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Autore: LilithJow    20/10/2013    4 recensioni
Io avevo sempre odiato la morte, così come le persone che le andavano incontro; quelle che rinunciavano alla propria vita, sperando in un'esistenza migliore, che però non c'era e io lo sapevo bene. Non capii perché nella mia mente si materializzò l'idea di permettere a Sebastian di uccidermi e non era qualcosa di simile a ciò che era successo in precedenza.
Avevo deciso di sacrificarmi per permettere a Simon di vivere e ritenevo che fosse una buona motivazione. Ma allora, una ragione non c'era, eppure lo desideravo comunque. - SEGUITO DI "LULLABIES"
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lullabies Saga'
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Capitolo 10
"My memories are screaming"



Le luci di Chicago brillavano davanti a me. Dal tetto di quel grattacielo, sembrava tutto così piccolo. Forse perché, in fondo, gli uomini lo erano davvero. Piccoli, eppure capaci di grandi cose.

«Il ragazzino ha scoperto tutto, allora». La voce di Sebastian, alle mie spalle, mi fece sussultare, ma non mi girai e continuai a fissare la città davanti a me. «Vattene» sentenziai, con tono fermo. «Gentile invito, però rifiuto l'offerta». Lo sentii abbozzare una risata e, poco dopo, mi fu di fianco, in piedi sul cornicione. «Glielo avresti dovuto dire, prima o poi».
Non risposi; sbuffai solamente. «Peccato, vero? Questa volta era davvero carino» aggiunse.

«Sta' zitto».

«Sorellina, sto solo cercando di darti una mano».

«Stai solo cercando di rovinarmi l'esistenza, da secoli ormai. Lo fai ogni volta. Ogni volta che trovo qualcuno, tu distruggi tutto».

Sebastian serrò la mascella. «Se tu la smettessi di sentire la necessità di aver accanto un insulso umano per sentirti completa, forse non dovrei intervenire ogni volta».

Roteai gli occhi e solo allora mi girai nella sua direzione, per incontrare la sua espressione dura. «Intervenire» ripetei, sarcastica. «Nessuno te lo ha mai chiesto, Sebastian».
Lui si morse appena il labbro inferiore. «Cosa non ti andava bene prima, Hazel?» sussurrò. «Quando eravamo io e te, sempre e per sempre».

«A me? A me niente. Sei tu quello che se n'è andato e adesso mi perseguiti».

«Ti ho chiesto di venire con me».

«E io di scegliere tra me e loro. Sai com'è finita».

Sebastian si irrigidì e strinse i pugni lungo i fianchi. «Dovresti accettare la tua natura, sorellina. Non puoi cambiarla».

«No, certo che no, ma posso non essere un mostro».

«Non siamo mostri. Facciamo solo ciò che occorre alla nostra sopravvivenza».

«Oh, ma per favore. Molte delle vostre vittime conservano l'anima, non vi nutrite di tutte. Uccidete per il gusto di farlo».

«Non atteggiarti da santa. Tu non hai un secondo fine in ciò che fai?».

«Sai che non c'è».

«Ah, no? Quindi tu non hai alcun interesse nel compiere il Sacrificio».

«Nessuno. Sebastian, che tu ci creda o no, voglio provare qualcosa di vero e mio per qualcuno, senza che ciò coinvolga il soprannaturale e tutta questa pazzia».

Abbozzò un sorriso, ironico. «Certo».

Io roteai gli occhi. «Forse ti dà fastidio il fatto che con te non potrà mai funzionare. Tu non riusciresti a smuovere neppure il più docile animo umano».

Quella mia frase lo fece scattare, probabilmente a causa dell'acidità con cui la pronunciai. Mi afferrò per il collo e, con violenza, mi lanciò sul tetto, facendomi capitolare addosso alla porta di ferro delle scale del palazzo. Mi venne da ridere, mentre mi rialzavo lentamente. «Oh, tu guarda. Ti ho fatto arrabbiare. Sai che anche questo è un sentimento, vero?».

«Sta' zitta» sbraitò lui. Si smaterializzò nell'aria e mi riapparve davanti, con quell'espressione dura e odiabile ancora stampata in volto.

«Cosa c'è? Ti ho ferito?». Finsi un broncio, solo per prenderlo in giro.

Sebastian sbuffò. «Spero tu abbia detto addio al tuo ragazzo carino».

Aggrottai le sopracciglia a quella sua affermazione. Lui sorrise, soddisfatto e, poco dopo, lo vidi correre verso il cornicione e saltare nel vuoto.

 

***


Colpivo con forza il sacco nero da boxe, immaginandoci la faccia di Sebastian sopra o quella del Creatore, era lo stesso.
Nella cantina della nuova casa, da accordo con Martha, avevo allestito una specie di palestra, per allenarmi. Gli attrezzi non erano molti: qualche peso e, per l'appunto, il sacco da boxe, ma potevo farmelo bastare.
Non avevo mai fatto ginnastica, prima di allora, e mantenere in forma un corpo umano era più difficile del previsto. I miei muscoli erano pressoché inesistenti e, in tale condizione, sarei stata estremamente facile da battere in uno scontro fisico. Dovevo stare attenta persino a quel che mangiavo, a quanti litri d'acqua bevevo, a... A tutto, praticamente. Ancora mi chiedevo come non scoppiasse a tutti la testa.
Troppe cose a cui pensare e a cui prestare attenzione. Da Divoratrice, tutto era più semplice e qualcosa, addirittura, superfluo.

«Cosa ti ha fatto di male quel povero sacco?». La voce di Thomàs rimbombò nella cantina. Diedi l'ultimo pugno al mio finto nemico e, voltandomi, lo vidi sulla soglia della porta, con in mano una tazza di ceramica verde. Una parte di me cominciava a pensare che quella tazza facesse parte del suo braccio.
«Lui niente» replicai, posando le dita sui fianchi e cercando di riprendere fiato. «Ma ci sono molte persone là fuori che vorrei seriamente prendere a calci».

«Già, lo immagino». Thomàs compì qualche passo nella stanza e mi fu più vicino.

«Non ti ho ancora ringraziato» esclamai, allora.

«Per cosa?».

«Beh, sei saltato da venti metri nell'acqua gelida, solo per seguirmi. Non tutti lo avrebbero fatto».

«Non ci tenevo a finire nelle grinfie di quei Divoratori».

Sforzai un sorriso: cercare di avere un discorso serio con lui – a meno che non fosse proprio lui ad iniziarlo – era pressoché impossibile, soprattutto in quei ultimi giorni. «Avanti, sai che intendo».

«Sì, che dovrei smetterla di seguirti in missioni suicide. Questa è già la seconda, lo sai?». Abbozzò una risata dopo l'ultima frase e fece ridere anche me.

«Non ne ho in programma altre, lo giuro» dissi, allora.

«Ah, no? E perché ti stai allenando?».

«Perché sono fragile quanto una bambola di porcellana. Letteralmente. La mia forza si è del tutto dispersa da quando sono umana. Voglio essere in grado di difendermi da sola, se accadrà qualcosa di brutto».

«Sicuramente hai avuto la meglio su quel sacco». Senza distogliere lo sguardo da me, Thomàs allungò la mano, a riporre la tazza sulla panca di legno proprio accanto a noi, unico elemento di mobilio nella stanza. «Vediamo come te la cavi con un vero avversario».

«E chi sarebbe?» domandai, accigliata.

«Io».

«Tu?».

«Sì. Anche se mi ingozzo di cereali e cioccolato fondente, non vuol dire che non so combattere. Sono un Cacciatore, ricordi?».

Già, era un Cacciatore, sebbene avessi pensato, più di una volta, al cambio di colore dei suoi occhi. Non volevo fargli pressione, perché, in tal modo, non me ne avrebbe mai parlato. Avevo deciso di aspettare, finché non fosse stato lui a rivelarmi la verità, se mai avesse voluto dirmela.
Thomàs si era già messo in posizione di combattimento, piegando le braccia e portandosele parzialmente davanti al viso. Iniziò a spostare il peso del corpo da un piede all'altro, con enfasi, fin troppa, dato che mi venne da ridere.

«D'accordo» esordii. «Proviamoci».

In un primo momento, pensai stesse scherzando sul fatto di allenarmi con lui, ma quando iniziò a sferrare colpi che non riuscii ad evitare, rimediando un labbro spaccato, capii che stava facendo sul serio.
Mi asciugai distrattamente il sangue sul mento, con il dorso della mano, e mentre Thomàs rideva soddisfatto, fui io ad attaccare: prima lo distrassi, fingendo un calcio nello stomaco e, con un movimento rapido del braccio, ebbi successo a colpirlo sullo zigomo destro. Lui non si arrese nemmeno per un secondo e reagì. Evitai due suoi colpi mirati alla mia faccia e uno alle gambe, saltando. Quell'ultimo gesto, tuttavia, fu causa di ciò che accadde dopo. Thomàs mi afferrò per un braccio e lo bloccò dietro alla mia schiena, che aderì al suo petto. Il suo di braccio, invece, finì attorno al mio collo e, allora, non potei più muovermi.

«Te l'avevo detto che sono bravo» mi sussurrò all'orecchio e riuscii chiaramente a percepire il suo fiato sulla mia pelle.

Rimasi immobile per un attimo, pensando che davvero non ci fosse modo di liberarmi. In realtà, però, c'era, e sorrisi. Feci leva sul peso del mio corpo, riuscii a ribaltare la situazione e non fui più oppressa dalla sua presa. Anzi, tutt'altro: Thomàs sbatté con la schiena sul pavimento di cemento e io a cavalcioni di lui, tenendolo fermo per i polsi. «Non sottovalutarmi, Cacciatore» dissi, con ironia.
Soddisfatta, mi rialzai in piedi. Lui rimase per qualche secondo disteso a terra, prima di imitarmi.

«Siamo pari» esclamò, riprendendo in mano la sua tazza di tè. «Oh, non direi» replicai. «Ti ho stracciato».

Ridacchiai. Era strano a dirsi, ma l'aver picchiato – in un certo senso – Thomàs, mi giovò molto di più dello scaricare la tensione su un sacco da boxe.

«Posso chiederti una cosa?» disse ad un tratto lui. Io annuii e basta.

«Tra te e Sebastian è sempre stato così?».

«Così come?».

«Beh, intendo, tra te e lui non è mai...».

Roteai gli occhi, mentre un senso di disgusto mi avvolse. «Ti prego, è mio fratello».

«Oh, lo so, ma considerata la sua innata ossessione nei tuoi confronti...».

«Non c'è mai stato nulla. E poi...». Interruppi per un attimo la frase e sospirai. «Sebastian è l'essere più apatico e spietato che esista su questo pianeta». Pronunciai quelle parole mordendomi il labbro inferiore e gravando sul taglio che mi ero appena procurata.. In fondo, tuttavia, sapevo che Sebastian non era sempre stato un mostro, lo era diventato.

«Di sicuro tiene a te, però. In un modo terrificante e contorto, ma lo fa».

«Ha tentato di uccidermi almeno tre volte solo negli ultimi mesi».

«Però non è mai andato fino in fondo o sbaglio?».

«Per caso lo stai difendendo?».

«No, non mi permetterei mai. Sto solo cercando di capire».

«Capire che cosa?».

«La natura dei Divoratori».

«Perché ti interessa?».

«Sono solo curioso. Sai, ho incontrato tanti Divoratori, diversi tra loro, ma tutti d'accordo sul fatto che gli esseri umani fossero complicati. Io non penso che gli esseri umani siano complicati, tutt'altro. Siamo molte cose, ma non complicati. Ma voi, quel che tu una volta eri... Voi siete complicati. Dite di essere senza sentimenti, però provate lo stesso qualcosa, avete degli affetti tra di voi e mi chiedo come sia possibile».

Lo ascoltai in silenzio, senza interromperlo. La sue domande erano legittime, dopo tutto. «Abbiamo un diverso concetto dell'amore e degli affetti» dissi, dunque. «Quello tra Divoratori è considerato più un rapporto di lealtà e fedeltà reciproca, ma anche questo è un fattore variabile. Per gente come Sebastian, avere contatti con gli umani significa non essere leali. Altri, invece, la vedono come una cosa del tutto normale».

«Quindi ti considera una traditrice».

«Qualcosa del genere».

«E vuole fartela pagare».

«Già. Il problema è che la vendetta, per gli umani, ad un certo punto cessa. La mia è sempre stata un'eterna tortura». Sospirai sommessamente. Dirlo ad alta voce dava un diverso senso a tutto, per prima cosa alla mia esistenza.
Sebastian si stava davvero vendicando da sempre, senza mai ammetterlo, mascherandosi con il fatto che lo stesse facendo per il mio bene. Ma non era così. Come poteva essere così?
Thomàs, per mia fortuna, non aggiunse né chiese nient'altro e fui grata per ciò. Sicuramente non avrei retto un secondo di più all'interno di quel discorso, perché avrebbe solo aumentato a dismisura la malinconia che mi opprimeva, senza che potessi fare nulla per scacciarla.
 

***

Quel giorno pioveva. Chiusa in quella cantina, non me ne ero quasi resa conto, finché lo stimolo della fame non mi spinse in cucina, per racimolare qualcosa da mangiare. La casa era silenziosa, come sempre, del resto. Thomàs mi aveva lasciato finire il mio allenamento in tranquillità e mi aspettavo di trovarlo lì, con una ciotola di cereali tra le mani, ma non c'era. Dando una rapida occhiata in giro, non c'era nemmeno Martha. Optai per una loro uscita. Ultimamente ne facevano molte, insieme.
Recuperai dal frigorifero un sandwich al formaggio che avevo preparato per pranzo, saltandolo poi. Ebbi il tempo di dargli un solo morso, tuttavia, che un rumore proveniente dal piano di sopra catturò la mia attenzione.
Mollai il panino sopra il tavolo, distrattamente, e mi precipitai su per le scale, tutto ad un tratto allarmata, perché quando né Thomàs né Martha erano in casa, mi sentivo più vulnerabile del solito.
Il rumore proveniva dalla camera che aveva occupato Simon. Mi avvicinai lentamente ad essa, fermandomi davanti alla porta socchiusa. Attraverso quella piccola fessura, lo vidi lì, circondato da teli di nylon e barattoli di vernice. Uno di quest'ultimi si era rovinosamente rovesciato a terra e uno strato celeste si stava propagando su uno dei teli. Della tracce della stessa vernice e altra, bianca, erano anche quella sua faccia e sui suoi vestiti.
Sorrisi, per un attimo. Avevo sempre trovato adorabile la sua goffaggine e quella era un'altra cosa che non era scomparsa.
In quei ultimi giorni, avevo trascorso molto tempo con lui, un po' per mandare avanti il fantomatico piano per farlo re-innamorare di me, un po' perché trascorrere momenti in sua compagnia era ciò che mi donava attimi di vera e pura felicità, anche senza fare nulla di eclatante.

Aprii lentamente la porta, dopo aver passato qualche secondo ad osservarlo. Lui si accorse subito della mia presenza e si affannò a sistemare il danno che aveva combinato. «Che stai facendo?» domandai.
Simon cercò ancora, disperatamente, di mettere tutto in ordine, ma poco dopo, lasciò perdere, allargando le braccia. «Martha mi ha detto che potevo personalizzare questo posto» disse. «Cercavo di far entrare il cielo qui dentro».
Mi guardai attorno. Sulla parete opposta a dove ci trovavamo, su una distesa azzurra spuntavano leggeri soffi bianchi, come se fossero nuvole. Era fatto bene e pensai che davvero fosse riuscito a rinchiudere il cielo in quella stanza. «L'hai fatto tu?» chiesi ancora, indicando con lo sguardo quella che era, per me, un'opera d'arte.

«Sì» rispose. «Ci ho provato».

«E' bellissimo».

«Tu credi?».

Annuii, muovendo qualche passo avanti, nella sua direzione.

«Dipingevo, prima?». Fu lui a porre una domanda.

«Non che io sappia. Forse era un tuo piccolo segreto».

Simon abbassò lo sguardo. I miei pensieri erano ripetitivi, ogni volta che lo guardavo, e ne ero perfettamente consapevole; non riuscivo a fare a meno di ritenerlo bello, dolce e ingenuo.

«Perché non mi insegni?» esclamai. I suoi occhi guizzarono su di me e mi parve di vederli scintillare, più azzurri del solito. «Non so se ne sono capace» sussurrò.
Non replicai. Mi limitai ad afferrare un pennello e a girargli attorno, così da ritrovarmi di fronte alla parete ancora immacolata. Simon esitò qualche secondo, prima di muoversi. Lo percepii alle mie spalle, mentre lentamente le sue dita sfioravano il mio braccio, che piano si sollevava. La sua mano si chiuse sulla mia, quella che impugnava il pennello e, delicatamente, picchiettò sul muro bianco, iniziando a riempirlo di chiazze celesti, di diversa intensità.
Ma mi bastò poco per perdere di vista la pittura, perché sentivo il petto di Simon attaccato alla mia schiena e il mio cuore che aumentava i battiti, insieme al suo, e l'altra sua mano che si era posata sul mio fianco sinistro e che non potei fare a meno di sfiorare con le mie dita.

Perché furono attimi in cui mi parve che il tempo si fosse fermato.

Perché averlo così vicino era ciò che desideravo in ogni minuto del giorno.

Lui stava sussurrando qualcosa di a malapena percettibile al mio orecchio. Io mi voltai lentamente, incrociando i suoi occhi, due diamanti che non poterono fare a meno di ipnotizzarmi, come sempre. Le punte dei nostri nasi si sfiorarono e io lo avrei baciato, di lì a poco.
Stavo morendo dalla voglia di baciarlo, anche a costo di confonderlo; avrei trovato un modo per rimediare.

Purtroppo, però, non riuscii a farlo. Un urlo mi precedette, proveniente dal piano inferiore.

E non era un urlo qualsiasi.

Quella era la voce di Thomàs.

  
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