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Autore: LyraWinter    14/01/2014    4 recensioni
Brady mosse qualche passo verso di lei, incerto se compiere quel gesto un tempo così ordinario, ma che ora gli pesava più che la stessa lontananza e totale indifferenza che si erano mostrati l’un l’altra in quegli ultimi anni. Poi, con un inaspettato slancio di coraggio, tese le braccia per stringerla, in un gesto che sembrava volerle dirle -tregua-.
Fu in quel momento che Annie la vide: impercettibile, sottile, quasi invisibile, una fascetta dorata brillava sull’anulare sinistro del suo migliore amico d’infanzia. E allora capì che sì, forse erano i grandi beni che provocavano grandi mali, ma che quelli piccoli, provocavano disastri. E che niente, a Province Town, sarebbe più potuto essere come lo ricordava.
[STORIA SOSPESA MOMENTANEAMENTE PERCHé IN CORSO DI REVISIONE-RIVOLUZIONE]
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Non lasciarmi'
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8

Don't you give up on me

Canzone del capitolo




 

Dalla fine di settembre, con l'arrivo dei primi freddi e delle piogge autunnali che raffreddavano le giornate, Province Town tornava alla tranquillità.

 

Giorno dopo giorno gli alberghi si svuotavano, i tavoli occupati ai ristoranti divenivano sempre meno e, piano piano, sparivano dai cigli delle stradine lastricate, che si facevano deserte e silenziose. L'aria si faceva frizzante e tagliente, mentre il vento che increspava le acque dell'oceano rimaneva spesso il solo rumore a riecheggiare fra le case. Per strada si cominciava a percepire il profumo delle stufe a legna che gli abitanti accendevano per combattere l'umidità che s'insinuava nelle abitazioni, rendendole inospitali e fredde.

 

Nonostante la scuola di vela dei Sanders avesse chiuso i battenti da circa due mesi, alla fine di novembre Neil non si era ancora deciso a riporre le ultime cose. Ogni anno terminava la stagione augurandosi di non dover più riaprire l'attività l'anno seguente, ma non poteva fare a meno di farsi pervadere da una malinconia pungente al solo pensiero di dover lasciare quel posto nelle mani di uno sconosciuto.

 

Era spuntato il sole, la mattina del Ringraziamento di quell'anno  e aveva portato con sé un tepore rassicurante, una piccola concessione prima della bufera di neve prevista per la notte, che aveva spinto l'uomo a recarsi sul luogo per concludere definitivamente le operazioni di chiusura della scuola. Kenneth Morgan, lasciata la figlia Abbey a occuparsi degli unici clienti che avrebbero trascorso il lungo week end a Cape Cod, lo aveva raggiunto per aiutarlo.

 

-A un altro anno che si chiude definitivamente.

 

Neil si pulì le mani umide e sporche di sabbia sui jeans, chiudendosi alle spalle la porta del prefabbricato che ospitava la segreteria della scuola e afferrando la bottiglia di Corona che Kenneth gli offriva. L'alzò impercettibilmente in sua direzione poi, dopo un lungo sorso, prese posto accanto a lui sull'ultimo gradino antistante l'entrata.

 

-Bere birra prima di pranzo non ci farà andare molto lontano, lo sai? Cominciamo ad avere una certa età...

 

-Appunto. Se non ci rovina il fegato l'alcol, lo faranno gli acciacchi della vecchiaia. Bevi che una giornata del genere non ci ricapiterà  per un po’.

 

Neil sorrise, rigirando pensieroso la bottiglia fra le mani.

 

-Ogni anno, quando chiudo definitivamente questa porta, mi domando se sarà l'ultima volta che lo faccio da proprietario dell'intera baracca.

 

-Questo posto non sarebbe mai lo stesso senza di te…-cominciò Kenneth, ma Neil lo interruppe prima che riuscisse a proseguire.

 

-Non sarei lo stesso nemmeno io, se é per questo. Ma sono stanco, Ken, e la schiena comincia a darmi seri problemi. Sai bene che se fosse per me non lo venderei, ma so che i desideri di Brady sono altri.

-Sei ancora preoccupato per lui? Mi sembra che le cose con Hailey si stiano lentamente aggiustando, da quando…

 

-Da quando?- lo fermò Neil. -Da quando tua figlia si é trasferita a New York con Landon Campbell? Io lo chiamerei istinto di sopravvivenza…

 

Kenneth tacque, colpito dalla durezza del tono dell'amico.

 

-Scusa. Non volevo essere inopportuno. In fondo é colpa mia se i nostri figli si trovano in questa situazione. Se avessi impedito a Brady di rientrare a Province Town dopo il mio infortunio, forse lui non avrebbe commesso l'errore di sposare Hailey e magari avrebbe trovato il coraggio di raggiungere Annie, un giorno.

 

Teneva lo sguardo fisso sulle acque piatte dinnanzi a sé, cercando conforto nel loro quieto movimento. Era sempre stato la sua vita, l'oceano: da ragazzo erano più le ore che trascorreva in acqua che quelle con i piedi a terra, fermamente convinto di trovarsi più a suo agio fra le onde che fra la gente. Aveva votato la sua esistenza alla navigazione, ne aveva fatto la sua ragione di vita, sino a che non era arrivata sua moglie e con lei prima Brady e poi le gemelle, Marika e Scarlett. Quando sua moglie era morta, vi aveva trovato una ragione per tirare avanti, nonostante tutto, oltre che a uno stimolo per tornare a vivere. Ma sapeva che così non era per Brady: era fatto per le grandi cose, suo figlio. Era nato per sfidare il cielo con le costruzioni, per spaziare con la fantasia nelle grandi città, là dove non sembravano esistere limiti alla grandiosità dell'immaginazione dell'uomo, non per vivere costretto fra le piccole case e i cottage di Cape Cod, fra i quali, al contrario, lui trovava sicurezza. Pensava che dopo tutto quello che aveva passato, suo figlio si meritasse di percorrere fino in fondo la strada lungo la quale aveva sudato negli anni precedenti, di allontanarsi da quella cittadina che lo stava soffocando, giorno dopo giorno; eppure, più tentava di trovare una soluzione per aiutarlo e scuoterlo, più si sentiva intrappolato in un vicolo cieco, dal quale non riusciva ad uscire, rodendosi nel rimorso e nel senso di impotenza.

 

D'improvviso, Kenneth interruppe il flusso dei suoi pensieri, facendolo sussultare.

 

-Credi davvero che Brady abbia sposato Hailey solo per dare un senso al suo ritorno a Cape Cod?

 

Neil sospirò profondamente, soppesando la portata di quello che stava per dire. A lungo si era tenuto dentro quel piccolo segreto, senza trovare il coraggio di rivelarlo a nessuno, ma forse era giunto il momento di liberarsi del peso che gli sporcava la coscienza.

 

-Ken, c'é una cosa che non sai. Quando ho avuto l'incidente, Brady si trovava a Londra.

 

L'amico si voltò di scatto, fissandolo con aria sgomenta.

 

-Me lo ha confessato Marika, poco tempo fa. Brady le aveva fatto giurare di non dirlo a nessuno, forse per paura che Hailey lo venisse a scoprire e si sentisse in qualche modo tradita. Dopo il diploma, lui e alcuni suoi compagni erano partiti per l'Europa. A quanto ne sapevamo noi, l'Inghilterra non era una tappa prevista, ma quando si é trovato lì, evidentemente, ha pensato che fosse l'ora di fare una deviazione e tornare a cercare Annie. Era arrivato da poco quando ha ricevuto la chiamata che lo avvertiva che ero stato coinvolto in un grave incidente e rischiavo la paralisi.

 

-Annie era fidanzata in quel periodo…- rifletté Kenneth a mezza voce. Per tutta risposta, Neil scoppiò in una lunga risata amara.

 

-Brady é sempre stato fidanzato con qualcuna, ma questo non mi sembra che questo abbia mai avuto una grande importanza. Tutti da queste parti possono affermare con certezza che non esiste Brady senza Annie, né Annie senza Brady.

 

-Pensi che ci sia stato mai qualcosa di concreto fra di loro?

 

-No. E penso che sia proprio questo il punto spinoso della questione.

 

Kenneth non rispose. Abbassò la testa, socchiudendo gli occhi, sentendosi stanco ed esausto d'improvviso.

 

-Sono un po' preoccupato per lei,- ammise infine d'un fiato.

 

-Benvenuto nel club, amico. Cominciavo a pensare che i tuoi figli fossero strani alieni sempre in grado di fare la cosa giusta al momento giusto.

 

Kenneth fece un sorriso tirato.

 

-Ho l'impressione che stia solo scappando, per l'ennesima volta, da qualcosa che ha paura di non riuscire ad affrontare. Dopo il liceo scappa a Londra, si ricostruisce una vita, una casa, una cerchia di amici che le ridanno la sicurezza e la tranquillità che aveva qui. Poi Ethan le ha chiesto qualcosa di più e lei ha lasciato andare tutto. É tornata qui convinta di trovare serenità e protezione nelle vecchie dinamiche che regolavano la sua adolescenza, ma ha ovviamente scoperto che negli anni i problemi non si erano risolti da soli, ma erano rimasti ad attenderla pazientemente. E ora scappa a New York. Quanto ci metterà a trovare anche lì qualcosa che la terrorizza e a scappare di nuovo?

 

-Ken, arriva un momento in cui non puoi più fare nulla per loro se non stargli vicino sperando che non si spezzino l'osso del collo- obiettò Neil tentando di farlo ragionare.

 

-A volte penso che se potessi prendere io le decisioni per lei, sarebbe tutto più semplice.

 

-Ma non lo faresti mai,- obiettò Neil. -Perché Annie é un'adulta, ha la sua vita ed é in pieno diritto, e dovere, di sbagliare. E poi non é nel tuo carattere.

 

-Già.

 

Kennet terminò con un solo sorso la sua birra. Sembrò sul punto di aggiungere qualcosa, ma poi, voltatosi, tutto ciò che riuscì a dire fu: -A casa mi attendono un adolescente in piena crisi amorosa e una ragazzina troppo sveglia per la sua età che stasera dopo la cena del Ringraziamento, vuole andare a Barnstable in macchina con il figlio degli Allen. Non credo di riuscire ad affrontare anche loro adesso, ci facciamo un altro giro?

 

-Certamente. Andiamo al Blue Fish? Il vecchio Bill secondo me oggi si sente solo, a scolarsi whiskey mentre tutti sono impegnati a preparare il tacchino ripieno- rispose Neil stringendogli il braccio con fare fraterno, nella speranza che quel semplice gesto riuscisse a tranquillizzare l'amico più di quanto avrebbero potuto fare mille parole. Vedrai che tutto andrà bene, alla fine. Sono dei bravi ragazzi, se la caveranno, in un modo o nell'altro, con o senza il nostro aiuto. É inutile affannarsi, desiderava comunicargli. Kenneth si sforzò di sorridergli di rimando, sentendo l'angoscia che lo aveva pervaso, svanire lentamente. Poi, aiutatolo ad alzarsi, si scrollò i pantaloni dalla sabbia e si avviò senza parlare verso il paese: qualunque dubbio lo rodesse, si disse, poteva aspettare qualche ora.

 

 

***

 

La mattina del Ringraziamento, Scott fu svegliato di soprassalto dal campanello di casa che suonava ripetutamente, trapanandogli i timpani.

 

Stropicciò gli occhi con aria smarrita, rendendosi conto d'improvviso che stava tremando di freddo. Aveva le gambe completamente intirizzite, tanto che faceva fatica ad avvertire la presenza del piede sinistro, che penzolava  inerme dal letto. Ad essere precisi, non era l'unica parte del corpo a trovarsi eccessivamente a destra del grande letto in legno chiaro: quando si fu destato completamente, notò infatti che si trovava interamente sdraiato sul bordo del materasso e quello sbagliato, per giunta. Spostò lo sguardo, sbuffando qualcosa a metà fra il divertito e lo scocciato: al centro, a pancia in giù e con la braccia distese che occupavano l'intero lato corto del letto, Nicole dormiva placidamente, con una mascherina sugli occhi, sotto alla pesante trapunta bianca, la stessa che, con la sua assenza, aveva causato l'assideramento di gran parte del corpo di lui.

 

Preso possesso della coperta, stava riconquistando a fatica un centimetro quadrato di letto quando una seconda, violenta, scampanellata lo costrinse a sedersi sul letto, per fare mente locale. Una sola era la persona al mondo capace di mostrare tale tenacia agli orari più impensabili del giorno e della notte. Ma, pensò con un sospiro di sollievo, era la stessa che stava dormendo placidamente al suo fianco, come se quel frastuono non la turbasse minimamente. A un più attento esame, Scott notò due piccoli tappi che spuntavano dalle orecchie. Scosse la testa sconsolato e si obbligò a tornare a dormire, pensando che fosse un gruppo di ragazzini sfaccendati che aveva voglia di divertirsi con scherzi stupidi. Stava quasi per riappisolarsi quando, in uno sprazzo di lucidità,  realizzò che vi era un'altra persona che avrebbe potuto competere con Nicole in quanto a tenacia e tempismo.

 

-Nicole muoviti, c'é mia madre!- urlò lanciando per aria le coperte e scuotendola lievemente per svegliarla. Tuttavia, la sola reazione che ciò che riuscì ad ottenere dalla ragazza fu un pugno in pieno stomaco che gli mozzò il fiato.

 

-Nicole!- gridò ancora più forte, mentre tendeva le orecchie terrorizzato alla porta di casa che si stava lentamente aprendo. Quando e perché, esattamente, aveva avuto la brillante idea di consegnare una copia delle chiavi di casa a sua madre?

 

La ragazza lo fissò perplessa poi, senza profferire parola, sparì dietro la porta del bagno, tanto che Scott non riuscì a capire se avesse realizzato o meno che un inopportuno ospite si era appena materializzato nel salotto di casa.

 

-Scotty? Pulcino? Sei sveglio?

 

Il ragazzo lanciò un ultimo sguardo preoccupato in direzione del bagno, poi si tuffò sotto le coperte, fingendo di dormire. Alla lunga, quella storia, lo stava sfiancando. Erano mesi che Nicole faceva in modo di tornare a Cape Cod nei weekend, con la scusa di consultarsi con la famiglia per i preparativi delle nozze. La realtà non avrebbe potuto essere più diversa: per la madre averla a casa sembrava un miracolo, dopo anni di ostinata permanenza a New York. A lei diceva che David era spesso assente e, per non sentirsi sola, la raggiungeva il più possibile. A David invece rifilava la scusa di discussioni di importanza vitale su centri tavola, partecipazioni o bomboniere. E a Scott, infine, quello che rimaneva non erano che le rare notti in cui lei riusciva ad anticipare il rientro a Cape Cod e si fermava da lui a dormire, o le brevissime ore in cui riusciva a sgattaiolare fuori da Villa Cooper senza che nessuno di accorgesse della sua assenza. Spesso si era detto che quella storia non stava portando a nulla di buono e che forse sarebbe stato opportuno troncarla subito, prima che la situazione sfuggisse a entrambi di mano, ma ogni volta che era stato sul punto di farlo, Nicole si era presentata senza preavviso alla sua porta e lui aveva dimenticato le dieci buone ragioni per cui sarebbe stato più logico lasciarla sulla veranda anziché permetterle di entrare.

 

-Mamma…- mugugnò quando la donna raggiunse l'entrata della stanza. -Quale parte del concetto di privacy non ti é chiara?

 

La Signora Anderson si piantò le mani sui fianchi, squadrandolo con disappunto.

 

-Sono le dieci del mattino ed é il giorno del Ringraziamento.

 

-Appunto- le rispose girandole le spalle e coprendosi la testa con il lenzuolo. -Non so cosa dica il tuo calendario, ma il mio segna festa. Sono nel pieno diritto di dormire fino a quando voglio, visto che il Pheseant é chiuso.

 

-Non credo proprio, signorino. Devi aiutarmi a cucinare il tacchino, visto che tua sorella ha deciso di portare i bambini alla sfilata a Barnstable! E poi ti ricordo che i mirtilli per la spuma sono nel tuo freezer.

 

Scott sospirò esasperato. Aveva sognato un Ringraziamento diverso: Nicole era tornata a casa per le feste come ogni anno e la sola cosa che avrebbe desiderato, sarebbe stato passare l'intera giornata a letto con lei, a divorare le schifezze di cui la ragazza diveniva d'improvviso golosa appena metteva piede fuori da New York e a guardare Hannah e le sue sorelle, come imponeva la tradizione.

Invece, come ogni anno, lui si sarebbe rimpinzato al tavolo dei suoi genitori, mentre Nicole si faceva offrire raffinate pietanze cucinate dal pluripremiato cuoco che la Signora Cooper avrebbe assunto per imbandire il banchetto del ringraziamento di Casa Cooper.

 

Con David accanto.

 

A Scott prendevano i conati di vomito se solo focalizzava per sbaglio il quadretto di felicità che avrebbero formato i due fidanzatini felici nel grande salone dalle tende blu.

L'idea di un pranzo in cui lei avrebbe recitata la parte della sposa perfetta davanti alla famiglia, lo faceva impazzire a tal punto che più di una volta, dopo aver ricevuto la notizia che David avrebbe trascorso il Ringraziamento a Province Town, aveva pensato di salire in macchina e guidare tutta notte fino a New York, per rifugiarsi da Annie. Ma forse, chiedere asilo proprio in casa di un Campbell non era un'idea poi così brillante.

E poi Nicole si era dichiarata fermamente intenzionata a passare la notte precedente la festa a casa sua ed era ormai dato per assodato che le sue capacità di raziocinio si liquefacessero quando la ragazza lo fissava con quell'espressione da bambina imbronciata che sarebbe stata in grado di fargli dichiarare che i Knicks erano la squadra più forte del campionato NBA.

 

Si lanciò con forza il cuscino sulla testa, mentre sua madre buttava per aria le coperte.

 

-Mi spieghi come fai a dormire seminudo con questo freddo?

 

Scott sorrise fra sé e sé, pensando al poco freddo che aveva provato quella notte e fece spallucce.

 

-Sicuramente stavo meglio con le coperte addosso.

 

 La Signora Anderson sbuffò di disappunto dirigendosi ad aprire le imposte con decisamente poco garbo. 

 

-Dai alzati, hai un'ora per prepararti e venirmi a dare una mano.

 

 Il ragazzo si alzò controvoglia, rabbrividendo per il contatto dei piedi scalzi sul pavimento ghiacciato.

 

 -Vieni di la per favore, mamma che ti do i mirtilli.

 

 Si stava dirigendo sbadigliando sonoramente verso la cucina, quando una voce squillante e palesemente scandalizzata, gli penetrò le orecchie.

 

 -Scott, pulcino queste... cose… non sono tue, vero?

 

 All'udire quella domanda, terrorizzato dall'idea di cosa mai avrebbe potuto trovare di compromettente quel cane da tartufo di sua madre, tuffò la testa dentro la camera, sentendo le guance avvampare: la donna reggeva, con aria perplessa, gli slip di pizzo di Nicole.

 

-Io… ehm… anche se fosse?- le rispose sfoggiando un sorriso innocente.

 

La donna lo fissò a bocca spalancata, sbiancando.

 

-Mamma, ti prego riprenditi, sto scherzando.

 

-Tu...hai una ragazza?

 

-É incoraggiante l'aria sbalordita con cui me lo domandi, grazie.

 

La donna si precipitò alla porta, piantando le mani ai fianchi e scrutando il figlio come se nei suoi occhi potesse leggere tutte le informazioni di cui era improvvisamente diventata ingorda.

 

-Come si chiama? Chi é? La conosco? Conosco i genitori? Magari non é di Province Town...é di Barnstable? Che intenzioni hai?

 

Fece spallucce e si voltò, fermamente intenzionato a stroncare quell'inquisizione sul nascere.

-Beh, adesso come adesso, di andare in cucina, farmi un caffè e, già che ci sono, anche una colazione come si deve, visto che non posso mai concedermela.

 

-Tu non vai da nessuna parte! Adesso ti siedi e ne parliamo seriamente!- lo minacciò tirandolo per la maglietta, incurante del suo desiderio di tacere. -Perché non le chiedi di venire a pranzo da noi?

 

-Mamma…

 

-Sarebbe un'occasione meravigliosa per conoscerla, ci sarà tutta la famiglia riunita!

 

-Santo cielo, mamma! Non é niente di importante, é chiaro? A meno che tu non consideri promessi sposi due che vanno a letto saltuariamente…

 

-Scott!!- esclamò lei scandalizzata.

 

-Volevi informazioni? Eccole: non sono fidanzato, né innamorato, né tantomeno al punto di volere presentare la ragazza con cui ho una storia di solo sesso ai miei genitori il giorno del Ringraziam...

 

Il rumore sordo di qualcosa che si abbatteva violentemente sul pavimento lo interruppe prima che potesse finire il discorso.

 

-Cosa é stato?- domandò sua madre voltandosi verso il corridoio, da dove era sembrato provenire l'improvviso baccano.

 

-Ho lasciato la finestra aperta in bagno, probabilmente é solo corrente. Ora, mamma, se non ti dispiace, ho una colazione che mi aspetta. Vai a casa, ci vediamo fra poco e grazie della visita.

 

Fece appena in tempo a chiudersi la porta alle spalle, dopo aver faticosamente spinto la donna fuori dalla soglia, che Nicole, si abbatté come una furia in cucina, brandendo la spazzola che doveva aver lasciato accidentalmente cadere a terra qualche istante prima.

 

-Discorso toccante, pulcino, mi sono commossa per la profondità delle tue parole! È stata una gioia sentirsi dare della scopamica davanti a tua madre.

 

-Nicole, per favore, non stavo dicendo sul serio…

 

-Stai mentendo.

 

Scott la fissò qualche istante, in silenzio. Pensò a come si era sentito la sera prima, quando lei gli aveva comunicato dell' arrivo di David, a tutti quei mesi di attesa, alla frustrazione di doversi sempre nascondere, alle notti passate in attesa del suo arrivo. E, d'improvviso, tutta la frustrazione provata per l'assurda situazione in cui stagnavano da ormai mesi, per il suo sentirsi sempre un gradino sotto David Campbell e la vita di Nicole di cui lui non poteva fare parte, si trasformò in una rabbia cieca e improvvisa.

 

-E anche se fosse?- le domandò, glaciale. -Non mi sembra che tu sia intenzionata a lasciare David. Fino ad allora, non siamo altro che scopamici. O amanti, o… chiamaci come vuoi.

 

Nicole aprì e chiuse più volte la bocca per replicare a tono. Poi, d'improvviso, si lasciò cadere sul divano, scuotendo la testa.

-Io non la metterei esattamente così…- mormorò in preda all'imbarazzo.

 

-E come la metteresti, scusa?- continuò ad incalzarla provocatorio. -Vuoi che parli di te in modo diverso con mia madre? Vuoi che ti porti a casa al Ringraziamento? La soluzione é molto semplice, in fondo. Lascia David e torna a vivere a Province Town e sarà fatto.

 

Nicole scosse la testa, sentendo gli occhi bruciare per le lacrime imminenti.

-Scott, non posso lasciare New York, non dire assurdità. Ho un lavoro…

 

-Un lavoro che però sei pronta a lasciare per diventare la Signora Campbell, una perfetta dama dell'alta società esattamente come tua madre e tua zia prima di te, per sposarlo e crescere i suoi figli! Vuoi davvero che le cose cambino, Nicky? Va bene, non te lo chiederò una seconda volta: torna qui, scegli me, cresci i miei, di figli. Io sono pronto a cominciare la nostra storia sin da ora, la domanda é, tu lo sei altrettanto?

 

La ragazza si alzò, prendendogli le il viso spigoloso fra le mani, nel tentativo di farlo ragionare.

 

-Scott, io vorrei davvero che fosse tutto così semplice…

 

-Non c'é nulla di più semplice, se lo vuoi davvero- replicò lui ostinato. Non gli importava di nessuna delle ragioni di Nicole: per una vita aveva messo i suoi interessi dietro a quelli della ragazza, lasciandola calpestare la loro amicizia da bambini, ignorare e prendersi gioco di lui adolescente e infine, quando finalmente era riuscito a conquistare la sua attenzione, lasciandosi trattare come un semplice rimpiazzo nella solitudine di Province Town. E ora ne aveva abbastanza.

 

-La mia vita non é più qui da anni…potresti venire tu, a New York- azzardò con scarsa convinzione la ragazza.

 

Scott scoppiò a ridere, strofinandosi il viso con le mani.

 

-Ti rendi conto di quanto é ridicolo quello che stai dicendo? Ho un'attività qui, non ho una laurea e nemmeno una famiglia che possa mantenermi laggiù. Oh su, non fare quella faccia, non ti sto giudicando!

 

-Potresti ricominciare a studiare, sei sempre stato bravo a scuola…

 

L'ultimo barlume di pazienza che gli era rimasto, sparì all’udire l’ennesima assurdità, cancellato dalle ipotesi sempre più strampalate che la ragazza stava snocciolando al solo scopo di continuare a vivere in bilico fra quelle due realtà che stavano inevitabilmente cominciando a cozzare.

 

-Lo vedi qual'é il problema, Nicole?- cominciò rassegnato: se doveva andare incontro al peggio, tanto valeva farlo di propria spontanea volontà, anziché lasciare che fosse la situazione a marcire così tanto da collassare da sola su sé stessa. -Io non sarò mai abbastanza per te! É ora che entrambi scendiamo a patti con questa realtà, prima di farci del male entrambi, o prendere scelte avventate.

 

-Io…- azzardò timidamente, la ragazza, accarezzandogli una spalla.

 

-Vai a casa, Nicole. Festeggia il Ringraziamento, stai con la tua famiglia, con David. Cerca di capire quello che desideri davvero, pensa alle mie parole e prendi una decisione. Se sarà quella che spero con tutto me stesso, sai dove trovarmi. Ma ti prego, se domani sali su quell'aereo per tornare a New York, non prenderti la briga di tornare. Non da me.

 

-Pensavo di valere di più, per te,- gli rispose fredda, quando lui si allontanò, respingendo la sua carezza.

 

Scott scoppiò a ridere amaramente.

 

-Nicole, tu non vali semplicemente qualcosa per me. Io ti amo con tutto me stesso, da quando siamo adolescenti, ma penso che tu questo lo sappia da un pezzo. Ma devo pur preservarmi, in qualche modo.

 

-Scott, ti prego...

 

-No, Nicole, quello che ti sta pregando, qui sono io. Prendi una decisione e facciamola finita.

 

Poi, raccolta una felpa e il paio di jeans che aveva abbandonato in salotto la sera prima, uscì di casa, senza voltarsi indietro.

 

***

 

Il campetto da basket della scuola era sempre stato il rifugio prediletto di Scott, Brady lo sapeva molto bene.

 

Era in quel luogo obsoleto e appartato che l'amico gli aveva rivolto le confessioni più segrete, seguendo sempre lo stesso, estenuante iter. Scott era capace di stordire anche la più tenace delle zitelle affette da logorrea, con il suo chiacchiericcio e i suoi commenti, ma si poteva stare certi che tale loquacità soccombeva ogni qual volta si trovasse dinnanzi alla necessità di parlare di sé stesso e di esternare sensazioni ed emozioni. Era per questo che, sin da bambino, ogni qual volta dovesse confessare qualcosa all'amico, alla sorella o ai suoi genitori, aveva adottato quella che Brady aveva soprannominato la "tecnica del chiodo schiaccia chiodo" che consisteva nel tenere occupato il proprio corpo e distrarlo, mentre dava libero sfogo alle parole.

Era stato dopo averlo smarcato e segnato una tripla notevole che, a dieci anni, gli aveva confessato di aver travolto il suo skateboard con la bicicletta, rendendolo inutilizzabile. All'atterraggio da un terzo tempo, invece, gli aveva confidato di essere innamorato di Nicole - come se tale notizia non fosse ormai di dominio pubblico - e sempre scorrazzando come un matto in quel campetto gli aveva annunciato la decisione che non si sarebbe iscritto al college, ma avrebbe rilevato l'attività dei suoi genitori.

 

Per questa ragione, quando gli era giunto il messaggio dell'amico che glaciale gli comunicava la sua necessità di parlare, non aveva avuto nemmeno bisogno di domandargli dove si trovasse. Aveva salutato frettolosamente Hailey, intenta a cucinare il dolce da portare alla cena organizzata a casa dei suoceri, si era buttato addosso la prima felpa che aveva trovato, calato in testa una cuffia per proteggersi dal freddo ed era uscito di corsa, dirigendosi verso quel luogo così familiare.

 

Lo aveva trovato lì, intento a bombardare il canestro, nel vano tentativo di scaricare l'evidente rabbia che lo spingeva a muoversi ininterrottamente da un lato all'altro del vecchio campetto, facendo sbattere violentemente il pallone a terra.

 

-Si può sapere che ti succede? Stavo aiutando Hail...ouch!- concluse con il fiato mozzato dalla violenta pallonata che lo colpì in pieno stomaco.

 

-Dammi una spiegazione, Brady. Una sola, logica motivazione del perché tutti volete andarvene da qui. Cos'ha Province Town che vi fa così schifo?- gli domandò aggredendolo e strappandogli dalle mani la palla appena raccolta.

 

-Scott?- gli domandò Brady sgomento da quello scoppio d'ira.

 

-Prendi Annie,- cominciò riprendendo a palleggiare ostinato. -Un giorno é salita su un pullman e puff, é scomparsa nel nulla per sei anni nessuno ne ha più saputo nulla. Nicole, la maggior parte dei nostri compagni di scuola, persino tu non ci sei voluto rimanere qui...

 

Brady si fissò perplesso le punte dei piedi, senza capire dove volesse andare a parare l'amico.

-Io sono qui, Scott...

 

-Non mi prendere per il culo. Non staresti in questo buco nemmeno se Renzo Piano vi costruisse una filiale, solo per te. Guardiamo in faccia la realtà, Brady, tu odi Province Town e se non fosse per il tuo stramaledetto senso del dovere, non saresti qui. Non senza Annie, almeno.

 

Brady arricciò il naso in una smorfia di disappunto, incrociando le braccia al petto.

-Hailey ti ringrazia e dice che ti vuole molto bene.

 

-Vuoi forse venirmi a spacciare il contrario?- Scott si bloccò d'un tratto, fissandolo dritto negli occhi. Il suo sguardo infuriato lo fece sentire come nudo e indifeso: non avrebbe mai potuto negare che aveva ragione, sebbene ammetterlo fosse ben lungi da ogni sua intenzione. Per cui, deglutendo a fatica, tentò di cambiare argomento, schiarendosi la voce.

 

-In tutto ciò non riesco a capire cosa c'entri il tuo richiamo all'ordine.

 

Scott scrollò le spalle, voltandosi a tirare a canestro.

 

-Ci conosciamo da quando siamo nella culla, imbecille. Credi che non capisca quando qualcosa ti turba? Sei più sconvolto di quando i Lakers ci hanno strappato il titolo nel 2010!

 

-Nicole,- rispose secco Scott, mettendo a segno un tiro libero.

 

Brady roteò gli occhi, sbuffando.

-Non dirmi che sei di nuovo perso di lei perché non potrei reggere una versione adulta dell'adolescente che mi ha tediato per anni con la sua ossessione non ricambiata...

 

-Stiamo insieme da giugno, Brady.

 

Il ragazzo sgranò gli occhi, sbalordito.

 

-Cioé...non proprio insieme. Diciamo che siamo...amanti?

 

-Sei impazzito vero? Hai cambiato le solite medicine?- lo canzonò incredulo Brady.

 

-Non sono mai stato più serio.- replicò Scott offeso.

 

-E me lo dici così?

 

-E come te lo devo dire scusa? Durante un pigiama party nel quale ci vestiamo di rosa, mangiamo orsetti gommosi, ascoltiamo le canzoni di Glee e ci mettiamo lo smalto a vicenda?

 

-Per favore, Scott, sto per vomitare all'idea di te in camicia da notte di pizzo.

 

D'un tratto, la trottola umana in cui si era trasformato Scott, si fermò, facendo rotolare il pallone al centro del campetto. Il ragazzo si allontanò in silenzio, lasciandosi cadere esausto sugli spalti deserti. Abbandonò la testa sul cemento freddo, chiudendo gli occhi. Brady prese lentamente posto accanto a lui, attendendo pazientemente che si mostrasse nuovamente disposto a riprendere il racconto.

 

-Quindi?- gli domandò infine.

 

-Quindi...penso che tu possa immaginartelo da solo. Non ha intenzione di lasciare David, né di tornare qui. Nel momento di massima follia mi ha domandato di trasferirmi con lei a New York, perché la sua vita é ormai lì e non appartiene più a questo posto.

 

-E tu cosa hai risposto?- gli domandò sbalordito Brady.

 

-Ho rifiutato, cosa vuoi che abbia fatto? Che ci vado a fare a New York, il barbone nella metropolitana?

 

-Qualunque cosa mi parrebbe più plausibile di te accasato con Nicole Cooper,- gli rispose candidamente Brady. -Mi spieghi come é successo?

 

-Io, non lo so, é successo e basta! Perché vi sembra a tutti così incredibile che Nicky scelga me? Anche mia mamma...

 

Brady scattò incredulo.

-Tua mamma lo sa?!

 

-No. Lei é semplicemente sconvolta all'idea che io abbia una ragazza. Se la conosco bene in questo momento sta cominciando a confezionare scarpine all'uncinetto,- mormorò prendendosi la testa fra le mani. -Povera illusa.

 

-Mi ricorda qualcuno...- commentò Brady pensando alla suocera e alle probabili danze della fertilità che faceva ogni notte prima di addormentarsi, nella speranza che Hailey rimanesse finalmente incinta. Quella piccola visione, lo destò dallo stupore nel quale ancora permaneva da quando Scott gli aveva rivelato dell'assurda storia messa in piedi con Nicole.

D'improvviso, si rese conto che non poteva starsene a guardare mentre l'amico osservava la propria occasione sfuggirgli dalle dita, senza fare nulla per afferrarla. Aveva commesso un errore dietro l'altro, da quando aveva lasciato la scuola: aveva osservato Annie lasciare per sempre Province Town, senza impedirglielo, aveva mollato il suo lavoro, la cosa che amava di più al mondo, per tornare a casa a recitare la parte del figlio modello e infine aveva rovinato la sua vita e quella di Hailey domandandole di sposarla senza essere pronto a un simile passo. “Ma il non aver spronato il suo migliore amico non sarebbe stato l’ennesimo rimpianto da aggiungere ai mille che già lo atterrivano tanto da sottrargli spesso addirittura l’aria sufficiente a respirare”

 

-Scott, ascoltami attentamente. Non puoi arrenderti, se quella pazzoide della Cooper è quello che vuoi davvero. Torna da lei, fai tutto ciò che è in tuo potere per convincerla che deve scegliere te. In tutti questi anni ho maturato la certezza che sia meglio convivere con il rimorso, che con il rimpianto di non avere agito quando ancora vi era una possibilità di cambiare le cose. Fallo, Scott, altrimenti ti troverai fra qualche anno a domandarti come sarebbe stata la tua vita se quel giorno non avessi fatto quanto in tuo potere per far sì che lei non sparisse nel nulla. 

 

-Brady, stiamo sempre parlando di me? gli domandò Scott inarcando le sopracciglia perplesso.

 

Lo fissò con un sorriso appena abbozzato, stringendo le spalle in un gesto colpevole.

-Muoviti, cretino.

 

 

***

 

 

Queste cose succedono solo nei film.

Molto bene, adesso ti aprirà e che le dirai?

Suonare alla porta di casa sua con il rischio che ti apra David?

Ma ti sei bevuto il cervello?

Seguire i consigli di quel pazzo di Brady con i suoi rimorsi...o erano i suoi rimpianti?

Accidenti a lui e a tutti i suoi errori!

 

-Scott?

 

Il ragazzo sussultò trovandosi di fronte la Signora Cooper, splendente nell'abito scuro indossato per la serata.

 

-Buonasera, signora,- mormorò arrossendo violentemente. -Non volevo disturbare...sto cercando Nicole, è molto importante.

 

La donna lo fissò dispiaciuta.

-Mi duole Scotty, ma Nicole non c'é. Sono partiti da un'ora fa, lei e David, e purtroppo non saranno con noi stasera...a quando pare c'é stata un' emergenza in ufficio. Qualcosa che aveva a che fare con milioni di dollari che rischiavano di andare in fumo,- rispose vaga.

 

Quella frase sortì lo stesso effetto di una secchiata di acqua gelata su Scott.

-Ma… torna? domandò titubante.

 

-Non lo so, non mi ha detto nulla. Se vuoi posso dirle che sei passato, quando chiama.

 

-No, la ringrazio. É meglio di no,- rispose tentando di sorriderle.

 

-Vuoi entrare per un tè? gli domandò la donna, notando il suo disagio. -Ho appena finito di servirlo.

 

-La ringrazio molto, ma sono di fretta...sa la cena...

 

-Immagino, anche noi siamo impegnatissimi. Tanti auguri, Scott, anche ai tuoi genitori.

 

-Tanti auguri anche a tutti voi, signora Cooper-

 

Si voltò prima che lei facesse in tempo a chiudere la porta, allontanandosi in fretta verso il cancello della proprietà. Quando giunse nei suoi pressi, infine, si voltò a guardare in alto, verso la camera di Nicole, quella camera che mille e mille volte aveva osservato, fantasticando sul giorno in cui, finalmente la ragazza gli avrebbe aperto la finestra, lasciandolo entrare.

 

Era buia, le persiane serrate, il terrazzino vuoto.

 

Oltrepassò in fretta il cancello e si allontanò a grandi passi, prima che qualcuno lo vedesse.

 

 

 

***

 

-Elly, sono io, Ken.

-Ken?

-Stavo cercando Annie, non mi risponde e al telegiornale ho visto che tu e Richard siete a New York. Mi domandavo se foste insieme.

-Al momento no, ma stiamo aspettando che lei e Landon ci raggiungano per uscire a cena, vuoi che ti faccia richiamare appena ci vediamo?

Kenneth si appoggiò allo stipite della porta. Era felice che la figlia avesse recuperato un rapporto con la madre, da quando era tornata a New York, anche se lo tormentava l'idea che l'ex moglie si fosse dimostrata così ben disposta ad accoglierla nuovamente a braccia aperte solo dal momento in cui la ragazza aveva cominciato a frequentare il più piccolo dei rampolli dei Campbell.

-Ken?

-Si, eccomi scusa. Te ne sarei molto grato.-

-Come stanno i ragazzi? E Josh?

-Stanno tutti bene, Elly. Josh diventa ogni giorno più grande e somiglia sempre di più a voi Cooper. Jamie é in preda a una delle sue crisi amorose che lo porta a ingozzarsi di schifezze a ogni ora del giorno e della notte e Sammie mi fa diventare matto con il suo volersi sentire a tutti i costi un'adulta.

-È ancora una bambina!

-A quattordici anni, Elly, ti senti tutto, tranne che una bambina. E io non so come prenderla...Abbey e Annie non mi hanno dato così tanti problemi, sinceramente. Forse era perché si aiutavano a vicenda, non lo so. A volte penso che avrebbe bisogno di una figura femminile al suo fianco.

La donna tacque, deglutendo a fatica.

-Posso provare a chiamarla, se pensi che voglia ascoltarmi. O magari ne parlo con Annie.

-Non vorrei tediarla scaricandole addosso più problemi di quanti non ne abbia già.

-Annie sta bene, Ken.

-Tu credi?

-Ha un ragazzo meraviglioso al suo fianco, che appartiene a una delle famiglie più importanti di tutta la città. È riuscita a entrare in un programma di stage alla Condé Nast e sono sicura che presto diventerà una delle giornaliste più famose della città. Dopotutto il suo nome e quello di Landon sono una garanzia perché le venga aperta qualunque porta desideri, da queste parti. Non capisco perché non dovrebbe stare bene.

Kenneth tacque per qualche istante, perplesso. E se avesse avuto ragione Eleanor? Se Annie fosse davvero felice della sua nuova vita? Se Landon e New York fossero ciò che l'avrebbe convinta a fermarsi, a smettere di fuggire davanti alle scelte della sua vita?

-Già, non vedo perché.

-Ken, mi dispiace lasciarti, ma devo finire di prepararmi. Ci sentiamo presto, va bene?

-Va bene. A presto...

-Ciao, Ken.

-Elly?

-Dimmi...

-Buon... Ringraziamento.

-Anche a te, Ken.

 

 

Il sole che aveva intiepidito l'aria del mattino, era sparito dietro le nuvole poco dopo pranzo, mentre lentamente il gelo scendeva in città. I newyorkesi si preparavano alla cena del Ringraziamento e alla venuta della neve già annunciata da tempo, la prima dell'anno.

Lungo Broadway la gente si accalcava ai botteghini intasando i marciapiedi e bloccando coloro che camminavano svelti, impegnati nei preparativi per la serata. Fra questi, Annie e Landon si muovevano infreddoliti, nel tentativo di trovare un taxi libero per rientrare a casa alla svelta e prepararsi alla cena con la madre di Annie e il suo patrigno, che si trovavano in città per l'occasione.

-Allora, lo spettacolo ti é piaciuto, sì o no?- Landon le depositò un bacio veloce sulla guancia strofinando la punta del naso gelato sul collo di Annie. Per tutta risposta la ragazza scosse con scarsa convinzione la testa.

 

-Sto per sorbirmi l'ennesima arringa sull'indiscutibile superiorità del cast del West End e sul fatto che un qualche inglesuccio a caso è insuperabile nella parte di Drew?- Il giovane rise apertamente: non perdeva occasione di pungolare l'orgoglio britannico della sua ragazza, nonostante fosse inglese solo per metà e le sue reazioni lo divertivano sempre immensamente.

 

-Si chiama Oliver Tompsett e non è un inglesuccio a caso,- replicò lei chiudendo gli occhi indignata,- ma fingerò che non si tratti di questo.

Tacque per qualche secondo, stringendosi a lui come per cercare protezione, - È che Rock of Ages, senza James sul palco, non ha senso,- aggiunse poi con voce flebile.

 

James Clarke era uno dei suoi migliori amici, nonché coinquilino da tre anni a Londra. Quando l'aveva conosciuto, era un eterno bambino che fingeva di studiare legge per amore di pace con i suoi genitori, nonostante la sua unica passione di vita fossero una Takamine nera troppo consumata, un ukulele verde acido che rispondeva al nome di Esperimento 24601, la musica in generale e il teatro. Passati tre anni era ancora un eterno bambino e probabilmente sempre lo sarebbe rimasto, ma almeno aveva trovato il coraggio di prendere in mano la sua vita, affrontare i suoi genitori e darsi alla carriera di attore, abbandonando, fortunatamente, l' ambizione del foro.

 

Landon si fermò a fissarla. Attorno a loro, le luci di Broadway, splendevano nonostante fosse ancora giorno, mentre il traffico scorreva inesorabile, nonostante fosse un giorno di vacanza. Sventolò un braccio senza entusiasmo, tentando di fermare un taxi che, però, tirò dritto senza fermarsi. Scoraggiato, si ritirò, appoggiandosi allo schienale di una panchina. Si aspettava che, da un momento all'altro,  Annie avrebbe preso consapevolezza che vi era una parte di vita che aveva completamente abbandonato a Londra, anche se nutriva la speranza che la quotidianità che stavano lentamente costruendo insieme, potesse in qualche modo sopperire alla mancanza di casa. 

 

-Mi dispiace. Pensavo ti facesse piacere.

 

Annie lo guardò, sentendosi all'improvviso, incredibilmente in colpa. A causa della frustrazione provata al lavoro, negli ultimi giorni, aveva cominciato ad avvertire la nostalgia della sua vita a Londra come mai da quando era tornata degli States. Si era illusa che lo stage alla Condé Nast che aveva accettato dopo l'estate trascorsa a Province Town le desse la spinta sufficiente per restare. Credeva che non le sarebbe pesato accantonare il Ph.D alla UCL per un'esperienza più concreta nella città che, forse più di ogni altra al mondo, poteva offrire a un giovane qualunque cosa desiderasse. Ma, giorno dopo giorno, mentre sbrigava le scartoffie del suo capo, sentiva la mancanza dei corridoi della sua università, i preziosi  consigli del professor Stirling, il suo mentore, le giornate trascorse in biblioteca a dedicarsi alla scrittura e allo studio; a questo si aggiungeva il fatto, forse ben più grave, che cominciava ad avvertire la nostalgia della sua casa, delle abitudini che avevano scandito la sua quotidianità per sei anni, di quel luogo assurdo, confusionario e pittoresco che era Camden Town, il quartiere in cui viveva. Persino la pioggia, l'odore di erba perennemente bagnata e il grigio di Londra le mancavano terribilmente. Dopo aver posto fine alla sua relazione con Ethan, si era crogiolata nel malessere e nelle attenzioni  che gli altri tre coinquilini le avevano riservato, trascinandosi per mesi in quello stato di malessere nel quale era piombata a causa della rottura e degli ultimi esami dell'anno. Era stata Nicole a convincerla che allontanarsi per un po' da quella situazione e godersi le gioie che il suo paese natale offriva in estate, sarebbe stata la soluzione più efficace e lei si era lasciata trascinare in quella piccola follia, quasi senza riflettere sulle conseguenze del tornare a casa dopo sei anni di assenza e silenzio. Era partita da Heathrow spinta da quel desiderio di mutamento che affretta chi ha appena chiuso un capitolo fondamentale della propria vita, convinta che ritrovare le sue radici e gli amici di sempre, avrebbe potuto sopperire a quello che credeva di aver perso a Londra, ma si sbagliava: la lontananza di quelli che erano diventati negli anni la sua famiglia, quella che si era scelta, aveva lentamente cominciato a farsi quasi insopportabile, specialmente da quando aveva messo piede a New York.

O forse era lei che viveva il fastidioso momento in cui tutto appare così nero, che qualunque cosa rappresenti una certezza manca tanto da far sentire le ginocchia deboli, sotto il peso di una memoria che sembra far riaffiorare crudelmente solo i bei ricordi di quello che ci si é lasciato alle spalle.

 

Eppure, in tutto quel caos di nostalgia e insoddisfazione, qualcosa di buono c'era: Landon. Nei pochi mesi trascorsi insieme, il ragazzo aveva reso giorno dopo giorno più sopportabile la sua permanenza a Cape Cod, finché, giunta la fine di settembre, non le aveva domandato di rimanere a New York. Non era stato difficile dirgli di sì, dopo i mesi trascorsi: ogni volta che erano insieme, Annie avvertiva un senso di libertà che raramente aveva provato con altri prima di allora. Accanto a lui, sentiva che nulla era troppo lontano o irrealizzabile e si sentiva di nuovo una quindicenne piena di sogni e speranze in un futuro diverso. Gli sorrise, sollevandosi sulle punte dei piedi a baciarlo, nella speranza di farsi perdonare.

 

-Non devi scusarti. Mi hai fatto una sorpresa bellissima. È che ultimamente mi mancano molto i ragazzi. E non vedere James con una ridicola parrucca in testa e quattro centimetri di eye-liner sotto gli occhi fra il cast, stasera, mi ha intristito ancora di più.

 

-Sai che puoi invitarli quando vuoi, vero? In casa mia, fortunatamente, spazio ce n'é finché se ne vuole.

 

Annie annuì sorridendo. Il loft di Brooklyn in cui viveva Landon -con grande disappunto della madre che lo avrebbe desiderato più vicino a lei, nell'Upper East Side- avrebbe potuto tranquillamente ospitare due volte il suo appartamento tutto scale e terrazzini di Camden e, forse, sarebbe pure avanzato lo spazio per una stanzetta in cui depositare le biciclette che di solito invadevano il salotto, il bagno, o qualunque stanza risultasse abbastanza libera all'evenienza.

 

-O magari,- gli rispose buttandogli le braccia al collo,- potremmo andarli a trovare a Londra a Natale.

 

-E chi ce lo impedisce? Chissà dove saremo, da qui a Natale. Possiamo fare tutto quello che desideriamo.

 

Una folata di vento li investì in pieno, facendoli rabbrividire; l'inverno era arrivato a New York e l'aria aveva cominciato a farsi frizzante e pungente, in attesa della neve prevista per la notte. Landon sollevò i lembi del cappotto e vi avvolse Annie, stringendola forte a sé.

 

-Per adesso, però, io desidererei trovare un taxi per non morire congelato. Tu che ne dici?

 

 

 

Oggi Landon mi ha portato a vedere il pomeridiano di Rock of Ages.

Gli ho detto che mi é piaciuto moltissimo,

ma in realtà il cast di Broadway vi fa un baffo e Ollie é insuperabile.

Mi manchi.

Dai un bacio a tutti.

 

 

Erano da poco passate le tre del mattino quando il telefono di Annie cominciò a squillare all'impazzata, svegliando lei e Landon, profondamente addormentati dopo la pesante cena del Ringraziamento consumata con i VanCamp quella sera.

Inciampando nei vestiti abbandonati a terra, Annie si catapultò in sala, maledicendo chiunque fosse stato ad avere la malaugurata idea di tirarla giù dal letto a quell'ora indecente della notte.

 

-Pronto? rispose esitante, cercando disperatamente una coperta, una felpa o qualunque cosa le potesse riscaldare le gambe nude.

 

-ANNIEEEEEEEEEE!!!!!!

 

La ragazza allontanò il telefono dall'orecchio, perforato da quella che riconobbe immediatamente come la voce squillante di James.

 

-James, per carità, sono le tre del mattino!

 

-Non dirmi che stavi dormendo, perché non ci crede nessuno!- replicò lui allegro, con tono allusivo.

 

-James, ti prego, non urlare!

 

-Fammi capire,- gli rispose quello con grande disappunto, - tu mi mandi un messaggio ammettendo di esserti macchiata di alto tradimento e ti aspetti che io non abbia alcuna reazione? Tirarti giù dal letto nel cuore della notte mi sembra una punizione adeguata per tale affronto, signorina!

 

Annie sbuffò distendendosi sul divano, infilando i piedi fra i cuscini. All'amico tuttavia, quel piccolo cenno di stanchezza, o di nostalgia, non passò inosservato.

 

-È tutto a posto, Annie? Sembri un po' giù.

 

-Non è niente. Mi mancate, tutto qui.

 

-Quando pensi di tornare?- le domandò lui senza troppi giri di parole.

 

-Non lo so. Dipende dal lavoro, da Landon, da troppe cose...

 

-L'avresti mai detto, quattro mesi fa, che saremmo stati ridotti a sentirci alle tre del mattino al telefono, con un intero oceano a dividerci? A quest'ora, se fossi qui, saremmo a Soho a scolarci birra. Io non mi sarei nemmeno struccato e tu e Helen vi sareste vergognate come dei cani, mentre Natalie si sarebbe divertita a impiastricciarmelo ancora di più. E Ethan...- James si bloccò di colpo, timoroso di dire qualcosa che facesse precipitare rapidamente la situazione.

 

-Ethan avrebbe riso della tua imbecillità, sempre e comunque,- concluse Annie, incoraggiandolo. -Mi manca anche lui, James, come tutti voi. Siete la mia famiglia e sempre lo rimarrete, anche se noi due ci siamo lasciati. Mi chiedo solo se anche lui ci pensa a queste cose, ogni tanto, o se a Tokio lo torchiano così tanto da non avere nemmeno tempo per sentire la nostalgia di casa.

 

A quelle parole James sembrò esitare.

-Annie, da quanto non lo senti?- le domandò, infine, con voce flebile.

 

-Non so, un paio di mesi?- accennò lei, sorprendendosi della sua stessa risposta. Dal giorno in cui ho cominciato a uscire con Landon, realizzò d'un tratto.

 

-Non so se sono io a dovertelo dire, ma la sua azienda gli ha offerto finalmente un trasferimento. Sono gli ultimi giorni per lui in Giappone.

 

Annie si mordicchiò un labbro, sentendo il battito del cuore farsi più accelerato.

 

-E dove lo mandano?- gli domandò con un filo di voce, scrutando accigliata fuori dall'enorme parete vetrata del salone di Landon. Davanti a lei, le luci di New York rimbalzavano sull'Hudson, illuminando, come se fosse giorno la città. Deglutì lentamente, per scacciare la fastidiosa sensazione di essere perfettamente a conoscenza della risposta.

 

Se solo riuscissi ad ottenere un trasferimento, anche solo per un anno, negli uffici di New York, poi potrei ambire a qualunque posizione io desideri.

 

Era così assorta nel ricordo di Ethan che, con gli occhi azzurri illuminati di eccitazione all'idea della carriera futura, le esponeva i suoi sogni che quasi non udì la voce di James, che, incerto, le domandava: -Davvero non te lo immagini?

 

 

 



Informiamo i gentili passeggeri che fra qualche istante, atterreremo allaeroporto John Fitzgerald Kennedy.

La temperatura, a terra, è di zero gradi centigradi e vi comunichiamo che da qualche minuto ha cominciato a nevicare.

Nel pregarvi di restare seduti fino al completo arresto dellaeromobile,

vi auguriamo un buon soggiorno e rimaniamo a vostra disposizione per qualunque richiesta o necessità.




 


NOTE (vi chiedo un pochino di pazienza, per oggi leggetele fino in fondo!)


Ossignur! Siete ancora qui, vivi?

Io, come al solito mi scuso per i miei tempi biblici d'aggiornamento, spero che non vi siate già stufati....

Comunque, eccoci qui, all'inzio di quella che io, sin dall'inizio, considero la seconda parte di Never let me Go. Seconda parte perché la storia cambia un pochino, i personaggi si sparpagliano per il globo, ne entrano altri...insomma, c'é un po' di rivoluzione.

Come avete visto, sono entrati due nuovi personaggi: James Clarke, che avete avuto modo di conoscere approfonditamente (il cui prestavolto é quell'imbecille di Jamie Muscato, uno dei westendiani di cui dissemino le mie storie http://www.youtube.com/watch?v=5uo-LsMpYSY) e Ethan Cartwright ( Iwan Lewis, altro westendiano :D -lo so sono un caso perso!- http://www.youtube.com/watch?v=6qeQ_k1kaFw . Io li spammo un po' ovunque, se volete dare un'occhiata, ne vale sempre la pena, son davvero bravi! ). I due neoarrivati (che compariranno ben presto anche fisicamente) sono due dei quattro coinquilini di Annie a Londra. Ethan, come avete capito dagli accenni negli scorsi capitoli, ma soprattutto qui, é l'ex fidanzato di Annie. Se ne volete sapere di più sul suo conto, prima di Natale ho pubblicato una piccola storiellina, che temporalmente si colloca proprio nel gap che c'é fra il settimo e l'ottavo capitolo di Never let me go, in cui si parla della sua vita attuale, ma soprattutto, si scopre come lui e Annie di sono conosciuti.Il titolo é "How long will I hold you" ed é proprio come la si immagina: zuccherosa, smielosa, londinosa, nevosa e natalizia.

Perché ho deciso di inserirli a questo punto della storia? Un po' perchè per la povera Annie, le cose stavano cominciando a mettersi troppo bene ( e perché tri is megl che uan) e poi perché da quando sono nati, dalla fantasia della mia bertuccina adorata Erica, hanno acquisito così tanta consistenza che non potevo assolutamente non dare loro spazio. Inizialmente pensavo di scrivere un prequel sulla vita di Annie a Londra, ma poi, a causa di un altro impegno di cui vi parlerò fra pochissimo (PLIZ NON MOLLATEMI), i programmi sono un po' slittati. Quindi, per rendere loro il giusto merito, ho cambiato un pochetto i piani ed eccoli qui! ben presto conoscerete anche Natalie e Helen, le altre due pazze di Camden (anche loro, se volete, le trovate nell'OS sopracitata).

Dunque e ora......RULLO DI TAMBURI! Non mi abbandonate perché devo farmi del basso e infimo SPAM. Dunque, era un giorno torrido giorno d'agosto quando io e Erica sonnecchiavamo sul letto tentando di digerire una cena estiva a base di tigelle crescentine tagliatelle e lambrusco (amen) quando Agnes Dayle (Down in a Hole) propose a Emily Alexandre (Evocatio sanguinis, The guardian) un progetto a sei mani, basato su un'idea che aveva avuto reinterpretando il mito di Persefone.

Pensa che ti ripensa, ne é nata una cosa seria, ovvero una storia divisa in tre spezzoni temporali che vede alternarsi le vicende di tre donne della stessa, potente famiglia, che condividono nome, sangue e maledizione.



"1920. 1969. 2013. New York.
Il jazz e i sogni folli degli anni Venti, l'epoca dei sopravvissuti, di chi ha perso i propri cari in guerra ma ha alzato la testa ed è andato avanti, mentre l'odore del tabacco copre quello della morte e l'immortalità è a portata di mano.
La musica e gli ideali di Woodstock, ultimo sogno di una gioventù ribelle, che sta per risvegliarsi sull'orlo di un baratro.
E, infine, il presente dove ogni cosa si ripete sfuggendo a ogni logica razionale, caotica, veloce, inarrestabile. Un viaggio ai confini di un mondo ormai sepolto, per scoprire che non tutto è come appare, per imparare ad essere liberi.
Una stessa città e tre ragazze.
Maia, Mer e Tai vivono i loro ventiquattro anni in tre momenti del tutto diversi, eppure c'è qualcosa a tenerle unite: una potente famiglia, una collana dai diamanti rossi, una vita già stabilita e la confortante presenza di un grande amore.
Finché, un giorno, non arriva lui..."

Se pensate possa stuzzicare la vostra curiosità, questo é il link della storia, che scriviamo insieme sotto lo pseudonimo di _Kore http://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2175891&i=1


Giunti a questo punto...io non ho altro da dire, se non scusarmi per la lunghezza di queste note, augurandomi che questo capitolo possa avervi soddisfatto.

Se avete voglia di conoscermi, o di condividere un pochino quello che é il mio piccolo angolo di mondo mi trovate, come sempre, nel mio gruppo "Sing and write for the wind, fear not for tomorrow" a spacciare musica, spoilerare, sporloquiare di nappe regali, rivoluzionari con la permanente, e uomini pattinomuniti e a spargere, come sempre, disagio in giro per ogni angolo.


Un bacione, e a presto!

Lyra.







 

 

 

 

 

 

   
 
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