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Autore: Marlene Ludovikovna    03/12/2013    3 recensioni
1943 - Parigi
Ester Stradsberg; the Swan. Giovane, bella e annoiata moglie di un ricco imprenditore. Ciò che più vuole é la libertà di disinteressarsi a tutto.
Hans Wesemann; the Hunter. Spietato Colonnello delle SS, la sua giacca e ornata da medaglie e i suoi occhi mostrano solo ghiaccio.
Emilie Kaltenbatch; the Hawk. Giovane pittrice pronta a tutto per sfondare e dagli istinti creativi repressi a causa della dittatura a cui sottostà il suo paese. Affascinante, crudele, ambiziosa e, per tutti, indimenticabile.
Jean Russeau; the Treacherous. Ricco, bello ed egocentrico è il re della vita mondana parigina. Ereditiere di un'immensa fortuna dedito al lusso e all'amore per se stesso.
Delle vite vissute a metà come se aspettassero di essere esaurite, così cariche di emozioni e prive di valori da essere memorabili. Anime distrutte al centro della ricchezza, della miseria e della follia. Vite distrutte dallo sfarzo del Terzo Reich.
Genere: Angst, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
Capitoli:
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Spring: Part 7


Emilie corse in bagno scossa da una scarica improvvisa d'adrenalina che interruppe la sua normalità. Un sorriso autentico e luminoso che sostava sulla sue labbra vermiglie. 
Non era tanto quello che avesse fatto con un semisconosciuto, quanto le parole da lei dette. Avrebbe potuto illuminare una sala intera semplicemente entrandovi. 
E così fece, quando tornò nella stanza e vide Jean che la osservava da lontano, come se non fosse successo niente... O forse no. Vedeva qualcosa di malizioso nel suo sguardo, ma quel qualcosa era sempre presente nello sguardo magnetico di lui. 
All'improvviso la sala si riempì della soave musica del valzer. Quello che le ricordava la sua infanzia a Vienna, quando ancora la presenza di Adolf Hitler appariva come qualcosa di talmente distante da non poter nemmeno sfiorare la sua famiglia. 
Aprirono le danze Wolfgang e Ester, nella loro immagine di perfezione che avrebbe potuto stregare chiunque. 
Loro volteggiavano con grazia al centro della sala e tutti li guardavano, poi Emilie si sentì chiamare da dietro e la voce maschile e fredda interruppe l'artefatto idillio degli Stradsberg. 
Fraulein, Kaltenbatch. Gradirei l'onore di un ballo. Era il Colonnello Wesemann e aveva la sua mano graziosa stretta nella sua. Il tono era di colui che non ammetteva repliche e che aveva già conquistato prima ancora di chiedere. Per lei sarebbe stato troppo pericoloso dire di no e andare a bere confinata in un angolo, così sorrise.
Con piacere, Herr Wesemann. Disse lei cercando di mostrarsi serena, mentre con rammarico guardava verso Jean, che beveva un bicchiere appoggiato al muro. Cosa strana per lui, il re di Parigi. 
Poco prima, quella stessa espressione l'aveva assunta Hans Wesemann, per poi andare incontro ad Emilie sfoderando uno sguardo cordiale. 
Hans le guardò la mano sottile. 
Come mai una signorina graziosa come voi non è ancora sposata? 
Nella sua voce c'era un tono di affetto, quasi. L'affetto un po' forzato fatto di convenevoli e baci che si puà provare nei confronti di una persona che non ti è rivale e che è nella tua stessa posizione sociale. 
Non ho trovato ancora l'occasione giusta. Rispose lei guardando il soffitto illuminato dai lampadari di cristallo e ripensando a poco prima, in biblioteca. 
Se qualcuno lo avesse saputo sarebbe stato uno scandalo. 
Un silenzio snervante avvolse i due. Hans la indagava con il suo sguardo freddo e impassibile, mentre lei continuava a ripensare a quello che aveva detto. Per un istante ebbe la sensazione che lui sapesse; ostentava una sicurezza che le faceva pensare che potesse sentire i suoi pensieri, ogni cosa. Si sentiva nuda, in mezzo alla sala ghermita di persone. 
Poi al secondo valzer Hans scattò facendole fare una piroetta e portandola al centro. 
Una cara persona, Jean Russeau. Commentò lui tra un passo e l'altro. 
Già. Disse lei deglutendo, per poi mostrare un sorriso. 
Lui la guardò dritto negli occhi per poi tornare a concentrarsi pienamente sulla danza. 
All'improvviso la sala si era svuotata al centro per dare spazio a loro e agli Stradsberg. Senza accorgersene avevano accentrato tutta l'attenzione su di loro. 
Non c'era una persona che non notasse lo sguardo desolato e gli occhi spalancati di Emilie, come quello impassibile di Hans, che era anche vagamente divertito, ma al contempo vedere Ester ridere felice e libera come una rondinella accanto a quell'uomo inutile gli recava fastidio. 
Nel momento in cui Wolfgang prese tra le sue braccia la vita sottile di Ester lui fece lo stesso con Emilie, ormai succube di tutto ciò che stava accadendo e splendente, ma ora come ora consapevole di questo. 
Poi le danze cessarono e Emilie venne posata a terra da lui, come fosse un oggetto che poteva essere usato a piacimento di chi ne ha la proprietà. 
Posso sapere cosa volete da me? Domandò lei nel momento in cui lui si allontanò leggermente, mentre le loro mani restarono unite. 
La sua fedeltà al Reich, fraulein.
Un ballo per la mia fedeltà al Reich? 
Lui sorrise a quella domanda quasi di sfida. 
Esatto. 
Ora era solo Emilie al centro di tutto, con gli sguardi indiscreti posati su di lei e quello di Jean che sembrava incuriosito dagli ultimi avvenimenti. 
Hans prese di nuovo la mano di lei e si inchinarono al loro pubblico inaspettato. 
Emilie guardò tutti con aria estraniata, confusa e smarrita. Poi sorrise, in quel modo che fece tirare un sospiro alla cugina. 
La sensazione che ebbe quando si distaccò dal Colonnello fu qualcosa di insolito, ma allo stesso tempo conosciuto. Sentiva, nelle allusioni e nel tono della sua voce che lui sarebbe stato sempre un passo avanti rispetto a chiunque. 
Ma non a me, non a me. Si ripeteva. 
Poi l'attenzione passò ad altro. Emilie non era più al centro degli sguardi perché adesso era nelle parole e nelle chiacchiere, era nello champagne, nel caviale. 
Jean Russeau la guardò e fu come se la sua voce limpida rimbombasse nella sala. 
Abbasso Hitler, diceva. 

Poco dopo, come premesso, si riunirono tutti in biblioteca. 
Ester tentò di fermare la cugina per parlarle, per dirle dei bisbigli. Emilie, dal canto suo, nel momento in cui al suo passaggio aveva sentito i bisbigli delle signore, aveva capito il gioco a cui aveva accettato di giocare nel momento in cui non aveva respinto il Colonnello. 
Le era stato insegnato a rispettare sempre un eroe nazionale, ma in quel momento Hans Wesemann aveva pensato solo a disonorarla, a metterla in ridicolo, ma d'altra parte aveva ottenuto un'altro effetto. 
In pochi secondi di ballo, l'aveva resa desiderabile. Emilie non voleva questo, desiderava popolarità, desiderava che i suoi quadri venissero comprati, voleva arricchirsi sempre di più e quello era il gioco a cui bisognava giocare se ci si voleva arricchire e Hans ne era un maestro. 
Passando e facendo accomodare tutti Ester notò una macchia sul tappeto. 
Cosa è successo qui? Diamine questo tappeto... Iniziò a bisbigliare istericamente. 
Te ne posso comprare altri mille altri, non c'è bisogno di fare drammi. Disse lui prendendola per la vita e facendola sedere vicino a lui. 
Allora, Herr Wesemann. Sa quanto sia un piacere averla qui con noi sta sera, quindi proporrei il primo brindisi a lei. 
Il tintinnare del vetro e i gridolini di gioia riempirono la sala. 
Emilie lanciò uno sguardo a Jean. 
Poi ripensando ad Ester in ansia per il suo tappeto le venne da ridere e quel sorriso fu ricambiato da lui, così che lei seppe che stavano pensando la stessa identica cosa. 
Non erano seduti vicini, e Hans Wesemann osservava calcolatore i loro scambi di sguardi. 
Be', miei cari, lasciate che vi dica una cosa. Il Colonnello Wesemann è a Parigi da poco, ma sono sicuro che lascerà un'impronta e un segno d'onore per la sua nazione. Era Moritz Fritsch a parlare, un ufficiale della Gestapo famoso per i modi innovativi di tortura delle sue vittime.
C'era qualcosa di vagamente raccapricciante nel suo vacuo e ampio sorriso.
Ti ringrazio molto, Moritz. Rispose educatamente Wesemann. 
All'improvviso sentirono bussare alla porta. 
Avanti! Urlò Wolfgang alzandosi. 
Si trovò davanti due ispettori della Gestapo, con la divisa da servizio. Uno di loro aveva un foglio in mano. 
Siete a conoscenza di una certa Emilie Kaltenbatch? 
L'interessata si alzò. Sono io Emilie Kaltenbatch.
Aveva un sorriso lieve sulle labbra, ma guardava i due con espressione concentrata. 
Abbiamo il dovere di comunicarla che un qualche infiltrato ha ucciso l'intera famiglia, in vostra assenza. Sono stati rilevati i cadaveri esattamente quest'oggi. I defunti sono Christoph Kaltenbatch, Johanna Kaltenbatch, Leon Kaltenbatch il primogenito e Christiane Katlenbatch la terzogenita. 
A quell'affermazione il silenzio prese a regnare e per la seconda volta Emilie Kaltenbatch fu protagonista. 
Si guardò intorno, un tremito iniziare del labbro, gli occhi offuscati. 
Siete sicuri che... Ma come è successo? Domandò, con l'aria di chi sta mostrando una grande forza d'animo. 
Strinse la gonna del vestito tra le mani, in uno scatto di rabbia. 
Ma come! Come! Com'è potuto accadere! Dio, abbi pietà di me! 
Emilie cadde a terra, come un fantoccio senza vita. 
Qual è il motivo di tale odio nei confronti della mia famiglia? Quale?! Chi osa un così ignobile atto? Urlò, tra le lacrime. 
Ester guardò il marito, in preda all'angoscia. 
Cugina mia adorata, sono con te con tutta la mia anima! Disse con passione e le guance arrossate inginocchiandosi accanto a lei, unendo le sue lacrime alle sue e baciandola sulla guancia con affetto. 
Hans sentì l'impulso di fare qualcosa, qualsiasi cosa che gli facesse acquistare una posizione, ma al contempo sentiva la nausea davanti a tutta quella dolcezza diabetica. 
Chi i sospettati di questo fatto terribile? Chiese con il tono di voce inflessibile che riservava a chi gli era inferiore di grado e che faceva trasparire ancora di più l'accento berlinese.
Non sappiamo nulla riguardante i possibili sospettati, ma le nostre squadre sono al lavoro per scoprilo al più presto, mein Fuhrer. Rispose uno dei due ufficiali della Gestapo. 
Ist gut. Disse Hans rigidamente. 
Jean aveva ormai rinunciato a una qualsiasi presa di posto mondana e se ne stava in fondo alla stanza aspettando un buon momento per porre le sue condoglianze ad Emilie. 
Ester piangeva a dirotto come se il male fosse direttamente capitato a lei. 
Andarono nella stanza dei coniugi Stradsberg in modo che Emilie potesse riprendersi. 
Che disgrazia, che disgrazia! Balbettavano tutti. 
E Emilie piangeva, e piangeva, nel modo migliore e più carino che le riuscisse. 
Era quasi un corteo funebre quello che scese le scale per tornare alla sala principale in cui si tenevano le danze. 
La musica cessò. 
La notizia si era diffusa con una velocità disarmante passando per labbra in labbra. 
E all'entrata della povera Emilie sorretta da Ester e dal corteo che le stava dietro la stanza si riempì di voci in un suono comune, disumanizzante. 
Heil Hitler! Heil Hitler! 
Anche Emilie si sforzò di ricambiare il saluto nazista che ormai tutta la sala le rivolgeva. 
E ogni tanto faceva in modo che il suo sguardo incrociasse quello di Jean, come se in lui cercasse qualcosa. Qualcosa che la discostasse dal fatto che ora era un'eroina e che la stavano salutando come tale. 
  Hans Wesemann la colse come un'occasione. 
L'insulto alla famiglia Kaltenbatch è un'insulto allo stesso Reich! E per la gloria di esso dobbiamo ritenerci indignati come se la famiglia deturpata fosse la stessa di ognuna di noi.
I volti delle persone mutavano alle parole di Wesemann. Le sue parole facevano mutare le espressioni degli ascoltatori al variare del tono e dei segni percettibili. 
Anche Wolfgang si pronunciò per rappresentare il suo rammarico per la perdita dei Kaltenbatch. 
Ma nel momento in cui Emilie svenne tra le lacrime e i singhiozzi, sgretolò ogni tentativo da parte degli altri di sottrarle la scena. 
C'erano persone che adesso avevano le lacrime agli occhi e tutti accorrevano a lei. 
Povera, ragazza! Dicevano le mille voci nella stanza. 
Si rianimerà? Oh, povera la mia cugina adorata! Chiamate un medico! Urlava Ester piroettando nel suo vestito rosa tutto svolazzante in preda ad una crisi isterica. 
Chiamate un medico, per Dio! Esclamò Herr Stradsberg dinanzi le pressioni della moglie. 
E al centro di tutto, posto sul pavimenti lucidi, sotto i soffitti dorati posava il corpo splendido di Emilie Kaltenbatch, con il viso incorniciato dagli splendidi e lucidi capelli castani.  
Il mondo roteava, ma lei era lì e le urla di Ester, gli ordini ferrei di Wesemann e gli interventi di altri rappresentati nazisti, non avrebbero mai potuto cancellare la sua presenza.  
Il giorno dopo, i giornali nazisti distribuiti in gran parte dell'Europa avrebbero parlato di lei, dell'affare Kaltenbatch, la famiglia deturpata dalla minaccia ebrea. 
Se Emilie Kaltenbatch non si fosse impegnata per dare una soddisfacente messa in scena della perdita dei sensi avrebbe potuto godersi la gloria del momento. Una gloria che poteva dare solo la morte stessa, ma non era detto che dovesse essere per forza la sua.

 
 
Angolo Autrice:

Ehilà! In questo capitolo si è svelata una parte importantissima della personalità di Emilie. Ovvero questo alone di mistero legato alla morte della sua famiglia e che verrà in parte svelato nel prossimo capitolo. Come avete visto il buon vecchio Wesemann sta prendendo posizione e sì, il ballo era solamente per torturare Emilie.
Devo confessare una cosa, prima di ritirarmi nel mio angolino, e cioè che per qualche istante ho shippato Emilie/Hans. Lo so, sono pazza perché sono io la scrittrice e shippo coppie che non sono canon in una mia stessa storia, but it doesn't even matter if I'm crazy, don't it?
E vabbe' i miei deliri finiscono qui, vi lascio. AHAHAHA. *^*
Auf Wiedersehen,

Marlene
   
 
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