Serie TV > The Vampire Diaries
Segui la storia  |       
Autore: everlily    20/10/2013    14 recensioni
Damon ed Elena si conoscono quando sono solo adolescenti.
Non hanno niente in comune, se non i casini e la confusione che entrambi si portano dentro. E' un'amicizia improbabile la loro, in cui i confini si confondono, a volte sofferta, ma di cui nessuno dei due riesce a fare a meno.
Anni dopo, entrambi si sono costruiti una propria vita lontani l’uno dall’altra: ma l'inatteso ritorno di Damon a Mystic Falls può ancora mandare all’aria molti piani e finire per rimettere tutto in discussione.
Dalla storia. “Per tutto ciò che ha spinto, e forse spinge ancora, me e Damon ad avvicinarci, c'è sempre stato anche qualcos'altro, più nascosto e latente, una forza contraria sempre pronta ad esplodere e ad allontanarci con la stessa intensità. E non so se, adesso che entrambi siamo cresciuti e andati avanti con le nostre vite, anche questo sia cambiato. Forse, il vero quesito a cui è più difficile rispondere è se io voglia davvero scoprirlo oppure no."
AU/AH
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert, Un po' tutti | Coppie: Damon/Elena
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
6.efp



6.
The nearness of you

- It's not the pale moon that excites me
That thrills and delights me, oh no

It's just the nearness of you -

(Glenn Miller – The nearness of you)


Elena

Due minorenni con la gonna talmente invisibile da far voltare mezza clientela, quella con il cromosoma Y, e da farmi domandare se ci sia qualcosa di sbagliato in me per non aver mai indossato niente del genere, né adesso né tantomeno a quell’età. Un ragazzo con le unghie lunghe ed i capelli più unti del doppio cheeseburger con bacon e cipolle, quello per gli stomaci più temerari. Un altro sedicenne che apparentemente è convinto di dover sostenere una conversazione con le mie tette.

Trovare un rimpiazzo per Vicky si sta dimostrando un’impresa più ardua di quanto potessi mai immaginare.

Perciò, quando la rossa dai capelli scompigliati e lo sguardo impertinente mi dice di aver lavorato quattro anni in un Irish pub di Philadelphia, mi sembra perfino troppo bello per essere vero.

“Come sei finita qua in Virginia, se posso chiedere?” le domando dopo aver dato un sorso di assaggio al Whiskey sour perfettamente equilibrato che ha appena preparato.

“Penso di aver avuto bisogno di un posto nuovo, dove ricominciare,” risponde poggiandosi all’indietro contro il ripiano del bancone. Devo avere lo sguardo piuttosto interrogativo, perché, accennando un mezzo sorriso, mi spiega, “Colpa di una storia finita male. Non è per quello che la gente di solito decide di cambiare aria?”

Forzo un piccolo sorriso, impreparata alla piccola stretta che per un attimo mi ha contratto il petto.

“Immagino di sì,” scrollo le spalle, “Non saprei dirlo.”

“Posso chiedere cos’è successo con la ragazza che c’era di prima?” mi chiede increspando appena le sopracciglia.

“L’ho sorpresa nella dispensa con le gambe intorno a mio fratello.”

Sgrana gli occhi azzurro chiaro e li sposta subito su Jeremy, che sta passando a distribuire ordinazioni tra i tavoli. Si fa sfuggire un sibilo basso, a metà tra il malizioso e il divertito. “Beh, non posso biasimarla.”

L’occhiataccia che le lancio, però, la fa subito scoppiare a ridere.

“Rilassati, posso assicurarti che tuo fratello non è il mio tipo nel modo più assoluto,” si affretta ad aggiungere. Un altro mezzo sorriso le spunta sulle labbra quando il suo interesse viene colpito da qualcos’altro alle mie spalle. “La tua amica, però … è davvero carina.”

Presa alla sprovvista dal suo commento, mi volto verso il punto, all’altra estremità del bancone, da cui le mie due migliori amiche stanno cercando di attirare la mia attenzione. O almeno, è quello che sta facendo Caroline, che agita un braccio in aria neanche dovessi individuarla nel parterre di un concerto. Bonnie, invece, distoglie immediatamente lo sguardo con un lieve scatto della testa. Corrugo la fronte, confusa. “Torno subito.”

“Chi è quella?” mi chiede timidamente Bonnie non appena le raggiungo. E’ solo perché la conosco così bene che noto, sulla sua pelle color caramello, una leggera, altrimenti impercettibile, colorazione quando la rossa lancia un altro sguardo nella sua direzione.

“Si chiama Sage, sto pensando di assumerla.”

“Chi diavolo se ne importa,” ci interrompe subito Caroline, che sta chiaramente fremendo di impazienza. “Possiamo passare alle cose importanti? Me.” Si indica con entrambe le mani ed un sorriso le illumina il volto.

“Non ci crederai. Beh, in realtà sì, è ovvio che ci crederai, perché è logico che, se c’è qualcuno che se lo è meritato, quella non avrei potuto che essere io, insomma, riuscire a tenere le fila di tutto, essere chiamata agli orari più assurdi, a volte penso che davvero non so cosa potrebbero fare senza di me, sarebbero persi, te lo dico io, e poi tutto quel lavoro che ho fatto per la mostra doveva ripagarmi in qualche modo, del rest-”

“Care,” la ferma Bonnie, richiamandola con uno sbuffo.

La pausa forzata se non altro permette alla bionda di riprendere un attimo fiato.

“Sono stata promossa!” annuncia euforica accompagnando la notizia con un battito di mani emozionato.

“Non è davvero stata promossa,” aggiunge Bonnie cercandomi per un’occhiata d’intesa, che suggerisce quanto bene conosciamo la nostra amica. “Ma le piace crederlo.”

“Non essere la solita guastafeste! Sono assistente esecutiva adesso!” la rimbecca l’altra.

“Hai avuto un aumento di stipendio?”

“No, ma …”

“Continuerai a fare esattamente quello che facevi prima?”

“Sì, ma …”

“Visto? Non sei davvero stata promossa,” sospira Bonnie.

Caroline la liquida con un movimento sbrigativo della mano, come se stesse scacciando una mosca fastidiosa.

“Congratulazioni, Care,” le dico riuscendo a stento a trattenere una risatina divertita.

“Grazie, lo sapevo che tu avresti capito.” Scocca un’altra occhiata in direzione di Bonnie tanto per dimostrare la propria superiorità nei confronti del suo solito scetticismo, e prosegue gongolante. “Quindi, per festeggiare, siete tutte invitate a casa mia … sì, insomma, da Stefan. Domani sera. Il giardino è magnifico in questo periodo dell’anno, ed è l’occasione perfetta per quel barbecue che tanto avevo in mente da tempo. So che è con poco preavviso, ma pensi di farcela a venire?” mi domanda speranzosa.

Getto uno sguardo verso Sage, che sta ancora aspettando una mia risposta definitiva.

“Sì,” dico, “Penso di sì.”

“Grandioso!” cinguetta Caroline.

Saluto le mie amiche e vado a mettermi d’accordo con la mia nuova barista, che sembra più che entusiasta di essere stata assunta.

Approfitto di un momento di calma per rimettere un po’ in ordine dietro al bancone. Sistemo i bicchieri e passo velocemente una spugna umida lungo i ripiani. Mi blocco di colpo, però, mentre sto svuotando e ripulendo i filtri della macchina da caffè, congelata da un pensiero improvviso.

Caroline non ha fatto menzione della possibilità che anche Damon sia presente domani sera.

Il ricordo dell’ultima volta che abbiamo parlato, il giorno dell’inaugurazione della mostra a villa Lockwood, mi porta in gola un sapore amaro. Da quel giorno è passata più di una settimana, durante la quale Damon non l’ho più né visto né sentito. Come Caroline mi ha fatto casualmente sapere, sono consapevole del fatto che negli ultimi giorni non sia stato a Mystic Falls, ma in California, dove è tornato per questioni di lavoro.

Tuttavia, ciò non mi impedisce di immaginare che il suo non essere passato neppure per un saluto veloce sia un indicatore piuttosto chiaro del fatto che la mia confessione di voler ristabilire un buon rapporto con lui sia caduta completamente nel vuoto.

Forse, non dovrebbe neanche importarmene. Ma invece, mio malgrado, è così, soprattutto se penso a quanto sia stato ingenuo, e sciocco, da parte mia poter sperare, anche solo per poco, che alcune cose potessero essere riaggiustate e tornare a come quando, tra noi, tutto era più semplice. O se non altro così sembrava.


“Non stai parlando sul serio.”

Damon continuò a darmi la schiena, intanto che finiva di tirare fuori e rimettere in ordine alcuni dischi nella sezione dei vinili, ma, seduta sopra la postazione di legno che fungeva da cassa, riuscii lo stesso ad osservare le sue spalle alzarsi e abbassarsi in quell’atteggiamento di noncuranza che avevo ormai imparato a riconoscere così bene.

“Puoi scommetterci che parlo sul serio,” replicò risoluto.

“Damon!” proruppi con sconforto crescente di fronte alla sua incredibile testardaggine, “Sono disperata! Non so se ti rendi conto della gravità della situazione: la festa di compleanno della migliore amica è tra meno di un’ora ed io non ho niente da regalarle perché me ne ero completamente scordata. Tu devi aiutarmi.”

“Dille semplicemente che ti sei dimenticata e vedrai che capirà,” mi rispose voltandosi giusto un secondo per farmi intravedere il suo sorrisetto sprezzante, prima di tornare allo scaffale successivo e a farmi avere una conversazione con la sua nuca.

Colma di frustrazione, scossi la testa e feci dondolare le gambe con impazienza.

“Non Caroline,” dissi convinta, “E’ una che prende il suo compleanno molto seriamente. Tu non la conosci.”

“E neanche ci tengo a farlo. Quella lì sembra una vera rottura di palle da avere intorno.”

Con un sospiro, gettai un’occhiata fuori. Una pioggia novembrina leggera ma costante continuava a scendere in rivoli contro la porta a vetri e contro l’unica piccola vetrina che la affiancava, entrambe già con le serrande mezze abbassate per indicare la chiusura del negozio al pubblico. La gialla luce artificiale che illuminava la stanza, sembrava rendere le strade all’esterno ancora più buie di quanto non fossero.

“Damon,” tentai nuovamente, con più calma, decisa a tutti i costi a farlo ragionare, “Tutti i negozi sono già chiusi. Non ho tempo. Non ho altre alternative.”

“Elena,” replicò, girandosi verso di me ed imitando la mia stessa voce pacata, una cosa così fastidiosa che mi strappò un’alzata di occhi verso il soffitto, “Puoi fare tutti gli occhi cerbiattosi che vuoi. Non ho nessuna intenzione di farti un cd di Avril Lavigne,” ribadì con una smorfia disgustata. “Scordatelo.”

“E’ la sua preferita, non devi mica ascoltarla tu.”

Si avvicinò a passi decisi, e solo all’ultimo momento mi resi conto che adesso aveva qualcosa tra le mani. “Tieni, se proprio vuoi piuttosto regalale questo.”

Mi rigirai tra le dita il cd che mi aveva appena messo in grembo, un solo nome scritto con il pennarello nero sopra ad una custodia spoglia.

“Arcade Fire? Mai sentiti.”

“Ovvio, è uscito da poco. [1]”

“Lo getterebbe via alla prima occasione,” scossi la testa per bocciare la sua opzione, ma lo riposi ugualmente sopra la mia borsa con l’intenzione di prenderlo per me. Difficilmente, in tutto ciò che Damon mi aveva passato sottobanco nelle ultime settimane, c’era stato qualcosa che non mi fosse piaciuto. Sospirai. “C’è nessun modo in cui posso sperare di convincerti?”

A quelle parole, mi sembrò di intravedere nel suo sguardo una piccola scintilla maliziosa. Posò le mani sulla superficie di legno, ai lati delle mie gambe, e si sporse fino a portare il volto a pochi miseri centimetri dal mio.

Il mio cuore fece una piccola capriola per la sorpresa. Le sue labbra erano all’improvviso così vicine da farmi avvertire il suo respiro sulle mie.

“No,” scandì lentamente, appena prima di far incurvare un angolo della bocca verso l’alto in un ghigno divertito.

Quel suo mezzo sorriso però scomparve, quando anche io mi protesi in avanti, riducendo ancora di più le distanze. Non si ritrasse, ma un moto di incertezza balenò nei suoi occhi azzurri.

“Per favore?...” domandai di nuovo in un soffio.

“Oh, fanculo,” bofonchiò tra i denti mentre, scuotendo la testa, si allontanava di scatto e mi girava intorno per andare a mettersi davanti al computer posto al mio fianco.

“Se lo dici a qualcuno,” mi minacciò, facendo guizzare velocemente lo sguardo su di me, “neanche quei tuoi begli occhi da Bambi ti salveranno la prossima volta.”

“Non lo farò,” lo rassicurai convinta. Dovetti sforzarmi per trattenere il sorriso che rischiò di sfuggirmi quando mi ritrovai a domandarmi se mi avesse per caso appena fatto un complimento.

Rimasi ad osservare il suo profilo illuminato dalla luce azzurrognola dello schermo, soffermandomi sul modo in cui ne accarezzava gli zigomi e il profilo della mascella e gettava una strana sfumatura sui suoi occhi, rendendoli di un blu quasi irreale. C’era semplicemente qualcosa in lui … non mi meravigliava che così tante ragazze ne fossero attratte.

“Vuoi venire con me stasera?” azzardai a domandargli tutto d’un tratto.

“Dove, alla festa di una che ascolta Avril Lavigne?” replicò con una vaga smorfia che da sola bastava a far trapelare quanto ritenesse assurda quella proposta. “E poi, ho già altri piani.”

“Oh,” mormorai, scacciando via la mia delusione, “Ok.”

Il suo telefono prese a vibrare contro il ripiano sul quale era posato. Mentre Damon lo prendeva in mano per controllare chi fosse, scorsi il nome Sarah lampeggiare sullo schermo. Lo riposò e lo lascio suonare, ma un altro moto di delusione ritornò prepotente quando non potei fare a meno di domandarmi se fosse proprio “Sarah” il suo piano per la serata.

“Ecco tutto il tuo concentrato di pessimo gusto,” aprì lo sportellino del cd, lo infilò dentro una custodia e me lo porse con un sorriso leggero, “Divertiti stasera.”

Si infilò la giacca di pelle e finì di chiudere il negozio.

Prima che me ne andassi mi salutò, come da qualche tempo aveva preso abitudine di fare, posandomi un veloce bacio sulla fronte. Mi fece sentire così piccola che, per la prima volta, desiderai che non lo avesse fatto.


Sono già in ritardo, naturalmente. Ma, a dispetto di questo, continuo a tirare fuori vestiti dall’armadio e a cambiare idea sui diversi abbinamenti. L’ultimo cambiamento è stato scartare una camicetta nera senza maniche a favore di una maglietta di raso color verde scuro, che ricade morbida sulla gonna a vita alta dal fondo nero e stampe di rose bianche e che se non altro si abbina alla stessa tonalità di verde che compare anche nel disegno [2]. Non ne sono ancora del tutto convinta, però, dal momento che nessuno degli accessori che uso di solito, sparsi sulla scrivania, sembra andarci bene.

Mi accuccio sul fondo della cabina armadio ed inizio ad aprire i vari cassetti, cercando in fretta e furia qualcosa che possa soddisfarmi.

Mi blocco quando la vedo, una fine catena d’argento con un unico ciondolo nero di ossidiana. Mi ero quasi dimenticata che potesse essere lì. La prendo titubante e lascio scorrere la catenina tra le dita, con la goccia nera, le dimensioni di una mandorla, che spicca contro il palmo della mia mano.

Mi sento stringere il cuore per tutto ciò che mi fa ricordare. C’era un periodo in cui non la toglievo praticamente mai. E non posso indossarla, lo so che non posso. Però questo non mi impedisce di provarla, solo per un momento, per vedere l’effetto che fa.

La allaccio dietro al collo, lottando un po’ con la massa di capelli, e mi alzo per osservarmi nello specchio. Si posa a meraviglia sullo scollo dal taglio orizzontale, e non resisto alla tentazione di passarci sopra le dita.

Ma non posso indossarla. Anzi, proprio in questo frangente a maggior ragione, dovrei rimetterla esattamente dove l’ho appena trovata.

Il suono del campanello mi fa sobbalzare improvvisamente. Non sto aspettando nessuno ed il primo pensiero che mi passa per la testa è che si tratti di Jeremy che finalmente si è deciso a tornare.

Non ha passato una notte a casa da dopo l’incidente con Vicky e, se si escludono quei pochi monosillabi necessari per le interazioni di routine quando siamo al lavoro, a malapena mi rivolge la parola. La mia è una speranza che però se ne va tanto velocemente così come è apparsa, nell’arco di tempo che impiego per scendere le scale alla massima velocità che il tacco delle decolleté mi permette. Non appena tocco l’ultimo gradino, mi rendo conto che Jeremy ha le chiavi e che, se solo lo volesse, non avrebbe alcun bisogno di suonare.

Non è Jeremy. Ma ho ugualmente un tuffo al cuore, perché gli occhi nocciola che mi trovo davanti sono gli stessi, così come il ciuffo ribelle sulla fronte che non vuole mai stare al suo posto.

“Ehi, principessa.”

“Papà,” sorrido.

Getto le braccia al collo di mio padre come se non lo vedessi da anni, invece che da neanche un mese. Mi faccio stringere a mia volta, a lungo, crogiolandomi nel familiare calore.

“Stavi andando da qualche parte?” mi dice dando un’occhiata al mio abbigliamento, dopo che infine mi sono decisa a staccarmi e lasciarlo entrare. “Non voglio trattenerti.”

“E’ solo una serata da Caroline,” scrollo le spalle mentre entrambi ci sediamo sul divano. Mi sfilo le decolleté nere e rannicchio le gambe. “Può aspettare. Hai intenzione di fermarti qua qualche giorno?”

Scuote la testa abbassando per un attimo lo sguardo sulle sue mani. Porta ancora la fede.

“No, intendo ripartire stasera.”

Si è trasferito a Petersburg un paio di anni fa, quando ha iniziato una programma di riabilitazione in una clinica. Anche dopo, non è mai tornato davvero ad abitare qua. Immagino sia semplicemente più facile.

“Lo sai che puoi restare quando vuoi, questa è anche casa tua …”

Invece di rispondere, mi getta un lungo sguardo ed una domanda che da sola dice tutto.

“Jeremy?”

Forzo un sorriso. Mio fratello non è esattamente il tipo che rende le cose semplici, quando ha deciso di non volere qualcuno attorno.

“Devi solo dargli un po’ di tempo.”

“Va bene, lo capisco,” risponde annuendo, con il rimpianto che comunque traspare dalla voce. “Se sono qua, è perché volevo parlarti di una cosa.”

“Di che si tratta?” domando incuriosita.

“Qualcosa a cui ho pensato molto negli ultimi mesi.” Tira fuori una cartelletta rilegata dall’interno della giacca e me lo porge con un sorriso. “E’ l’atto di proprietà del Mystic Grill. E’ tuo.”

Sposto lo sguardo da lui ai documenti che tiene in mano, sconcertata. Ma non mi muovo né rispondo, anche perché non sono ancora certa di aver davvero capito bene.

“Mio? …”

“Tuo,” annuisce. “Lo è in pratica da un po’ ormai, ho solo pensato che fosse tempo di renderlo ufficiale.”

Mi allungo per prendere i documenti, anche se quando inizio a sfogliarli ho le dita ancora un po’ incerte. Ma è lì nero su bianco, il locale che aveva aperto con mamma e che è sempre stata una parte così importante della sua vita è adesso completamente, in tutto e per tutto, a nome mio.

“Voglio che tu lo sappia, Elena,” prosegue, “non devi sentirti obbligata in nessuno modo. Qualsiasi cosa tu decida di farne … è una scelta solo tua e mi starà bene.”

“Non so cosa dire,” mormoro mentre continuo a farmi scorrere i fogli tra le mani.

“E ciò include la possibilità di venderlo, se vuoi, e poterti trasferire e farti una vita da un’altra parte …”

Alzo la testa di scatto, quando quelle parole fanno sì che un sospetto inizi a farsi strada nella mia mente.

“Hai parlato con Elijah?” chiedo con diffidenza.

“Sì, in realtà,” mi conferma, mentre mi osserva come per cercare di capire se la cosa mi abbia disturbato. “Mi ha aiutato con tutte le questioni legali, per finalizzare la cosa.”

“Vuoi dire che Elijah lo sapeva?” domando ancora più stupefatta. Non mi piace la sensazione che quel pensiero mi provoca, anche se cerco di nasconderlo. Mio padre però se ne accorge lo stesso.

“Tesoro,” si sporge verso di me e gentilmente mi sfila i documenti che sto ancora tenendo tra le mani, per posarli sul tavolino da caffè di fronte a noi e prendermi una mano tra le sue. “Non avercela con lui. Sono stato io a cercare il suo aiuto e a chiedergli di non dirti nulla, mi ha solo fatto un favore. Voleva essere una sorpresa.”

“Lo è stata …”

“E io voglio solo che tu sia felice.”

“Lo so.” Lascio che le mie perplessità si dissolvano, toccata dal pensiero dolce che ha avuto. Il resto delle questioni possono aspettare. Sorrido e lo stringo in un altro abbraccio. “Grazie.”


***


“Sei arrivata finalmente!” Bonnie mi accoglie con un sorriso quando attraverso la soglia di casa Salvatore. “Perché così in ritardo?”

La seguo lungo l’ingresso, attraverso la sala e poi la cucina dalla quale un’ampia porta a vetri conduce verso il giardino sul retro.

“Mio padre è passato a trovarmi all’ultimo momento, doveva parlarmi di una cosa,” spiego.

Bonnie si ferma sui suoi passi e mi rivolge uno sguardo apprensivo.

“E’ tutto a posto?”

“Sì …” la rassicuro. “Devo solo fare una telefonata. Vi raggiungo subito.”

Bonnie torna in giardino e mi lascia un po’ di privacy. Per la terza volta da quando sono uscita di casa, riprovo a chiamare Elijah. Tamburello le dita contro il ripiano di marmo grigio sul quale sono stati appoggiati alcuni vassoi con il fondo coperto di briciole e qualche bottiglia vuota, mentre la mia chiamata finisce di nuovo dritta alla segreteria.

Non posso negare che tutto ciò stia iniziando ad innervosirmi.

“Ehi, dove sei?” esordisco, decidendomi questa volta a lasciare un messaggio. “Ho davvero bisogno di parlarti, è importante. Appena senti il messaggio …”

Mi interrompo quando, attraverso il vetro della porta finestra, intravedo due figure sbucare sulla veranda illuminata. Una di queste è Damon. Ha le maniche della camicia blu scuro arrotolate fino ai gomiti, e lo noto perché le sue mani stanno attirando verso di sé una donna che non riesco a vedere bene. Di lei, noto solo uno scorcio di sorriso, mentre, sul limitare del cono di luce, Damon si china per darle un bacio.

E’ un secondo, e sono già spariti oltre. Ma è abbastanza da farmi salire in bocca uno strano sapore acido, che mi affretto a ricacciare giù.

“… chiamami,” finisco di dire alla segreteria di Elijah.

Riattacco e mi dirigo verso il giardino, che per l’occasione è stato illuminato da tante piccole luci appese nel buio sopra le nostre teste. Su alcuni tavoli sono stati disposti sia bevande che stuzzichini, e nell’aria l’odore pieno di brace, carne e verdure grigliate si mescola a quello più dolciastro del gelsomino in fiore. Lo spazio non è molto grande ed i presenti lo affollano quasi tutto, ma è innegabile che Caroline sia riuscita nell’intento di renderlo accogliente e confortevole. C’è qualche suo collega, qualche contatto di lavoro di Stefan, persino un paio delle sue amiche del college.

Damon mi saluta da distanza, con un accenno di sorriso ed un cenno della testa. Ricambio entrambi, prima che torni a parlare con i suoi interlocutori. Adesso riconosco la donna che è con lui, la stessa con cui l’avevo visto parlare all’inaugurazione per la mostra dei Fondatori. Ha una figura magra, ma slanciata e armoniosa. Damon fa scivolare una mano a cingerle la vita.

“Lo stai fissando.”

Sussulto e mi giro di scatto verso Bonnie che alza le sopracciglia in un modo equivocabile.

“Non è vero,” ribatto, “Io stavo solo …”

“Tieni, aiutatemi con questo.”

Caroline si frappone facendo capolino tra noi e mettendoci in mano un vassoio ciascuna, per me spiedini di pomodori e mozzarella e per Bonnie alcuni vol-au-vent dai ripieni di diversi colori.

“Sai chi è quella?” domando a Caroline in un sussurro mentre poso il vassoio sul tavolo.

Non ho bisogno di specificare. Caroline alza per un attimo lo sguardo in direzione di Damon e torna a radunare il cibo rimasto in alcuni piatti semi-vuoti per fare spazio a quello appena arrivato.

“Addie, Annie … qualcosa del genere.”

“E’ una cosa seria?”

“E chi può mai dirlo con Damon,” sospira scrollando le spalle. Scruta con lo sguardo l’altra estremità del tavolo ed ha un sobbalzo. “Oddio, sono finiti i tovaglioli!”

E’ sparita prima che possa chiederle altro.

Bonnie posa una mano sul mio braccio, richiamando la mia attenzione.

“Ma quello è Elijah? Non pensavo sarebbe venuto in questi giorni.”

Colta alla sprovvista, mi volto di scatto, in tempo per vederlo incedere verso il giardino insieme a Stefan, una mano in tasca e l’altra che si muove appena per accompagnare le sue parole. Si è tolto la cravatta, ma indossa uno dei completi di sartoria che usa per lavoro, dal che deduco che deve essere venuto direttamente qua.

“Neanche io,” le rispondo corrugando lo fronte, a dir poco stupefatta.

Elijah si congeda da Stefan non appena nota che gli sto andando incontro. Sorride, quando posa le mani sui miei fianchi per attirarmi verso di sé.

“Sei bellissima stasera,” sussurra contro la mia guancia. Faccio leva con le mani contro le sue spalle per opporre una blanda resistenza alle sue affettuosità.

“Ti ho chiamato più volte.” Non riesco a nascondere del tutto la punta di irritazione nella mia voce. “Stavo iniziando a preoccuparmi. E pensavo che non saresti potuto venire prima di un paio di giorni.”

Stacca una mano dal mio fianco per tirare fuori il telefono dalla tasca e scuote la testa mortificato.

“Scusa. Non avevo notato che fosse spento. Sono riuscito a liberarmi prima del previsto e volevo farti una sorpresa.”

“Non è stata l’unica di sorprese, stasera,” commento cercando i suoi occhi, per vedere se abbia già capito. Ma Elijah mi rimanda uno sguardo interrogativo. “Mio padre è passato a trovarmi poco fa, per parlarmi del vostro piccolo accordo alle mie spalle.”

“Non c’è nessun accordo, Elena,” sorride divertito, come se avessi appena detto chissà quale sciocchezza, “Voleva farti una sorpresa e mi ha chiesto di non parlartene. Pensavo che ti avrebbe fatto felice.”

Mi domando quando abbia iniziato a dare la precedenza a ciò che desidera mio padre, piuttosto che preoccuparsi di ciò che avrei potuto pensarne io. Ma capisco la buona fede dietro al modo in cui ha agito e non posso fargli una colpa per aver contribuito a qualcosa nell’intento di farmi contenta.

“E così,” rispondo facendo scivolare le mani sopra le sue spalle. “E’ solo che …” prendo un profondo respiro, “ … dobbiamo parlarne. Di tutta questa storia.”

“D’accordo, parliamone.”

Lo scruto attentamente e non vedo un briciolo di esitazione nel suo sguardo.

“Adesso?” replico confusa. Mi guardo un attimo attorno, verso il chiacchiericcio a pochi metri da noi e la prospettiva di una serata tra amici. Questo non è davvero il momento giusto per quel genere di conversazione. Scuoto la testa e gli rivolgo un lieve sorriso. “Ascolta, hai fatto un bel viaggio per arrivare fin qui, e sono contenta di vederti. Possiamo sempre parlarne domani, o in qualsiasi altro momento. Adesso, pensiamo solo a goderci la serata, ok?”

“Come vuoi.”

Si china per darmi, infine, quel bacio che lo avevo fermato dal darmi prima, un morbido, lungo tocco sulle mie labbra. Mi prende per mano e torniamo ad unirci agli altri.


Per Caroline, essere popolare non era solo un’aspirazione. Era un dovere, era una missione. Ecco perché sapeva bene che buone possibilità di riuscita passavano inevitabilmente attraverso il cheerleading, i comitati per l’organizzazione dei balli, il consiglio studentesco. E feste da paura.

Arrivai a casa sua piuttosto in ritardo, l’orlo sfilacciato dei jeans zuppo per l’imprevisto incontro con una pozzanghera sul vialetto di ingresso e la sensazione di aver sbagliato indirizzo.

Quasi tutto il mobilio della sala era stato spostato sul lato in fondo alla stanza, da dove due casse diffondevano una versione remixata di Let’s Get It Started e due tavoli attiravano un continuo via vai di gente smaniosa di procurarsi da bere. Nello spazio lasciato vuoto, alcune coppie stavano ballando sfregandosi i fianchi a ritmo della musica, mentre da un altro angolo nel quale era stato accostato il divano qualcun altro stava fumando propagando nell’aria un odore di acre di sigaretta. Metà delle persone presenti, non ero neppure sicura di averle mai viste.

“Le piace fare le cose in grande, eh?” mi affiancò Bonnie.

Mi prese subito per mano e mi portò cercare qualcosa da bere.

“Puoi dirlo forte.”

“Ehi, ragazze!” Caroline ci venne incontro per abbracciarci entrambe non appena ci vide.

Le sue onde bionde, lasciate ricadere sulle spalle, sembravano ancora più morbide del solito. Indossava un tubino a fantasia nero e grigio dalle spalline sottili che le stava un po’ largo sulle spalle ed il petto ancora troppo filiformi, ma era comunque splendida a dir poco.

“Tua madre è d’accordo con tutto questo?” le domandai perplessa.

“Come se gliene importasse,” scrollò le spalle. “Tanto starà via almeno fino a domani notte, non se ne accorgerà neanche. Tieni, prendete questo. L’ho fatto io.”

Versò un paio di mestolate di punch in due bicchieri e ce ne porse uno ciascuno. Odorava di arance, zucchero e di una scia di alcol talmente forte da procurarmi un’ondata di voltastomaco.

“Cosa, non ti piace?” mi domandò Caroline squadrandomi delusa.

“Lo bevo dopo,” risposi, posandolo sul tavolo. “Conosciamo qualche Sarah?”

“Beh, vediamo …” Si portò pensosa un dito contro le labbra. “C’è Sarah Connelly, quella stronza che l’anno scorso mi ha soffiato l’ammissione a Miss Mystic Falls. Oh, ma quest’anno vedrete che non gliela darò vinta. Sarah Bradley, terzo anno, sai quella che ride in modo strano …”

“Sarah Evans,” aggiunse Bonnie, più esitante. “Quella carina nel nostro corso di storia, capelli neri …”

“Perché ti interessa?” mi domandò Caroline perplessa.

“Io …”

“Oh mio Dio,” esclamò Caroline prima che potessi elaborare. La sua mano afferrò il mio avambraccio e lo chiuse in una morsa stringente. “Cosa ci fa lei qui?” domandò con una nota isterica nella voce.

Sia io che Bonnie ci voltammo per guardare che cosa avesse attirato lo sguardo di Caroline.

Lexi era entrata in sala ed aveva iniziato a distribuire sorrisi, il braccio avvinghiato a quello di Stefan.

“Non l’hai invitata?”

Caroline scosse la testa ed il suo volto, anche sotto al trucco perfetto che aveva addosso, mi sembrò improvvisamente più pallido.

“Lo sta facendo apposta. Lo sa. Guarda come se lo stritola,” gracchiò.

Sia io che Bonnie voltammo di nuovo la testa in contemporanea, in tempo per vedere Lexi salutare Caroline con la mano e Stefan sorridere impacciato.

“Non guardate!” ci richiamò subito la nostra amica con un filo di voce, esasperata. “Ho bisogno di bere.”

Afferrò il bicchiere che io avevo posato poco prima e lo buttò giù in un solo sorso.

“Ehi, Forbes.” Un ragazzo muscoloso e dai corti capelli neri si avvicinò alle sue spalle e le posò le mani sui fianchi. Tyler Lockwood, figlio unico della famiglia più ricca di Mystic Falls. “Posso darti il tuo regalo di compleanno speciale?” le disse a bassa voce vicino all’orecchio, intanto che faceva scivolare le mani un po’ più verso il basso, completamente incurante che sia io che l’altra mia amica fossimo ancora lì presenti.

Caroline alzò gli occhi al cielo, visibilmente infastidita.

“Dio, Tyler, te l’ho già detto, non ci vengo più a lett-” si bloccò a metà della frase, lo sguardo fisso altrove. Nel giro di un attimo, la sua espressione cambiò completamente. “Anzi, sai cosa? Portami a ballare. Ma avrò bisogno di un po’ più di alcol.”

“Tutto quello vuoi,” sorrise Tyler, mentre Caroline lo trascinava via per la mano in un posto più centrale e gli si avvinghiava gettandogli le braccia al collo. Guardai di nuovo alle mie spalle e, confermando i miei sospetti, la faccia di Lexi era adesso completamente incollata a quella di Stefan.

“Non sarò una sensitiva,” mi disse Bonnie con un sospiro, “Ma chissà perché ho il sospetto che tutto questo non andrà a finire bene.”

La sensazione di Bonnie, che in quel caso mi sentii di condividere in pieno, non si rivelò poi tanto sbagliata.

Ad un certo punto, Caroline era semplicemente sparita dai nostri radar. E l’ultima volta che l’avevamo vista, più di mezz’ora prima, non solo era su una poltrona intenta ad infrangere il voto – giurato alla fine delle vacanze – di non farsi mai più mettere la lingua in bocca da Tyler, ma avrebbe tranquillamente potuto essersi bevuta da sola tutto il punch che lei stessa aveva preparato.

Dopo aver deciso, con Bonnie, di dividerci per cercarla, mi diressi al piano di sopra.

Lungo le scale, scavalcai almeno un paio di coppie, troppo impegnate a pomiciare per prestarmi attenzione. Nessuna di loro includeva Caroline.

Solo quando fui quasi in cima, udii finalmente la voce della mia amica, anche se piuttosto flebile.

“Non mi sento molto bene.”

“Ci penso io a farti stare meglio.”

“Tyler, non …”

Caroline era schiacciata contro il muro accanto alla porta della propria camera. Tyler le stava addosso, una mano premuta contro la sua schiena e il volto che scendeva verso la sua scollatura.

“Andiamo, Forbes, smettila di prendermi sempre in giro,” lo udii dire di fronte ai, pur deboli, tentativi di Caroline di opporsi alle sue attenzioni.

“Ehi,” lo ammonii, sentendo l’indignazione ribollirmi dentro. “Ti ha detto di lasciarla in pace.”

Tyler si staccò da Caroline e si voltò ad osservarmi come se fossi una mosca sulla parete. Caroline, invece, chiuse gli occhi e abbandonò la testa all’indietro per sorreggersi contro il muro.

“Non sono affari tuoi.”

Mi avvicinai alla mia amica e le passai un braccio intorno alla vita per aiutarla ad appoggiarsi contro di me.

“Non lo vedi che è ubriaca?”

Tyler sogghignò. “E tu sei un’esperta di questi casi non è vero?”

Un’onda di calore mi infiammò le guance ma, con mio stesso stupore, la prima replica che mi saltò alla mente fu uno di quei “fottiti” che Damon amava così tanto dispensare. Stavo quasi per sputarlo fuori, forse ancora più velenoso di quanto già non suonasse nella mia mente, ma qualcuno mi privò della soddisfazione.

“Tyler.” Stefan comparve alle spalle del ragazzo. Il suo tono era duro almeno quanto lo sguardo che gli rivolse. “Smettila.”

I due si guardarono per alcuni lunghissimi istanti. Poi Tyler scrollò le spalle con noncuranza.

“Chissene. In ogni caso, non ne vale la pena.”

Tyler mi passò davanti e se ne andò lungo le scale senza gettare un secondo sguardo né a me né tantomeno a Caroline.

“Mi dispiace,” biascicò Caroline prima di crollare con il capo sulla mia spalla.

“Sta bene?” domandò Stefan corrucciando lo sguardo con fare apprensivo, intanto che si avvicinava a noi di qualche passo.

“Penso che abbia solo bisogno di stendersi un po’.”

“Lascia che ti aiuti.”

Stefan passò le mani intorno alla vita della mia amica e, senza alcuno sforzo, la sollevò per prenderla tra le braccia. Mi sembrò di intravedere un piccolo sorriso formarsi sulle labbra di lei, quando si ancorò meglio con le braccia attorno alla sua nuca.

“Hai un odore così buono …” mormorò Caroline nel suo collo, cosa che suscitò un moto di sorpresa nello sguardo di Stefan.

“Grazie …” rispose lui, esitante, e la strinse un po’ di più.

Gli indicai la camera di Caroline e, con attenzione, la fece sdraiare sul copriletto a stampa di gigli rosa che si abbinava al colore tenue delle pareti. Si inginocchiò accanto al letto tenendosi in equilibrio sui talloni e le spostò con delicatezza dal volto una ciocca di capelli rimasta attaccata sul suo lucidalabbra, indugiando nella carezza qualche secondo più del necessario.

Ad un primo sguardo, forse, poche persone avrebbero potuto pensare che lui e Damon fossero fratelli. Non avevano gli stessi occhi, lo stesso naso, lo stesso profilo. Ma c’era di sicuro qualcosa, in quel suo gesto verso Caroline, che inevitabilmente mi ricordò così tanto Damon da farmi mancare un battito del cuore.

“Grazie,” gli dissi mentre socchiudevo la porta della camera di Caroline per tenere fuori un po’ del rumore.

“Non c’è problema,” disse lui, rialzandosi. “Sei Elena giusto? Mio fratello parla di te.”

Mi girai quasi di scatto, un inaspettato sfarfallio sul fondo dello stomaco.

“Davvero?”

Stefan si strinse nelle spalle e affondò le mani nelle tasche dei jeans. “Siete amici, no?”

Annuii.

“E’ un bene. Damon non ha molti amici. Intendo … quelli veri. Non è uno che si lascia avvicinare molto facilmente. E a volte può essere duro da sopportare,” il sorriso con cui concluse la frase lasciava intuire che, a dispetto di ciò che aveva appena detto, non gli pesava davvero ʿsopportareʾ il fratello.

Fui distratta da un timido colpetto sulla porta. Bonnie fece capolino nella stanza e spostò lo sguardo da me a Stefan, a Caroline mezza addormentata sul letto.

“Beh, dovrei andare,” disse Stefan abbassando per un attimo gli occhi sulla punta delle sue scarpe. “Forse … puoi farmi sapere come sta?” mi domandò con un cenno della testa in direzione di Caroline, un po’ tentennante, un po’ speranzoso.

“Certo,” gli sorrisi.

Stefan se ne andò e richiuse la porta alle sue spalle.

Io e Bonnie ci sedemmo ai due lati del letto ad una piazza e mezza. Non appena ci fummo sistemate, Caroline, nel mezzo, appoggiò la testa all’indietro contro la coscia di Bonnie e passò un braccio attorno alle mie gambe.

“Era davvero Stefan quello?” farfugliò mentre si metteva più comoda.

“Pare proprio di sì.”

“Sono così felice di non avergli vomitato sulle scarpe.”

Mi scambiai un’occhiata con Bonnie e ridacchiammo entrambe.

“Sai, Care …” dissi appoggiandomi contro i cuscini, “Qualcosa mi dice che probabilmente non gli sarebbe neanche importato.”

Restammo là, solo noi tre, mentre al piano di sotto la festa continuava ad andare avanti.

Ripensai molto a ciò che Stefan mi aveva detto.

Da quel giorno a scuola in cui Damon mi aveva sorpreso in un mio momento di sconforto era passato quasi un mese. Un mese durante il quale mi ero ritrovata a passare insieme a Damon ancora più tempo di prima.

Ogni volta che avevo del tempo libero, ero in negozio da lui, a parlare, guardare video stupidi o fingere di essere una cliente molto affezionata ogni volta che Rose spuntava fuori, anche se non penso che ci abbia mai creduto. Le sere, era lui che spesso passava dal bar, a volte portando una pizza che condividevamo sul retro dopo averla difesa dagli assalti di Jeremy.

Certo, delle volte era sfuggente, come quella sera là.

Ma l’idea di quanto fosse inusuale che Damon si lasciasse avvicinare da qualcuno come aveva fatto con me mi fece intuire che, probabilmente, ciò che avevo con lui era più di una serata con una Sarah senza volto. E, in fondo, non avrei mai voluto che fosse diversamente.


La serata è piacevole e vola via in un attimo. E, a dispetto delle recenti novità, sono comunque contenta che Elijah sia presente stasera e di aver potuto condividere con lui un momento insieme ai miei amici.

Scopro anche che Andie è una giornalista che sta cercando di sfondare fuori dalla cronaca locale, che è intelligente, con la battuta pronta e che, accanto ad una bellezza poco classica, ha davvero un certo carisma. Lei e Damon sono così a loro agio l’uno con l’altra che sembra si conoscano da anni.

E’ una cosa alla quale ho modo di testimoniare ancora meglio dopo che il resto degli invitati se ne sono andati e siamo rimasti soltanto noi, i padroni di casa e le rispettive ragazze, seduti attorno al tavolo principale sotto al sicomoro che delimita il giardino di casa Salvatore.

Sono seduti vicini, con il braccio di Damon posato rilassatamente attorno alle spalle di lei.

Stefan si sporge per prendere il suo bicchiere di vino e con l’altra mano circonda la vita di Caroline, che invece di scegliersi una sedia ha preferito sedersi direttamente sulle sue gambe. La sua voce è allegramente brilla quando inizia a parlare.

“Direi che è ora di proporre un brindisi alla ragazza che ci ha portato qui, che ha trasformato l’intera cucina … anzi no, l’intera casa in un campo di battaglia che domani mi obbligherà a pulire, e che sono così maledettamente fortunato ad avere accanto a me.”

“Attento con le parole, Stef, o potrebbe pensare che le intendi davvero. Poi di questa qua non ce ne liberiamo più,” sogghigna Damon attirandosi subito uno sguardo fulminante da parte della mia amica, che però si ammorbidisce all’istante non appena Damon alza il suo bicchiere verso di lei, “A Caroline.”

I nostri bicchieri tintinnano tra loro, accompagnati da un altro “A Caroline” collettivo che la fa visibilmente andare in estasi.

Stefan la attira ancora di più a sé, per darle un bacio sulle labbra e mormorarle “ti amo”.

E’ una strana emozione quella che mi stringe il petto, nel vederli così; nel ricordare di averli visti quando a malapena avevano il fegato di rivolgersi la parola a vicenda e nel sapere che, nonostante tutto, anche dopo più di sette anni insieme sono ancora capaci di guardarsi come se si stessero innamorando per la prima volta. Mi chiedo se sarà lo stesso anche per me.

I miei occhi corrono verso Damon prima che riesca a trattenermi. Del resto, è l’unico che li conosca da tanto tempo quanto me, e forse sono solo curiosa di sapere se anche lui stia pensando la stessa cosa. Un veloce quanto inopportuno batticuore mi sorprende quando, nella penombra, anche il suo sguardo è rivolto verso di me.

Elijah, accanto a me, mi dà una gentile stretta alla mano sinistra che mi sta accarezzando, mentre la tiene tra la sua. Mi volto per dedicargli un leggero sorriso. Potrò non sapere come sarà tra sette anni, ma il modo in cui mi guarda, così caldo e amorevole, sul momento è come sempre in grado di dissipare ogni mia irrequietezza.

“Elena, è un anello di fidanzamento quello?”

Mi giro di scatto verso Andie che mi ha appena posto la domanda.

“Sì,” annuisco mentre lei si protende di più verso di me per ammirarlo meglio. Damon è solo pochi centimetri alla sua sinistra, ma mi rifiuto di guardarlo e scoprire la sua espressione. “Il matrimonio è a settembre.”

“E’ davvero meraviglioso. Non sapevo che steste per sposarvi, congratulazioni!”

Elijah si sistema meglio sulla sedia, senza lasciarmi andare la mano, e sotto alle fievoli luci da giardino posso intravedere bene il sorriso compiaciuto che gli distende il volto.

“Ero ad Anversa quando l’ho visto. Non ho avuto un attimo di dubbio. Così limpido e luminoso. E’ fatto per lei.”

Una specie di grugnito sommesso proviene dalla parte di Caroline, che però si affretta a mascherarlo con un colpo di tosse, prima di portarsi di nuovo il bicchiere alle labbra.

“Scusate, non fate caso a me. Solo un po’ di gola secca.”

Con la coda dell’occhio, vedo Damon prodursi in un lieve sogghigno in direzione della propria cognata.

“Ho davvero un debole per il romanticismo,” continua Andie cordialmente, “Come vi siete conosciuti?”

Scambio uno sguardo con Elijah che, con un piccolo cenno di assenso, mi invita a rispondere.

“Mio padre ha avuto qualche problema con l’alcol, ed è andato in riabilitazione in una clinica di Petersburg un paio di anni fa. Anche il fratello di Elijah si trovava lì.”

“Io sono stato conquistato all’istante, ma questa ragazza …” si avvicina la mia mano alle labbra e posa un bacio sul dorso. Sorride con una leggera scintilla nello sguardo e, al ricordo, anche io sorrido di rimando, “… è stata difficile da far capitolare. Mi ci sono voluti sei mesi per riuscire a strapparle un appuntamento. Ma sono felice di non essermi arreso.”

“Si sta facendo freddo, non pensate?” dice Caroline, passandosi una mano sul braccio di fronte ad un’altra folata di brezza notturna, decisamente più gelida. “Forse è meglio se ci spostiamo dentro.”

Mi getta un’occhiata eloquente, che mi fa capire che non pensa sia una buona idea che Andie metta in moto il gioco del ʿe voi come vi siete conosciutiʾ.

Ad uno ad uno, dunque, ci alziamo, ed io mi attardo per aiutare Caroline a sgombrare ciò che ancora è rimasto sui tavoli e a portare il tutto in cucina.

Sto finendo di ricoprire del cibo avanzato prima di metterlo nel frigo, quando Damon compare dall’altro lato del bancone a isola, per posare un altro piatto accanto a quello che sto incartando.

“Questo era l’ultimo.”

Sono praticamente le prime parole che mi ha rivolto direttamente in tutta la sera, ma, del resto, è anche la prima volta che mi ritrovo ad essere sola con lui. Dalla stanza accanto giunge il chiacchiericcio degli altri che si sono spostati in sala, ma il fatto che Damon sembri esitare ad andarsene mi dà la spinta giusta per parlare.

“E’ simpatica,” gli dico continuando a tenere lo sguardo fisso su ciò che sto facendo. Metto più lentezza nel richiudere i lembi della carta stagnola attorno al vassoio. “Voglio dire è intelligente, e piacevole …” oltre che indubbiamente affascinante, ma questo me lo tengo per me.

“Lo so,” si limita a rispondere, in un tono che non lascia trasparire nulla.

“Sono felice per te.”

“L’ho appena conosciuta, non me la sto mica sposando.”

Mi mordo le labbra e faccio finta di non aver notato la scelta delle parole che ha usato.

“Non penso che tu possa fare meglio di così,” prosegue e questa volta alzo di scatto lo sguardo verso di lui per capire di cosa stia parlando. C’è un mezzo sorriso divertito sulle sue labbra quando con un cenno della testa mi indica l’angolo attorno al quale sto continuando a piegare la stagnola. Mi fermo immediatamente ma, prima che io possa replicare, noto che il suo sguardo adesso si è spostato attorno al mio collo, sul ciondolo che, tra la fretta e altre questioni per la testa, mi sono infine dimenticata di togliere. Sono riuscita a tenerlo sotto la maglia per tutta la sera, ma deve essermi sfuggito quando mi sono sporta in avanti.

D’istinto, porto le dita a coprirlo. Troppo tardi.

Qualcosa si agita nei suoi occhi e le sue labbra si socchiudono per un attimo, eppure, inaspettatamente, non fa alcun commento.

Solleva gli occhi sui miei e non riesco ad evitarlo, il mio cuore perde un battito quando ci ritroviamo solo io ed il così familiare e contradditorio azzurro che si trova di fronte a me. Le voci nell’altra stanza si affievoliscono un po’. Non sarei in grado di guardare altrove neanche se lo volessi.

“Ti va di … prendere un caffè insieme, uno di questi giorni? Se questa cosa dell’amicizia e dei buoni rapporti deve funzionare, abbiamo qualche anno da recuperare,” incurva le labbra in un sorriso leggero che ha subito il potere di distendere l’atmosfera e strappare un sorriso anche a me.

“Non pensavo che fossi interessato,” dico sollevando un sopracciglio, per tastare il terreno, mentre lascio andare la collana che non mi ero accorta di stare ancora stringendo tra le dita.

Scrolla le spalle.

“Tra il dover tornare qualche giorno a San Francisco e il primo consiglio a Richmond con il tuo fidanzato, ho solo avuto un sacco di cose a cui pensare.”

“Certo … ” annuisco, mentre un’improvvisa contentezza mi scalda il petto. “Sarò felice di poter prendere quel caffè.”

Mi rivolge un altro cenno di assenso, prima di lasciare la stanza.

Finisco di riporre anche l’ultimo vassoio con un vago sorriso sulle labbra ed l’audace ottimismo che, forse, dopotutto, ci sono ancora cose che possono di nuovo essere recuperate.

-----------------------------------------------------------------------------------

Note: [1] Il flashback è ambientato nel novembre 2004, e Funeral è uscito nel settembre dello stesso anno, in Canada, poi l’anno successivo nel resto del mondo. Questo per dire, anche se forse non gliene fregherà niente a nessuno, che davvero in quel momento gli Arcade Fire erano degli emeriti sconosciuti.

[2] This: http://www.polyvore.com/lanvin_volume_skirt_with_green/thing?id=91825284&.locale=it A parte il prezzo, naturalmente, voi fate finta che sia di Zara o simili, perché dubito che la nostra Elena qua potrebbe mai permettersi di spendere così tanto su una gonna.

   
 
Leggi le 14 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > The Vampire Diaries / Vai alla pagina dell'autore: everlily