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Autore: Beeble    26/09/2013    1 recensioni
"Il caso, la follia ed i miracoli esistono se ci si crede: possono essere più legati di quanto non sembrino.
Le trame del primo, i meandri della seconda sono ciò che, probabilmente, porta alla potenza dei terzi.
Ciò che sta nel profondo non verrà mai perduto, mai per sempre.
La felicità trova sempre il modo di tornare."

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Una storia d'amore, una tragedia e...
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Gli agenti si offrirono di portare la donna all’ospedale; lei pareva non essere in grado di parlare, era in stato di shock, pensarono.
Non piangeva, nemmeno una lacrima.
Gli agenti giunti all’ospedale la ‘consegnarono’ ad un medico che la condusse in una sala d’attesa.
Dopo un paio d’ore la situazione si era stabilizzata.
Célie lo poté vedere. Le dissero che Francis non respirava da solo, che se avessero staccato la macchina dell’ossigeno, lui sarebbe morto, che non capivano ancora se potesse essere dichiarata la morte cerebrale, che, probabilmente, non si sarebbe mai rimesso.
Mano a mano che medici ed infermieri aggiungevano dei dettagli, però, ogni parola sulla diagnosi di Francis si faceva confusa e scompariva oltre l’inconscio nella mente di Célie, in un luogo dove probabilmente nemmeno lei avrebbe potuto mai più trovarla.
“Guarirà” decretò sicura alla fine di tutto.
I medici scoprirono che lavorava lì, provarono a chiamare i colleghi del suo reparto, contattarono i parenti, gli amici, fecero giungere psicologi e psichiatri... ma nessuno poteva farle vedere qualcosa che lei non vedeva.
“Rimozione a causa dell’alto livello di stress - borbottò lo psicologo - non è pericolosa”.
Célie non poteva capire quanto la situazione di Francis fosse grave, ma per nulla al mondo accettava di tornare a casa.
La stanza di Francis era la sua casa.
Con il trascorrere dei giorni nella stanza comparve un letto anche per Célie, un piccolo frigo, alcune piante e infine Totò.
Il primario, che conosceva Célie, aveva acconsentito con qualche dubbio ed un grande cuore a queste concessioni.
Ogni tanto la donna usciva dall’ospedale per fare la spesa, informava le infermiere dello stato d’animo del marito - che solo lei sapeva interpretare - portava il caffé a Francis ogni giorno alle 09.00 ed inconsapevole che lui non lo bevesse, un’infermiera la sera, senza farsi notare, lo portava via.
Mai, nessuno, da quando era arrivata l’aveva vista piangere, utilizzare parole di compatimento per quell’uomo privo di vita per tutti tranne che per lei.
 
 
Era passato un anno dall’incidente di Francis quando il primario decise che, per il suo bene, Célie doveva tornare gradualmente a vivere a casa sua. I suoi genitori, seppur anziani, erano d’accordo: si sarebbero trasferiti con lei.
I medici glielo spiegarono con molto tatto. Lei non prese la proposta troppo male, anzi, asserì che capiva che il marito volesse i suoi spazi.
Mancavano pochi giorni al trasferimento definitivo di Célie a casa sua.
Erano rimasti nella stanza solo il letto e Totò. Tutti gli effetti personali erano tornati a casa.
Il campanello della stanza suonò ripetutamente.
Un’infermiera accorse, Célie non aveva mai suonato il campanello... che fosse successo qualcosa?
Entrando, l’infermiera, fra tutte le cose che poteva aspettarsi vide ciò che ormai non sperava più: Célie piangeva, anzi, singhiozzava e guardando la donna vestita di bianco disse “Francis non parla, non dice nulla... perché? che è successo? Mi stringe solo la mano...”.
Era come diceva: la mano di Francis era saldamente stretta a quella di Célie.
Accorsero, come si fa per i grandi eventi, tutti i medici disponibili e fu chiamato qualche collega della cardiochirurgia.
Qualcuno spiego di nuovo, con calma, tutto l’accaduto, e mentre le parole giungevano alla sua mente, anche le parole racchiuse in quell’antro irraggiungibile della mente affioravano, quelle che ora era in grado di accettare.
Si scusò per ciò che aveva fatto in quei mesi ed andò a parlare con il primario.
Lui disse che non aveva nulla di cui scusarsi, che era la benvenuta, che ora avrebbe potuto fare come credeva meglio, in fondo, era lei che aveva fatto il miracolo.
Gli psicologi dissero che era guarita da sé, una cosa più unica che rara, decretarono.
Francis iniziò a respirare senza l’ausilio di alcuna macchina.
Mosse ancora le mani con piccoli gesti.
Era inequivocabilmente vivo.
Célie gli metteva Totò in grembo e parlava di tutti i loro ricordi insieme per le vie parigine.
Parlava a non finire.
“Ti ricordi quella volta, sulla riva della Senna”
“una a..a...” era un mugolio, ma bastava.
“Francis... mi senti? Era una rana... sì, mi saltò sulla mano...”
 
Da quel giorno, Francis recuperò la parola in maniera prodigiosamente veloce.
Riprese a muoversi autonomamente.
Nessuna lesione.
Come se avesse dormito per un anno.
Inoltre ricordava tutto: carezze, lacrime, voci di amici e parenti, il profumo del caffè, la presenza del suo gatto.
Disse che era ciò che l’aveva fatto sentire vivo.
Ciò che l’aveva spinto a continuare a tentare di stringere la mano di Célie.
Quando fu il momento di lasciare l’ospedale, ricevettero i saluti commossi dell’intero reparto.
 
Dopo alcuni test psicologici di accertamento, Célie fu riassunta nel suo reparto.
Francis, comunque ancora co-proprietario del bar, ottenne di fare una modifica al nome del locale.
“Cèlie: Coeur de pirate”.
Perché era stato un coraggio da pirata a salvarlo dalla morte, era stato il grande coraggio di Célie nonostante la follia causata dal dolore del suo incidente.
 
Qualche mese dopo scoprirono che Célie aspettava un bambino.
Anzi, una bambina.
 
Nacque nel mese in cui Totò li aveva fatti incontrare, il mese in cui tutto rifioriva.
 
La chiamarono Elisée.





Angolo dell'autrice:

Se qualcuno legge e commenta mi fa moooolto moooolto piacere!
Fatemi sapere che ne pensate... ;)
Alla prossima,
Fabiola


 
  
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