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Autore: Julia of Elaja    07/09/2013    4 recensioni
"Ti è chiaro ora, Norma?".
Andrew la guardò, e la ragazza capì che forse era arrivato il momento di preoccuparsi, e sul serio; glielo gridavano quegli occhi così impauriti e disperati che in quel momento la fissavano, alienati.
"Ci siamo dentro anche noi?".
"Esatto. Forse avremmo fatto meglio a starne fuori".
E intanto un foglio burciava nel camino, imbrattato dall'inchiostro ormai sciolto che fino a poco prima recitava così:
"Sto arrivando, Miles. Preparati la tomba".
Genere: Mistero, Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
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Generalmente, a Greentown i nuovi arrivi erano sempre ben accetti: i vicini portavano torte e crostate ai nuovi arrivati, si organizzavano barbecue per la loro accoglienza nelle Domeniche più belle e ognuno aveva un sorriso o una bella parola pronti per essere sfornati.
Ma poi, alla fin dei conti, era tutto fumo e niente arrosto.
Quando Andrew Miles aveva perso suo padre, dieci anni dopo il suo arrivo con la famiglia a Greentown, gli unici ad esser stati loro vicini erano stati solo la famiglia Hutch e qualche altro amico. Su una città di circa centocinquantamila abitanti, appena una ventina erano stati con loro a supportarli ed aiutarli.
Al funerale, invece, era presente l’intera città: il padre di Andrew, beneamato e stimato proprietario del bar più in vista della città,“Le Cafè Central” , era stato pianto da tutti, sconosciuti compresi. Tanto dolore, tante lacrime.
Ma mai quanto quelle della famiglia Miles, che oramai aveva perso la loro colonna portante.
Così Andrew, ad appena quindici anni, aveva preso in mano le redini della casa: ormai da dieci anni gestiva il bar del padre, studiava all’università e aiutava sua madre nelle faccende domestiche, assieme a sua sorella Emily. E poi c’era Amy da gestire: la terza figlia della famiglia Miles, nata quattro mesi dopo la morte del padre.
Amy era una bambina vivace, pimpante, che richiedeva attenzioni costanti, come tutti i bambini della sua età; aveva appena concluso le scuole elementari e si apprestava a frequentare le scuole medie.
Andrew era quasi un padre per lei: quindici anni di differenza e la mancanza del papà avevano creato tra i due un rapporto meraviglioso, che con gli anni si era fatto sempre più stretto e affiatato.
Serena Miles, la madre, era felice e orgogliosa dei propri tre figli: avevano saputo reagire alla morte del padre, dandosi da fare in tutte le maniere possibili per darle una mano. Ogni volta che si sedevano a tavola, la sera, li guardava e li ringraziava per tutto ciò che ogni giorno facevano. E loro, sorridendo, le dicevano che era il minimo.
Andrew aveva sempre avuto, quindi, una vita abbastanza impegnativa: tuttavia non gli mancavano i momenti di svago, che era riuscito ad inserire sapientemente nelle sue giornate colme di impegni. La palestra, le belle ragazze da portare in macchina, una diversa per ogni sera, e l’immancabile appuntamento serale di tutti i giorni con la sua migliore amica Norma.
Norma l’aveva conosciuto quando si erano appena trasferiti a Greentown, durante una grigliata domenicale in compagnia di tanti altri vicini; all’epoca lei aveva sei anni, capelli corti portati a caschetto con la frangia e vestitini abbinati alle scarpette di vernice. Una bambolina.
Andrew, di un anno più grande di lei, aveva giocato con un gruppo di amici per tutto il tempo, Norma compresa.
Le si era avvicinato con una bottiglia di ketchup in mano, brandendola a mo’ di spada, con il beccuccio rivolto pericolosamente verso l’abitino blu di lei.
“In guardia, strega!”.
Norma aveva iniziato a correre, temendo di farsi macchiare, e si erano rincorsi per qualche minuto fino a quando, tutti e due, non rovinarono a terra. Inutile dire che il risultato fu una bella sgridata da parte dei genitori e i vestiti di entrambi macchiati di erba e ketchup.
E così si erano conosciuti, e da quel giorno erano stati inseparabili. La fortuna di abitare a solo cinque case di distanza, poi, permetteva loro di passare intere giornate insieme, al parco, in bici, o anche nel boschetto a raccogliere funghi e fiori. Poi c’era la scuola, e anche se non andavano nella stessa classe, c’era sempre l’occasione di incontrarsi durante l’intervallo per chiacchierare.
Erano stati anni splendidi, passati troppo velocemente. E quell’infanzia così bella, Andrew se la vide portata via quando suo padre li lasciò, così, senza preavviso.
Norma era stata notte e giorno a casa di Andrew, quando accadde.
Lei e i suoi genitori si erano praticamente trasferiti a casa Miles: ma chi aveva più bisogno di aiuto era Andrew e Norma, appena quattordicenne, entrava in camera sua e lo abbracciava. A volte rimanevano abbracciati in silenzio per un intero pomeriggio, quando Andrew era particolarmente giù.
Il giorno del funerale, Norma aveva dormito a casa Miles, su richiesta di Andrew.
“Ho bisogno di te” le aveva detto.
“Io ci sarò” gli aveva risposto Norma.
E lei c’era sempre stata per lui, così come lui per lei.
All’arrivo dei primi amori, Norma e Andrew si erano legati ancor di più: confidenze e segreti condivisi li avevano resi praticamente una cosa sola, lei consigliava lui riguardo il come comportarsi con le donne e lui insegnava a lei come far capitolare un uomo. Era un perfetto mutualismo, dove l’uno aveva bisogno dell’altra e viceversa. Uniti, sempre.
Giunti all'università, avevano deciso di dividere le proprie strade, per modo di dire: lei medicina, lui scienze dell’alimentazione, ma alla stessa sede universitaria, quella di Greentown.
E ogni giorno, dopo aver frequentato ognuno le proprie lezioni, si davano appuntamento all’uscita per tornare assieme a casa. Era il patto di una vita: sempre assieme, mai separati.
Quella sera, come tutte le altre sere, Andrew era appena uscito da casa di Norma e, entrato in macchina, si avviò per raggiungere Mary, una delle tante ragazze che frequentava quando gli andava.
Non era affatto fiero di se stesso, per questo: avrebbe di certo preferito una ragazza con sani principi, bella, sorridente e allegra, semplice, come piacciono a lui; ma, sfortunatamente, l’unica che rispettava tutti questi requisiti era Norma.
Da anni, ormai, si era reso conto di provare qualcosa per lei: ma poi lei era sempre impegnata con qualcun altro, e ormai da due anni era fidanzata con Nick.
Quando glielo aveva detto, felicissima, lui l’aveva abbracciata, dicendole che era davvero contento per lei… balle. Tutte balle. Avrebbe voluto spaccare il mondo per la rabbia. Lui la voleva per sé. Ma lei era di un altro.
E poi erano amici, quindi mai e poi mai Norma avrebbe potuto immaginare di piacere sul serio a lui. Pazienza, un giorno probabilmente sarebbe stato anche invitato al suo matrimonio, l’avrebbe vista felice tra le braccia di un altro mentre lui, sicuramente, non si sarebbe sposato affatto. Single a vita, con una ragazza diversa per ogni sera. Proprio come in quel momento.
“Ciao!”.
La voce di Mary che era appena entrata in macchina lo riscosse dai suoi pensieri: le fece un sorrisetto e le chiese “Hai mangiato?”.
“Oh, sì. Ma se tu vuoi potremmo…”
“No, non ho fame. Andiamo”.
Mise in moto la macchina e si diresse verso il buio delle campagne, dove avrebbe passato qualche ora per poter dimenticare e ingoiare a bocconi amari la triste verità: Norma non era e non sarebbe mai stata sua.
Passando davanti alla casa della ragazza ebbe un fremito: era davvero irritante saperla a casa, con quell’idiota del suo ragazzo che non le degnava un briciolo di attenzione, mentre lui smaniava per lei. Scosse il capo, guardò dritto davanti a sé la strada e accese la radio. Non ci voleva pensare, non in quel momento.
Aveva altri programmi per la serata.
“Cosa stai facendo?” sbottò, vedendo che la ragazza al suo fianco si era chinata e iniziava a baciargli le cosce.
“Voglio farti riprendere un po’!” rispose quella, il capo calato e le mani che armeggiavano con la cerniera dei pantaloni di lui “Stasera ti vedo giù”.
Ma certo, cosa ne voleva capire una sgualdrinella come quella dei suoi problemi, dei suoi pensieri su Norma, dell’amore per lei che cresceva sempre di più mentre lei gli era proibita?
Accostò dopo pochi chilometri dall’uscita della città, e in un tratturo di campagna spense il motore della macchina e i fari.
Si spogliò completamente e la ragazza si avventò su di lui, senza neanche dargli il tempo di capire cosa stesse succedendo.
Non gli piaceva quella vita, la stava odiando: quella Mary e le altre cinque ragazze che si portava a letto erano solo utili per sfogare tutta la sua frustrazione, e capitava spesso che durante il rapporto immaginava che lì davanti a lui ci fosse Norma, e non Mary o una delle altre.
Prese la ragazza, già completamente spogliata, e le si gettò addosso, mettendoci tutta la forza che poteva nell’entrare in lei. Si sfogava così, dominava quelle cinque cretine che si accontentavano di una bella serata di sesso per poi essere riaccompagnate a casa.
E finiva tutto lì.
“Quanto mi piace” gemeva la ragazza sotto di lui e Andrew pensava che avrebbe dovuto smetterla con quella vita così dissoluta.
Ma il suo sguardo correva oltre, scrutava nel buio della notte che attorniava la macchina.
La nebbia stava calando, come ogni sera, ma c’era qualcosa di diverso…
“Mary!”.
“Che c’è?”.
Si interruppe: “C’è qualcosa là fuori”.
Mary si mise a sedere e spannò il finestrino con una mano: “Io non vedo nulla, Andrew”.
“Ne sono sicuro, fidati” rispose lui con tono duro “Qualcosa si è mosso là fuori. Rivestiti, se dovesse essere la polizia saremmo fottuti”.
La ragazza si infilò subito il vestito e lui mise direttamente il pantalone, senza l’intimo. Messa anche la maglietta, rimasero per qualche istante assorti nell’osservare l’esterno dal finestrino spannato.
“Andrew, avrai avuto un’allucinazione… dai, spostiamoci da qui, andiamo più verso l’interno!”.
Andrew non se lo fece ripetere due volte: accese la macchina e innescò la retromarcia a grande velocità.
“Io non ho avuto allucinazioni” sbottò “Ho visto qualcosa che si muoveva ma il vetro era appannato e non ho potuto capi…”.
La macchina fece un grande balzo e i due sussultarono: avevano urtato qualcosa durante la retromarcia.
“Diamine!” Andrew aprì lo sportello e scese dalla macchina per vedere cosa avesse preso in pieno.
C’era qualcosa sotto la macchina, che spuntava dal lato sinistro, sembrava quasi una scarpa.
Andrew prese il suo cellulare e illuminò quello strano oggetto per capire cose fosse.
“PORCA PUTTANA!”.
Cadde a terra, urlando come mai aveva fatto in vita sua.
“Cosa c’è?” Mary, terrorizzata, uscì dalla macchina e lo raggiunse, chinandosi a terra per aiutarlo ad alzarsi.
Ma Andrew non riusciva a fare altro che urlare e indicare sotto la macchina.
“L’ho ammazzato… oh mio Dio, l’ho preso in pieno!”.
Mary seguì il dito di lui per vedere cosa indicasse: un piede, con tanto di scarpa, spuntava da sotto alla macchina.
“No!” urlò inorridita la ragazza “No, non è possibile, non c’era nessuno, ho visto anche io nello specchietto retrovisore… non è… no…”.
Ma qualcosa non andava: Mary si chinò per osservare meglio il cadavere sotto la macchina. Eppure non c’era davvero nessuno che passava in quel momento, possibile che davvero non lo avessero visto?
“Ma che… o santo cielo!”.
Fu il turno di Mary a urlare. Un urlo agghiacciante che probabilmente avrebbe potuto essere udito sino in città.
“No! NO! NO!” si chinò da un lato e vomitò con un violento conato.
Andrew le si avvicinò, piangendo e tremando: “Cosa c’è?” chiese balbettando “Che hai?”.
“GUARDALO! O MIO DIO!” la ragazza piangeva, sporca di terra e vomito e tremava incontrollatamente.
Andrew abbassò il capo e guardò sotto la macchina, facendosi sempre luce con il suo cellulare.
Quando riuscì a vedere meglio quel che c’era sotto la macchina, si ritrasse come se ci fosse stato un animale pericoloso là sotto.
“MERDA! NO! NO!” urlava, strisciando a terra per allontanarsi da lì.
Con le mani che tremavano come in preda ad una crisi epilettica, digitò il 911.
“911. In cosa posso esserle utile?”.
“C’è un cadavere! Nelle campagne fuori Greentown c’è un cada… McCarty… io…”.
Dovette allontanare il ricevitore per vomitare violentemente, rannicchiato su un fianco.
Poi fu tutto buio.
Si risvegliò in un luogo dalle abbaglianti luci bianche, steso in candide lenzuola, con lo stomaco in subbuglio e la testa che gli doleva. Alcune macchie nere gli danzavano davanti agli occhi.
“Andrew!”.
Sentì qualcuno che faceva pressione sulla sua mano sinistra, qualcuno che gli stava anche carezzando il braccio.
Riconobbe la sua voce: l’unica che in quel momento voleva sentire.
“Norma” sussurrò, voltando il capo verso sinistra e incrociando gli occhi castani di lei, colmi di preoccupazione.
“Tua madre sta parlando con il dottor Smith. Cosa diamine è successo, Andrew? Mary parlava di retromarcia e qui si vocifera che siate passati con la macchina sopra ad un cadavere! Ma chi è?”.
Andrew voleva solo risvegliarsi, perché quello doveva per forza essere un incubo.
La bocca gli si era fatta asciutta, non riusciva a deglutire e aveva ancora il sapore del vomito in bocca.
Scosse il capo: “Io potrei anche non aver visto bene. Era buio e…”.
“Era Matt? Matt McCarty? Ho sentito un medico dirlo un’oretta fa, quando sono arrivata in ospedale, ma non ho capito se parlassero di Matt per altri motivi o…”.
Andrew scosse il capo: “Era lui”.
Norma spalancò la bocca, portandosi le mani davanti.
“Gli mancava un intero lato del corpo. Il sinistro” balbettò mentre sentiva le lacrime tornare a scendere e il vomito salire.
“O mio Dio” mormorò Norma “Matt ammazzato? Ma da chi?”.
“COSA VUOI CHE NE SAPPIA!” urlò Andrew “SO SOLO CHE QUESTA CAZZO DI COSA NON LA POTRÒ MAI LEVARE DALLA MIA TESTA! VOGLIO MORIRE!”.
“Signorina, fuori di qui, adesso!” un corpulento medico irruppe nella stanza e fece allontanare Norma di gran corsa mentre un altro iniettava un liquido nella flebo di Andrew.
Lui si dimenava, urlava, aveva bisogno di qualcuno che gli stesse vicino in quel momento, aveva paura.
E poi aveva aggredito Norma, si sentiva un vero idiota.
Era davvero successo tutto quel guaio di quella sera?
E se sì, chi aveva ucciso Matt McCarty?

 
   
 
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