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Autore: D_Cocca    16/11/2013    2 recensioni
Lenn, ultimo discendente di un Clan sanguinario caduto in rovina, lascia per la prima volta la sua casa per compiere una missione: uccidere la prima persona che incontrerà sul suo cammino, un servitore della Luce, per provare così la sua fedeltà alla Famiglia. Ma la prima persona che incontra è Jao, un giovane Stregone come lui che non ha la minima intenzione di farsi ammazzare e che vede della Luce anche nel cuore divorato dalle Tenebre di Lenn.
Lo Stregone Oscuro decide di scappare e liberarsi dalla morsa di ferro del suo Maestro seguendo Jao. Insieme ad altri ragazzi, i due intraprenderanno un viaggio per raggiungere il luogo in cui si terrà un Torneo per Stregoni, il cui vincitore verrà nominato re degli Umani e degli Elfi e verrà incaricato di portare la pace fra le due razze in conflitto da secoli. Ma Lenn sarà abbastanza forte per superare tutti gli ostacoli lungo il cammino? Sconfiggerà l'Oscurità e i demoni del passato che crede di essersi lasciato alle spalle?
Riuscirà a mantenere la sua anima integra, o questa finirà in mille pezzi?
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Nuovo aggiornamento [Capitolo 12 - Cuore di Drago (Parte II)]
Genere: Angst, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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[NdA: Ciao! Ne è passato di tempo! :3
Avevo promesso un capitolo al mese, tra cui quello di ottobre, ma mi sono persa per strada. XD
Ho avuto qualche convegno di troppo, troppe relazioni, e alla fine ho scritto in modo costante, ma a rilento. Molto a rilento. Però sono comunque soddisfatta perché l'anno scorso sono riuscita a scrivere solo due capitoli e mezzo in un anno intero, mentre quest'anno ne ho scritti cinque o sei, e sono ancora più positiva per l'anno prossimo.
Comunque: questo capitolo c'ha messo tanto a vedere la luce, ma l'attesa verrà premiata con una lunghezza extra! Avevo uno scheletro del capitolo molto più sintetico, ma poi man mano che scrivevo è venuta fuori una roba lunghissima che non mi andava di dividere in due parti. Oh beh, spero non sia molto pesante. In futuro magari gli darò una spuntatina, ma al momento mi piace così com'è. Spero che piaccia tutta questo angst emotivo da parte di Lenn. xD
Buona lettura!]


Capitolo 12
Cuore di Drago
Parte II




Non mi serve a niente, questa roba”, pensò Lenn.
Sfogliava pigramente le pagine di un libro di incantesimi. Stava semidisteso sul suo letto col cuscino dietro alla schiena e una decina di volumi foderati in pelle sfrangiata, contenenti pagine puzzolenti e ingiallite. Aveva deciso di costruirsi una buona cultura di base, ma non ricordava che tentare di studiare fosse così noioso e inutile.
Ad ogni pagina che sfogliava gli saliva davanti agli occhi uno sbuffo di polvere. Su ciascun foglio era scritta una formula, seguita da una miniatura che illustrava la manifestazione dell'incantesimo. Ma quelle informazioni non valevano nemmeno la metà degli attacchi di tosse provocati dalla dannata polvere.
Molte di quelle magie le conosceva già, le altre erano troppo al di fuori della sua portata; alcune formule erano lunghe mezza dozzina di pagine.
A lui non servivano tutte quelle frasi da imparare a memoria, cercava solamente un po' d'ispirazione per nuove tecniche da usare in combattimento, ma invano.
- Non ci posso credere, sei ancora lì che leggi? - disse una voce poco oltre i piedi del letto.
Lenn alzò lo sguardo dal libro tenendo un sopracciglio inarcato. - Sì. E allora? -
- E allora? Sono stato fuori per due ore! -
- Jao, libri del genere non s'imparano in dieci minuti. -
- Lo so ma... Oggi è festa, hai davvero intenzione di startene tutto il giorno piantato lì? -
Seguì una breve pausa di silenzio.
- ...Credo proprio di sì. -
Jao sbuffò.
- Se è così importante stare fuori a divertirti, perché perdi tempo qui? -
Jao rimase ancora qualche momento in silenzio, interrotto soltanto per dire: - Sei proprio noioso, tu. -
Lenn scrollò le spalle. - Me ne farò una ragione. E poi fuori fa caldo. -
- E' normale, siamo a Maggio! -
- Qui in casa si sta meglio. -
Detto questo, il mezzelfo tornò a immergere il naso nel libro.
Sentì Jao sbuffare di nuovo e dirigersi nella sua direzione. Quando gli fu accanto alzò lo sguardo verso di lui e lo fulminò mentre spostava con poca grazia i libri che gli stavano accanto. Appena fatto abbastanza spazio, gli si sedette vicino.
- Che leggi? -
Questa volta fu Lenn a sbuffare. - Sei molesto. -
- E' che mi annoio! -
- E devi venire proprio da me?! -
- Darti fastidio è divertente. -
Lenn decise di ignorare quell'ultima frase e si sedette dritto. Mostrò le pagine aperte all'amico.
- Studio qualche nuovo incantesimo. -
Jao aggrottò la fronte e chinò la testa nel decifrare l'Elfico. - Ma a te non serve 'sta roba. -
- Infatti. -
- E allora perché ci muori sopra? -
- Eh... Speravo che ci avrei ricavato qualcosa di più utile. Ma qui ci sono solo formule per mocciosi o teorie senza fine sull'eticità dell'uso delle magie curative in combattimento... -
- Palloso, eh? -
Lenn fece roteare gli occhi. - Da morire. -
- Pensa che a me a scuola facevano studiare decine di libri del genere. Tu che puoi farne a meno, dagli fuoco! -
- Beh, questo mi sembra un po' estremo. -
- A proposito, dove li hai presi tutti 'sti tomi? - Jao fece un gesto ampio con la mano per indicare tutto l'insieme di libri e pergamene sparsi sul letto.
- Dalla biblioteca nel Distretto Nord, me l'ha mostrata Annah. -
- Ah, ecco... Non ci vado mai al Distretto Nord. Ci girano troppi ricchi con la puzza sotto il naso. -
- Ma sei un messaggero, non dovresti consegnare lettere per tutta Malias? -
- Dèi, certo che no! - esclamò la Tigre – Hai idea di quanto mi ci vorrebbe per andare da un capo all'altro della città ogni volta? -
Il ragazzo si mise più comodo sul letto, stendendosi e dando qualche colpo al fianco di Lenn per farsi fare spazio. - Io sono stato assegnato al Distretto Ovest. -
- Ah, ecco... Effettivamente, ho fatto una domanda stupida. -
Ci fu qualche secondo di silenzio in cui Lenn provò a tornare a rivolgere l'attenzione sul testo, ma ormai s'era distratto e non aveva più voglia di perdere tempo con quel volume. Chiuse il libro con un altro sbuffo di polvere e lo lanciò ai suoi piedi.
- Sono tutti libri di magia? - domandò poi Jao.
- No. C'è un po' di tutto. -
- Uh, e questo cos'è? -
La Tigre si rimise a sedere e si sporse per prendere un piccolo volume foderato in pelle nera su cui si era appena schiantato il vecchio libro di magia. Lo afferrò e osservò con interesse la copertina, su cui era incisa la sagoma dorata di un Drago.
- E' quello che penso che sia? -
Lenn annuì. - Lo è. Vita, morte e miracoli dei membri del Clan del Drago. -
- Beh, il capitolo sui miracoli sarà molto breve, immagino. -
Detto questo, Jao aprì il libro a una pagina a caso e cominciò a sfogliarlo con diffuso interesse.
- Cos'è che cercavi esattamente? -
- Non lo so nemmeno io... Forse qualche notizia sui miei genitori. O su mio zio. Ma il dannato albero genealogico si interrompe bruscamente con quello che potrebbe essere il mio bisnonno o roba del genere. -
Lenn vide l'amico andare avanti con le pagine fino alla fine della genealogia. C'era il ritratto incolore di un uomo anziano, la cui data di morte corrispondeva a circa un centinaio di anni prima. Di lui si diceva poco, oltre al nome, la regione d'origine e qualche insignificante episodio della sua vita.
Il Clan del Drago pareva essersi spento lentamente nei secoli, per poi morire all'improvviso con quel vecchio. Si diceva che avesse avuto un figlio, ma non se ne avevano notizie.
- Mio nonno, i miei genitori e il sottoscritto non esistiamo, a quanto dicono tutti i libri. E questa è la biografia più accurata che ho trovato. - disse il mezzelfo scuotendo la testa. - Il Clan del Drago è estinto. -
Jao a quell'affermazione fece una strana smorfia, poi disse: - Non dire così. Ci sei tu. -
Lenn incrociò le braccia. - No. Io non sono più un Drago. E' rimasto solo mio zio, e gli Dèi solo sanno quanto mi piacerebbe morisse colpito da un fulmine. -
- Ma il tuo Spirito ha conservato la forma di un Drago nonostante tutto, vorrà pur dire qualcosa. - rispose Jao con un sospiro. Poi il castano riprese a sfogliare le pagine e guardare le illustrazioni. - Sei molto più Drago tu di quanto io sia una Tigre, credimi. -
- E questa da dove ti esce? - domandò Lenn. Jao non sembrava divertito mentre leggeva velocemente le frasi delle pagine di quella biografia. Da parte sua non ottenne risposta, solo una scrollata di spalle e uno sbuffo per scostare i capelli dal viso.
- Ehi, questo è il fondatore del Clan? - domandò la Tigre sporgendosi verso di lui con una delle prime pagine aperta.
Lenn ci buttò l'occhio, annuì subito. Conosceva quel volto, dai capelli lunghi e gli occhi neri; suo zio gliel'aveva già mostrato. - Sì. Leandro Aziz Ryastravel, primo membro del Clan del Drago. Prescelto da Draco Magnus stesso, a quanto si dice. -
- Pensa te... Dal Dio della Tenebra in persona. Non saprei dire se sia stata una grazia o l'inizio di una tragedia. -
- La seconda, probabilmente. - rispose il mezzelfo, che prese il libro dalle mani dell'amico, lo chiuse e lo gettò al fondo del letto assieme alle altre letture inutili. - Basta così. Non mi piace parlarne. -
Jao annuì senza farsi problemi e tornò a scrutare i libri sul letto. - C'è qualcos'altro di interessante, hm? Oh, e questo cos'è? -
La Tigre afferrò un altro volume foderato in pelle scura e ricoperto da caratteri argentati in Elfico e in Umano.
- Mah, un'altra roba noiosa. Lascia perdere. -
L'amico lo ignorò e si portò il libro in grembo, aprendolo ad una pagina a caso. Rimase immobile in intensa concentrazione per un lungo tempo, mentre leggeva.
- Cosa te ne fai di un libro che parla dello stile di vita degli Elfi? -, chiese poi.
Lenn gli si accostò e cercò di prendergli di mano il libro, ma Jao mantenne la presa. Il mezzelfo se ne tornò al suo posto lanciandogli un'occhiata infastidita. - Ti ricordo che io sono in parte Elfo. -
- Lo so, lo so, non fai che ricordarmelo. E allora? -
- Allora vienimi incontro. Sto cercando di capire che tipi sono, imparare le usanze. Dopotutto, mia madre era una di loro. -
- E questo a cosa ti servirebbe? -
Lenn scrollò le spalle. - A integrarmi meglio, che ne so! Mi sono accorto che non so niente di niente del mondo là fuori, e mi dà alla testa! -
Detto questo, il mezzelfo si distese completamente sul letto e si mise a braccia conserte. S'era innervosito.
Jao lo scrutò per qualche secondo, poi fece schioccare la lingua. - Bah. -
Quando si parlava di libri, Jao diventava intrattabile. Respingeva qualsiasi cosa fosse messo per iscritto come fosse un'allergia. - Sai come la penso su questo genere di cose... E' meglio uscire di casa e farle, le esperienze, non leggerle. -
- Preferisco i libri. -
- Non ti possono preparare in tutto. -
Lenn sbuffò. - Lo so. Ma là fuori ci sono le persone. Gente con cui dovrei interagire? -
La Tigre rise. - Esattamente. - disse, dandogli una pacca sulla gamba. - Brutto brontolone. -
Detto questo, il castano se ne tornò a sfogliare il libro. - Vediamo un po'. Tradizioni, festività, pure un elenco di gesti per salutarsi!, le superstizioni... Ma un bel capitolo sul sesso e anche bene illustrato no, eh? -
- Dammi 'sto coso! -
Lenn si tirò su e cercò di nuovo di sfilare il libro a Jao, ma questi riuscì di nuovo ad allontanarsi in tempo. - Vuoi vedere pure tu se c'è? -
- Ma ti pare che ci siano cose del genere su di un libro preso dalla biblioteca, a disposizione di tutti? E poi, chi se ne frega? -
- Non te la prendere, è pura curiosità. - rispose la Tigre, continuando a sfogliare. - Dicono tanto di essere diversi da noi, ma secondo me certe cose le fanno tali e quali. -
Lenn si sentì infastidito, ma non capiva bene il perché. - Perché ridi? Non c'è niente da ridere. -
- Mamma mia, oggi sei proprio antipatico. Oh, magari questo è interessante. 'Sto capitolo s'intitola Vita di coppia. Vediamo se ci sono le istruzioni per trovarti una bell'Elfetta. -
- Dubito. - fu l'unico commento da parte di Lenn. Però ciò non lo distolse dal farsi più vicino per sbirciare a leggere.
- Oh, che carini. - disse dopo un po' Jao.
- Cosa? -
- Qui dice che gli Elfi di solito si trovano un'unica compagna per tutta la vita. Tipo quei pappagallini che piacciono tanto alle ragazze... -
Il mezzelfo assunse un sorriso mal trattenuto. - Paragonati a dei pappagalli, non so quanto potrebbe far loro piacere. Comunque, secondo me è una cretinata. -
- Uhm, secondo me invece potrebbe essere vero. -
- E cosa te lo fa dire? - domandò Lenn, perplesso.
- Quello che è successo al re Fanir, per esempio. Era sposato, ma ha perso sua moglie nella Guerra delle Cento Spade, una ventina d'anni fa. S'è rifiutato di risposarsi, quindi niente eredi consanguinei. Per questo ha deciso di nominare terzi al trono; avrebbe comunque dovuto farlo, un giorno, quindi perché non con un torneo? -
- Oh. Questo non lo sapevo. -
- Ci sono tante cose che non sai. E vedi che i libri non te l'hanno potuto dire. Possono fornirti informazioni su ciò che cerchi, non su ciò che non hai idea che esista. -
- Non cominciare a farmi la predica, non attacca. Dice altro? -
Jao ritornò con lo sguardo sul libro, gli occhi si spostavano da destra a sinistra in continuazione. -
Uhm... Dice che c'è una fregatura. In pratica, gli Elfi di solito sono così freddi e antipatici perché sono addestrati a gestire le emozioni. A quanto pare sono in grado di mostrare affetto disinteressato per una persona soltanto, una di cui si fidano, e che poi scelgono come compagno o compagna per la vita. In pratica, si innamorano solo una volta, poi basta, nessuno è più degno della loro completa fiducia. Un po' rigidini, direi. -
- Beh, è sempre stata quella l'impressione che ho avuto di loro. Chissà se anche mia madre era così. -
- Può darsi. Tu lo sei di sicuro. -
- Di sicuro come? -
- Rigido. Testardo, più che altro. -
- Non è vero. -
Jao ridacchiò. - Poverella, quella di cui ti innamori. Le resterai appiccicato tutta la vita. Oppure, se di un'Elfa si tratterà, sarà lei a non mollarti più. -
Lenn non sapeva come reagire. Optò per mostrare una smorfia indecifrabile. - Non so se ridere o piangere. - ammise.
- Io riderei. E' così surreale che è divertente. -
- Uhm, se tu ridi, allora sarà meglio che io cominci a disperarmi. Sono fregato. -
Il mezzelfo non poté fare a meno di pensare immediatamente ad Annah, e forse a turbarlo fu proprio il fatto che lei, in una circostanza del genere, fosse la prima a comparire fra i suoi pensieri.
Lui si sentiva innamorato di lei. Ma se fosse stato capace di amare una sola persona come facevano gli Elfi, cosa sarebbe successo? Non sarebbe stato più in grado di amare nessun'altra? Avrebbe passato il resto della vita a rimpiangere quel sentimento non corrisposto, mentre i figli di lei e Jao scorrazzavano per il cortile di casa?
Sarebbe rimasto solo. A lui non piaceva affatto l'idea di rimanere solo. Gli piaceva rimanere in disparte, solo coi suoi pensieri, ma da quando era fuggito di casa odiava visceralmente l'idea di tornare alla desolazione che aveva vissuto prima, senza qualcuno al proprio fianco, a consigliarlo nelle difficoltà. Per il momento c'era Jao. Ma un giorno se ne sarebbe andato via pure lui. Doveva vivere la sua vita. E anche Annah se ne sarebbe andata; con Jao, possibilmente. L'idea, tutt'a un tratto, gli sembrava minacciosa e vicina.
Non riuscì a guardare di nuovo allo stesso modo il suo amico, mentre scherzava su quelle cose.
Si sentì bussare alla porta della camera.
- Si può? -
Una voce femminile, l'unica che poteva essere presente nella casa.
- Sì, sì, entra! - rispose Jao con un ampio gesto della mano.
La Mangiasogni entrò nella stanza con discrezione, e con passo leggero si mosse fino ad arrivare ai piedi del letto su cui stavano i due ragazzi. Incrociò le braccia e disse con tono solenne: - Sono venuta per avvisarti che il tuo incontro inizia fra un'ora, Jao. Tanto per ricordarti che tu ci devi essere e non puoi permetterti di fare tardi. -
Suonò più perentoria del solito, e forse se ne accorse, perché poi sfoggiò il sorriso più amabile che aveva in repertorio.
- Sì, sono pronto. E' ancora presto. - rispose il fidanzato.
- Jao del Clan della Tigre, se arrivi tardi e danno la vittoria al bifolco che ti ritroverai come avversario, ti faccio a fettine. -
- Non ti preoccupare, è tutto sotto controllo. Cinque minuti e ci avviamo. -
Annah sbuffò. - Non mi fido. -
- Fai bene. - rispose Lenn.
- Ehi! -
- Penso che rimarrò qui a trascorrerli con voi, questi cinque minuti. Non si sa mai. - disse allora la ragazza. Sempre a braccia conserte, si chinò per leggere il titolo del libro che Jao stringeva tra le mani, ma sembrava non riuscire a decifrare le scritte. - Cosa leggete? -, chiese allora.
- Niente. -
- Una roba sugli Elfi noiosissima che Lenn ha preso dalla biblioteca. - rispose Jao. - Cerchiamo indizi che potrebbero dirci come la vita amorosa di Lenn potrebbe finire. Al momento i pronostici non sono molto buoni. -
- Ah no? -
Annah si mosse e camminò con passo leggero attorno al letto, per poi fermarsi accanto al mezzelfo. Per un attimo lui si chiese cosa lei volesse, quando gli puntò gli occhi addosso. Dal suo corpo vicino emanava un leggero profumo di lavanda.
- Su, fa' spazio. Voglio sedermi anch'io. -
Lenn non fece nemmeno in tempo ad aprir bocca che Jao intervenne: - Siamo troppo stretti. -
Annah a quelle parole sbuffò di nuovo, poi rifece il giro del letto, pestando i piedi per terra. Arrivò vicino a Jao e gli si sedette su una coscia, per poi togliergli il libro dalle mani e passarlo a Lenn; avendo più spazio, si mise più comoda sedendosi su entrambe le gambe del fidanzato, per poi passargli le braccia intorno al collo per tenersi su. Il tutto con un'espressione in volto sorprendentemente tranquilla.
- Su, leggiamo. - disse, e sembrava non voler ammettere obiezioni.
Lenn si girò a guardarla, ma incontrò solo la nuca piena di capelli biondi. Erano così vicini, ma in quella posizione la ragazza gli offriva la schiena e niente più. Si sentì un po' eclissato da ciò.
Jao rise divertito. - Va bene, vediamo se troviamo qualcosa da prendere in giro... Però cambiamo capitolo, ché il romanticume non mi piace. Che ne dici, Lenn? -
- ...Sì. - rispose il mezzelfo, ma non era più interessato al volume.
Lenn si mise dritto a sedere e poi si spostò in avanti, seduto a gambe incrociate, in modo da avere di nuovo le facce dei due amici bene in vista. Jao faceva scorrere lo sguardo con fare meno annoiato di prima e girava velocemente le pagine. Annah gli restava abbracciata come se niente fosse, le guance che si toccavano e i capelli biondi e crespi di lei che si intrecciavano con quelli lisci e castani del suo fidanzato.
La ragazza si dovette sentire osservata e sollevò lo sguardo verso il mezzelfo, fulminandolo coi suoi freddi occhi neri, che però andarono a raddolcirsi mentre gli rivolgeva un tranquillo sorriso.
Normalmente, Lenn avrebbe ricevuto quel sorriso con gioia, tanto era raro l'evento, però questa volta c'era qualcosa che non andava, e se ne sentì solamente turbato. Era Jao a non andare bene. Lui era lì, con una creatura bellissima e promessagli in sposa che gli stava abbracciata, e non pareva curarsene. Lenn lo trovava così fortunato e allo stesso tempo disinteressato che non poteva evitare di pensare che in fondo non si dovesse meritare tutto ciò. Avere Annah tra le braccia e godere del suo affetto per il mezzelfo era una fantasticheria irraggiungibile, mentre per Jao era normalità da dare per scontata.
Non amava lamentarsi della propria condizione, non l'aveva mai fatto in vita sua; ma che dopo tutte le angherie che aveva subito e le botte che aveva preso, non si potesse nemmeno concedere il privilegio di poter stare con una persona per cui provava qualcosa, era una cosa da pazzi. Era da pazzi e non era giusto. E ora che c'era persino la possibilità che Annah potesse potenzialmente diventare la sua ossessione mai risolta, l'unica donna amata ma mai avuta, non poteva fare a meno di sentirsi umiliato. Non gli era concesso nulla e gli veniva tolto tutto, e ormai sembrava la regola. Sembrava che qualcuno stesse giocando con lui, il gatto con il topo, e non sapeva nemmeno capire a chi dare la colpa di tutto ciò.
Jao fu sfortunato a trovarglisi davanti in quel particolare momento, e a Lenn sembrò il perfetto capro espiatorio. Gli divenne fastidioso guardarlo nella sua rilassatezza.
- Lenn, che hai? - gli domandò la voce di Annah.
Il mezzelfo rinsavì, e si accorse di aver cominciato ad aggrottare la fronte, mentre era immerso nei suoi pensieri.
Incontrò di nuovo gli occhi di Annah, e questa volta erano in perfetta sintonia con quelli di Jao, che ora non guardavano più il libro.
- Niente. - rispose in modo brusco.
Detto questo, si alzò dal letto il più velocemente possibile e si passò una mano fra i capelli mossi.
- Avevi ragione, Jao. - continuò poi, - Forse dovrei uscire un po' di casa. Prendermi una boccata d'aria fresca. Ho letto troppo e ora ho mal di testa. -
Jao gli rivolse uno sguardo interrogativo. - Eh, va bene. Ma aspetta un attimo, adesso tanto mi alzo e andiamo all'arena assieme per l'incontro. -
- No. -
Il mezzelfo si girò senza guardare nessuno dei due e s'avviò verso la porta. - Ci vediamo lì. -
Detto questo aprì la porta della camera da letto e li lasciò, chiudendosela alle spalle.
Una volta posto un muro fra sé e quegli sguardi, Lenn si sentì molto meglio. Si concesse pure un sospiro di sollievo.
Il disagio era stato improvviso ma pungente; si sentiva ferito da una spada che non poteva vedere, e sanguinava da una ferita che non poteva guarire con la magia. Di cicatrici sul corpo ne aveva così tante che una più o in meno non faceva differenza, ma non sapeva come avrebbe affrontato un colpo del genere, se sarebbe riuscito a non morirne.
Tutto ciò che desiderava era oltre a un muro sottilissimo, letteralmente. Era a portata di mano, ma lo sentiva irraggiungibile.
Riprese a camminare e uscì di casa. Il cielo dal lucernario rivelava che mancava poco al tramonto. Si mischiò alla gente nella via con l'intenzione di allontanarsi il più possibile da quel luogo familiare, in cui ogni cosa gli ricordava Annah.
Lui non era un Elfo, lo era solo a metà. Forse la distanza lo avrebbe aiutato a dimenticare.


Elfi e Umani arrivavano a fiotti e scendevano nel passaggio sotterraneo al di sotto della fontana della Piazza Centrale di Malias, ingoiati tutti allo stesso modo, senza distinzione di razza; ma non si scorgeva nessun mezzelfo, tra di loro.
Lenn non era lì, di sicuro. Se ci fosse stato, sarebbe spiccato in mezzo agli Umani per la sua altezza o tra gli Elfi per i capelli poco curati e neri come il carbone.
- Ancora niente? - chiese Annah, in equilibrio sulle punte dei piedi e col collo proteso, nella speranza di scorgere il ragazzo.
Jao scosse la testa, sospirando. - No. Non lo vedo. -
Seguirono alcuni momenti di silenzio, sovrastati solo dal vociare delle persone che si dirigevano verso l'arena, mentre si chiedevano chi sarebbero stati i due contendenti che avrebbero aperto il secondo turno del Torneo. Nessuno sapeva che fra pochi minuti l'incontro sarebbe iniziato e uno dei due Stregoni direttamente interessati era ancora in mezzo a loro invece che negli spogliatoi, a temporeggiare.
- Sei sicuro che non sia già entrato ma non l'hai visto? - domandò Annah.
- Per la centesima volta: sì, sono sicuro. E non è entrato prima che arrivassimo, Chad ha controllato e l'arena era praticamente vuota, quando è arrivato. -
La Tigre rivolse lo sguardo verso la sua fidanzata, che lo guardava con degli occhi che parevano addirittura velati di tristezza. Il sole stava calando e cominciava a far freddo; lei si sfregava le braccia scoperte, ma ormai aveva smesso di lamentarsi del fatto di aver dimenticato a casa lo scialle come una stupida, presa dalla fretta.
Il Giglio aveva lo sguardo di quando aveva qualcosa da confidare al fidanzato, ma non osava parlarne di sua spontanea volontà.
- Che hai? - le chiese così Jao.
Annah scrollò le spalle e guardò altrove, tra la folla. - A volte ho l'impressione che mi odi. -
- Chi? -
La ragazza fece un gesto col capo e indicò la moltitudine di sconosciuti. - Lenn. -
Jao aggrottò la fronte. - Perché dici questo? -
- Non lo so... Mi evita. E forse penso che sia perché mi odia. -
- Lenn non odia nessuno. Anche Rizo: gli sta sul cazzo ma non lo odia mica. Perché dovrebbe odiarti? -
- Non lo so, Jao! -, rispose la ragazza. - E' un'impressione. Ma non ho potuto fare a meno di notare delle piccolezze che me l'hanno fatto pensare, soprattutto in queste ultime settimane. -
- Tipo? -
Annah gettò un'ultima volta lo sguardo sui volti delle persone che le stavano attorno, ma non sembrò trovare nulla d'interessante in loro. - Guarda solo quello che ha fatto oggi: sono entrata nella vostra camera da letto mentre leggevate, e gli Dèi solo sanno da quanto lui era lì che studiava; poi tutt'a un tratto ha mal di testa e ha bisogno di una boccata d'aria. Guardacaso proprio due minuti dopo che sono arrivata io. Non mi dire che ti aveva già detto di voler uscirsene a fare una passeggiata, perché non ti credo. -
- Eh... -
Jao non sapeva cosa dire. Lenn era sempre stato un po' difficile da prendere per il verso giusto, ma non era lunatico. Se agiva in un certo modo aveva le sue ragioni. Anche lui s'era accorto che il mezzelfo evitava Annah, ma credeva di aver messo tutto a posto un mese prima, e si era lasciato il problema alle spalle. Ma a quanto pareva Lenn non voleva stare nei pressi della ragazza, e non si capiva il perché.
- Continua a parlarti poco? - le chiese.
- Non mi parla proprio. -
- Non è che gli hai detto qualcosa che lo ha fatto risentire? -
- No, per gli Dèi, a me non è sembrato! Senti, io ho provato ad avvicinarmi a lui, farci amicizia, per farti contento e perché ho visto che ci tenevi. Ma per me è inavvicinabile. E' selvatico. -
Jao scrollò le spalle. - Avresti dovuto vederlo quando l'ho conosciuto. Aveva un Demone in corpo, te lo dico io. -
- Non importa, io non so mai come comportarmi con lui attorno. Io non ho intenzione di corrergli dietro. -
La Tigre si passò una mano fra i capelli. - Hai ragione... Pensavo che a questo punto avrei avuto la situazione sotto controllo, e invece... -
- E invece cosa, Jao? -
Annah si fece più vicina, fino ad arrivargli davanti e fissarlo negli occhi, tremenda come lo era con pochi. - Ho detto che è selvatico, ma non che per questo dovresti essere tu ad ammaestrarlo. -
La ragazza gli puntò l'indice contro il petto.
- Ma cosa stai dicendo? -
- Sto dicendo che non è un animaletto da compagnia, non è da tenere sotto controllo, come dici tu. Se non ritorna a casa, saprà cavarsela da solo e tornerà appena se la sentirà. E ho freddo, quindi muoviamoci, disputa questo maledetto incontro e poi torniamocene a casa, al caldo. -
Jao tacque. Sentiva che Annah non capiva. Non capiva quanto Lenn fosse importante per lui e quanto ci tenesse, quanto fosse preoccupato in quel momento. Era stato un po' apprensivo recentemente, era vero, però Annah non era in grado di capire la situazione, non vedeva il quadro completo. Non poteva sapere cosa lui e Lenn avevano passato durante il loro viaggio, non poteva sapere cosa c'era dietro a tutto ciò: al fatto che lo avesse preso con sé, tanto per dirne una.
Si era rimproverato di non averglielo mai spiegato, ma era qualcosa di troppo complicato, e nemmeno lui stesso possedeva tutte le risposte agli interrogativi che lei avrebbe potuto porgli.
Si guardò attorno, ma Lenn continuava a non apparire. Annah rimaneva di fronte a lui, stoica e intirizzita.
Sentiva che stava trascurando entrambi i suoi migliori amici, ma non capiva dove stesse sbagliando, e cosa dovesse fare per rimediare, per non perderli. Al momento sembrava che stare con Annah equivalesse all'evitare Lenn, e viceversa. Non poteva esserci un'intesa fra tutti e tre. Aveva chiesto alla sua cara amica di sforzarsi e provare a fare amicizia col mezzelfo, ma i loro incontri erano sempre stati distruttivi.
Era turbato, ma in quel momento era abbastanza lucido da capire che quello era il momento di occuparsi di Annah.
Sospirò, rassegnato. - Vieni. - le disse. La prese prese per i polsi con delicatezza e la condusse verso le scale vicino alla fontana. - Andiamo. -
Annah si strinse a lui, in cerca di calore. Lui le passò il braccio attorno alle spalle, e insieme scesero per il passaggio, affrettando un po' il passo.


Il pubblico strepitava come al solito, ma Jao non sentiva. Jao non vedeva nemmeno cosa gli stesse accadendo attorno, perché camminava verso il centro dell'arena, ma era immerso nei suoi pensieri. Ma anche se avesse voluto vedere alcun che, non ci sarebbe riuscito: le fessure per gli occhi della sua maschera rossa erano degli spiragli che lasciavano passare ben poca luce, e le ciglia continuavano a battere contro il legno. Fu proprio quel fastidio a svegliarlo abbastanza da fargli realizzare di avere già l'avversario di fronte. Anzi: l'avversaria.
I paramenti blu non erano in grado di coprire i lineamenti femminili che stavano appena sotto, e così la sfidante di Jao si presentava come una ragazza minuta, dai fianchi morbidi e i capelli castano scuro lunghissimi. Non riusciva a catturare il suo sguardo attraverso i fori per gli occhi della maschera.
Ci fu un qualche tipo di segnale per cui la ragazza si sfilò la maschera, e Jao, distratto, si limitò a imitarla e buttò a terra la sua.
Lei scosse la testa e scostò i capelli vaporosi dal viso, rivelando le orecchie tonde. Non era un'Elfa, ma non c'erano stati dubbi a riguardo.
I suoi occhi erano azzurri e lo guardarono con divertita curiosità.
Jao, da parte sua, non aveva intenzione di partecipare a quella disputa psicologica spiccia, aveva altro per la testa. Invece di intimidirla in qualche modo, come di solito si faceva prima dell'inizio di un incontro, tornò con lo sguardo verso gli spalti, incontrando Annah, appollaiata tra i posti più lontani dall'arena. Dopo essersi attardati non avevano trovato più posti vicino al campo, né erano riusciti a ritrovare gli altri loro amici nella confusione, e così Jao l'aveva lasciata da sola, tra i posti meno desiderabili. C'era da dire che, nonostante nessuno potesse guardarle le spalle, era in un'area dove c'erano molte donne e ragazzini, quindi in teoria nessuno avrebbe potuto farle del male. Inutile dire che avrebbe preferito che ci fosse stato Lenn lì con lei; ma il mezzelfo era sparito nel nulla.
Appena torna a casa, ho da dirgli due paroline...” pensò la Tigre.
Sentì la ragazza davanti a sé schiarirsi la gola, e questo lo riportò al presente. Gli puntava contro un bastone di legno, infastidita. Il bastone doveva essere la sua arma; sulla cima aveva dei rami a cui erano attaccate delle foglioline verde pallido che facevano pensare che quel pezzo di legno fosse ancora vivo; ai rami erano appesi vari ninnoli, di cui uno era un amuleto, data l'aura che irradiava.
- Non mi trovi degna della tua attenzione, Tigre? - domandò la sfidante.
Per un attimo, Jao si chiese come quella sconosciuta facesse a sapere il nome del suo Clan, poi gli venne in mente che forse l'arbitro li aveva annunciati entrambi e lui non vi aveva prestato attenzione.
- Il mio Clan è troppo inferiore al tuo per concedermi perfino il rispetto che si dà a un avversario? - continuò lei, ma senza suonare troppo astiosa.
- ...No, affatto. Guarda, è solo che oggi è una brutta giornata e sono un po' sovrappensiero. Scusa. - rispose tranquillo Jao, passandosi una mano fra i capelli semisciolti.
La ragazza abbassò il bastone. - Oh. -
Jao le rivolse un sorriso di scuse, poi estrasse la spada dal fodero. - Ehm... Non credo di aver afferrato il tuo nome. -
La ragazza si ravviò i capelli e poi gli rivolse un sorriso imbarazzato. Forse trovava strano il suo nuovo avversario dal nome nobile, l'aria trasandata e lo sguardo vitreo. - Lara. Del Clan dell'Allodola. -
- Ah... -
Seguì qualche istante di silenzio.
- Ma quindi... L'incontro è iniziato? -
Lara annuì. - In teoria, sì. -
- Bene. -
La ragazza non disse più niente, e indietreggiò di qualche passo, il bastone puntato verso Jao. Nonostante tutto, sembrava voler prendere quell'incontro seriamente. Jao invece non aveva voglia di muovere un muscolo.
Lo Stregone esaminò l'aura della sua avversaria, che per lui era ben visibile. Era una cosa che gli veniva fin da quando era diventato Stregone a undici anni: con uno sforzo minimo riusciva a percepire l'energia vitale di chiunque, anche quelli che non erano Stregoni, e i più potenti emettevano addirittura una luce di un particolare colore, non si trattava più di una sensazione o una vibrazione dell'aria. Agli altri ci voleva una grande capacità di meditazione, a lui no.
La sua sfidante, Lara, emanava una forza davvero irrisoria, in confronto alla sua. Però aveva gli occhi che ardevano dalla voglia di colpire qualcosa e sfogarsi un po'. Era solo una ragazzina.
Lui, d'altra parte, non aveva voglia di combattere.
Forse poteva accontentare entrambi, senza dover scendere a misure estreme come farsi sconfiggere.
Così, la Tigre si allontanò ancora di più dall'avversaria con qualche passo circospetto. Fece roteare la spada davanti a sé con un colpo di polso, mentre Lara lo osservava attenta, e poi andò a rinfilare la spada nel fodero al suo fianco. Fatto questo, si sedette a terra indisturbato e si mise a gambe incrociate per mettersi comodo. Scacciò con una manata la polvere che si sollevò durante quel gesto.
Sollevò una mano in modo solenne e pronunciò: - Ekyarista. -, e sarebbe stata la sua prima e ultima formula.
Attorno a Jao si andò a formare un cerchio che lo racchiuse interamente, per poi innalzarsi e diventare una cupola di magia bianca e semitrasparente.
Sorrise, poi rivolse a Lara un gesto con la mano per dirle di avvicinarsi.
Stranita, la ragazza gli venne incontro, bastone sempre sollevato.
- Beh? - sbottò questa. Diede qualche colpetto alla parete magica con la punta del bastone, ma ciò non sortì alcun effetto. - Cosa mi significa 'sta cosa? -
Jao le donò uno dei suoi soliti sorrisi sornioni, poi puntò lo scudo con l'indice. - Se riesci a distruggerlo, - le disse, - io dichiaro la resa. -
- Cosa?! -
Le persone ai bordi dell'arena dovevano aver sentito il breve scambio di parole, perché in pochi secondi in tutta l'arena si diffuse un brusio di proporzioni mai udite.
Lara sembrava insoddisfatta. - Che fai, mi prendi in giro? -
Jao si strinse nelle spalle. - Non è una presa in giro. E' che sono un po' stanco e non me la sento di combattere. Allo stesso tempo, non voglio perdere. Però se riesci a buttar giù il mio scudo, è giusto che tu abbia la vittoria. -
Lara rimase in silenzio per qualche istante, con la fronte aggrottata e il labbro inferiore sporgente, a pensare chissà cosa. Poi disse: - Va bene. Ma cazzo, se riesco sul serio a buttare giù il tuo maledetto scudo tu devi arrenderti e basta! -
Jao ridacchiò. Trovava quella ragazza particolarmente sgraziata, in quanto a modi di fare. Annuì, con il sorriso ancora sulla bocca. - Hai la mia parola di Tigre. -
Detto questo, Lara fece un passo indietro e puntò il bastone contro lo scudo. - Sta bene. Mi divertirò un mondo a incenerirti, ah! Fir! -
Dalla punta del bastone scaturì una luce bianca, che poi si trasformò in una lingua di fuoco che avvolse completamente la cupola. Jao guardava lo spettacolo dal suo interno, affascinato. Era circondato dalle fiamme ma non ne avvertiva nemmeno il calore. I rivoli viola, gialli e arancioni non erano minacciosi e sembravano inscrivere dei disegni pieni di ghirigori che duravano solo alcuni attimi.
Quando la sfiammata finì, sentì Lara gridare di nuovo. - Gallad! -
Alla formula seguì una raffica di schegge lunghe quanto un avambraccio ma sottili come un ago, che si andarono a schiantare all'unisono contro la parte di scudo che gli proteggeva il viso. Il ghiaccio esploso si incrostò sulla parete.
Lara probabilmente conosceva pochi incantesimi, dato che non aveva altro da sfoderare che le formule di base, quelle costituite da una sola parola. Forse conosceva formule di due o tre parole, ma non erano gran cosa. La ragazza le faceva quasi tenerezza. Di sicuro poteva essere una bella persona, ma oggettivamente si presentava una Stregona poco abile che aveva avuto fortuna quando aveva superato il primo turno.
Farìm! -
A quella parola dei rivoli di elettricità partirono dal terreno e strisciarono come serpentelli lungo tutta la superficie della cupola, veloci e leggeri.
Era incredibile come la potenza di uno Stregone influisse così tanto anche sugli incantesimi più semplici. Guardando le scariche elettriche, gli tornò in mente l'incontro tra Lenn e Neruo. Il suo amico aveva usato la stessa formula, una sola parola:fulmine, farìm. Eppure si ricordava che quella semplice parola aveva sortito tutt'altro effetto; ricordava il fulmine a ciel sereno che aveva unito terra e cielo proprio nel punto in cui erano stesi lui e l'Elfo, a combattere. Ricordava quella luce nera che aveva accecato tutti per vari istanti.
Le scosse di Lara a confronto facevano il solletico.
La Tigre rivolse lo sguardo di nuovo verso gli spalti, fino a che trovò Annah, vestita di bianco come al solito e quindi individuabile a colpo d'occhio. Teneva le gambe accavallate e le braccia incrociate, ed era sola. Di Lenn non c'era traccia.
Mannaggia a quel disgraziato, mi fa stare solo in pensiero...
Un tonfo improvviso fece sobbalzare la Tigre.
Lara era a pochi passi da lui, infastidita, e stringeva con entrambe le mani il suo bastone, ora avvolto da un'eterea luce bianca.
- Esci da lì, così non è divertente! - protestò la ragazza.
Jao scosse la testa. - No. Non mi muovo finché non sfondi la barriera o ti arrendi, Occhidolci. -
Lara grugnì, poi riprese: - Come mi hai chiamata? -
- Occhidolci. Hai dei bei occhi. Allora, ti arrendi? -
- Per gli Dèi, no! Devo ancora impegnarmi come si deve! E Occhidolci ci chiami tua sorella! -
La Stregona cominciò a prendere a bastonate la barriera. La magia elementare bianca si distaccava dal ramo ad ogni colpo e si diffondeva lungo la superficie della barriera magica, ma si dissolveva senza essere riuscita nemmeno a scalfirla.
- Tiè! Prenditi questo! E quest'altro! -
Jao ridacchiò di nuovo. Era divertito dal suo modo di fare. Non erano risa derisorie.
Lara continuava imperterrita a buttar giù colpi su colpi.
Man mano che andava avanti con gli attacchi, il rumore provocato dallo scettro e la barriera che cozzavano fra di loro diventava sempre più monotono, quasi un battere di tamburo.
Jao rimase a fissare un punto indefinito che veniva colpito di tanto in tanto, e sprofondò di nuovo nei suoi pensieri.
Se fossi un mezzelfo turbato da qualcosa, dove andrei a cacciarmi?
Un lampo di luce lo accecò, tuttavia non se ne preoccupò più dopo aver sbattuto un paio di volte le palpebre ed essersi riabituato alla luce. Non aveva idea di cosa gli stesse succedendo attorno e non gli importava.
Probabilmente punterei sull'ultimo posto in cui si aspetterebbero di vedermi, uno che non frequento mai. Ma quale?
Ci fu un boato, poi la barriera fu colpita da qualcosa di grosso. Jao lo capì senza guardare davvero di che si trattasse perché percepì l'energia lasciare il proprio corpo, mentre andava a rafforzare la barriera.
Sollevò lo sguardo e vide Lara con il bastone sempre puntato su di lui. Era crucciata e aveva la fronte imperlata di sudore. La ragazza aprì la bocca e pronunciò una nuova formula: - Vyerdestar dum Haraizen, Fir! -
A quel punto il talismano a forma di gemma appeso all'estremità del suo bastone s'illuminò, e da esso scaturì la sagoma di un uccello dalla forma indefinita, grande quanto un cane e fatto di fiamme. Il volatile magico portò in avanti le zampe artigliate e andò ad attaccare lo scudo di Jao, afferrandone la superficie quasi come fosse stato un tessuto. Poi tirò e tirò, la superficie magica della barriera fu percorsa da vari sfrigolii e alcuni punti mandarono scintille, ma il tessuto magico non si strappava.
Dopo vani tentativi, l'uccello si arrese e lasciò la presa sullo scudo, poi diede una sfiammata e si spense a mezz'aria.
Si sentì un suono di vetri rotti, e Jao vide che l'amuleto a forma di cristallo rosso si era frantumato e i pezzi si erano sparpagliati sul terreno.
Lara si lasciò cadere sulle ginocchia, sollevando un polverone. Adagiò il bastone per terra, creando una sinfonia di tintinnii. Aveva un po' di fiatone, ma più che stanca dava l'impressione di essere scocciata.
- Uff, è inutile... Non ne vale la pena. -
A quelle parole, Jao drizzò la schiena e poi si alzò finalmente in piedi, squadrando la ragazza dall'alto in basso.
- Allora ti arrendi? -
Lara gli lanciò un'occhiata rancorosa, ma poi il suo viso si distese e parve di nuovo tranquilla. Annuì.
- Sei troppo forte per me, ma è già un miracolo che sono riuscita a passare il primo turno. Mi arrendo. -
Quelle erano le parole che Jao voleva sentire, le uniche che lo avrebbero potuto liberare. Nel giro di un istante la cupola cominciò a sparire dalla cima fino ad arrivare alla base, e la Tigre fu libera di avanzare fino a fronteggiare la sua avversaria.
Le si inginocchiò davanti e le sorrise. - Scusami per questo incontro un po' particolare. - disse, - Ma volevo darti una possibilità di vincere. Non avresti retto uno scontro diretto e non volevo farti male... E poi avevo bisogno di un po' di tempo per pensare. -
Lara si scostò con un gesto della mano i capelli, liberando il viso sudaticcio e impolverato. I suoi occhi azzurri erano luminosi e sembravano risplendere di luce diffusa, tanto da far sembrare le pupille tinte di blu scuro.
La ragazza si strinse nelle spalle e accennò un sorriso cortese. - Non importa. Tanto non è che pensavo di arrivare fino in fondo alla gara. Ed è meglio perdere con uno gentile come te che con qualcun altro. -
Jao si alzò di nuovo in piedi, spolverandosi i pantaloni.
- Non direi proprio gentile, ti ho fatto faticare per niente. - rispose la Tigre, porgendo le mani alla ragazza.
Lara accolse il suo aiuto e Jao la tirò su. La ragazza si spolverò i pantaloni. - Non importa. - rispose, - Non sono una grande Stregona ma non sono nemmeno una femminuccia. Io lavoro i campi, sgobbo. -
A quel punto la voce dell'arbitro trillò e interruppe la loro conversazione, annunciando che Jao era il vincitore e sarebbe passato al terzo turno. Jao fece caso per la prima volta al pubblico e sentì che molti, nel brusio, mandavano fischi di protesta per lo spettacolo davvero poco entusiasmante che avevano messo su.
Il ragazzo si passò una mano tra i capelli e scorse Annah mentre scendeva le scale degli spalti per raggiungere il campo sterrato in cui si trovava. Camminava veloce, forse presa dalla stessa urgenza che Jao sentiva.
La Tigre si passò di nuovo una mano fra i capelli, tormentandoseli, e tornò a rivolgersi a Lara. - Scusa ancora per il disagio. C'è qualcosa che posso fare per te? -
Aveva fretta, ma non voleva apparire più maleducato di quanto aveva dato già a vedere.
L'Allodola si aggiustò i capelli di riflesso, pensosa. - Uhm... A cosa pensavi di così importante sotto quella cupola? -
- Un mio amico è scomparso. Cioè, non è scomparso, ma l'ultima volta che l'ho visto era molto turbato e ha mancato di venire a quest'incontro. Devo andarlo a cercare. -
A quel punto Annah li raggiunse, ancora col fiatone. - Che fai ancora qui, andiamo. Se proprio lo vuoi cercare, approfittiamo degli ultimi attimi di luce. Dopo il tramonto sarà più difficile trovarlo. -
Jao annuì. - Hai ragione. Dove sono Harù e gli altri? -
- Ho detto loro di andare al Distretto Sud a cercare, se avevano voglia. Rizo ovviamente s'è rifiutato. -
- Immaginavo. -
- Scusate... - esordì Lara, schiarendosi la gola.
Jao e Annah si voltarono a la degnarono di nuovo di attenzione. Annah la squadrò col solito occhio clinico che riservava agli sconosciuti.
- ...Questo vostro amico, che aspetto ha? -
- Che t'importa? - rispose Annah.
Jao le rifilò una leggera gomitata. - Annah, ti prego! -, poi si rivolse alla bruna: - Come mai lo vuoi sapere? -
Lara scrollò le spalle. - Potrei aiutarvi a cercarlo, se è così importante. Io tanto non ho niente da fare. -
- Non sai nemmeno com'è fatto, come potresti... -
- Annah! - sbottò Jao. - Possiamo descriverglielo. Quanto vuoi che sia difficile riconoscerlo con la faccia che si ritrova? -
Poi la Tigre si rivolse alla Stregona. - Ogni aiuto è ben accetto. Sei sicura di voler aiutarci? -
A quel punto il viso della ragazza sembrò illuminarsi. - Certo! Sempre meglio che tornarmene a casa da quell'antipatico del mio coinquilino. -
- Ah, bene. -
Annah le rivolse un'ulteriore occhiata, diffidente. - Bah. Andiamo. -
Detto questo, la bionda si voltò e si diresse decisa verso gli spogliatoi.
Jao rivolse un sorriso imbarazzato alla mora. - Scusala. Fa' così solo con le persone che non conosce. -
Lara si strinse nella spalle. - Non fa niente. -
- Bene. - rispose la Tigre, per poi tirare verso di sé la ragazza e iniziare a camminare verso gli spogliatoi. - Vieni con me. Ti descrivo il mio amico mentre usciamo. -
Lara annuì di nuovo, mentre si passava la manica della camicia sul viso e si puliva dalla sporcizia.
Jao si sentiva a disagio, assieme a quella ragazza appena conosciuta, ma non se l'era nemmeno sentita di apparire ancora più scortese di quanto lo fosse già stato, declinando la sua proposta. Sentiva quasi di doverglielo, dopo averla stracciata nell'incontro. Però era anche vero che in quei minuti era riuscito a prendersi un momento per pensare e contemporaneamente fare qualcosa che, con un avversario più forte, non gli sarebbe stato possibile fare: vincere.
In più, ora aveva in mente un paio di posti da andare a visitare, per trovare il suo amico.


Il sole doveva essere ormai tramontato da tempo, ma Lenn non avrebbe saputo stabilire da quanto con precisione. Aveva completamente perso la cognizione del tempo. Potevano essere passati pochi minuti da quando s'era stabilito lì, come anche molte ore. , perché il nome di quel posto non gli piaceva affatto.  si sentiva completamente snaturato.
- Desideri qualcos'altro da bere? - gli chiese una voce femminile.
Lenn si passò una mano fra i capelli. - Sì. - disse, - Sì. Un'altra birra, grazie. -
La donna che aveva parlato, al suo fianco, ridacchiò. - Che carino che sei. Qui nessuno dice mai “perfavore” e “grazie”. -
Detto questo, lei si alzò in piedi e si diresse fino a un tavolino di legno intagliato poco distante, su cui erano poggiate varie caraffe e alcuni bicchieri.
Lenn si mise più comodo sul cuscino gigante su cui era semidisteso. Da quando l'avevano fatto sedere lì, non aveva mai smesso di passare nervosamente le dita avanti e indietro lungo la superficie di seta liscia che lo circondava. Gli occhi invece continuavano a fissarsi su di un angolo vuoto della stanza, vicino alla porta che aveva varcato poco prima. L'aria era pregna dei fumi dell'incenso, e di sicuro quell'odore si stava attaccando a qualsiasi oggetto nella stanza, anche su di lui, marchiandolo e dando prova che lui era stato .
La ragazza tornò ad inginocchiarsi per terra, vicino a lui, e gli porse il bicchiere pieno di birra. Niente schiuma, così non sarebbe finita subito.
Lenn prese il bicchiere. - Grazie. - disse suo malgrado.
La ragazza ridacchiò di nuovo. Era bella, dagli occhi cerchiati pesantemente di nero dal trucco e le labbra pitturate di rosso; la pelle era scura, da mulatta; i capelli erano rasati, tranne per un punto dietro la nuca, da cui partivano i suoi lunghi capelli neri e lisci raccolti in una coda di cavallo adornata di ninnoli luccicanti e di poco valore. A parte il reggiseno e il perizoma rossi di velluto, non aveva niente addosso, se non si contavano le collane, gli orecchini, i bracciali e le cavigliere. Ad ogni movimento traspirava odore d'incenso e produceva un piacevole tintinnio.
- Come hai detto che ti chiami? - domandò la ragazza.
- Non l'ho detto. - rispose Lenn, e diede una sorsata alla sua birra.
La ragazza si portò le mani alla bocca per nascondere l'ennesimo sorriso. Evidentemente trovava il mezzelfo divertente.
- Allora me lo dici adesso? -
Lenn le accennò un sorriso poco convinto. - Leandro. -
- Leandro? Ma è un nome bellissimo! -
Questa volta fu il turno di Lenn per sorridere divertito. Si spostò per poggiare il bicchiere di birra a terra. - Bellissimo. A quanti l'hai già detta 'sta cosa? -
Lei sorrise. - Un po' a tutti. Ma agli uomini piace sentirsi adulati. E a me piace adulare gli uomini, se pagano. -
Detto questo, la ragazza fece un gesto con la mano. Lenn sentì un fruscio provenire da dietro di lui, si voltò istintivamente per vedere di cosa si trattasse. C'era un'altra ragazza nella stanza. Era vestita tale e quale a quella che stava accanto a lui, solo che il tessuto delle vesti era turchese. La pelle era bianco latte e i capelli rasati circondavano una lunga treccia, non una coda di cavallo.
- Lei è stata sempre qui? - domandò Lenn.
- Sì. - rispose la ragazza in rosso.
- Non l'avevo notata. -
Quando si voltò di nuovo verso la sua vicina, lei scrollò le spalle. - E' normale. Demetra non viene mai notata. -
- Ah, si chiama Demetra? -
- Sì. E' la massaggiatrice. E' muta. -
- Oh. -
Demetra si inginocchiò sul cuscino di Lenn, sempre rimanendo alle sue spalle. Il mezzelfo percepì le sue mani poggiarsi sulle sue spalle, delicate ma dalla presa salda. Si sentiva più ghermito che rilassato, comunque.
- Ti vedo un po' teso. Demetra fa al caso tuo. -
Detto questo, la ragazza con la coda di cavallo schioccò le dita. La ragazza con la treccia scivolò di fianco a Lenn e puntò direttamente ai bottoni della sua camicia, che cominciò ad aprire con tranquillità e sicurezza.
Lenn cercava di non pensare al contatto di quelle mani che lo infastidiva e basta.
- E tu... E tu come ti chiami? - domandò alla ragazza in rosso, per distrarsi.
- Io sono Riika. Piacere. -
- Piacere... -
Senza aggiungere altro, Riika gli si mise cavalcioni e gli poggiò le mani sul petto, mentre pian piano veniva spogliato da Demetra. I suoi polpastrelli passavano sul vistoso tatuaggio che aveva sul petto man mano che lo scopriva, ripassando sui ghirigori della scrittura elfica e i bordi dei cerchi in cui erano inscritti. Quando Demetra ebbe finito, Riika gli aprì bene la camicia e gli osservò il petto, gli addominali, fino al bordo dei pantaloni, che lo coprivano appena sotto l'ombelico.
- Dimmi Leandro... A che Clan appartieni? -
Lenn scrollò le spalle. - Uno qualsiasi. -
La ragazza a quel punto tirò in fuori il labbro inferiore in un delizioso broncio. - Ma come posso continuare ad adularti se non mi dici il tuo Clan? -
- Non le voglio, le adulazioni. Se vuoi mi riprendo una Stage per sollevarti dall'incarico di farmele. -
Riika ridacchiò di nuovo. - Non ce ne sarà bisogno. -
La ragazza si distrasse subito e non chiese altro sul Clan di appartenenza di Lenn, e gliene fu silenziosamente grato.
Intanto Demetra, tornata alle sue spalle, cominciò a sfilargli la camicia da dietro. Lenn si divincolò d'istinto e si riportò la camicia contro la pelle. - Questa la vorrei tenere addosso. -
Cercò di suonare gentile, ma non poté non fulminare con lo sguardo la ragazza con la treccia. Questa rivolse uno sguardo confuso verso Riika.
- E' tutto a posto, Demetra. - la rassicurò. - Il nostro cliente non vuole farci sapere qual è il suo Clan. La camicia tienigliela, abbassala soltanto. -
Lenn tirò un sospiro di sollievo e si rilassò. La ragazza alle sue spalle gli levò la camicia dalle spalle, abbassandogliela fin sotto il marchio su cui era scritto il suo nome Spirituale, che di sicuro non era capace di decifrare. Da lì forse si poteva scorgere comunque qualche cicatrice, ma niente di che, e quindi la lasciò fare. La schiena indolenzita gli inviò dei segni di riconoscenza quando la ragazza cominciò a massaggiarlo coi palmi delle mani, sentendo i muscoli rigidi rilassarsi quasi subito. Cominciava a pensare di aver investito bene i suoi soldi.
- Bello, vero? - domandò Riika.
Lenn annuì, compiaciuto.
La ragazza in rosso riprese ad accarezzargli il petto e la pancia. Lenn la vedeva mentre passava le dita sulle cicatrici che aveva sui fianchi e sul bacino, seguendone i percorsi bianchi e lucidi. La pelle in quei punti era più vulnerabile o quasi deltutto insensibile, a seconda del tipo di ferita, e Lenn aveva così l'impressione che le sue dita scomparissero e ricomparissero in continuazione e da una parte all'altra del suo corpo, in modo imprevedibile. Se chiudeva gli occhi riceveva sensazioni sempre diverse.
- Dì un po'... Come te le sei fatte tutte queste cicatrici? - domandò Riika.
Lenn riaprì gli occhi per guardarla. - Combattimenti. Sono uno Stregone. -
Riika annuì e cominciò a tirare giù i lembi dei suoi pantaloni, lentamente, fino a scoprirgli l'inguine. La ragazza lo osservò a lungo.
- Anche qui hai cicatrici. Gli Stregoni si colpiscono così in basso? -
Lenn, come risposta, si strinse nelle spalle. Di quei segni non avrebbe mai parlato.
Capì però che l'interrogatorio era giunto al termine, perché sul giovane viso di Riika si disegnò un nuovo sorriso, di tipo malizioso.
- Che ne dici se adesso facciamo amicizia, io e il tuo amichetto? -
Lenn si strinse di nuovo nelle spalle. Non si sentiva particolarmente compiaciuto da quella domanda, il che gli sembrava strano. Continuava a chiedersi che gusto ci fosse nell'andare ai bordelli, pagare per fare sesso con una sconosciuta e andarsene. Stava cercando di immedesimarsi nell'atmosfera, ma non riusciva a trovare niente di particolarmente eccitante in quella situazione. Né riusciva a trovare conforto. Quindi la domanda di Riika non lo smosse dalla sua indifferenza.
- Fa' come vuoi. Ti ho dato carta bianca. - le rispose.
Riika annuì e gli si tolse di dosso. Si andò invece a distendere al suo fianco. Poggiò la testa sulla sua spalla, con una confidenza che infastidì non poco il mezzelfo, e poi fece scorrere la mano sinistra lungo tutto il torso malandato, per finire dentro i pantaloni e infine il perizoma. Il disagio di Lenn non fece altro che aumentare.
Riika invece era tranquilla e rilassata, e tentò di sciogliergli i nervi a fior di pelle sporgendosi in avanti per baciarlo sul collo, mordicchiandogli il lobo dell'orecchio. Andò avanti così per un po', finché lei non prese più confidenza.
- E' la prima volta che vieni qui? - gli domandò tutt'a un tratto la ragazza.
Lenn, che si era di nuovo imbambolato a fissare l'angolo della camera vicino alla porta d'ingresso, si riscosse e annuì.
- Si vede. Come mai questa visita improvvisa? -
Lenn sospirò, ma non rispose.
Il viso di Annah era tornato a presentarglisi davanti agli occhi, rinnovando il dolore. Non ce la faceva più a pensare a lei e sapere di non poterla mai avere. Non riusciva più a guardarla intrecciare le dita nei capelli di Jao, vederla abbracciarlo, vederla sorridergli. Non sopportava più il profumo di lavanda che lei si portava dietro ad ogni passo, riempiendo casa loro della sua essenza. Ogni volta che la vedeva non desiderava altro che essere accettato e poterle mostrare apertamente i suoi sentimenti, ma non poteva. E il pensiero che quei sentimenti non corrisposti non sarebbero mai svaniti, non avrebbero mai fatto spazio all'amore per un'altra ragazza, lo tormentava di continuo. Trovava conferma di ciò mentre osservava il corpo scuro e ricoperto d'olio di Riika e non provava niente, mentre lei provava a baciarlo in bocca e lui si ritraeva, mentre la ragazza cercava di procurargli piacere, ma non otteneva buoni risultati.
Nemmeno in quella situazione riusciva di togliersi dalla testa la Mangiasogni. Lui voleva soltanto lei. Le altre non contavano.
- Oh, conosco quello sguardo. - continuò la ragazza in rosso, con una risata che sembrò un gorgheggio.
Riika gli poggiò la mano libera sulla guancia, in una leggera carezza. Quello fu il primo contatto fisico della serata che non gli diede fastidio.
- I tuoi sono gli occhi di un uomo innamorato. Un uomo innamorato e triste. -
Lenn non riuscì a dire niente a sua difesa. Dalle labbra gli uscì solo un gemito addolorato.
- Qual è il problema, piccolo? Ti ha tradito? -
Lenn scosse la testa, sospirando ancora. Aveva un macigno sul petto, e aveva bisogno di dividere il peso con qualcuno, finalmente. Che fosse con una puttana non gli importava affatto.
- No, lei è... Eh, è la fidanzata del mio migliore amico. -
Ogni parola era un pezzo di pietra.
Riika gli rivolse un sorriso dolce e comprensivo. - E' bella? -
- E' bellissima. - le rispose il mezzelfo, convinto. - E' la donna più bella che abbia mai visto in vita mia. Senza offesa, eh... -
La ragazza con la coda di cavallo ridacchiò. - Non ti preoccupare. Ogni donna è bella per il suo innamorato. Ma come mai non potete mettervi assieme? Non può rompere il fidanzamento? -
Lenn scosse la testa. - No, finirebbe diseredata. Ma non è quello il problema. Il problema è che non le piaccio. -
- Alle donne piacciono gli uomini coi soldi. -
- Eh, ma io sono un poveraccio, mentre lei è ricca. -
Riika rimase un attimo in silenzio.
E sono anche un cazzo di mezzelfo, chi mi vorrebbe tra i piedi? Un mezzelfo povero e senza Clan. Che merda.
- Non ho uno straccio di possibilità. -
Riika a quel punto scosse la testa e fece scivolare la sua mano sinistra fuori dal perizoma del mezzelfo, sospirando.
- E' tutto inutile. - disse la ragazza, e gli puntò l'indice contro il petto. - Se hai una ragazza qui... -, poi spostò il dito sulla sua fronte - ...E qui... - aggiunse, con voce tenera, - ...non riuscirò mai a fare molto, per te. Infatti, il tuo amichetto mi sembra abbastanza inerte. -
Lenn tentò di sorridere, suo malgrado. - E' morto. -
Riika annuì. - Molto morto. -
La ragazza gli si sedette di nuovo a cavalcioni, fronteggiandolo. - Senti! Se non le piaci, è perché non hai provato a conquistarla con abbastanza insistenza. -
- Ma io non voglio esserle molesto. -
- Essere romanticamente insistente ed essere molesto sono due cose diverse. Credici, se te lo dice una donna. -
Lenn sospirò. “Perfetto, ora prendo consigli da una puttana.
- E cosa dovrei fare? - le domandò, rassegnato.
Riika guardò all'insù, pensierosa. - Beh... Potresti farle tanti piccoli favori, per farle piacere... O regalarle dei fiori! Hai provato? -
Lenn le rivolse un sorriso amaro. - Già fatto. Le ho regalato una rosa, e penso che se ne sia sbarazzata quasi subito, perché non l'ho più vista in giro. -
La ragazza storse la bocca, in disappunto. - Bah, una ragazza a cui non piacciono i fiori, che strano... Hai provato col cibo? -
- Cibo? -
- Sì, quelle cose afrodisiache, per esempio... -
La voce della prostituta fu coperta da un forte cigolio. Lei si interruppe, e anche Demetra dietro di Lenn interruppe il massaggio. Qualcuno aveva aperto la porta della stanza ed era entrato, ma il mezzelfo non lo vedeva perché Riika gli copriva la vista.
La ragazza con la coda di cavallo si voltò con espressione truce e gridò: - Fuori di qui, è vietato entrare nei cubicoli mentre la porta è chiusa! -
- Scusami, davvero. - rispose la voce della persona sulla soglia. - Recupero quel disgraziato del mio amico e me ne vado. -
Lenn si rimise a sedere e scostò Riika, togliendosela da sopra le gambe. - Che cazzo ci fai qui, Jao? -
La Tigre, ancora sull'uscio, gli scoccò un'occhiata severa. Aveva le borse sotto gli occhi e i capelli quasi completamente sciolti. - Cosa ci fai tu qui? -
Il mezzelfo si alzò in piedi e si risistemò sulle spalle la camicia, percorrendo la distanza che li divideva con delle decise falcate. - Secondo te?! -
Jao se lo vide arrivare di fronte come un animale imbufalito, ma nonostante la sua statura inferiore e il fisico gracile gli restituì uno sguardo fermo e deciso che da solo riuscì a placare parzialmente il moto d'ira del mezzelfo. Lenn gli si piazzò davanti al naso, con le spalle larghe, nel tentativo di intimidirlo.
- Ehi, ehi! Niente botte! Se cominciate a picchiarvi, chiamo la matrona! - disse perentoria Riika, alle spalle del mezzelfo.
- Niente botte. - ripeté Lenn per rassicurarla. - Voglio solo capire da dove cazzo spunti. - aggiunse poi, rivolgendosi a Jao.
- Non usare quel tono con me, dovrei essere io quello incazzato! - rispose la Tigre. - E' tutta la notte che giro come un cretino per Malias, a cercarti! -
- Perché cercarmi? - ringhiò Lenn. - Con te è sempre la stessa storia, non posso avere mai un momento per starmene in pace. Appena mi allontano ti ritrovo sempre alle calcagna. -
- Alle calcagna? - fece Jao, accigliato. - Tu puoi andare dove ti pare, amico mio. Ma non puoi sparire nel nulla così, senza dire niente! -
- Io non devo rendere conto a te di quello che faccio. -
A quel punto gli occhi di Jao si ridussero a due fessure, inchiodando il mezzelfo, assieme all'avambraccio che gli portò al collo. Lenn sentì la gola chiudersi e indietreggiò per liberarsi dal fastidio, ma Jao ne approfittò per spingerlo contro la parete alla sua sinistra, e lo fece con una forza inaspettata.
Lenn si ritrovò con le spalle al muro. Soffiò come un gatto, ma non reagì.
- Ho detto non vi picchiate! - strillò Riika.
- Sta tranquilla, non lo picchio! - le rispose Jao, non degnandola di uno sguardo. Aveva occhi solo per Lenn, e il mezzelfo non se ne sentì lusingato.
- Te lo dico per l'ultima volta, e vedi di fartelo entrare bene in testa. - gli disse la Tigre, - Tu non sei più solo. Vivi con delle persone, hai una casa a cui tornare. Le persone con cui vivi, se non ti vedono tornare a casa, si preoccupano! E gli viene la paura che ti sia successo qualcosa! Quindi poi quelle persone stanno fuori per strada tutta la notte a cercarti. Perché, anche se ti può sembrare strano che la gente si possa affezionare a un testone come te, è successo! -
A quelle parole, Lenn sentì che la spinta sul suo collo si allentava, tuttavia non si mosse. Stava troppo male per fare alcun che. Ogni suo tentativo di trovare pace falliva.
- Quelle persone a cui piaci saremmo noi, i poveracci con cui vivi. Siccome alla fine ti vogliamo bene, ti rispettiamo, e se ogni tanto hai voglia di andartene al bordello del Distretto, com'è giusto che sia, a noi va benissimo. Ma cazzo, se tu hai un minimo di rispetto per noi, prima ci avvisi, e poi sparisci! -
Lenn rimase in silenzio. Lanciò un'occhiata truce al suo amico, mentre mollava completamente la presa su di lui e si portava la mani ai fianchi.
- Allora? Non parli più? -
- Cosa vuoi che ti dica? -
- Tanto per cominciare, mi piacerebbe sapere perché sei scappato. Insomma, a me sembrava non stesse succedendo nulla di che. -
- Beh, ti sbagli. - gli rispose Lenn, con il furore che montava di nuovo nel petto.
- E allora? Cosa è successo? Perché, davvero, io lo voglio capire. -
Lenn notò che la voce di Jao s'era ammorbidita.
In quel momento, per il mezzelfo sarebbe stato troppo bello potersi arrendere e vuotare il sacco, come aveva fatto con la prostituta poco prima. Aveva provato un sollievo così forte nell'ammettere ad alta voce ciò che provava, che trovava irresistibile l'idea di poterlo fare di nuovo con Jao. Però la prima volta aveva parlato con una sconosciuta, una che Annah non l'aveva mai nemmeno vista. Jao invece la conosceva eccome, e di conseguenza poteva giudicarlo. La vergogna di dover ammettere al fidanzato di lei di essersi innamorato quasi senza motivo, completamente e follemente, di essere caduto nella trappola psicologica che lo avrebbe legato ad Annah soltanto, come fosse stato uno stupido Elfo, era doloroso e vergognoso. Si sarebbe sentito vulnerabile nei confronti dell'amico, che chissà cosa avrebbe pensato di lui. Conoscendolo, forse avrebbe insistito nel riferire tutto alla diretta interessata, o per gioco o per pura trasparenza di rapporti. A quel punto sarebbe davvero morto dalla vergogna. Annah non lo avrebbe mai accettato. Sapeva che lei non lo amava, e si sarebbe risolto tutto in un doloroso e freddo rigetto.
Stava provando a togliersela dalla testa, come aveva fatto quella notte stessa, ma non c'era riuscito. E Jao non sembrava voler capire; anzi, continuava a girare il coltello nella piaga.
Lenn s'incupiva di più ad ogni secondo che passava, e Jao notò la ricaduta. Le rughe sulla sua fronte si rilassarono e tornò ad assumere la sua solita espressione, quella dell'amico pronto ad ascoltare.
- Se hai un problema, puoi parlarmene. Sono sicuro che troveremmo una soluzione. -
Lenn scosse la testa, un po' per contraddire Jao, un po' per scacciare dalla testa il pensiero di Annah. - No. -
Jao lo fissò per qualche istante, accigliato. - “No” cosa? -
- Ho un problema, ho mille problemi. Ma a questo qui in particolare non c'è soluzione. -
- Non è vero. C'è sempre una soluzione. -
- No Jao, non c'è! - rispose a quel punto Lenn, coi nervi a fior di pelle. - Questa volta no. Devi capire che non sei in grado di risolvere sempre tutto, anche se ti piacerebbe. -
Jao parve davvero turbato da quell'affermazione. Ritornò ad aggrottare la fronte, deciso. - Ma almeno parliamone! Parlarne fa bene. Non puoi fare nemmeno quello? -
- No. -
- E perché no? -
- Perché fa male, Jao. Molto male. E a me non va di dirti tutto quello che mi passa per la testa. Questa è una questione che voglio risolvere da solo. -
- Oh beh, fin'ora hai fatto un ottimo lavoro. Sei scappato di casa e hai tenuto svegli tutti, poi ti sei rintanato in un bordello a ubriacarti. E' così che si risolvono i problemi! -
Lenn gli indirizzò un ringhio pieno di rabbia.
- Devi imparare a gestirti, Lenn. Non puoi andare avanti così. Dovremmo metterci seduti da una parte e metterci a capire bene cosa ti passa per la testa, perché mi sembri molto confuso! -
- Io so quello che faccio! - sibilò il mezzelfo, - Siete voi che non mi lasciate in pace a riflettere. E ora lasciami andare. -
Detto questo, il mezzelfo scivolò di lato e si levò dalla traiettoria dello sguardo di Jao. Si riabbottonò la camicia e si ravviò i capelli, ritti dal nervoso.
Jao non si mosse, rimase a guardarlo.
Lenn lo ignorò e si rivolse a Riika, in piedi dal lato opposto della stanza. - I soldi te li ho già dati. Tienili pure, non m'importa. -
La ragazza si mosse verso di lui con grande confidenza, come se non fosse accaduto niente, e andò ad aggiustare il colletto della camicia del mezzelfo. - Anche se siamo stati interrotti, è stato un piacere chiacchierare con te. Torna quando vuoi, ciccino, e ti riserverò un trattamento coi fiocchi, e gratuito. -
Detto questo, la ragazza si sollevò sulle punte dei piedi e diede un bacio sul naso di Lenn. Questo fece sbollire il mezzelfo, anche se il suo astio nei confronti della Tigre era ancora vivo.
- Addio. - le disse, e poi si voltò verso l'uscita.
Scoccò un'ultima occhiata a Jao, e disse: - Adesso esco. Sparirò per un po', te lo dico subito. Ho bisogno di svuotare la testa. E questa volta non ti scomodare a cercarmi, tornerò quando me la sentirò. -
Poi il mezzelfo si voltò, mentre si sentiva gli occhi tristi di Jao addosso. Li ignorò e uscì dalla stanza. Camminò lungo il corridoio, in mezzo alle pareti di pietra, attraverso le quali si riuscivano a sentire i gemiti delle persone che ne stavano aldilà. Dozzine di corpi ammassati tutti in quell'edificio, che scaldavano l'ambiente e rendevano l'aria viziata coi loro respiri affannosi. Non si sentiva altro. I bordelli, alla fin fine, non erano posto per lui.
Dato che si trovava al primo piano, raggiunse le scale alla fine del corridoio e raggiunse il piano terra, per poi percorrere un altro corridoio e tornare all'entrata principale. Uscì senza che nessuno gli dicesse niente.
Appena fuori fu investito da uno schiaffo di aria fresca e profumata. L'odore di sudore e incenso da cui era stato avvolto si dissolse e lasciò il posto a un dolce profumo di lavanda. Aveva imparato ad amare quell'essenza. Respirò a pieni polmoni e, voltandosi, notò che alla sua destra, sottovento, c'era Annah.
Il suo viso era avvolto dalla penombra dell'alba, ma la riconobbe subito. Accanto a lei però c'era una ragazza che non aveva mai visto, bassa e dai capelli scuri e lunghi.
La bionda teneva le spalle strette e le braccia conserte, infreddolita. Gli rivolse un sguardo interrogativo, schiudendo leggermente le labbra e inarcando le sopracciglia bionde.
Lei era l'unica persona che Lenn avrebbe voluto vedere e con cui avrebbe voluto parlare, ma c'era qualcun altro con lei, sentiva di non potersi fidare di quel momento. La osservò a lungo, anche se sapeva che non avrebbe dovuto farlo. Ogni volta che incrociava il suo sguardo sentiva i brividi salirgli lungo la spina dorsale.
Il Giglio gli si avvicinò di qualche passo. - Lenn... -
Ma il mezzelfo si scostò da lei e rivolse lo sguardo davanti a sé. - Assicurati che Jao non mi cerchi. Ho davvero un disperato bisogno di fare ordine tra i miei pensieri. -
- Perché? Lenn, senti, se io... -
- Ti prego, Annah. - la interruppe il mezzelfo, rivolgendole uno sguardo supplichevole. - Ho solo bisogno di stare un po' solo. Davvero. Tornerò più tardi. -
Non aspettò una risposta nemmeno da lei, e camminò a passo svelto verso le ombre delle case vicine. La notte moriva, senza avergli portato consiglio. Una volta allontanatosi abbastanza, si mise a correre.

   
 
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