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Autore: Memento_B    25/04/2008    5 recensioni
Le tre bambine erano sedute sui divani posti dall’altra parte della grande sala. Lì vi era più luce ed allegria; le tre confabulavano fra loro per poi ridacchiare sommessamente, ben attente a non farsi sentire o vedere dalla madre. La più grande era Bellatrix, aveva sette anni ed era una bambina bellissima. Ira e vergogna si leggevano nei suoi occhi molto espressivi, spesso lanciava sguardi carichi d’odio e rancore verso la madre. Andromeda aveva cinque anni e fisicamente assomigliava molto alla sorella, ma quando sorrideva vi si poteva scorgere una traccia di bontà ben rara nei Black. Narcissa quel giorno compiva tre anni. Seppur piccola non le fu risparmiato l’abito elegante di pizzo nero.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Andromeda Black, Bellatrix Lestrange, Famiglia Black, Narcissa Malfoy, Ted Tonks
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Missing moments'
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Londra, 1958.

La campagna londinese era immersa nel silenzio e nella desolazione della tarda sera.
Nessun essere umano camminava su quei sentieri abbandonati, ogni tanto si scorgevano cani dormienti, il silenzio era rotto unicamente dai gufi e dallo strisciare delle bisce sulle sterpaglie bruciacchiate dal sole estivo, un pipistrello cadde fra l’erbacce con l’ala rotta e il tonfo si udì distintamente.
A pochi metri di distanza vi era una villa imponente e lussuosa. Era recintata da un muro bianco alto due metri che in alcuni tratti era ricoperto d’edera, il cancello era nero e a sinistra delle rose s’arrampicavano lungo l’inferriata e si poteva intravedere un vasto giardino.
I cipressi e gli abeti delineavano il sentiero di ciottoli che conduceva alla porta principale, la vegetazione del giardino era molto curata e a sinistra, vicino al muro, vi era un’altalena fatta di corde appesa ad un ramo di un alto abete.
La villa era in stile barocco, costruita in marmo nero alternato a marmo bianco, presentava rientranze e sporgenze che ricordavano la sinuosità di un serpente. Il palazzo aveva due piani e le finestre erano alternate a colonnine puramente decorative, gli infissi erano bianchi decorati con elissi e spirali ed altri motivi che s’intrecciavano tra loro risultando indecifrabili. Suggestivi giochi di luce ed ombre e di chiaro e scuro incutevano meraviglia e un senso d’angoscia.
Davanti alla porta d’ingresso, rigorosamente di legno nero con una maniglia dorata, vi era un portico e due basilischi di marmo bianco con gli occhi di smeraldo ne reggevano le L’unica fonte di luce proveniva dal salotto, la luce di tremule fiamme. In quella sala vi era riunita la famiglia Black per il compleanno della piccola Narcissa, figlia di Cygnus e Druella Black, i proprietari della villa.
Tuttavia nella stanza non vi era certo aria di festa. Cygnus era un uomo tozzo e con calvizie incipienti, il volto era grasso incorniciato da una folta barba brizzolata e due fitte sopracciglia che quasi nascondevano gli occhi azzurri; non aveva certo ereditato la bellezza e la classe tipica dei Black da suo padre Pollux.
Al suo fianco era Druella, un tempo Rosier. Druella era completamente diversa; era una bella donna molto alta con un viso spigoloso, i capelli –biondissimi- erano raccolti in uno chignon e gli occhi neri rendevano il suo volto ancora più austero. Il suo bel corpo era celato da un lungo vestito nero privo di qualsiasi ornamento e maniche, il petto era stretto in un corpetto che man mano si allargava fino a diventare una larga gonna di seta.
Druella era una donna particolare. Molto forte di carattere, era lei a comandare su tutti, compreso suo marito. Era severa e non esitava a ricorrere a punizioni corporali se le figlie sbagliavano. Le tre bambine dovevano essere perfette in tutto e per tutto; la loro discendenza doveva essere intuibile dall’aspetto e dal portamento, dovevano essere austere e severe, non potevano giocare davanti ad estranei, dovevano renderla fiera. E specialmente non potevano sbagliare, mai. Dovevano riuscire in ogni cosa al primo tentativo, altrimenti venivano punite. Non ammetteva sconfitte, non vi erano altri tentativi, ogni parola, ogni lacrima, ogni supplica era vana. No, Druella non si lasciava commuovere ed ogni cosa mossa a propria difesa comportava ulteriori punizioni, poiché non c’erano scuse plausibili ad un fallimento, poco importava se si trattava di incarichi di poco conto.
Tutti gli adulti, perlopiù persone dai capelli scuri con abiti altrettanto scuri, erano riuniti nell’angolo più buio della casa. Non si guardavano, non parlavano, non ridevano. Ogni tanto qualcuno osava rompere il silenzio che si era creato con un sussurro spesso indistinto. Anche nel gelo possono nascere sentimenti e spesso vi erano sguardi e sorrisi fra Walburga –la sorella maggiore di Cygnus- e il suo cugino di secondo grado Orion. Sguardi e sorrisi che più volte furono captati da Druella.
Le tre bambine –Narcissa e le sue due sorelle maggiori- erano sedute sui divani posti dall’altra parte della grande sala. Lì vi era più luce ed allegria; le tre confabulavano fra loro per poi ridacchiare sommessamente, ben attente a non farsi sentire o vedere dalla madre.
La più grande era Bellatrix, aveva sette anni ed era una bambina bellissima. Il colore della sua pelle era un po’ più scuro di quelli delle sorelle, i capelli neri erano ordinatamente raccolti in una treccia che le arrivava fino alla vita, il volto era allungato, gli occhi scurissimi erano perfettamente simmetrici fra loro, il naso era grazioso e proporzionato alle labbra carnose. Nessuno avrebbe mai immaginato che tale bellezza sarebbe poi appassita. Era anche la più seria fra le sorelle e sul suo collo era ben visibile un taglio. Tale taglio era la conseguenza di un suo fallimento. Ira e vergogna si leggevano nei suoi occhi molto espressivi, spesso lanciava sguardi carichi d’odio e rancore verso la madre che l’aveva picchiata davanti ai nonni e agli zii, che l’aveva fatta sanguinare e piangere in pubblico. L’avrebbe pagata, un giorno o l’altro.
Simili pensieri erano ricorrenti, Bellatrix tuttavia non esprimeva mai la sua rabbia verso la madre, essa spariva poco dopo, ammirava quella donna così forte e decisa, desiderava imitarla. Si diceva che se l’aveva umiliata c’era una ragione ben precisa e valida, si sentiva in dovere di prendere esempio da lei, di emularla in tutto e per tutto. Subito dopo averla desiderata morta o umiliata si scopriva a sognare una vita come la sua, si vedeva sposata e con dei figli e degli elfi domestici, tutti l’obbedivano, nessuno la contraddiceva. Sognava di poter far alti e bassi così come faceva sua madre, la donna che tanto odiava e tanto amava.
Andromeda aveva cinque anni e fisicamente assomigliava molto alla sorella. Il suo volto esprimeva però dolcezza e quando sorrideva vi si poteva scorgere una traccia di bontà ben rara nei Black e questo spesso le causava prese in giro da parte della sorella maggiore, i suoi capelli erano più corti e castani, gli occhi più grandi. Raramente la madre aveva qualcosa da rimproverarle, la bambina tentava sempre di fare tutto come le veniva detto ai limiti delle sue possibilità. Raramente fu picchiata, mai fu lodata nonostante la perfezione del suo lavoro. Temeva la madre come più di ogni altra cosa al mondo, temeva tutte le madri, le credeva tutte uguali e prive di ogni sentimento umano. Odiava tutto ciò che era cupo e scuro, odiava il nero –colore primario in quella casa, erano neri perfino le lenzuola dei letti- e amava i colori caldi. Vestiva spesso di giallo o di rosso, quei colori le donavano allegria e la facevano sentire sicura di sé, le piaceva il contrasto che si creava con il nero della casa e della famiglia. Quando invece veniva costretta a vestirsi in nero non si sentiva a proprio agio, provava pensieri tristi, si sentiva oppressa in una cappa di fumo e desolazione. E poi pensava che il nero fosse il colore di chi aveva bisogno di aiuto e lei non ne necessitava, si accontentava di quello che la vita le dava ed era felice così.
Narcissa quel giorno compiva tre anni. Era una bambina minuta, la sua pelle era così pallida che di giorno quasi brillava ed anche alla luce delle candele si poteva vedere la vena azzurrina sulla tempia. Gli occhi erano dello stesso colore di quelli del padre, ma i capelli erano biondi e spesso raccolti in due codini ai lati del capo. Seppur piccola non le fu risparmiato l’abito elegante di pizzo nero. Era seduta in braccio ad Andromeda e vi era un netto contrasto fra l’abito tetro della piccola e il vestito rosso a fiori gialli della sorella. Tale vestito non era molto apprezzato in casa, il rosso e il giallo erano i colori più odiati, i colori dei buoni, dei perdenti, ma ad Andromeda non le importava, quel vestito le piaceva.
Narcissa non era mai stata toccata dalla madre, né per essere punita né per una sola carezza.
Sul tavolo vi era una sola scatola di media misura ed intorno vi era un fiocco di raso grigio. Era l’unico regalo per Narcissa, portatole dalla nonna.
"Narcissa, vieni qui" la voce fredda e acuta di Druella echeggiò nel silenzio in cui era avvolta la sala, la piccola obbedì, le due sorelle rimasero al proprio posto. Narcissa sorrideva ingenuamente a tutti, non si preoccupava degli sguardi severi dei parenti, semplicemente non se ne accorgeva.
Il padre s’inginocchiò vicino alla piccola, con il pacco fra le mani "Cissy, questo è da parte di nonna Irma. Ringraziala ed aprilo" la voce di Cygnus era più calda e piacevole di quella della moglie.
La bambina sgambettò fino alla nonna, che accettò un suo bacio senza mostrare alcuna emozione e senza risponderle, e poi prese il pacco. Tirando a fatica il nastro che le procurò un piccolo taglio nella mano sinistra riuscì ad aprirlo, ed estrasse una mantellina nera su cui erano ricamate in grigio e con caratteri eleganti le sue iniziali.
La madre l’aiutò a provarlo e quando la piccola fece un girò su se stessa per mostrarsi ai parenti riscontrò l’opinione favorevole della zia Wilburga.
"Oh, sembra una piccola Mangiamorte!" esclamò quella, giungendo le mani vicino al petto ed inclinando la testa di lato; osservava la bambina estasiata da ogni angolazione "Cygnus, Druella, non trovate anche voi che è perfetta in quelle vesti?"
La sua affermazione fu ben accolta dai parenti e anche dalla festeggiata che espresse la sua gioia con un “Sì, Magiamotte”.
Solo uno degli adulti non era d’accordo con quella visione. Egli era Alphard, fratello minore di Cygnus. Era appoggiato alla parete, in disparte, le braccia incrociate, il viso in parte coperto dai capelli neri che gli arrivavano fino alle spalle, gli occhi scuri fissi sulla mantellina con aria di disprezzo. Avanzò verso la nipote e la prese in braccio e le sorrise "Ma povera Cissy, ha solo tre anni, perché paragonarla a persone che uccidono ed eseguono gli ordini di qualcuno senza nemmeno riflettere?"
Andromeda sorrise a quest’affermazione. Alphard era sempre stato il suo parente preferito; affascinante e irriverente non si faceva problemi ad esprimere la propria opinione davanti a tutti.
"Oh, se avessi dei figli sarei ben lieta di vederli diventare Mangiamorte!" sbottò Wilburga fissando il fratello con aria di sfida "Seguirebbero dei veri principi, avrebbero dei veri ideali! Cosa c’è di meraviglioso nel seguire la via della giustizia? Nulla, Al! E l’Oscuro Signore lo sa, lui ci fornisce la via da seguire e ci dice come seguirla e…"
"Basta, Wil!" la interruppe Alphard, irritato "Ne abbiamo già discusso abbastanza e tutti voi conoscete la mia posizione" mise a terra la nipotina che tornò dalle sorelle ancora indossando la mantellina.
"Alphard, un giorno capirai anche tu che non possiamo continuare così, che l’Oscuro Signore è la luce" Wilburga non aveva intenzione di lasciar perdere, voleva far valere il suo pensiero, pensiero condiviso da tutta la famiglia. Suo fratello doveva rendersi conto del grande errore che andava facendo.
"Wilburga, è inutile discuterne. Ognuno resterà del proprio parere. Ed ora, scusatemi, ma affari urgenti mi attendono. Ciao Cissy, ciao Meda, ciao Bella" Alphard era alquanto seccato; si smaterializzò per poi materializzarsi nella propria camera.
Si buttò sul letto, sigillò la porta con la magia e sospirò. Non ce la faceva più, Wilburga era sempre più insistente, come tutta la sua famiglia del resto. No, non voleva diventare un Mangiamorte o condividere le loro idee, ma d’altra parte non voleva nemmeno combatterli. Voleva vivere come tanti altri maghi o streghe, fuori da quelle battagliette che ogni tanto scoppiavano qui e lì per il paese, ed era anche sicuro che tutto si sarebbe risolto in meno di un anno. Succedeva spesso che dei giovani maghi tentavano imprese simili ma tutti loro venivano sconfitti in poco tempo o si rendevano conto da soli che non era cosa per loro. Quel che però lo irritava e turbava era che tale Lord Voldemort riscontrava successo non solo fra molti maghi, ma anche nella sua famiglia.

  
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