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Autore: Lisaralin    05/10/2013    4 recensioni
Un bambino che porta il nome di un grande poeta della sua terra, pallido ricordo di un passato spazzato via dall'orrore della guerra e dalla follia degli uomini. Un bambino speciale. I suoi poteri, come per tutti i Cavalieri del Cancro, sono legati alla Morte; e la Morte regna incontrastata attorno a lui. Il suo scopo pero' e' uno solo: sopravvivere.
[Saint Seiya Omega - Schiller del Cancro]
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Cancer DeathMask
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Terzo e ultimo capitolo. Scusate l'attesa! :)


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Capitolo 3

 

Berlino, luglio 1948



Da più di mezzora camminavano per le strade infuocate dal sole estivo.
La benda che gli copriva gli occhi era di stoffa grezza e gli faceva salire un fastidioso prurito per tutta la faccia, ma non gli impediva di muoversi con sicurezza come se avesse avuto entrambi gli occhi aperti. Si lasciava guidare dagli altri sensi, e soprattutto dall'energia vitale dei cinque ragazzi che percepiva pochi passi davanti a lui. Bastava seguire le loro mosse, e il gioco era fatto.
A giudicare dalle numerose svolte e dai passaggi stretti e tortuosi lo stavano conducendo lungo una serie infinita di vicoli. Spesso erano costretti a districarsi tra ruderi e macerie che i conquistatori non avevano ancora trovato il tempo di rimuovere, e Schiller sentiva con un certo compiacimento gli altri trattenere il fiato e scambiarsi commenti stupefatti sulla sua agilità. Di certo non si erano aspettati tanta bravura da parte del novellino, il membro più giovane della banda.
E non avete ancora visto niente.
“Ci siamo quasi” la voce di Konrad, il capo, arrivava leggermente ovattata da sinistra. Poco più avanti doveva esserci l'ennesima svolta, o un ingresso.
“Attenti al cornicione caduto” avvertì Thomas. “Ce la fai, piccoletto?”
Schiller non si degnò nemmeno di rispondere. Un salto, un solo fluido salto e fu al di là dell'ostacolo, atterrando graziosamente su un tratto di strada sgombro da detriti. I mormorii di ammirazione aumentarono.
La guerra era finita da quasi tre anni, ma ciò che era venuto dopo non si poteva definire “pace”. I nemici che si erano riversati nella città distrutta portavano divise e bandiere di tanti colori e parlavano lingue diverse, e ben presto avevano cominciato a litigare su come spartirsi la conquista. Il Führer, la guida che avrebbe dovuto portare il loro popolo alla grandezza si era suicidato in un bunker come un topo in trappola, dicevano, anche se Konrad non era d'accordo. Secondo lui si era solo nascosto, e attendeva il momento propizio per rivelarsi e partire al salvataggio della sua patria oppressa.
A Schiller non importava. Che governassero i sostenitori del Führer o le forze degli alleati per lui era indifferente, così come non gli interessava sapere in che modo gli schieramenti nemici si erano spartiti la città. Lui andava dove voleva, faceva quello che voleva, e non era fedele a nessuno se non a se stesso.
“Eccoci” la voce di Thomas interruppe i suoi pensieri, e una mano gli sfilò la benda dagli occhi. Schiller sbatté le palpebre. Si trovavano in un vicolo talmente stretto che la luce del sole filtrava a stento, di fronte a un palazzo abbandonato ma in buone condizioni a parte i vetri rotti alle finestre e il portone sfondato. Konrad indicò una scala polverosa che probabilmente portava in uno scantinato, e gli fece cenno di seguirlo.
Due rampe di scalini e sbucarono in un ambiente ampio dal pavimento di pietra grezza, illuminato da due finestre sottili sulla parete di fondo, al livello della strada.
Nel covo li aspettavano altri quattro ragazzini sui dodici o tredici anni, vestiti di stracci e con le facce sporche, che ridevano passandosi una pipa di mano in mano stravaccati su una pila di casse di legno.
“Ehi, Konrad! Guarda un po' cosa abbiamo fregato al vecchio Oswald” esclamò uno in segno di saluto, agitando in aria la pipa e spandendo fumo tutto intorno.
“E quel nanerottolo chi è?” fece un altro.
“Schiller è un nuovo membro della nostra banda” rispose Konrad, e tutti si fecero immediatamente attenti. Il capo si rivolse direttamente a lui, assumendo un tono solenne: “Hai superato tutte le prove e dimostrato il tuo valore, Schiller, e per questo ora sei degno di essere uno di noi. Ti nomino membro a tutti gli effetti delle Aquile di Fuoco.” Con aria grave, Konrad gli tese la mano.
Aquile di Fuoco. Un nome davvero troppo altisonante per una banda di orfani straccioni che vivevano alla giornata, barcamenandosi tra scippi, furtarelli e accattonaggio. Non erano troppo diversi da lui, in fondo: figli della guerra senza più un posto nel mondo, avvoltoi sulla carcassa di una città già consumata dal fuoco delle bombe.
Ma io ho un potere che loro non hanno. Loro sono deboli, e i deboli meritano solo di essere prede della Morte.
Schiller non strinse la mano che gli veniva offerta.
“Mi sono dimenticato di dirvi una cosa” disse invece, fissando Konrad dritto negli occhi. “E cioè che io non faccio squadra con nessuno.”
Non videro partire il pugno, non videro nemmeno Konrad volare via, scagliato verso il muro. Un attimo prima era là, in piedi con la mano tesa nel gesto di amicizia, e un secondo dopo era dall'altro capo della stanza, accasciato contro la parete come una marionetta a cui hanno tagliato i fili. Solo, inconfondibile, il rumore raccapricciante di ossa che si spezzano riempì la stanza.
Per qualche secondo nessuno parlò. Gli stupidi ancora non avevano capito cos'era successo. Schiller si godette lo spettacolo delle emozioni che si susseguivano rapidissime sulle loro facce, passando dalla confusione all'incredulità e infine alla paura. Poi, come in risposta a un tacito segnale, ognuno iniziò a gridare in modo incoerente, e in un battito di ciglia li ebbe tutti addosso.
Thomas si fece avanti brandendo un coltellino a serramanico e tentò un goffo affondo in direzione del suo collo.
Patetico.
Gli afferrò il polso, torcendolo fino a che le sue dita si aprirono con uno spasmo e il coltello cadde a terra tintinnando. Thomas lanciò un urlo di dolore, subito strozzato da una ginocchiata in pieno petto che lo scagliò addosso ad altri due attaccanti. I tre rovinarono a terra in un groviglio di gambe e braccia mentre Schiller roteava su se stesso evitando pugni e calci da ogni direzione e colpendo a sua volta con rapidità, precisione e violenza.
Uno degli avversari ebbe la stupidissima idea di provare a colpirlo da lontano con una fionda. Schiller se ne accorse solo dal formicolio vicino all'orecchio destro, e si voltò in tempo per vedere il sasso cadere a terra in briciole e il terrore negli occhi sgranati dello sfortunato tiratore. Si liberò degli altri con un salto aggraziato e atterrò alle spalle del ragazzo, che aveva lasciato cadere la fionda e stava tentando la fuga verso l'esterno. Lo raggiunse sulle scale e lo sbilanciò con uno sgambetto, afferrandolo per il collo e sollevandolo da terra. Le dita di Schiller affondarono con goduria nella carne del malcapitato, che annaspò disperatamente e scalciò con furia mentre la sua faccia andava tingendosi pian piano di viola. Pochi attimi, un ultimo spasmo violento, e non si mosse più. Schiller lo gettò lontano con disprezzo.
Evidentemente però la lezione non era servita, perché le Aquile di Fuoco sopravvissute ebbero un'idea ancora più stupida. Di una stupidità veramente abissale.
“Ci arrendiamo!” gridò uno, e alzò le mani, imitato dai compagni.
Due minuti dopo nessuno era rimasto vivo.
Il profumo della Morte dominava nella stanza, impregnando l'aria e i muri della sua fragranza ricca, penetrante. Seducente, e al tempo stesso distruttiva. Dopo lunghe riflessioni Schiller era arrivato a determinare che sapeva di rose; un campo di rose dai petali violacei e spine aguzze come pugnali, attorcigliate tra le ossa di una distesa infinita di scheletri. Se chiudeva gli occhi vedeva questa immagine apparirgli nella mente, ogni volta che sentiva quell'odore.
Inspirò a fondo, riempiendosi i polmoni del profumo inebriante. Era buono, se imparavi ad apprezzarlo. E presto iniziavi a non poterne fare a meno.
Non degnò di uno sguardo gli spiriti, che come ogni altra volta avevano iniziato a sollevarsi dai cadaveri. Da tempo aveva capito che non potevano fargli alcun male, e presto si sarebbero dissolti da soli. Si diresse verso le casse di legno, sicuro che gli averi delle Aquile di Fuoco fossero nascosti lì. Con un po' di fortuna avrebbe messo le mani su vestiti della sua taglia, e magari anche su un po' di soldi...
Un movimento vorticoso alle sue spalle lo distolse dal contenuto delle casse.
Arriva qualcuno... ?!
Non percepiva la presenza di esseri umani, ma un brivido gelido gli percorse la schiena, una sensazione imminente di pericolo che lo scosse fin nelle viscere. Si voltò.
Erano gli spiriti.
I fantasmi dei ragazzi morti si erano staccati dai corpi e avevano iniziato a roteare intorno al soffitto, sovrapponendosi, confondendosi tra loro in una spirale di luce azzurrina. Poteva udire il loro lamento, un sibilo lugubre come il vento invernale che soffia in mezzo ai rami secchi.
Non gli era mai capitata una cosa del genere, e rimase paralizzato a fissare la danza degli spettri nonostante una voce nella sua testa continuasse a urlargli di fuggire.
Presto gli spiriti si ridussero a una massa indistinta di luce azzurra che volò in direzione delle scale, come risucchiata da una forza insostenibile. Il bagliore illuminò una figura alta che emerse lentamente dall'oscurità delle scale, facendo rilucere strani ornamenti dorati che portava tra i capelli. La figura sollevò l'indice e per un attimo la luce degli spiriti si raccolse tutta sulla sua punta, simile a una fiammella blu, e brillò più intensamente prima di estinguersi di colpo.
Perché non l'ho sentito arrivare... ?!
L'uomo giunse ai piedi della rampa e si fermò. Era avvolto dalla testa ai piedi in un mantello bianco, e tra i capelli scuri portava un curioso diadema d'oro che ricordava la forma delle chele di un granchio. Anche ora che si trovava a pochi metri di distanza, Schiller non riusciva a percepire nessuna energia in lui, nessun segno di presenza vitale. Era come se l'uomo davanti a lui non esistesse, come se...
… come se fosse morto.
Il familiare profumo di rose e ossa gli invase le narici.
Lo straniero ne era completamente impregnato. Anzi... era lui a emanarlo.
“Chi sei?!”
L'uomo non si prese la briga di rispondere. Continuava a squadrarlo con un sorrisetto a metà tra il divertito e il pensoso, sfregandosi la punta del naso con l'indice.
Schiller iniziava a credere che fosse davvero un'illusione, un tipo diverso di spirito che non aveva mai visto prima. Il pensiero gli ridiede coraggio, perché gli spiriti erano qualcosa che conosceva, con cui era abituato ad avere a che fare.
In fin dei conti c'era solo un modo per scoprirlo.
Lo caricò.
Divorò in pochi passi lo spazio che li separava e spostò il braccio all'indietro, caricando il pugno. Mirò dritto al petto... e si ritrovò a colpire l'aria. Perse l'equilibrio e incespicò, ma con un colpo di reni riuscì a restare in piedi e a voltarsi, pronto a sferrare un altro attacco...
L'avversario era dall'altra parte della stanza, comodamente seduto sulla pila di casse con le gambe accavallate.
Impossibile... Un secondo prima lo aveva davanti, e poi... Era come se si fosse mosso alla velocità della luce.
“E così il Grande Sacerdote mi ha fatto fare tutta questa strada per un ragazzino. E io che mi aspettavo qualche brutto mostro mitologico dalle molte teste!”
Schiller sussultò. La voce dello straniero era del tutto umana. Parlava tedesco con un fastidioso accento da mangiaspaghetti, ma si faceva capire.
“Questo ovviamente complica un po' le cose” aggiunse con un sospiro, e saltò giù dalle casse con uno svolazzo del mantello bianco. Schiller faticava a seguire i suoi movimenti, ma quello che vide dopo che lo straniero si fu posato a terra lo lasciò senza fiato. Sotto il mantello, il suo corpo era completamente rivestito di un'armatura d'oro.
“Chi sei?” chiese ancora, sulla difensiva.
L'uomo sbuffò: “Non sai dire altro? Pensavo di essere io quello scarso a parlare, qui. Anzi, dovresti ringraziare che conosco la tua lingua di merda. Il mio maestro era un crucco come te, sai?”. A un tratto Schiller si ritrovò lo straniero vicinissimo, la testa china vicino al suo orecchio: “In tutta confidenza, un rompicoglioni mostruoso. Sbraitava un po' come quel vostro capo con i baffetti ridicoli.”
Schiller fece un salto all'indietro, cosa che lo straniero dovette trovare divertente perché scoppiò a ridere. Schiller invece aveva davvero paura ora. Il cuore gli martellava a mille nel petto, ma qualcosa dentro di lui gli diceva che scappare non sarebbe servito a niente.
“Comunque ti accontento, prima che ti pisci sotto dalla paura.” Lo straniero iniziò a declamare in tono solenne: “Io sono Death Mask, Gold Saint del Cancro, custode della Quarta Casa, cavaliere di Atena, e bla bla bla. Sono stato inviato dal Grande Sacerdote perché in questa città è stato percepito un Cosmo ostile, che si è rivolto contro gli esseri umani facendo molte vittime. Perciò io, da bravo Saint, mi sono messo in marcia, pronto a prendere a calci in culo il nemico in questione... pensa che sorpresa quando mi sono ritrovato davanti un mocciosetto di dieci anni!”
Schiller non capiva metà delle cose che diceva lo straniero. Death Mask? Gold Saint? Quarta Casa? Una sola cosa era certa: l'uomo dall'odore di Morte non si trovava a Berlino per caso. Era venuto a cercare proprio lui.
“E questo è un bell'impiccio per me. TU sei un bell'impiccio. Vedi, quattro calci e un mostro schiatta, e io me ne torno in Grecia a godermi il sole. Ma uno come te... un ragazzino dal Cosmo potente, e per giunta con il mio stesso potere sulla Morte... tu lo senti, vero? Il suo odore... e sei in grado di vedere gli spiriti, non è così?”
Lentamente, Schiller fece cenno di sì con la testa, e per un attimo la paura dentro di lui lasciò il posto a un miscuglio di sensazioni diverse. Curiosità, eccitazione, disappunto. Aveva sempre creduto di essere solo, di essere l'unico a possedere un potere speciale, e ora dal nulla saltava fuori un mangiaspaghetti con un granchio in testa e un nome assurdo che sapeva fare lo stesso...
Un uomo misterioso, avvolto da un'armatura d'oro come quella degli antichi cavalieri e dal profumo velenoso della Morte, capace di raccogliere sulla punta di un dito l'essenza degli spiriti.
Lo straniero – Death Mask o come si chiamava – incrociò le braccia dietro la nuca e proseguì: ”Vedi, secondo il regolamento io adesso dovrei farti un sermone mostruoso su quanto sia sbagliato andare in giro ad ammazzare la gente per sport, magari rifilarti quattro sculacciate a scopo educativo, e poi portarti in direttissima al Santuario dove, sicuro come la morte, ti appiopperanno a me perché ti faccia da maestro. Ora, a parte che un sermone sul non uccidere da parte mia sarebbe davvero ipocrita, ma io non ho nessunissima intenzione di prendere allievi. Troppe grane. Quindi... penso proprio che ti lascerò a marcire in questa topaia.”
L'affermazione punse Schiller sul vivo, molto più di quanto avrebbe immaginato. “Vuoi dire che io non valgo abbastanza per te? Ma se mi avete percepito fin nel vostro paese!”
Cosmo, ricordò. Così lo straniero aveva chiamato l'energia vitale delle persone.
“Ooh, allora non hai perso la lingua. Ma tu sei un tipo che preferisce far parlare i pugni, vero? La tua performance di prima mi ha colpito, te lo concedo. Avanti... perché non mi fai vedere di cosa sei capace? Forse potresti farmi cambiare idea.”
Death Mask assunse una posa difensiva e lo invitò a farsi avanti con un gesto della mano e un sorriso di sfida. I raggi del sole, attraverso le finestre ricoperte di polvere, giocavano con gli intarsi della sua splendida armatura accendendoli di un'infinità di bagliori dorati.
Schiller esitò. Caricarlo un'altra volta a testa bassa sarebbe stata una sciocchezza, e non gli avrebbe portato nessun vantaggio. Non era il suo modo di agire. Era abituato a scegliere lui le proprie vittime, e sempre tra coloro che sapeva di poter sopraffare senza difficoltà...
“Che c'è?” lo derise l'altro. “Andiamo in pappa al primo problema serio? E tu vorresti davvero essere l'allievo di un Saint?”
Lo voleva?
Io non faccio squadra con nessuno, aveva detto a Konrad e ai suoi tirapiedi. Era un animale che cacciava in solitudine; attaccava le prede, evitava i predatori più grandi di lui. Era quello l'unico modo per sopravvivere.
Quegli sciocchi delle Aquile di Fuoco avevano commesso l'errore di fidarsi del predatore più forte, e ne avevano pagato le conseguenze.
Ma chi era adesso il predatore più forte?
Death Mask sbuffò d'impazienza: “Beh, visto che tu non ti decidi... inizierò io.”
Lo spostamento d'aria. Riuscì a sentire lo spostamento d'aria, per un millesimo di secondo. Poi ci fu solo il dolore, improvviso, lancinante, una scarica elettrica che dallo stomaco si propagò in tutto il corpo togliendogli il respiro, oscurandogli la vista. Le botte che prendeva all'orfanotrofio erano carezze con guanti di seta in confronto a questo... Sentì un rombo sordo salirgli nelle orecchie mentre la bocca si riempiva del sapore metallico del sangue, e cadde a terra prono.
Un pugno, un calcio, non aveva idea di cosa lo avesse colpito.
Lo straniero rideva, e per la prima volta nella sua voce affiorava una nota di crudeltà: “Tutto qui? Certo, fare fuori patetici ragazzini di strada è facile. Ma è uno spreco per il potere che hai. Perché continuare a strisciare in questa fogna quando potresti avere il mondo nelle tue mani?” Un peso terribile si abbatté sulla sua schiena e gli mozzò di nuovo il fiato in gola. Il pavimento scricchiolò sotto il suo corpo mentre il piede dello straniero lo spingeva senza pietà nella polvere.
“Ti credi forte, ragazzino, ma sei solo un topo che gioca a fare il re con gli altri topi. La vera forza è un'altra cosa. I nemici che riusciamo a sconfiggere, i veri nemici, accrescono la nostra forza e ne sono la prova. Tu invece sei solo un debole.”
Un calcio dato con noncuranza lo mandò a sbattere contro la pila di casse. Riverso a terra, incapace di alzarsi, Schiller sentì lacrime di rabbia e umiliazione bruciargli negli occhi, e premette il viso contro il pavimento per nascondere allo straniero la sua vergogna.
Ma erano le parole a fare male come e più dei colpi. Nella sua mente sconvolta dal dolore vorticarono inseguendosi le immagini di Klaus, il disertore pazzo, dei due soldati russi... le sue prime vittime. Allora non aveva combattuto per scelta, ma per necessità, per salvarsi la vita. Nel momento del bisogno aveva saputo attingere a un potere più grande, e aveva vinto.
I veri nemici accrescono la nostra forza...
Si impose di rialzarsi. Ogni fibra del suo corpo si ribellò e gemette in protesta, ma Schiller si concentrò sulla rabbia che aveva provato quando Klaus gli aveva rubato il pane, sull'odio per lo straniero maledetto che lo aveva umiliato, e lasciò che fossero quei sentimenti a dargli la forza che il suo corpo non riusciva a trovare. Lentamente, si rimise in piedi.
“Ohhh, ma che bravo” nel tono dello straniero era riapparsa la consueta sfumatura canzonatoria. “Che luce battagliera negli occhi! Se fossi un mio allievo a questo punto ti direi che hai superato la lezione numero uno.”
“NON PRENDERMI IN GIRO!!”
Si affidò completamente all'abbraccio dell'ira. Ignorando il dolore spiccò un salto e tentò un attacco dall'alto, ma a Death Mask bastò afferrarlo per un braccio per scagliarlo con facilità lontano da sé. Schiller riuscì ad atterrare in piedi con una goffa capriola, ma appoggiò male il peso su una caviglia e si piegò in ginocchio con un gemito di dolore.
Intanto Death Mask ridacchiava: “Ma mi chiedo... sarai in grado di superare la lezione numero due?”
Schiller si limitò a restituirli uno sguardo carico d'odio.
Con un gesto elegante lo straniero si liberò del mantello. “Mi hai incuriosito, ragazzino. Quindi... perché no?”
Una luce azzurrina si sprigionò dalla punta dell'indice di Death Mask, come quando aveva bandito gli spiriti. Ora li richiamò a sé, e quelli eruppero obbedienti dal suo dito, riversandosi nella cantina. Death Mask sollevò in alto il braccio mentre le anime dei morti gli volteggiavano intorno ridotte a puri filamenti di luce, sempre più veloci in un'ipnotica spirale blu trasportata da un vento che sembrava provenire da un altro mondo.
Adesso, soltanto adesso Schiller riusciva a percepire il Cosmo del suo avversario, un'onda di energia immensa e schiacciante come non ne aveva mai sentite prima. Un fiume in piena che finalmente ha infranto la diga che lo teneva imbrigliato, ansioso di riversarsi liberamente su case e terre.
Lo teneva nascosto... ?
“Buona fortuna, ragazzino. Ne avrai bisogno.”
Death Mask abbassò il dito.
“SEKISHIKI MEIKAI HA!”
Il dolore esplose nella sua testa in un milione di scintille di fuoco. Il sopra e il sotto si confusero in un vortice senza senso e il corpo di Schiller venne sballottato via come un pezzo di legno in balia della tempesta. Il suo urlo si mescolò al lamento dei morti mentre gli spiriti gli si avvinghiarono alle gambe e alle braccia e lo trascinarono in fondo, sempre più in fondo in un abisso di oscurità.



Il profumo della Morte ora non gli è di nessun conforto. Anzi, per la prima volta dopo anni lo disgusta. Lo opprime, lo costringe in ginocchio sulla roccia nuda e tagliente di cui è fatto quel mondo oltre il tempo e lo spazio. Roccia color ferro solcata da vene di lava sotto un cielo senza sole né stelle.
“Benvenuto oltre l'ultimo orizzonte!” lo schernisce la voce del suo aguzzino, e sembra provenire da tutte le direzioni simultaneamente, onnipresente come il profumo soffocante di rose e ossa.
Lo disgusta la marea dei morti. Falene attratte verso la luce, gli vengono incontro barcollando e tentano di afferrarlo con mani scarnificate, assetati della scintilla di vita che risveglia in loro ricordi del tempo passato. Decine di orbite vuote lo fissano, e anche se ormai quei volti putrefatti hanno perduto quasi tutto ciò che avevano di umano, a Schiller sembra di riconoscerli uno per uno.
Konrad. Klaus. I tutori dell'orfanotrofio. I soldati.
Deve alzarsi, fuggire. Più di ogni altra cosa, teme che i morti lo tocchino.
Chiude gli occhi, ma le immagini di orrore non scompaiono.
Quartieri avvolti dalle fiamme. La distesa grigia e sterile della città distrutta. Il fumo denso delle esplosioni che oscura il cielo.
I corpi mutilati dalle bombe, le facce deformate dal dolore e dalla fame.
Neve macchiata di sangue.

Persino la voce dei morti non ha nulla di umano. Il loro urlo di dolore è quello di una bestia condotta al macello.
Si tappa le orecchie, ma i suoni terrificanti non si attutiscono.
Il suono lacerante delle sirene, il rombo minaccioso degli aerei.
Boati che scuotono le viscere e fanno sanguinare le orecchie.
Crolli, spari, urla. Pianti e inutili preghiere.

Freddo. Tutta quella lava, tutto quel fuoco, eppure fa un freddo maledetto nell'anticamera dell'inferno.
Il gelo delle notti senza gas, senza cibo nella pancia, con i lividi e le escoriazioni che non vogliono saperne di guarire.
La sua corsa si arresta sul ciglio di un immenso cratere, dove confluisce anche la lunga processione dei morti. Uno ad uno si lasciano cadere nella voragine, contorcendosi e gridando. Non sono grida di liberazione: eppure nessuno di loro ha il potere di decidere. E' una forza troppo grande e inesorabile a spingerli.
L'abisso lo guarda spalancando le sue fauci oscure. E Schiller sa, con assoluta certezza, che una volta varcata quella soglia non può esserci ritorno.
“Vuoi guardare più da vicino?”
Death Mask gli è apparso alle spalle all'improvviso. O forse è sempre stato lì a osservarlo.
“Aspetta, ti aiuto io.”
Non ha il tempo di reagire. Il calcio lo centra in pieno, e per un attimo agghiacciante Schiller resta sospeso sopra le tenebre dell'abisso, un senso di vuoto vertiginoso che gli afferra la bocca dello stomaco.
Poi inizia a precipitare.
Le mani sfregano contro la parete rocciosa alla disperata ricerca di un appoggio. Sangue sgorga sui palmi e cola per tutta la lunghezza delle braccia, ma Schiller stringe con caparbietà le dita intorno allo spuntone che gli permette di restare aggrappato tra la vita e la morte. Accanto i lui, i morti continuano a cadere e gli sfiorano la spalla prima di sparire nell'abisso.
L'edificio colpito esplode e i detriti schizzano in tutte le direzioni. Corpi in fiamme precipitano in strada, alcuni già morti, altri in un vano, disperato tentativo di salvarsi. Solo lui resta aggrappato al cornicione che lo ripara dalle fiamme, mentre tutto intorno il mondo va in pezzi.
L'Inferno dentro si confonde con quello fuori.
Tutto il mondo va in pezzi, ma lui sopravvive.
Lentamente solleva la mano libera, la sinistra, con fatica cerca di innalzare il braccio al di sopra della testa. Com'è che aveva fatto Death Mask?
“Un ragazzino dal Cosmo potente, e per giunta con il mio stesso potere sulla Morte... “
Stringe i denti. Le dita della mano destra sono rese scivolose dal sangue e indolenzite dai crampi, ma non può mollare. Non deve mollare.
Solleva l'indice della mano sinistra. Tutto il corpo trema per la fatica e lo sforzo. Non può indugiare: deve farlo subito.
Non voglio morire.
Non voglio morire.
Non... voglio... morire!!

“Brucia... BRUCIA, MIO COSMO!!”
Il Cosmo risponde al richiamo ed erompe attraverso il suo corpo dolorante, lungo il braccio e la mano fino a scaturire in una spirale luminosa dalla punta dell'indice.
L'ultima cosa che vede prima di precipitare nella luce è la danza frenetica e vorticosa degli spiriti.



Spalancò gli occhi di colpo.
Giaceva supino su una superficie grezza e irregolare. Sbatté le palpebre più volte prima di mettere a fuoco un comunissimo soffitto di scantinato, polveroso e annerito dal tempo.
Sono ancora vivo...
Inspirò con gratitudine l'aria che sapeva di chiuso e di stantio. Gli sembrava di essere appena riemerso dopo un lungo, lunghissimo periodo di apnea.
“I miei complimenti.” La voce del nemico lo mise in allarme, ma non aveva la forza di muoversi. Aveva prosciugato ogni singola briciola di energia. Con fatica sollevò le mani e le portò davanti agli occhi: sanguinavano, i palmi delle mani squarciati.
La faccia di Death Mask entrò nel suo campo visivo, attraversata da un lato all'altro da un ghigno divertito.
“Sarò sincero, non avrei scommesso su di te. E invece hai superato anche la lezione numero due. Hai la stoffa, ragazzino.”
“Schiller” mormorò. “Mi chiamo Schiller.”
Muovendosi con cautela riuscì a sollevarsi su un gomito. “Questo significa che... ?”
“Significa che hai superato la prova numero due. Ma io continuo a non avere voglia di prendere allievi, sai. Non sono mica un baby sitter!”
Era talmente distrutto da non sentire nemmeno la delusione. Si lasciò cadere di nuovo a terra.
Era vivo. Solo questo contava, adesso.
“Però mi hai fatto divertire. Se non altro grazie a te il mio viaggio nella terra dei crucchi è stato interessante. Perciò... ho deciso che ti insegnerò un trucchetto. Un giochino facile facile che ti sarà parecchio utile, te lo garantisco. Dopotutto, tu sei come me.” Gli strizzò l'occhio, gesto che a Schiller sembrò più inquietante che amichevole. I sorrisi di quell'uomo erano lame a doppio taglio.
“Hai presente gli spiriti? Bene, non sono solo inutili lucine blu. Sono tutto ciò che resta del Cosmo delle persone che muoiono. Sono forza vitale, energia. Reclamali per te. Impossessati del loro Cosmo e usalo per accrescere la tua vita. Capisci perché è importante fare fuori nemici sempre più forti? Così potrai vivere per sempre.”
“Vivere... per sempre?”
“Cerca di non diffondere il segreto. Sai com'è, al Santuario queste cose non vengono prese molto bene.”
Lo afferrò per un braccio e lo rimise in piedi a forza. La sua testa vorticava paurosamente, ma riuscì a non cadere di nuovo. La rivelazione dello straniero gli aveva dato nuova forza.
Death Mask si avvolse nel mantello, nascondendo l'armatura d'oro, e fece per accomiatarsi.
“E se tra un po' di anni sarai ancora vivo e ti capiterà di passare per la Grecia... beh, diciamo che sarei più che propenso a offrirti una rivincita. Un duello come si deve, ad armi pari. Il vincitore prende tutto. In effetti mi attira l'idea di aggiungere un mio simile alla mia collezione... “
Le ultime parole gli arrivarono che Death Mask aveva già imboccato la scala.
“Non ti preoccupare, prenditela pure comoda. Quelli come noi hanno tutto il tempo del mondo.”
Puoi scommetterci, pensò Schiller mentre l'eco dei passi del Cavaliere si spegneva nella distanza.
Nella sua mente si formò un'immagine. Vide se stesso adulto, alto e forte, rivestito della splendida armatura d'oro del Cancro con un ampio mantello bianco che gli cingeva le spalle.
Un Cavaliere aggraziato e letale capace di chiamare a raccolta gli spiriti con un solo movimento delle dita.
“Puoi scommetterci” ripeté.
Ci rivedremo al Santuario.


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Note: non so quanto il concetto di impossessarsi dello spirito/Cosmo di qualcuno per allungare la propria vita sia canonico nell'universo di Saint Seiya, ma lo spunto me l'ha fornito una frase pronunciata dallo stesso Schiller in Saint Seiya Omega. Affermava di aver scelto di servire Mars perche' questi gli aveva concesso di sfruttare il Cosmo delle sue vittime: "I shall steal their Cosmo and live forever... ", dice nei sottotitoli. Io l'ho interpretata cosi'.
"Mangiaspaghetti" (Spaghettifresser) e' un termine dispregiativo con cui i tedeschi chiamavano gli italiani, soprattutto gli immigrati in Germania negli anni Sessanta e Settanta. Non so se fosse gia' in uso nel primo dopoguerra, ma mi piaceva l'idea di accennare in modo indiretto alle origini italiane di Death Mask.
Il maestro "crucco" di Death Mask ovviamente e' una mia invenzione. Mi serviva una scusa per far parlare a lui e Schiller la stessa lingua e rendere la comunicazione possibile XD
  
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