò scivolare la testa dalla mano che l’aveva sorretta fino a quel momento, per poi andare a schiantarsi contro il tavolo sottostante.
-Oddio!- urlò Hermione, lasciando andare la tazza senza riguardi, facendo fuoriuscire alcune gocce di caffè dal bordo per il brusco movimento, e stringendo la spalla del ragazzo fino a tirarlo nuovamente su.
Osservò preoccupata il segno rosso che la botta gli aveva lasciato sulla fronte, vista la forza che aveva messo nel colpo, era un miracolo che non ne uscisse del sangue, per poi lanciarsi in una predica con i fiocchi circa certi gesti inconsulti per motivi futili.
-Hermione avevi ragione. Mi piace Pansy. Pansy Parkinson.- scandì poi lentamente il nome completo il ragazzo, convinto che bastasse quello per spiegare l’intera situazione, soprattutto visto il suo alterato stato mentale.
-Ho presente chi sia, ma non vedo il motivo di prendere a testate il mio tavolino, Harry. È di marmo, accidenti!- lo riprese irritata la ragazza –E poi, a cosa dobbiamo questa improvvisa presa di coscienza? Fino a pochi minuti fa, era assolutamente impensabile che ti piacesse.- continuò facendogli il verso.
-Mi piace perché riesce a convincermi a fare tutto quello che vuole raggirandomi e anche se lo so, glielo lascio fare comunque.- le disse agitato, mangiandosi alcune parole.
Forse vedendo lo sguardo dubbioso dell’amica, era vero che Harry andava sempre per la propria strada indipendentemente da quello che consigliavano gli altri, ma non vedeva quell’avvenimento degno di un oracolo, o forse ormai troppo preso dai suoi deliri per potersi fermare, il ragazzo continuò con tono lugubre.
-Mi ha chiesto di andare a quel dannato brunch tra Serpeverde e ho detto si.-
Non era proprio così che era andata, ma il suo amor proprio gli impediva di scendere nei dettagli con lei. Si era opposto strenuamente, trovando sempre nuove scuse per declinare l’invito, ma quando Pansy gli aveva detto divertita “Per Merlino, Potter! Sei più razzista di un Mangiamorte!”, non aveva potuto fare altro che ribattere e ribattere ancora circa l’accusa, fino a imporle di rispondere affermativamente alla Greengrass. Le aveva quasi strappato la pergamena di mano, per assicurarsi di spedirla il più in fretta possibile e dimostrarle quanto sbagliasse, accidenti!
Quanto poteva essere cretino? 
Hermione non poté trattenersi dallo scoppiare a ridere, già immaginando la faccia da coraggioso condannato a morte che avrebbe accompagnato Harry per l’intera giornata, e perché davvero, quella ragazza poteva rigirarselo come voleva.
Per una volta, Hermione Granger, provò invidia nei confronti di Rita Skeeter. Anche lei avrebbe voluto sapersi trasformare in un insetto.
Avrebbe davvero voluto essere una mosca, per osservare con agio l’amico circondato dagli avversari di sempre solo per una ragazza.
Avrebbe voluto vedere la sua faccia, quando si fosse trovato davanti Draco Malfoy, solo per una ragazza.
Forse avrebbe messo da parte l’antipatia che da sempre la legava alla Serpeverde solo per quel motivo. Sentir raccontare, nei dettagli, quella giornata, valeva il sacrificio.
Enrico IV di Francia aveva detto “Parigi val bene una messa” e Hermione non poteva trovarsi più d’accordo.
Nel suo caso, la sua Parigi, era quel brunch e il compromesso, per quanto la riguardava, era ben più che accettabile!
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 
 
*
 


 
 
 
 
 
 
 
 
 
Harry di quella dannata e tanto temuta domenica non ricordava poi così tanto.
C’era stato il fastidio per essere costretto a vestirti tutto elegante, come nemmeno una serata con la regina, per quello che Pansy continuava a definire “un’amichevole colazione tra amici di lunga data”.
Poi l’incredulità quando la stessa padrona di casa, niente meno che Dafne Greengrass, aveva aperto la porta per riceverli, accolta con sguardo divertito della sua compagna“chiudi la bocca, Potter, o un beccaccino potrà farci il nido!”.
Ricordava vagamente l’irritazione per le battutine sarcastiche di Malfoy, “com’è, entrare volontariamente nella tana del lupo, Potter? Paura?”, e quelle appena più amichevoli di Nott “quanto vorrei poter immortalare il momento, Potter, a memoria per i posteri.”
Si era perfino divertito, quando erano stati raggiunti da Astoria, troppo a lungo ignorata dal proprio fidanzato impegnato nella faticosa impresa di ridere alle spalle del Grifondoro, e Pansy aveva dato il meglio di sé, tirando fuori una velenosa dolcezza fino ad allora insospettabile “Oh, Astoria, tesoro. Non devi preoccuparti che allontaniamo l’attenzione di Dracuccio da te. Dovresti averla, prima, per accusarci di un tale torto.”
E c’era stata la sorpresa sentendo Pansy stessa, sempre così prodiga di battutacce e recriminazioni nei suoi confronti, ribattere acida ai commenti degli altri invitati solo per salvare il suo onore. “Sei appena diventato la damigella da salvare, Potter. Ma la tua virtù è al sicuro, con me”, lo aveva poi preso in giro impietosa una volta lontani da orecchie indiscrete. Probabilmente si riteneva l’unica in diritto di infierire in quel modo su di lui.
Tutto, però, assumeva sfumature vaghe e fumose, di fronte a quello che era successo dopo, una volta lasciata casa Greengrass.
-Sei sopravvissuto, Potter, non l’avrei mai detto.- si era complimentata.
-Sono sopravvissuto a molto peggio, se mi permetti di dirlo.- aveva ribattuto lui, più per facciata che per reale convinzione. Quella giornata era stata una prova di resistenzanon indifferente.
-E comunque deve sorprenderti che sia sopravvissuta Astoria, non io.- aveva continuato poi, riferendosi alle mille frecciatine che le due donne si erano lanciate.
-Oh, Harry, quella non è sorpresa. E’ semplice dispiacere.- ribatté lei infastidita avendo visto frustrati tutti i suoi tentativi di convincere l’amico a lasciare quella sanguisuga senza personalità.
Il ragazzo rise scuotendo la testa, trovandola nella sua inaspettata infantilità decisamente tenera.
Per alcuni minuti era stato infastidito dall’idea che tutta quell’animosità nei confronti della futura moglie del suo ex fosse dovuta solo alla gelosia, ma poi guardandoli rapportarsi tra loro si era ricordato di quello che aveva pensato la prima volta che li aveva visti insieme, a Nocturn Alley, e di quello che poi aveva detto a Hermione “ma ora…non lo so, sono amici, credo. E si vogliono bene, in quel modo contorto e incomprensibile in cui si vogliono bene i Serpeverde.” e il fastidio era passato.
Semplicemente voleva bene al suo amico e non lo voleva vedere con quella che lei, nella sua immensa e presuntuosa onniscienza, riteneva una cretina senza speranza. O meglio, più di quanto non fosse il resto delle persone. Dopotutto sospettava, e a ragione, che Pansy non avesse poi questa grande opinione del genere umano in generale. Astoria era solo in fondo alla catena alimentare.
-Grazie per essere venuto, oggi. È stato divertente.- gli disse dopo alcuni minuti di silenzio la Serpeverde, con lo sguardo cocciutamente puntato diritto davanti a sé.
Harry la guardò stupefatto da quella sincerità inaspettata. Non era nel suo stile, in effetti.
Eppure, proprio come la ferocia che aveva tirato fuori per difenderlo dai vecchi amici o quella più acida che vomitava addosso alla piccola Greengrass senza senso di colpa alcuno, trovò veramente dolce quel lato umano che non credeva avrebbe mai avuto l’opportunità di vedere. Fu per questo, probabilmente, che allungò una mano per stringere la sua, per la prima volta in mesi di uscite.
Pansy sussultò per la sorpresa, fermandosi di botto, tanto che lui fece altri due passi prima di accorgersene.
-Che succede?- chiese titubante il ragazzo, con il rossore sul collo che minacciava di espandersi a tutta la faccia.
-Io…ecco, Potter…- balbettò con lo sguardo fisso a terra, prima di riprendersi e dichiarare fintamente infastidita – Cos’è? Abbiamo dieci anni da camminare mano nella mano?-
Stranamente, per uno come Harry, quel ritorno ai modi dittatoriali che le erano propri, gli diede il coraggio necessario per dirle quello che provava. Probabilmente non avrebbe avuto un’altra occasione del genere. Non senza che la ragazza lo sbranasse, almeno!
-Mi piaci, Pansy e…stai zitta, per un secondo!- la sgridò vedendo che stava per interromperlo nuovamente, quando finalmente aveva iniziato a parlare –Sei una pazza sclerotica che non accetta le opinioni altrui. Sei acida e indisponente per la maggior parte del tempo e per il resto mi irriti come non ci riesce nessuno. Sei cinica e probabilmente prima o poi mi farai venire un’ulcera. E potrei continuare, credimi.- e sorrise vedendola arrossire infuriata per quella lunga lista di difetti –Ma mi piaci, Pansy. Perché sei divertente e sarcastica e intelligente. E bellissima. Una bellissima e forte giovane donna che mi stupisce ogni secondo, con ogni parola che pronuncia. Sei una sorpresa continua, un imprevisto incontrato per strada.-
-Potter.- lo minacciò lei ostile, guardandolo per la prima volta da che si erano fermati e Harry si stupì, di vederle gli occhi pieni di lacrime e il volto arrossato.
Era bellissima.
La sua bellissima sorpresa.
-E voglio che tu sia il mio bellissimo imprevisto. La mattina appena sveglio e la sera prima di andare a dormire e…-
-Potter, ti odio!- gli urlò lei ormai completamente in lacrime, gettandosi tra le sue braccia e nascondendo il viso nel suo collo –Perché vuoi farmi piangere a tutti i costi?-
Harry sentiva tutta quella fastidiosa umidità penetrane nel colletto della camicia, ma paradossalmente non era mai stato bene come in quel momento.
Era tranquillo, con lei tra le braccia.
Aveva iniziato a respirare, tre anni prima, riprendendo in mano la propria vita.
E lo stava facendo anche in quel momento, con quella donna stratta al petto e la voglia di baciarla.
Una contraddizione vivente di velenosa dolcezza e bieca malvagità. E la voleva per sé, lo sapeva ogni momento di più.
-Non provare a baciarmi adesso, Potter, perché potrei staccarti la lingua con un morso.- berciò lei infastidita allontanando la testa di scatto, sentendo le sue mani sulle spalle, e asciugandosi veloce le guance per eliminare ogni prova di commozione.
Harry rise di nuovo, scuotendo la testa, perché lei era esattamente quello che aveva pensato e detto e molto di più.
Una sorpresa continua.
Il suo bellissimo imprevisto.
Una contraddizione vivente di velenosa dolcezza e bieca malvagità.
-Sarebbe carino se anche tu dicessi che ti piaccio, almeno un po’.-
Pansy, come ogni volta che riteneva di aver sentito la più grande delle idiozie, gli rifilò uno sguardo disgustato, senza degnarlo di una risposta.
Un po’ se lo aspettava, in effetti.
Lui continuò a guardarla nella speranza, molto remota, di farla cedere. Ci riuscì solamente per l’alterato stato emotivo della donna, non avrebbe mai potuto vantare alcun merito, al riguardo.
-Ma era ovvio, no?- rispose alla fine infastidita.
-Davvero?- chiese lui scettico.
-Certo!-
-E da cosa?-
Lei gli rifilò lo stesso sguardo raggelante di poco prima.
-Ho perso tutto questo tempo a raggirarti e ingannarti. Pensi che lo faccia con chiunque, stupido Grifondoro?-
Ogni timore verso le sue minacce, dopotutto la sua lingua era un ben misero prezzo da pagare, svanì vedendo di nuovo quegli occhioni lucidi. Ma doveva agire in fretta, o un calcio tra le gambe non glielo avrebbe tolto nessuno.
Le prese il mento tra pollice e indice per inclinarle il viso e abbassò il suo fino a toccarle le labbra. Erano morbide proprio come le aveva immaginate.
Era bello, baciarla. E stringerla a sé. Era bello anche sentire le unghie di lei piantate saldamente nel suo collo, a intimargli di staccarsi nonostante anche lei, stesse rispondendo al suo bacio.
 
 
 
 
Solo un paio di minuti dopo, sentendosi pestare dolorosamente un piede, Harry la lasciò andare, trovando di nuovo i suoi occhi umidi e le sue labbra arrossate.
Una contraddizione vivente di velenosa dolcezza e bieca malvagità.
Ed era sua. Ne era certo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Un anno dopo.
 
Harry Potter trovava ancora difficile accettare che il suo salotto, così come la sua camera da letto, avesse come colore preponderante il verde.
Certo, al momento della decisione, aveva trovato quel verde, che allora era stato subdolamente definito un verde bosco brillante, una rilassante sfumatura per i preziosi momenti di relax che l’Accademia Auror gli concedeva. Dopo tre mesi dall’imbiancatura, invece, vedeva solamente le astuzie della sua fidanzata per ottenere, come ogni volta, quello che desiderava.
Il colore delle pareti, l’arredamento in generale e l’enorme cabina armadio, talmente grande che lo stesso spazio avrebbe potuto essere stato sfruttato per un’altra stanza, in cui erano appesi per colore tutti i capi della ragazza, erano solo i primi di una lunga lista.
Harry aveva ben presto capito che certi argomenti era meglio non toccarli, e la disposizione dell’armadio insieme alla frequenza con cui questo veniva maniacalmente riordinato erano due di quelli.
Certo non si sarebbe infastidito più di tanto se, durante quell’ossessivo riordino, l’intera superficie del letto non finisse immancabilmente coperta di abiti. O se quelle manovre, degne solo di un plotone militare, non avessero dovuto avere luogo proprio durante i suoi riposini pomeridiani, al ritorno dall’ennesimo massacrante allenamento.
A ogni critica sulle tempistiche, immancabilmente, gli veniva ricordato che “nessuno, lo aveva obbligato a scegliere quella carriera” o ancora che “era stato lui a decidere di riprendere gli studi per sentirsi in pace con se stesso” o, la preferita della ragazza, “siamo abbastanza ricchi da vivere di rendita e tu vai a farti pestare per sport!”.
Tra gli altri argomenti da non toccare, sfortunatamente, c’era quell’inopportuna palla di pelo che era Fluffy, il loro cane-padrone che, da che era arrivato, aveva preso possesso di ogni angolo della casa.
Pansy era impazzita definitivamente, per quell’essere, diventando ancora più irritante di quanto non fosse normalmente.
Harry rimpiangeva il disgraziato giorno in cui, l’anno precedente, si era presentato a quel brunch in territorio nemico, e la dichiarazione che ne era seguita.
Ovviamente rimpiangeva ancora di più il giorno in cui le aveva proposto di andare a vivere insieme, o meglio quando Pansy l’aveva raggirato abbastanza da farselo proporre come se la decisione non provenisse da lei, ma niente era paragonabile a quanto odiasse il giorno in cui aveva accettato di comprare quel dannato cane.
A disturbarlo di più, probabilmente, era il fatto che per una volta l’idea fosse stata davvero sua, senza ingerenze esterne, e che dopo strenue battaglie l’avesse avuta vinta sulla ragazza che, sinceramente seccata dalla proposta, l’aveva accompagnato a un negozio di animali babbano solo per assicurarsi che non tornasse a casa con qualcosa di potenzialmente mortale.
Quanta fiducia, che aveva in lui, la sua ragazza!
Nel giro di un paio di giorni Pansy stravedeva per quel cicciotto cucciolo peloso che era Fluffy, arrivando perfino ad affibbiargli quel vergognoso nome, mentre Harry voleva solamente farlo evanescere.
Mordeva le sue scarpe, solo il sinistro di ogni paio, però, costringendolo a sistemarle ogni volta con un tocco di bacchetta prima di uscire, occupava il suo posto sul divano, quello a lato, dove poteva appoggiarsi al bracciolo per leggere tranquillamente la Gazzetta del Profeta, e rendeva Pansy instabile da far paura.
Perfino Malfoy, mosso a pietà dal mostro che l’amica era diventata, aveva proposto di condividere con lui la sua scorta di veleni, per uccidere il cane o la ragazza indifferentemente.
Scegli chi preferisci, Potter”, gli aveva concesso magnanimo.
-Dannazione, botolo, stai fermo!- brontolò Harry sempre più stressato, tentando di asciugare quel dannato cane prima del ritorno a casa della ragazza.
Avrebbe infatti preferito non spiegargli perché, esattamente, si ritrovasse a fargli un bagno quando lo avevano portato a lavare solo il giorno prima, rovinandogli così la perfetta piega da trentasette galeoni che l’Elvis dei poveri aveva avuto fino a quella mattina.
Ma Harry doveva saperlo che non poteva andare tutto secondo i suoi piani.
Era appena riuscito ad asciugare il cane e concedere una più che meritata doccia a se stesso, perché quella bestia ingrata gli aveva bagnato perfino le mutande nel tentativo di liberarsi dalla tortura, quando Pansy entrò in casa allegra.
-Amoooreee! La mamma è tornata!- gorgheggiò dall’ingresso rivolta a Fluffy, prima di prenderlo in braccio e coccolarlo come nemmeno un figlio.
Non c’era possibilità di errore, al riguardo. La ragazza non lo avrebbe mai apostrofato in modo tanto sdolcinato ancora nei pressi della porta d’ingresso, rischiando di farsi sentire da un qualunque passante.
Tornò improvvisamente normale quando lo vide, baciandolo veloce sulle labbra, prima di ghignare divertita. Quell’espressione, Harry l’aveva imparato in quei mesi insieme, non prometteva mai niente di buono. Non per lui, almenoLei ci ricavava sempre delle grasse risate a sue spese.
-Potter che cosa hai combinato?- chiese infatti scettica, alternando lo sguardo dal cane, ancora caldo di phon a Harry, con i capelli umidi di doccia e la maglietta al contrario, tenero come un bimbo.
Stranamente, e visti i trentasette galeoni non ci avrebbe giurato sopra, non se l’era presa per la piega ormai inesistente del cane, ma puntava lui come un mastino con un osso.
-Di che stai parlando?- chiese Harry sulla difensiva.
-Ho parlato con la signora Wistlett, la nostra vicina, e ha detto che per poco non hai scatenato una rissa, là fuori.- gli spiegò con quella faccia da baro Serpeverde che Harry temeva come niente altro.
Aveva anche pensato di portarla a Las Vegas per un pellegrinaggio nei casinò, ma poi aveva avuto pietà dei poveri ignari che avrebbero condiviso il tavolo verde con lei, ritrovandosi la mattina dopo senza nemmeno le forze per tornarsene a casa. Ammesso che l’avessero ancora, una casa.
-Non so di cosa stai parlando.-
-Non provare a negare, Harry Potter! Hai quasi scatenato una rissa con uno sconosciuto!- si arrabbiò lei, prima di dare una nuova carezza sulla testa del cane che ancora aveva in braccio.
-E chi dice che sia stato io?- Harry indispettito, anche se stava sudando freddo, consapevole che non avrebbe retto a lungo, a quell’interrogatorio. Purtroppo non era mai stato bravo a mentire.
Lei, in risposta, si limitò ad alzare scettica un sopracciglio, aspettando il momento in cui il ragazzo si sarebbe irritato abbastanza da confessare tutto solo per sbatterle in faccia la verità. In sei mesi di convivenza, ormai, lo conosceva abbastanza da sapere come raggirarlo.
Non che si fosse mai fatta troppi scrupoli in precedenza, in effetti, ma adesso c’era tutta una nuova soddisfazione nel farlo, perché lui ne era consapevole, sebbene l’orgoglio gli impedisse di ammetterlo.
E Pansy lo trovava ancora più divertente.
Mai quanto prendere in giro Weasley, magari insieme a Draco, ma non si lamentava.
-Magari è lui che ha attaccato briga, no?- chiese irritato il ragazzo, confermando la sua teoria.
-La signora Wistlett non la pensa così.- gli disse Pansy soddisfatta mettendo a terra Fluffy.
-Beh, sai che ti dico? È tutta colpa del tuo dannato cane. Quello sconosciuto, come dici tu, lo ha chiamato insulsa palla di pelo e ha proposto al suo cane di usarlo come antipasto e l’ho difeso. Sei contenta? Sei contenta, adesso?- sbottò arrabbiato Harry, arrossendo in viso per l’imbarazzante confessione cui era stato costretto.
Pansy sorrise intenerita da quello che il fidanzato aveva fatto per il botolo ubriaco, come lo chiamava lui, sebbene la vecchia vicina le avesse già raccontato l’intera storia.
Il suo ragazzo che quasi si picchiava con un uomo grosso il doppio di lui solo per proteggere l’onore del loro piccolo. Pansy lo trovava davvero molto dolce. E sexy.
-Hai protetto il nostro piccolino?- gli disse ghignante avvicinandosi al ragazzo fino a circondargli il collo con le braccia con voce svenevole.
-Lo sapevi già, maledetta, vero?- borbottò lui infastidito.
Harry era sempre molto tenero, quando si accorgeva di essere stato raggirato e lo era ancora di più prima, quando ancora non se ne era reso conto.
Come quando l’aveva invitata a pranzo la prima volta, rincorrendola e cercando di capire cosa avesse detto per irritarla, finendo poi per supplicarla per andare in pausa pranzo insieme. O quando si era presentato al negozio e aveva stoicamente sopportato i commenti al vetriolo prima di Dora e poi di lei.
In realtà, trovava Harry tenero la maggior parte delle volte. Doveva essere la sua integrità Grifondoro, quella che gli impediva di ingannarla come lei faceva giornalmente con lui, sebbene alla fine apprezzasse i suoi metodi, a renderlo così adorabile.
Pansy si era sempre detta che, fin da ragazza, era stata circondata da un ben altro genere di persone. E non se ne vedevano tanti, come lui, tra le umide pareti dei sotterranei.
Probabilmente, poi, a quell’età non l’avrebbe nemmeno apprezzato, visto che tutti i suoi interessi vertevano su giovani rampolli di buona famiglia arroganti e tenebrosi.
Malfoy ne era l’esempio.
Non sarebbero arrivati a quel punto, se lei non avesse preso la situazione in mano. Probabilmente Potter avrebbe avuto ancora mille dubbi se salutarla per strada o meno. Fortuna che lei era una donna che sapeva cosa voleva e come agire per ottenerla.
Un primo appuntamento.
Un bacio.
Un impegno.
E poi la convivenza. L’arredamento e i colori alle pareti.
E perfino il cane.
E mille piccole altre cose che era meglio Harry non scoprisse mai.
Come il color rosso acceso dei mantelli Auror, che il Ministero aveva inaspettatamente cambiato in un rosso più cupo e decisamente più accettabile. Forse non alla moda, ma aveva ancora tempo, per lavorarci sopra.
-Sei una subdola arrivista.- le disse scontento, stringendole le braccia intorno ai fianchi.
-Lo sai Potter che sto con te solo per i soldi, no?- rispose sarcastica, facendolo scuotere la testa divertito.
-Beh io sto con te solo per i tuoi amici, quindi mi sembra uno scambio equo.- rispose lui con lo stesso tono.
Pansy si ritrovò a ridere allegra per la menzogna palese, ricordando ancora con ridicolo divertimento il giovedì precedente, quando avevano invitato Draco e Astoria Sono Troppo Noiosa Greengrass a cena, e i due ragazzi avevano quasi fatto a botte per decidere chi dovesse lavare i piatti.
Un altro brillante raggiro andato a segno.
Pansy era deliziata, dalla capacità che ancora aveva dopo anni di fregare perfino il suo migliore amico, e la rabbia che questo comportava nella piccola Greengrass rendeva tutto ancora più soddisfacente.
Harry guardò affascinato il succedersi di emozioni sul viso della ragazza, abbassandosi un poco per baciarla sul naso quando un sorriso sincero le illuminò gli occhi.
-Hai salvato il nostro cucciolino, Potter!- soffiò lei con voce suadente.
-Me lo rinfaccerai per sempre, vero?- chiese lui, fingendosi orripilato dalla possibilità.
-Ammettilo, che alla fine gli vuoi bene.- lo prese in giro pizzicandogli una guancia.
-Mai. Lo sai che non lo sopporto. Ma dico, lo hai visto? Potremmo usarlo come panno per la polvere e non noteremmo la differenza!- si intestardì il ragazzo.
Era adorabile, in quel momento. Sembrava un ragazzino vergognoso. Un po’ come quando lo costringeva a portarle la borsa durante una passeggiata per poterlo abbracciare come meglio credeva, sogghignando poi sadica vedendo le facce invidiose delle altre donne che la vedevano con il Prescelto, o quando portava a passeggio Fluffy con il collare di brillantini azzurro che lui trovava tanto offensivo. Le prime volte brontolava “Tu vuoi castrarmi, donna. Ammettilo!”
- Questa sì che è una bella sventura, Potter. Trovare simpatica la persona che si è prefissi detestare.- gorgheggiò lei sogghignando.
Harry borbottò qualche parola indistinta, irritato per l’ennesima volta dalla ragazza e dalla consapevolezza di concederle tutto quello che voleva, ogni singola dannatissima volta.
Come quando aveva preteso di sapere quando, esattamente, si fosse reso conto che stavano uscendo insieme come coppia. O che si stava innamorando di lei.
Al ragazzo non era rimasto, dopo due ore di raggiri e seducenti promesse, che ammettere di aver avuto bisogno di una chiacchierata chiarificatrice con Hermione e si era ritrovato a citare quella frase.
Non poteva certo immaginare che, da quel giorno, Pansy l’avrebbe ripetuta ogni volta che se ne fosse presentata l’occasione.
Ma che paragonasse la sua epifania affettiva a quello che provava per il botolo che aveva preso possesso di casa loro no, non ci stava!
-Pansy.- le intimò infatti serio, sperando che il discorso finisse lì.
Non aveva considerato di essere finito in trappola per l’ennesima volta, ma lo capì quando lei rise deliziata strofinandogli il naso sul collo.
-Dimmelo.- lo pregò dolce.
-Mai.- rispose lui risoluto, deciso a non piegarsi fino in fondo.
-Oh, andiamo Harry, non fare il cattivo.- continuò con lo stesso tono, baciandogli leggera il pomo d’Adamo che andava su e giù frenetico, al ritmo del suo respiro.
Quella dannata donna sapeva sempre quali tasti premere, accidenti.
-Andiamo Pansy…- la pregò lui, attaccandosi agli ultimi brandelli di determinazione, sperando sarebbero bastati.
-No, no, no, no, Harry. Solo due paroline. Due paroline piccole, piccole.- lo incoraggiò salendo verso la mandibola con le sue labbra soffici.
-Ti amo. Accidenti, donna, sei contenta, adesso?- si arrese alla fine irritato, prima di stringerle il mento tra pollice e indice e inclinandole il viso quel tanto per poterla baciare.
La ragazza sospirò soddisfatta, come ogni volta che il fidanzato si imponeva in quel modo, e gli strinse di più le braccia al collo per potersi avvicinare a lui.
 
 
 
 
 
 
Un paio di ore dopo, abbracciati sul letto sfatto, Harry cercava a tentoni gli occhiali che erano finiti tra le lenzuola senza però abbandonare la presa sul corpo morbido di lei, e Pansy fumava tranquilla una delle sue sigarette al limone, picchiettando occasionalmente sul posacenere che le stava a fianco.
Quando avevano iniziato a uscire lei fumava del normale tabacco, Harry lo ricordava perché ogni volta che accendeva una sigaretta storceva il naso infastidito dall’odore, ma da quando vivevano insieme, lei aveva iniziato a comprare sigarette aromatizzate al limone, in uno dei suoi tanti piccoli pensieri per Harry, sebbene non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce.
La ragazza continuava a sostenere che lo avesse fatto perché ormai solo i proletari, fumavano tabacco, ma visti gli sguardi invidiosi che lanciava a Malfoy ogni volta che lui accendeva una delle sue, Harry aveva scoperto la menzogna.
Era dolce, Pansy. Come una pianta velenosa, certo, ma non per questo i suoi fiori erano meno preziosi. Per Harry lo erano di più.
-Ti amo, comunque.- gli disse indifferente tra una boccata e l’altra di sigaretta, guardando diritta davanti a sé.
Il ragazzo sorrise sentendo quelle parole, apparentemente gelide e distaccate, ma si chinò un po’ verso di lei per baciarle una spalla nuda.
La ragazza difficilmente sprecava il proprio tempo a mentire, dissimulare forse, raggirarlo certamente, ma mentire? Non credeva di averla mai sentita mentire in un anno che stavano insieme.
Se non lo guardava quando gli diceva di amarlo era perché si sentiva indifesa quando lo faceva, e non voleva darlo a vedere.
Anche quando le aveva confessato i propri sentimenti per la prima volta, aveva fatto di tutto per non guardarlo in viso ed evitare le lacrime.
Se l’avesse osservato, probabilmente, si sarebbe messa a piangere anche in quel momento. Lo faceva ogni volta che lui, in qualche modo, riusciva a giocarla.
-Dillo che vuoi farmi piangere, allora. Dillo, accidenti a te, stupido Grifondoro!- lo insultò, infatti, con voce rotta, spintonandolo perché si allontanasse da lei prima di vedere le lacrime nei suoi occhi, facendolo ridacchiare divertito.
Solo dopo che ebbe notato la mancanza di occhiali si rilassò leggermente, permettendogli perfino di abbracciarla.
Dopotutto Harry era cieco come una talpa, senza.
Rimasero in silenzio qualche minuto, cullati l’uno dal respiro dell’altra.
Erano momenti perfetti, quelli, ma generalmente duravano poco. Pansy era troppo sadica per cadere nello sdolcinato.
E così fu anche quella volta.
-Potter, devi portare fuori Fluffy. Non senti come gratta la porta? Probabilmente deve fare pipì, povero piccolo!-
E con quell’ultima romanticheria, lo spinse fuori dal letto soddisfatta, osservandolo muoversi alla cieca per parecchi minuti, divertita dal suo sbattere contro ogni spigolo esistente, prima di decidersi a consegnargli gli occhiali che aveva nascosto sul proprio comodino.
-Stupida.- borbottò infastidito il ragazzo, mentre si allontanava insieme al cane per cercare il vergognoso guinzaglio massaggiandosi il posteriore sul quale presto sarebbe comparso un importante livido dopo un incontro ravvicinato con il comodino.
Pansy si stiracchiò e gli urlò dietro –Ti amo anche io!-
Non avrebbe mai avuto l’ultima parola, con la ragazza.
Ogni giorno passato al suo fianco non faceva che ricordarglielo. Eppure, perfino quella fastidiosa consapevolezza, gliela faceva amare anche di più.
Hermione glielo aveva detto, tempo prima, ma forse non ne aveva capito le reali implicazioni.
 
 
 
Questa sì che è una bella sventura. Trovare simpatica la persona che si è prefissi detestare.
 
 
 
E se da ragazzino la detestava davvero e l’anno prima aveva fatto di tutto per ricordarsi quante e quali fossero le sue reticenze nei confronti della ragazza, adesso la amava e basta con tutti i suoi difetti e le mille paranoie psichedeliche.
 
 
 
 
 
Una sorpresa continua.
Il suo bellissimo imprevisto.
Una contraddizione vivente di velenosa dolcezza e bieca malvagità.
Sua. 
 
 
 
 
 



 
 
 

ANGOLO AUTRICE.
Ecco a voi il secondo e ultimo capitolo di questo ennesimo delirio.
Grazie a XanderXVII per la recensione, entro sera prometto di risponderti, e grazie anche a chi ha letto soltanto.
Come avevo detto nelle note dello scorso capitolo questa storia partecipa al contest “Dalla vecchia alla nuovissima generazione, per tutti i gusti”indetto da Alistel, e si è classificata seconda. Potete immaginare quanto sia contenta!
http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=10639201&p=5 Qui potete leggere i giudizi alle varie storie e, se volete, andare a dare un’occhiata di persona.
Passando alle mie, spesso inutili, precisazioni di fine capitolo, vado a segnalarvi ciò che non è farina del mio sacco. Aristotele e i suoi sillogismi in prima fila, visto l’importanza storica e culturale che quell’uomo incarna ancora a distanza di secoli e secoli, la mia anima da filosofa fallita derivante da anni di liceo, ci teneva alla precisazione.
La frase di Pansy, “Tu non sai niente, Potter!” deriva direttamente da una delle frasi più famosi delle Cronache del ghiaccio e del fuoco, di Martin, dove Igritte la rivolge a Jon Snow con la stessa frequenza con cui cadono teste. Se non ve la sentite di cimentarvi nel malloppo, almeno date una possibilità al telefilm, che almeno fino al punto cui sono arrivata è parecchio attinente alla trama originale!
Il Poison Kitchen, ristorante di Praga, invece, è il ristorante preferito di Karou, protagonista della Chimera di Praga, di Laini Taylor e che, purtroppo, non esiste, altrimenti anche io sarei loro cliente.
Parigi val bene una messa” è la celebre frase con cui Enrico III di Navarra, in seguito Enrico IV di Francia (1553 – 1610) accetta di convertirsi pur di governare sulla Francia, almeno secondo le leggende.
Un beccaccino, che rischia di finire nella gola di Harry, come amorevolmente gli ricorda Pansy è, ovviamente, il beccaccino di Up!, e con questa ultima delirante citazione blasfema, direi che posso salutarvi.
Grazie a chi sprecherà un po’ del suo tempo per questa storia. Se decidete di lasciarmi una recensioncina mi farete sempre felice.
Un abbraccio, Rebecca.






 
   
 
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