21 – Quanto costa la libertà?
Scusatemi l’enorme
ritardo, ma ecco il capitolo.
Spero vi
piaccia. Forse vi sorprenderà un po’… o forse no.
Critiche e
commenti, perplessità legittime, saranno sempre bene accetti.
Buona
lettura.
***********
Sull’onda dell’entusiasmo
iniziale, le parole di Lisette mi avevano abbagliato, quasi accecando la mia
ragione. La prospettiva del divorzio da mio marito, mai mi era sembrata così
vicina.
Non l’avevo mai valutata, né
presa in considerazione sul serio ed ero sempre stata convinta che fosse remota
e inattuabile, e ora Lisette mi prospettava la libertà senza lo scandalo, al
prezzo di un semplice compromesso con Leopold.
Sembrava così facile.
Ma non lo era.
Nulla è mai facile, in verità.
Nessuna nostra scelta fatta con
responsabilità e consapevolezza lo è davvero. E ogni idea, ogni desiderio, ogni
immagine frutto della nostra mente si sviluppa nel travaglio interiore, nel
conflitto tra quello che vuoi, puoi avere e ciò che devi perdere.
A mente fredda, potevo vedere e valutare la proposta per
quello che era. Lo scandalo sarebbe stato il prezzo da pagare per avere la
libertà. Neppure un divorzio segreto poteva essere nascosto a lungo, e presto o
tardi, la verità con le sue conseguenze mi avrebbe investita e danneggiata.
Ma di fronte a quel miraggio il mio cuore tremava, e
forse, Lisette contava proprio su questo. Con quanta facilità aveva compreso il
disagio della mia condizione di moglie infelice, sfociata nella passione
proibita e ribelle per André.
È sempre un errore sottovalutare l’ intuito femminile,
anche quello di una donna come Lisette, dall’apparenza innocua e anonima.
Le era bastato vederci parlare per caso sul balcone di
casa mia. Con astuzia insospettabile, aveva colto la tensione fra me e Oscar e
l’aveva attribuita al comune sentimento che ci legava a lui.
Dunque, poteva essere così palese a chiunque, tranne che a
noi?
Solo pensarlo era pericoloso.
Una brezza leggera accarezzava i fili d’erba della radura,
e faceva vibrare le foglie degli alberi. Lisette era ancora seduta di fronte a
me e mi osservava nell’attesa di una mia reazione. Non so se fu esattamente
quella che lei si aspettava.
“Voi mi prospettate qualcosa che è solo apparentemente
semplice. Un divorzio privo di scandalo non esiste; non è una prassi comune,
sono certa che lo sapete benissimo; anche fatto in comune accordo, è sempre un
problema spinoso. Nella mia posizione ne sarei danneggiata, molto più di
Leopold. Anche volendo mantenere il segreto, non resterebbe tale a lungo.
Quindi, per quanto io possa desiderare la libertà da un vincolo nuziale che mi
soffoca, è una prospettiva davvero poco concreta e attuabile.”
“Allora, forse mi sono sbagliata, e voi non siete
abbastanza innamorata per rischiare; pensavo foste diversa, pronta a mutare
radicalmente la vostra vita, ma forse non volete altro che un amante
occasionale giovane e compiacente che scaldi il vostro letto…”
“Siete impudente! Voi peccate di presunzione, madame! Che
ne sapete? Pretendete di conoscere i moti del mio cuore, ma non sapete nulla di
ciò che voglio io…” sibilai, assottigliando lo sguardo.
“No, sbagliate. La mia non è presunzione, ma esperienza,
vita vissuta; voi siete una donna che desidera l’amore, la passione che
travolge. E volete disperatamente essere travolta, sentirvi viva. Il giovane
attendente, figlio del popolo vi fa sentire così. Questo significa conflitto
aperto con vostra sorella, anche se la cosa vi spaventa e vi inorridisce.
Dovete riflettere sulla mia proposta. Forse vi serve tempo per capire…”
A quel punto, Lisette si alzò dalla panca per allontanarsi
verso la sua carrozza ferma all’estremità opposta della radura. Fece qualche
passo lungo il sentiero da cui eravamo venute, poi la fermai.
“Credete che basti la vostra buona oratoria per
convincermi, madame?” non mi mossi, mentre lei si voltava a guardarmi.
“Basta un sasso lanciato in uno stagno a creare cerchi
concentrici; non intendo forzarvi, l’ultima parola spetta a voi. Non ho altro
da dirvi, contessa.”
Quindi mi salutò con un lieve cenno del capo, prima di
andarsene.
Così si concluse quell’incontro.
All’apparenza fu inconcludente, ma rappresentò solo
l’inizio di qualcosa di più grande.
Lungo il tragitto che mi riportò a Parigi, non scambiai
una parola con nessuno. Incrociai una rapida occhiata con Oscar prima della
partenza e lessi perplessità e nervosismo nel suo sguardo celeste, troppo
uguale al mio. Ero certa che fosse ansiosa di sapere e sospettavo che il suo
sesto senso la stesse mettendo in guardia. Le avevo detto che l’avrei messa al
corrente di tutto, ma non ero più sicura di volerlo fare, né se in quel momento
fosse lecito farlo.
Andrè faceva finta di nulla, ma i suoi occhi foschi e
mutevoli tradivano lo stato d’animo che sicuramente provava. Anche lui aveva le
sue paure e i suoi segreti da nascondere.
Nei giorni seguenti, pensai e ripensai mille volte alla
proposta audace di Lisette.
All’inizio, erano pensieri sconnessi, ma diventavano via
via sempre più chiari e lucidi. Pensai a tutto quello che sarebbe potuto
accadere in futuro nelle nostre vite, se avessi divorziato da mio marito;
naturalmente mi aspettavo le opposizioni di Leopold, sempre preoccupato per la
forma, ma ero sicura che quella donna lo avesse istruito a dovere.
Immaginavo le critiche, i commenti velenosi in società, le
insinuazioni volgari, le accuse più o meno esplicite.
Mi chiedevo se sarei stata capace di assorbire il colpo e
opporre il mio orgoglio di donna libera alle loro lingue velenose.
Tutte le possibilità buone e cattive, sfilavano in una
lunga teoria di immagini colorate come se potessi vederle e toccarle con mano.
Era la mia vita che avrei voluto cambiare.
Erano vecchie speranze che si ridestavano da un lungo
letargo, fatto di ipocrisia e apparenza.
Non mi illudevo. Sapevo esattamente cosa avrei trovato.
La fatica, le difficoltà.
Il rischio terribile di perdere i miei figli, di vedermeli
sottratti, di farli soffrire a causa della mia folle, egoistica idea di
libertà.
Erano troppo piccoli per comprendere l’infelicità della
loro madre, soprattutto Bastien. Mi aspettavo il dolore, la rabbia e
l’incomprensione.
Forse l’odio.
Il risentimento più feroce e acceso.
E il conflitto più penoso con Oscar.
Sarei corsa tra le braccia di André e le avrei trovate
chiuse per me. E avrei lottato strenuamente per superare le sue difese e fare
breccia nel suo cuore. Mi sarei messa tra lui e Oscar, sarei arrivata allo
scontro e sarebbe stato duro e impietoso. Non avrei avuto alcuna remora.
La tensione sarebbe esplosa, rompendo gli argini.
Tra la paura e l’incertezza che mi assaliva,
all’improvviso capii che era lì che dovevamo arrivare. Per trovare ciò che
volevo, dovevo perdere qualcosa.
Era inevitabile.
Non c’era mai stata un’altra via, e tutto, ogni trucco,
gioco, decisione consapevole o meno, ci aveva portato a questo punto della
storia.
Chissà se avevo mai avuto scelta.
Avevamo tergiversato, nascondendo ciò che volevamo
entrambe, io mascherandomi dietro il mio fasullo matrimonio di facciata, e
Oscar dietro i suoi doveri di soldato, il presunto sentimento per Fersen che
non era mai esistito, dietro la sua amicizia con André, che ormai era diventata
altro, forse era sempre stata altro, anche se lei ancora non lo ammetteva.
Non potevo più perdere tempo.
Non potevo più fingere né mentire, e neppure mia sorella.
Oscar doveva capire, accettare la verità. E affrontarla.
Quella che io non potevo più ignorare, negata fino a quel
momento, taciuta per qualche inutile scrupolo morale. Quella che spaventava – e
non solo me - per le sue implicazioni era una sola e semplice: io e Oscar
eravamo innamorate dello stesso uomo.
Era un sentimento diverso per entrambe, ma certamente
potente.
E assoluto.
Comprenderlo fu una sorta di illuminazione.
Accogliere la verità è un pensiero liberatorio che
attraversa la mente, apre il cuore, riporta aria nei polmoni e fa respirare.
Avevo questa sensazione, mentre una sera uguale a tante,
la mia carrozza correva sulla strada polverosa verso Versailles, per
presenziare com’era d’obbligo all’ennesimo sfarzoso e superfluo, asfissiante
ballo a corte.
Attraverso i pensieri sempre più coerenti iniziavo a
lasciare andare la paura.
Quando dopo soltanto un’ ora, tanto era durata la mia
resistenza al cerimoniale ossequioso delle riverenze, la carrozza varcò le
porte della città, la paura se n’era andata del tutto; mi ero sbarazzata di
ogni cosa, etichetta o costrizione, e ormai mi era chiaro cosa avrei dovuto
fare.
Le conseguenze delle mie azioni future non mi spaventavano
più.
Neppure riuscivo ancora a prevederne la portata.
*********
Alla flebile luce del primo mattino che filtrava tra le
imposte ancora chiuse, Andrè si era svegliato nel suo letto e non l’aveva più
trovata accanto a sé. Allargò le braccia ad accarezzare le lenzuola vuote,
stropicciate e pregne del suo profumo di donna; conservavano ancora il suo
calore e un lungo capello biondo abbandonato sul cuscino testimoniava che
niente di quello che era accaduto quella notte era stato un sogno: la lotta
sensuale, seducente e quasi furiosa di due corpi che si fondono in un amplesso.
L’ inquietudine lo aveva tenuto sveglio, una cosa che
ormai succedeva anche troppo spesso: i sensi all’erta, nel buio e nel silenzio
che pareva surreale, aveva udito un rumore debole, come il tocco leggero di una
carezza sul legno della porta.
Un po’ distratto, era sceso dal letto a piedi nudi.
Ricordava la sensazione dell’aria fredda contro il torace
nudo.
A tentoni nell’oscurità, aveva afferrato la maniglia e
aveva spalancato l’uscio, e neppure lui sapeva bene con quali intenzioni;
magari infilarsi di soppiatto in cucina, e lì, prendersi una solenne sbronza
che lo avrebbe fatto addormentare sul pavimento come un sacco di patate.
Così, in piena notte, alla luce delle candele sul
corridoio se l’era ritrovata davanti; non aveva avuto il tempo di sorprendersi,
protestare, ragionare e sottrarsi all’ assalto, che lei gli era saltata addosso
con furia quasi selvaggia, senza neppure proferir parola.
Rammentava una visione fugace della sua camicia semiaperta
che lasciava indovinare le forme dolci e delicate dei suoi seni. Si era
aggrappata a lui come un serpente mentre le sue labbra bollenti lo inseguivano
e lo catturavano.
Quelle labbra che ormai lui conosceva così bene. Aveva il
gusto e la consistenza nella bocca, la freschezza e il profumo sul palato e
nella memoria.
Era impazzita a contatto con la sua pelle e lui aveva
sentito le sue mani armeggiare con la cinta dei pantaloni. Al buio, di colpo
era impazzito anche lui.
Come tutte le altre volte.
Non tentava neppure di resisterle, era una lotta persa in
partenza.
André aveva sentito le sue unghie nella carne, mentre lo
baciava, affamata di vita, divorata dal desiderio che si scioglieva in umori
umidi e dolci tra le sue dita.
Sapeva cosa voleva. Lo sapeva ogni volta.
L’ aveva afferrata e sollevata per le cosce fresche e
lisce, e l’aveva schiacciata contro la parete con le gambe di Oscar artigliate
attorno ai suoi lombi.
Era leggera, dolce e morbida.
Ed era terribilmente donna, preda del suo delirio che lo
travolgeva come un’ onda impetuosa. Per un attimo gli era sembrata diversa.
La passione la rendeva languida in un modo struggente e
insolito.
Erano finiti sul pavimento, la camicia di Oscar sfilata in
fretta dalla testa, nuda e vogliosa sotto di lui, che non conteneva più la sua
eccitazione, né tentava di trattenersi. Era entrato in lei quasi con urgenza, e
Oscar lo aveva accolto inarcandosi contro il suo corpo, come il mare che si
apre al vento che lo investe. Nell’amplesso, aveva immaginato gli occhi chiusi,
le labbra schiuse in un sospiro silenzioso, lo sguardo appagato, la curva del
collo esposto all’aria e ai suoi baci avidi. La prima volta erano stati un po’
bruschi, ma avevano continuato per il resto della notte prendendosi con
voluttà, senza fretta, prolungando l’estasi per ore.
Tutto senza parlare.
Unici suoni furono i loro sospiri, i gemiti profondi
mischiati ai forti ansiti di piacere anche quando Oscar gli lasciava i segni
delle sue unghie sulle spalle, quasi volesse marcarlo come cosa sua.
Anche ora, sentiva bruciare la pelle della schiena.
Non ricordava esattamente dopo quanto si erano
addormentati.
Ma non avrebbe immaginato di ritrovarsi solo al risveglio.
Non dopo una notte così.
Con la pigra indolenza di un gatto, si alzò dal letto e si
vestì con gesti lenti, ancora sotto l’effetto della notte di passione appena
trascorsa. Come ogni mattina, raggiunse Oscar nel salone padronale, prima di
partire alla volta di Versailles.
La trovò in piedi davanti alla vetrata, inappuntabile e
rigorosa nella sua uniforme scarlatta che scintillava alla luce chiara del
mattino, la spada legata al fianco; sorseggiava una tazza di te fumante e
guardava all’ esterno verso il giardino. Quando sentì i suoi passi, si girò
verso di lui.
Aveva lo sguardo di sempre. Composto, altero e
indecifrabile.
“Oggi torneremo prima dalla reggia. Danielle ci attende a
Parigi, al suo palazzo. Credo che finalmente conosceremo i dettagli
dell’incontro con Madame Marchard.” Si girò e tornò a puntare lo sguardo verso
l’esterno, oltre il vetro.
André non seppe dire perché, ma avvertì un brivido
serpeggiare lungo la sua spina dorsale e un brutto presentimento avvelenò i
suoi pensieri.
*******
Avevo detto a Oscar che dovevo riflettere per qualche
giorno.
Passò una settimana.
Lei si insospettì, e nell’arco di soli quattro giorni, mi
aveva cercata due volte. Infine, ricevetti un ultimo breve messaggio dove mi
annunciava una sua imminente visita a Palazzo Recamier per quel fine settimana,
che fu così decisivo per me. Coincidenze.
La sua impazienza era fin troppo evidente.
Invece non capivo quale fosse la reazione di André.
Comunque, non sarebbe stato un mistero ancora per molto.
Il suo atteggiamento più cauto era normale: aveva molto da
perdere e troppo da guadagnare per esporsi più di quanto fosse necessario,
anche se neppure lui immaginava come stava per evolversi la situazione
paradossale in cui ci trovavamo. In verità, eravamo tutti troppo coinvolti dai
sentimenti, ma poco disposti a rischiare e mettere le carte scoperte sul tavolo
dei giochi.
Ed era quello che io avevo deciso di fare dal preciso
momento in cui avevo capito cosa volevo e cosa ero disposta a fare per
ottenerlo.
Quando verso le sei della sera, il maggiordomo annunciò
l’arrivo di Oscar, emisi un respiro profondo. Chissà se André l’accompagnava;
decisi che in fondo, non aveva importanza.
*****
Nel tardo pomeriggio, cavalcavano verso Parigi, in
silenzio.
Un silenzio pesante e opprimente che in un'altra
circostanza sarebbe scivolato via senza drammi, ma in quel momento André
desiderava interrompere. Neppure a Versailles avevano parlato molto, e solo di
facezie o questioni di servizio.
Oscar, concentrata nelle sue incombenze, aveva dato più
confidenza a Girodelle che a lui per gran parte del tempo trascorso alla reggia.
Non bisognava essere dei geni per capire che la donna era dominata da pensieri
inquieti che non voleva dividere con lui.
André aspettava che succedesse qualcosa, attendeva una
qualche confidenza.
Da giorni.
Ma lei non si sbilanciava mai.
Non si lasciava scappare né una parola, né un accenno
seppur vago alla loro intima situazione. La notte, l’ultima di una bella
serie, era ancora lì fra loro, peccaminosa, calda e vibrante, carica di ricordi
ingombranti e gesti che chiedevano di essere spiegati e compresi.
Un marchio sulla pelle ancora troppo fresco che non
guariva e si rinnovava.
Lui decise che quella cosa tra loro sarebbe dovuta evolvere.
Dovevano chiarirsi.
In qualche modo.
Così, sputò la domanda come se fosse veleno.
“Perché sei venuta da me, stanotte?”
La voce limpida e netta, non lasciava adito a mezze
impressioni, o fraintendimenti sul significato di ciò che chiedeva.
Nell’immediato, non ricevette risposta, ma ebbe
l’impressione che lei si irrigidisse in groppa al suo cavallo. Seguì un
silenzio ostinato, quasi ostile, che avrebbe scoraggiato chiunque altro al suo
posto, ma non lui.
Non gliela avrebbe data vinta.
-
Parlerai stavolta. Volente o no, a costo di
strapparti le parole a forza, pensò.
“Perché continui a cercarmi? Succede quasi ogni notte,
ormai… e tu non parli. Al mattino sparisci. E io penso sempre che resterai,
prima o poi. E non resti, mai. Te ne vai come un ladro che si prende un pezzo
di me… Comincio a essere stanco, Oscar. Stanco di essere trattato come un
trastullo, soprattutto da te.”
Capì dalla sua reazione che l’aveva punta sul vivo. Sentì
il nitrito permaloso di Caesar. Oscar aveva tirato con forza le redini e
costretto il cavallo a fermarsi bruscamente sul ciglio della strada. Il cielo
sopra di loro si tingeva dei colori cupi del crepuscolo e il paesaggio attorno
andava sfumando in tonalità indistinte.
Aveva incrociato i suoi occhi celesti e aveva sostenuto il
suo sguardo fisso, che lo scrutava come se potesse trapassarlo.
“Cosa vuoi sentirti dire, André? Che sono innamorata di
te?”
Non sapeva se era sarcasmo o pena quello che colse nella
vibrazione della voce.
“Per ora mi accontenterei della verità, Oscar. Perché non
so più che cosa siamo. E non so come chiamare quello che c’è tra noi. O meglio,
non so come lo chiami tu. Siamo amici che ogni tanto fanno sesso? Abbastanza
spesso, a dire il vero. Hai deciso di consolarti con me, perché non hai potuto
avere Fersen?”
“Che c’entra Fersen, adesso? – Esclamò infastidita, prima
di proseguire quasi con distacco. - E sì, forse siamo amici che fanno sesso;
non dirmi che ti scandalizzi per così poco, André… Comunque, non mi pare che la
cosa ti dispiaccia, anzi… sei sempre molto compiacente…” e l’ultima frase, le
uscì decisamente ironica e oltremodo provocatoria.
Andrè decise di stare alla provocazione.
“Oh, non fraintendermi, è un gran piacere anche per me.
Secondo te, non ho qualche diritto anch’io? Se volessi qualcosa in più di
qualche incontro rubato nella notte? Deve starmi bene così, perché lo hai
deciso tu?”
“Io non ho deciso nulla. È successo, e basta. E tu non hai
fatto niente per impedirlo.”
“Neppure tu, mi sembra stai facendo molto.”
“Oh, vuoi dirmi tu, cosa devo fare? Come pensi possa
finire, André? Hai fatto qualche progetto su di me? Reclami qualche diritto?
Vuoi che lascio il mio incarico e l’uniforme, la vita che ho sempre condotto, e
scappiamo insieme da qualche parte, a vivere come una coppia felice? Vuoi che
viva come una donna normale, e che ti sposi?”
L'ironia amara della frase non
lasciava margine a libere interpretazioni. André con sofferenza ne colse il
pieno significato e rispose con altrettanta amarezza.
“Io non voglio niente, Oscar. Non pretendo niente. Cosa
potrei volere? Solo un po’ d’amore ricambiato, il rispetto dei miei sentimenti.
– Parlò con evidente rassegnazione, prima di stirare le labbra in una piega
cinica e beffarda. - Scusa se ho dimenticato che sono soltanto un servo, ma
pensavo che tra noi potesse esserci qualcosa di più di una torbida relazione
clandestina. Non voglio certo sconvolgere la tua vita. A questo punto, se sei
d’accordo, credo sia meglio dimenticare tutto quello che è successo, anzi far
finta che non sia mai accaduto… chiudiamola qui. Quella di ieri è stata la
nostra ultima notte insieme, Oscar. - Prima di proseguire, abbassò lo sguardo e
complice la luce fioca dell’ora, non si accorse che lei aveva gli occhi
sbarrati, dilatati come se avesse paura. - Devo ammetterlo: a volte sono
proprio uno stupido illuso…”
Seguì un silenzio che tagliò il cuore di Oscar come se una
lama di ghiaccio lo avesse attraversato.
“Sarà meglio non far attendere oltre Danielle…” Continuò
Andrè, seguirono due colpi di tallone nei fianchi del cavallo e l’uomo ripartì
al galoppo lasciandola indietro. Lei restò lì, ferma e immobile, inchiodata da
un dolore sordo che le scendeva sull’anima. Lo guardò allontanarsi con la
sensazione spaventosa di non poterlo più raggiungere.
******
Mi bastò incrociare i miei occhi con lo sguardo inquieto
di Oscar, per capire che qualcosa non andava. Guardai André e anche lui aveva
una faccia scura.
Oscar sembrava sul punto di piangere, o forse, chissà,
aveva già pianto prima di raggiungere Palazzo Recamier.
Non erano i presupposti migliori per iniziare il discorso
che volevo affrontare. Ma nulla è mai facile. Dovevo tenerlo a mente.
Soprattutto in quel momento.
Improvvisamente ricordai che erano amanti; ecco la lotta
che mi aspettava, il motivo della tensione fra loro, che io conoscevo bene, perché
André, in un momento di fragilità, si era confidato con me.
Quello che stavo per dire e fare, avrebbe travolto tutti
noi, ferendoci in maniera drammatica, ma eravamo a un punto di non ritorno.
Io forse, più di chiunque altro.
Non potevo più lasciare che la mia vita scorresse in una
direzione che non volevo. Non potevo più accettare compromessi, finzioni.
Dovevo prendere in mano la mia esistenza e guidarla
sull’unica strada che poteva portarmi alla felicità tanto anelata. Non potevo
più soffocare il mio cuore e le sue esigenze, o sarei morta nell’animo. La mia
unica certezza in quel momento, era che non volevo più essere legata al mio
consorte fedifrago.
Ci accomodammo nel mio salottino privato e ordinai a
Ninette di servire il tè.
“Io vorrei qualcosa di più forte. Del Cognac, per favore.
”
Chiese Oscar in modo un po’ brusco. Non volle sedersi,
restò in piedi con un gomito appoggiato alla cornice di marmo rosa antico del
caminetto, una gamba incrociata sull’altra, la mano destra distesa lungo la
coscia.
Mi sembrava di percepire la tensione che le irrigidiva le
spalle, e notai che rifuggiva lo sguardo di André, che con strana calma,
accettò il mio invito a sedersi in poltrona, lontano dalla sua padrona, quasi a
voler rimarcare una distanza che si era creata tra loro. Stavo per trasformare
quella distanza in una vera e propria frattura dolorosa, e forse insanabile.
Ninette entrò col vassoio del tè e lo posò sul tavolo di
fronte a noi, tra un tintinnare di porcellane di Sevres, poi servì il Cognac
per mia sorella da una bottiglia cesellata.
“Allora, sono ansiosa di conoscere i dettagli della
questione, Danielle.”
Disse noncurante, facendo roteare il liquore nell’ampio
bicchiere di cristallo, prima di portarselo alle labbra.
Arrivai dritta al punto. Meglio togliere in fretta il
dente che fa male.
“Beh, a dispetto di tutte le congetture, Lisette mi ha
suggerito di chiedere il divorzio, in cambio del nome per sua nipote; nessun
ricatto, dunque. Potrei obbligare Leopold al silenzio, mantenere tutti i miei
privilegi a vantaggio dei miei figli, evitando lo scandalo di essere
considerata una moglie ripudiata.”
Oscar si bloccò con il bicchiere a mezz’aria. André rimase
interdetto per un secondo, poi assunse un’espressione neutra e incolore.
Oscar continuò ad ascoltarmi a bocca aperta.
“La mia primissima reazione, naturalmente è stata di
perplessità, ma ho avuto modo di riflettere molto a lungo… - per prendere tempo
sorseggiai il tè. – E sono giunta all’incredibile conclusione che è - esattamente - quello - che voglio.”
Lo dissi con la massima convinzione, scandendo lentamente
le ultime parole, enfatizzandole una per una, mentre posavo la mia tazza sul
tavolo di fronte a me, ma la mia estrema calma e lucidità non bastò a
convincere Oscar che quella fosse la soluzione più saggia e indolore.
E sapevo in fondo, che aveva ragione di dubitare.
Ma oramai, a me non importava più.
Volevo la mia libertà, e la volevo a qualsiasi costo.
E Oscar intuì che dietro alla mia remissione c’era ben
altro.
“Ma come puoi pensare di… Perché dovresti divorziare? Il
legame con Leopold non è mai stato un problema per te, e di certo non ti sei
mai negata nessuna libertà. Perché proprio ora?”
“Ho capito che non posso continuare a vivere in questo
modo. Non potrei sopportarlo oltre…”
Oscar tentò di indurmi al ragionamento.
“Ma Danielle… Che cosa ti ha messo in testa quella donna? Divorzio
senza lo scandalo? È una cosa assurda. Non puoi credere davvero a una cosa
simile! Hai pensato ai tuoi figli? Al tuo nome e a quello dei Jarhayes?”
“I miei figli resteranno sempre i miei figli e forse un
giorno capiranno le mie motivazioni. Non mi costa nulla concedere il nome a
quella bambina, e se devo affrontare uno scandalo per avere in cambio un po’ di
felicità nella mia vita, è un prezzo che sono disposta a pagare anche mille
volte. Non mi importa.”
“Ma che diavolo ti è successo?” Mi chiese Oscar, sempre
più smarrita.
“Io mi sono innamorata! Totalmente e profondamente. Questo
mi pone di fronte ad una scelta che ho rimandato troppo a lungo. Tu non puoi
capire Oscar, cosa possa rappresentare un matrimonio imposto. Tu sei sempre
stata libera! Non posso e non voglio più essere la moglie di Leopold di
Recamier. Questa è la pura e semplice verità. Un matrimonio senza amore non mi
darà mai la felicità, qualcosa che sto inseguendo da troppo tempo, che spesso
ho cercato dove non poteva esistere. Ora so che solo accanto all’uomo che amo
potrei essere finalmente felice. E io voglio stare con quell’uomo.”
Insistei semplicemente senza troppa enfasi, quasi
sussurrando le ultime parole.
André era rimasto in silenzio ad ascoltare fino a quel
momento, ma adesso si era alzato in piedi e tese una mano verso di me, in un
gesto che voleva indurmi a tacere.
“Danielle, ti prego… non aggiungere altro.”
Fu un sussurro eppure colsi la nota di supplica nella sua
voce.
Oscar guardò prima lui, poi me con lo sguardo più stranito
e confuso che le avessi mai visto. Reggeva ancora il suo bicchiere di Cognac in
mano, ma non lo aveva più avvicinato alle labbra, quasi lo avesse scordato, né
aveva più quell’espressione noncurante di poc’ anzi.
“Che cosa significa?”
Domandò, e visto che non risposi subito, mi incalzò
perentoria.
“Danielle, chi è quest’uomo di cui parli?”
Si era mossa di un passo allontanandosi dalla cornice del
caminetto. Io continuai a non rispondere, mi alzai e mi avvicinai di più ad
André, che era rimasto fermo e immobile, ma il suo sguardo malinconico seguiva
il mio con apprensione ed emozione.
Oscar ci osservò per qualche breve secondo.
Potevo sentire il suo sguardo addosso. Immaginavo il suo
cuore galoppare nel suo petto e anche il mio stava scalpitando furioso.
Le stavo dando modo di capire; la verità le esplose
davanti, quando sfiorai la mano di André intrecciando le mie dita con le sue.
Lui non respinse la mia carezza, ma accolse la mia piccola mano nella sua, con
uno strano senso di resa.
Nello stesso istante sentii il cristallo infrangersi sul
pavimento della stanza ed ebbi la terribile sensazione che le schegge dei vetri
si sparpagliassero nei nostri cuori.
Continua…
Lo so, sono imperdonabile.
Ma ormai ho rinunciato ad aggiornamenti veloci,
sono per me impossibili.
Questa storia è troppo difficoltosa e il suo
sviluppo mi richiede maggior tempo del previsto. Se tentassi di velocizzare la
cosa verrebbe fuori un mezzo disastro. Penso che siamo arrivati davvero al
punto cruciale, e credo che i giochi siano finiti. Spero che abbiate ancora
voglia di seguirmi.
Grazie sempre per tutto il sostegno, per me
significa molto.
Un saluto.
Ninfea