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Autore: Dzoro    01/12/2013    2 recensioni
Gesù gli domandò: «Qual è il tuo nome?» 
Egli rispose: «Il mio nome è Legione, perché siamo molti». 
Cosa fareste se vi svegliaste una mattina senza ricordare nulla delle vostre ultime 24 ore? E se trovaste sulla vostra porta le foto di degli uomini che non avete mai visto, e la scritta "stanno per morire?" 
Per fan di: Death Note, Twin Peaks, Dylan Dog, Dario Argento, Una Notte da Leoni, Il Grande Lebowski, il rock psichedelico e la crostata di ciliegie.
 
Genere: Horror, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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For We Are Many

Stagione 1

Capitolo 4: a letto con il mio capo

 

Venerdì ventidue ottobre, 03:24

L’alieno mi lanciò addosso un urlo sibilante, modulato da almeno due sistemi di corde vocali, facendo ondeggiare i barbigli che spuntavano da quella immaginai essere la sua bocca, in cima al suo corpo da gamberetto color rosa pallido. Le ali sulla sua schiena si mossero, in segno di minaccia.

“Buono…” Gli dissi, spostando leggermente la mia sedia lontano da lui. Anche lui era seduto, stranamente composto, al tavolo da tè.

“Ma l’avete invitato voi?”

I coniglietti erano anche loro seduti al tavolo, in mezzo alla radura. Uno di loro si alzò, con infilata in una narice una banconota arrotolata. L’altro, sorbendo il suo te, rispose:

“Non so, forse l’ha invitato mia suocera!” e tutti, compreso l’alieno, scoppiammo a ridere in modo incontenibile. Al momento mi sembrava di aver sentito la battuta del secolo.

“Siamo ancora nella camera 302?” domandai, asciugandomi le lacrime.

“Non so, tu che dici?”

“Sono nudo. Non è che avete dei vestiti?”

“C’è un giubbotto di sopra, ma ora lo sta indossando il signor serpente.”

“Ma è il mio giubbotto! E chi cavolo sarebbe il signor serpente?” chiesi, basito.

“L’inferno è pieno di gente strana, mio caro. Però le nostre teste esplodono facilmente.” Disse un coniglio, facendomi un ammiccante occhiolino.

Io ascoltavo rapito. Mi accorsi che mi era venuta un erezione. L’alieno si avvicinò, e iniziò ad annusarmela con i suoi barbigli.

“Stai fermo, che schifo!”

“Ma lascialo fare! Non sai che prima di finire all’inferno era Moana Pozzi?”

“Lo trovo improbabile.” Dissi io.

“Infatti, me lo sono inventato.” E giù di nuovo a ridere.

L’alieno mi urlò di nuovo contro, io mi alzai dal tavolo.

“Basta, vado dal serpente a riprendermi il giubbotto. Avete detto che è di sopra?”

“Non puoi andare di sopra, non c’è nessun sopra.”

Immagino sia legato al fatto che ci troviamo in mezzo ad una foresta?

“No. Prima devi uccidere l’uomo maiale. Poi noi.” L’alieno iniziò a strisciarmi contro, con i suoi barbigli che si contorcevano minacciosi in direzione del mio basso ventre.

“E sta buono!” Urlai, mollandogli un calcio. Lui fece un volo di due metri, e si sfracellò sul tavolino. Lì si spaccò a metà, rivelando un interno viscido ma, per una logica che non capivo, molto appetitoso.

“Le lasagne!” urlarono all’unisono i conigli, e prese due forchette, iniziarono a strapparne enormi pezzi e a ficcarseli in bocca.

“Ragazzi, che schifo!”

Ma non mi ascoltarono, erano troppo impegnati a sporcarsi il muso di succo d’alieno rossastro. In quel momento, la terra iniziò a tremare. Mi voltai, e vidi in lontananza gli alberi iniziare a cadere, e sentii un grugnito lacerare la calma della radura. Stava arrivando.

 

Il Samsung mi vibrò a tutta forza a una spanna dall’orecchio, sul comodino. Ero nella mia stanza. Appena vi ero entrato, di ritorno dal mio raid notturno a casa del vecchio Franco, avevo sentito le forze abbandonarmi. Ero riuscito appena a trascinarmi in doccia, poi mi ero addormentato. E avevo dormito esattamente un ora, a giudicare dalla cifra sull’orologio sul comodino. Risposi al telefono.

“Che c’è?” dissi, con voce oltretombale.

“Brutto idiota, hai idea di quanto è passato dal tuo ultimo rapporto?”

“Ciao Diana, anche tu mi manchi. Lo sai che sono le tre di notte?”

“Le tre e venticinque minuti. Idiota.” Precisò con la sua voce priva di intonazione e sentimenti il mio capo. In effetti era ormai da più di tre giorni che non facevo rapporto, gli eventi mi avevano spiazzato.

“Hai trovato la ragazza?” mi incalzò.

“Sto cercando le parole.”

“Trovale in fretta, nell’altra stanza si trova un pedofilo. Sto per torturarlo facendogli credere di essere stato rapito dalla mafia albanese.”

“Grazie per avermi tolto il sonno per una settimana. Allora, Giovanna Carta, ricordi?”

“Mi stai facendo rapporto o stiamo giocando a Trivial pursuit?”

“Stupido io a chiederlo. Dopo il rapimento ho condotto delle ricerche incrociate su Facebook, foto della festa soprattutto. Ho rintracciato diversi dei presenti, gli ho interrogati separatamente fino a che sono stato sicuro che la ragazza si era appartata in una macchina, una bmw grigia, con un uomo sulla trentina. Ho subito pensato a un rapimento per inserirla in un circuito di prostituzione, il che voleva dire che la macchina era rubata o a noleggio. Era a noleggio, l’ho trovata in un autonoleggio in trentino, data via esattamente nella data della festa. Ho iniziato ad indagare se nessuno avesse visto un uomo e una ragazza in abito da sera in qui giorni, finché ho avuto riscontro positivo da un benzinaio della zona. Addormentata sul sedile di dietro di una Panda. Il benzinaio mi ha fornito i numeri di altre stazioni di servizio locali fuori dalle autostrade, era improbabile che prendessero l’autostrada con una ragazza rapita. Così ho scoperto che era stata avvistata un’altra macchina con due ragazze addormentate. Immaginavo di aver trovato un traffico umano di dimensioni notevoli. Seguendo questa pista, sono arrivato a Fondale.”

“Cos’è Fondale?”

“Un paese. Le macchine erano dirette lì. Qui, anzi. È dove mi trovo adesso.”

“E poi?”

“Poi non ho idea di cosa sia successo nelle ultime 24 ore. Scusa.”

Dall’altra parte si udì solo il silenzio. Poi un:

“Sei diventato deficiente?”

“Immagino di sì. Vuoto completo, mi sono svegliato in camera senza ricordare nulla di quello che era successo la notte prima.” Le raccontai brevemente degli avvenimenti.

“Quindi ho recuperato il mio cappotto, che non ricordo di avere mai indossato. Poi mi hai chiamato te e hai iniziato a insultarmi, ma ti amo così come sei.”

“Vuoi dire che non ricordi nulla della notte tra il 19 e il 20?” Disse quelle parole con una sfumatura di preoccupazione. Da parte di Diana cuore di ghiaccio era praticamente una manifestazione d’affetto. Mi sentii onorato.

“Sì, i miei ricordi si fermano al 19. Contando che mi sono svegliato alle sei del giorno dopo, posso dire di avere un vuoto di 24 ore esatte.”

“È una storia priva di senso. Ma immagino non ci sia motivo che tu te la sia inventata.”

“Immagino di no.” Afferrai il giubbotto. Lo avevo appoggiato la sera prima su di una sedia vicino al mio letto. Più guardavo la spessa imbottitura, più ero perplesso: certo doveva tenere un bel caldo, ma al prezzo di trasformarmi in un grottesco uomo salsiccia. Non avevo idea di dove, con che criterio, o perché me lo fossi procurato. Iniziai a esplorare le tasche con la mano libera, mentre Diana mi parlava dal telefono:

“Cerca di rimetterti in sesto e ricordarti cosa sta succedendo. Non ti pago per ubriacarti fino all’amnesia.” Diana con quest’ultima frase tornò ad essere la solita, e non nego che la cosa mi rimise a mio agio. Non volevo avere a che fare con un caso talmente strano da inquietare Diana, sarebbe stato un chiaro segnale che mi trovavo in mezzo ad una colossale tempesta di merda.

“E trova Giovanna Carta, te la ricordi la regola dei tre giorni?” Continuò lei. Nel nostro ambiente, diciamo che dopo tre giorni non si cerca più una persona, ma un cadavere.

“In tal caso mi sa che è già troppo tardi.” La mia mano trovò una tasca interna del giubbotto. Era chiusa da una lampo, probabilmente incastrata. Sotto la tela lucida bordò, si trovava qualcosa, un piccolo oggetto duro e freddo. Le dita esplorarono oltre, e trovarono una scatola, grossa all’incirca come una scatola di fiammiferi.

“Aspetta un secondo.”

“No, aspetta tu. Io devo andare. Voglio un rapporto dettagliato domani mattina, metti insieme i pezzi e dimmi che cavolo sta succedendo. Ora vado, ho un mostro da evirare.”

“È sempre un piacere parlare con te, Diana. Ciao.”

Riattaccò. Riappoggiai il cellulare sul comodino, e iniziai a lavorare con entrambe le mani sulla cerniera. Con una mano tendevo le due file di denti, con l’altra tentavo di smuovere la lampo. Non voleva saperne di aprirsi, era incastrata di brutto. Andai in bagno, e presi la forbicina per le unghie: un momento dopo, stavo sventrando il mio giubbotto. Dalla apertura nel tessuto fuoriuscì una scatolina. Era ricoperta da scritte in cinese, semplici scritte nere su cartoncino bianco. Era aperta, all’interno si trovava qualcosa. Ne tirai fuori quello che all’inizio scambiai per un preservativo, ma una volta srotolato si rivelò essere un guanto, fatto di un materiale simile al lattice, ma più sottile. Mi ci volle un po’ per srotolarlo completamente, ancora di più per infilarmelo. Il risultato fu sorprendente: la mia mano sembrava nuda, se non fosse stato per la leggera opacità del lattice. Provai a muoverla, e non provai il senso di impacciataggine che di solito si prova indossando un guanto, le mie dita avevano una sensibilità praticamente perfetta. Senza togliermi il guanto, andai a prendere il secondo oggetto nella tasca. Era una chiave. Una piccola chiave dalle forme squadrate.

Guardando la scatola con i guanti (ce n’erano dentro ancora almeno tre), capii che non avrei trovato impronte su quella chiave. Smisi di domandarmi se e come ne fossi entrato in possesso, durante quel giorno che non ricordavo. Semplicemente non avevo una risposta.

Non riuscivo a prendere sonno, iniziai a giocherellare con il telefono. Controllai un paio di volte la posta, ma a quanto pare il mondo esterno sembrava volermi abbandonare a Fondale.

“Aspetta un attimo.” Lo dissi a voce altissima, un idea mi aveva attraversato la testa in modo talmente veloce e improvviso da far rumore. Mi collegai all’indirizzo di Giancarlo Giannini che avevo dato alla segretaria di Coletti. Una lettera non letta. Mi avevano scritto.

“Egregio signor Giannini, per problemi interni all’azienda, siamo costretti a spostare la trattativa di un paio di settimane. Ci scusiamo per il disagio.”

Ottimo, una delle uniche strade che mi si era aperta davanti non si sarebbe sbloccata prima di due settimane. Forse avrei dovuto abbandonare Fondale, e cercare informazioni su Nasolini, il secondo volto sulla mia porta. Trovare una connessione tra i due. A Milano sono sicuro che avrei potuto trovare qualcosa.

Giovanna Carta? Morta in un fosso, probabilmente. O Dio solo sa dove poteva essere a quest’ora. Il pensiero che io stesso forse lo sapevo, ma non ricordavo nulla, era il più grosso sasso nella scarpa della mia carriera di curioso a pagamento.

“Spostare la trattativa.”

Quale trattativa? Gli avevo chiesto solo se potevo parlare con Coletti. Sembrava una lettera scritta per più persone, alla quale solo in seguito era stato messo il nome del mio alter ego. Quale problema interno al personale avrebbe portato tanto scompiglio da annullare più di una trattativa? Un problema grave. E poi, la vaghezza che concludeva la lettere, un paio di settimane. Quante segretarie avrebbero scritto una cosa del genere in situazioni normali?

Il mio sguardo saltò sui fogli, ancora appesi alla porta. “Stanno per morire”. Accessi internet, e feci di nuovo la stessa ricerca del giorno prima. Coletti. Stessi risultati. Tutto normale. Mi riaddormentai pochi minuti più tardi.

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Grazie a tutti i fighi che stanno leggendo! Non vedo ancora recensioni, quindi lasciatene una, guadagnerete un fottio di punti e mi renderete felice! Anche negative. Anzi, soprattutto negative, sono così soddisfatto di come ho scritto questa storia che avrei bisogno di qualcuno che mi sgonfiasse un po' :P besos,
Dzoro

   
 
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