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Autore: Delirious Rose    03/03/2014    3 recensioni
Ginny ha undici anni e presto andrà a Hogwarts.
Ginny ha un amico speciale che è sempre al suo fianco: la aiuta con i compiti, la tira su di morale, la sprona a inseguire i suoi sogni e a fare tutto il possibile per realizzarli.
Ginny ha un amico speciale che forse è diventato qualcosa di più.
Ginny, però, non sa che le rose fioriscono per morire.
{Questa storia partecipa al contest "E così, con un bacio, io muoio" di ielma.}
[15/12/2021: Capitolo 5 riscritto ed esteso, dato che ho ripreso in mano la storia per continuarla fino alla fine di CoS]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, Tom O. Riddle
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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Le rose fioriscono per morire

 

Un baiser, mais à tout prendre, qu'est-ce?
Une façon d'un peu se goûter, au bord des lèvres, l'âme!

"Cyrano de Bergerac", Edmond Rostand

 

b Di rose nere e occhi verde veleno a

 

Tom…

Non dovresti essere in Sala Grande per la festa di Halloween?

È stata tutta fatica sprecata: i soldi risparmiati per comprare quel bel velluto, le ore di sonno perse per cucirlo… tutto buttato alle ortiche!

Ginny non si premurò neanche di asciugarsi le lacrime, che caddero sulle pagine ingiallite del diario.

Harry… Harry non verrà alla festa…

Gli raccontò di come aveva trascorso buona parte del pomeriggio per prepararsi, a stirare il vestito con cura affinché non avesse neanche una piegolina fuori posto e a incerarsi le scarpe affinché fossero talmente lucide da sembrare nuove; oppure di come avesse lasciato Audrey, una sua compagna di dormitorio, acconciarle i capelli e metterle un’idea di lucidalabbra. Quando era arrivato il momento di andare in Sala Grande, ecco la scoperta: Ron, Hermione e soprattutto Harry non avrebbero partecipato alla festa. Aveva usato la prima scusa che le era venuta in mente per tornare in dormitorio e rifugiarsi nel proprio letto.

Sono davvero costernato, Ginevra, dopo tutto l’impegno che hai messo in quel vestito che, ne sono certo, ti starà d’incanto.
E sono costernato di non poterti offrire altro che un po’ d’inchiostro su un foglio di carta ingiallita per consolarti e cercare di tirarti su di morale.

Ginny sorrise amaramente, tirando su con il naso.

Potrei usare la pozione per venire da te, no?
Lo so, lo so, mi avevi detto di non usarla con leggerezza, però…
Solo per questa volta, Tom…

Tom non rispose, non subito.

Va bene, ma bevine solo un sorso piccolo piccolo: te l’ho detto, che può dare dipendenza.
E non dimenticare che, una volta finito l’effetto, potresti sentirti stordita o addirittura perdere i sensi per un’ora o due.
Ma prima di berla promettimi che, se domani non ti sentissi bene, andrai in Infermeria.

Promesso.

Con una certa trepidazione, Ginny frugò fra il materasso e la rete del suo letto ed estrasse una bocchetta in cui nuotava un liquido blu pavone dai riflessi opalescenti – era solo una piccola parte della pozione, il calderone lo aveva ben nascosto in uno dei cubicoli del bagno al secondo piano. La pozione aveva un sapore amaro ma non sgradevole, un po’ come il liquore alle erbe che una volta Fred e George le avevano spacciato per una bevanda Muggle e, per i primi minuti, non accadde nulla: Ginny intinse la penna nel calamaio per scrivere che la pozione non funzionava ma, non appena le sue dita sfiorarono le pagine ingiallite del diario, fu colta da un’improvvisa vertigine. Si sentiva come una foglia in balia del vento e che volteggiava in spirali sempre più alte, tanto che chiuse gli occhi per non avere l’impressione che la stanza girasse intorno a lei. E infine, ebbe l’impressione di cadere da una considerevole altezza.

“Farà male? Morirò?” pensò mentre cadeva e l’aria attorno a lei assumeva un odore di chiuso, di pagine umide e d’inchiostro vecchio.

Due mani la afferrarono fra le ascelle e la vita, accompagnando la sua discesa fin quando non sentì qualcosa di solido sotto i piedi: fu solo allora che Ginny ebbe il coraggio di aprire gli occhi. Sapeva che il ragazzo davanti a lei era Tom, lo aveva visto nei suoi ricordi, eppure ebbe l’impressione d’incontrarlo per la prima volta: era alto, quasi quanto Bill, con i capelli neri come l’ala di un corvo e ben pettinati come quelli di Percy, l’uniforme e la tunica erano palesemente di seconda mano ma raccomodati per calzare a pennello e perfettamente stirati. Fu soprattutto il suo volto a privarla della parola, un volto dai lineamenti alteri, simili a quelli che avrebbe dovuto avere il Principe Azzurro di Biancaneve, belli come quelli di certi giovanotti sulle riviste o gli attori sulle locandine dei film Muggle. E gli occhi verdi: non un verde chiaro e limpido come gli occhi di Harry Potter, ma un colore più scuro e incerto, come alcuni muschi e licheni del sottobosco, come le alghe abbandonate dalla marea sulla riva, come lo stagno delle carpe nel giardino della zia Muriel, come la pozione per le lumache carnivore che preparava con la mamma. Ginny non sapeva dire se quel colore le piaceva, ma si sentiva attratta da quegli occhi come se fossero la stanza proibita di Barbablù.

«Ti ho chiesto se ti senti bene, Ginevra.»

La voce di Tom la riscosse da quella fascinazione – non era proprio come se l’era immaginata – e lei annuì appena, abbassando lo sguardo colta da un’improvvisa timidezza: fissò i propri piedi senza dire una parola e sentì, più che vedere, Tom inginocchiarsi davanti a lei.

«Ne sei sicura?»

Ginny non rispose, si limitò a gettarsi al suo collo e a piangere tutta la sua rabbia, la sua delusione per quella festa di Halloween rovinata: sentì Tom trattenere il respiro e irrigidirsi, e si disse che l’esitazione con cui aveva ricambiato il suo abbraccio era frutto del fatto che non incontrava qualcuno da cinquant’anni. Tom la lasciò sfogare, cullandola leggermente e accarezzandole i capelli, poi la allontanò da sé e, evocato un fazzoletto, le asciugò gli occhi.

«Basta adesso, con le lacrime non risolvi nulla e, soprattutto, ti stancano: devo forse rammentarti che sei sotto l’effetto di una pozione oscura e che non puoi permetterti di sprecare energie in questo modo?»

«Sei… arrabbiato con me?»

«No, non con te, ma con quello stupido di Harry Potter che ti ha fatto piangere.» Il suo tono era bonario, certo, ma un po’ seccato. Le prese la mano e la guidò verso il fainting couch in noce e cuoio verde, l’unico oggetto presente in quel non-luogo, e aggiunse: «Stenditi un po’ e riposati. E scusa se non ho molto da offrirti: diciamo che sono parecchi anni che non ho avuto… ospiti.»

Così dicendo, spostò le pile di libri che ingombravano il divano e la aiutò a stendersi: Tom rimase in piedi e la guardò come se stesse studiando ogni singolo dettaglio del suo volto e della sua persona, con un’intensità tale che Ginny si sentì denudata.

«Da come ti eri descritta, t’immaginavo diversa.»

Ginny si sentì avvampare per l’imbarazzo e abbassò gli occhi sul pizzo che ornava il bordo della gonna.

«Sei… deluso?»

«Sei bella come un bocciolo di rosa che aspetta solo di fiorire.» Le parole di Tom erano inattese e cariche di una sincerità straziante. Il ragazzo si chinò su di lei, appoggiandosi allo schienale e fissando gli occhi verde incerto in quelli castagna di lei. «Anzi, sei bellissima Ginevra, mio bocciolo di rosa,» aggiunse sfiorandole la fronte con le labbra tumide.

Non era la prima volta che Ginny riceveva un bacio sulla fronte, né sarebbe stata l’ultima, eppure quel semplice contatto la fece sentire strana, come se avesse nel ventre un calderone in cui sobbolliva una pozione e che il suo cuore perdesse un battito o due.  Tom si allontanò un po’ e rimase chino su di lei, sovrastandola con la propria presenza.

«Non hai ancora cenato, giusto?» Un brontolio dal ventre della bambina riuscì a far sfuggire una risatina dalle sue labbra. «A quanto pare abbiamo fame, eh? Posso rimediare.»

Detto questo, il ragazzo si rizzò e l’aria intorno a loro vorticò, fino a diventare una stanza in cui degli studenti vestiti a maschera ridevano e chiacchieravano e ballavano: Tom raggiunse un tavolo e tornò con dell’arrosto, un paio di yorkshire pudding, dei sandwich al cetriolo e una fetta di torta al cioccolato. Ginny lo ringraziò con insolita timidezza e masticò un boccone di carne, storcendo appena le labbra.

«Devi mangiare, mio bocciolo di rosa, anche se non è granché: non è prudente assumere certe pozioni a stomaco vuoto,» insisté lui, forzando un sandwich nella bocca di Ginny, come faceva sua madre quando era piccola e non voleva mangiare.

«Sa un po’ di carta…» si giustificò lei, dopo aver ingoiato il boccone e aiutando il tutto a scendere con il succo di zucca che lui le aveva portato.

«Lo so e me ne spiace, ma dopo cinquant’anni non ricordo molto bene che sapore avesse il cibo.»

«Allora la prossima volta porto io da mangiare, così potrai ricordare meglio! Dimmi Tom, quali sono i tuoi piatti preferiti?»

«Io non… all’orfanotrofio mi hanno abituato a mangiare di tutto, per cui potresti portare quello che vuoi.»

Un silenzio imbarazzato calò fra loro, interrotto solo dal ricordo della musica e delle risate: Ginny strinse la gonna con i pugni, mordicchiandosi il labbro, quindi si alzò dal divano con un saltello e fece una piroetta.

«Non mi hai ancora detto se il vestito ti piace,» disse nel tentativo di cambiare argomento, mentre il velluto ricadeva attorno alle sue gambe.

Tom la osservò con occhio critico, quindi rispose: «È molto carino e quel punto di verde ti dona molto, fa risaltare il colore dei tuoi capelli, però… la gonna non è un po’ corta?»

«Corta?» Ginny la osservò corrucciata. «No, l’ho fatta sopra il ginocchio, mi sono regolata sulla lunghezza di quella dell’uniforme.»

«Perdonami, è che ai miei tempi sarebbe stata considerata sconveniente: quando ero a Hogwarts, la lunghezza regolamentare era sotto il ginocchio. I tempi devono essere proprio cambiati. Voglio comunque fare onore al tuo vestito ma non qui: vorrei offrirti un ricordo davvero speciale.»

L’aria intorno a loro tremò come se fosse un’afosa giornata d’agosto, e la stanza lasciò il posto a un gazebo di marmo e ferro battuto, circondato da null’altro che il cielo stellato e il mare. Tom la prese per mano e la condusse al centro del gazebo, quindi estrasse la bacchetta e, puntatala contro la cupola e disegnando un arco immaginario, mormorò: «Orchideus

Tralci di rose rampicanti si avvilupparono intorno ai pilastri e alle volute di ferro nero, riempiendosi di foglie e boccioli scuri.

Ginny ammirò quello spettacolo estasiata, il naso in su e la bocca spalancata. «Wow…» mormorò, «È bellissimo, Tom.»

«Ed è solo per te che ho creato questo luogo, Ginevra. Sai quel bouquet che ti volevo regalare per il tuo compleanno? La varietà di rose cui pensavo era proprio questa… attenta!» L’avvertimento era arrivato un istante troppo tardi perché Ginny, nel voler cogliere un bocciolo, si era punta: Tom le prese la mano delicatamente e osservò la ferita prima di pulirla con un fazzoletto. «Le rose Cherna sono splendide quando sono in fiore, ma hanno anche le spine pericolose come un rasoio: ai miei tempi, rubarne una dal roseto della scuola senza ferirsi era un modo con cui i ragazzi dichiaravano i propri sentimenti all’amata.» Poi alzò la testa e osservò la cupola. «La mia magia non è abbastanza forte da farle fiorire, a questo ci devi pensare tu, mio bocciolo di rosa.»

«Io? E come?»

«Continua a scrivermi di te, delle tue giornate, dei tuoi sentimenti e dei tuoi sogni: la magia del diario trasformerà le tue parole in nutrimento per queste rose e, piano piano, le vedremo fiorire.»

«Allora ti scriverò ancora di più, anche a pranzo e a cena, anche durante le lezioni! Immagino già come sarà splendido quando tutte queste rose saranno sbocciate!» Ginny lo guardò entusiasta, afferrandogli entrambe le mani e coinvolgendolo in un girotondo che le diede la vertigine, quindi lo tirò a sé leggermente e si protese sulla punta dei piedi. «Ti voglio bene Tom!»

Ginny aveva voluto semplicemente dargli un bacio sulla guancia, come aveva sempre fatto con Bill e Charlie, e forse Tom aveva voluto semplicemente ricambiare quella dichiarazione d’affetto: la cosa certa era che entrambi furono stupiti e sorpresi di sentire le labbra dell’uno su quelle dell’altra. Si fissarono con gli occhi sgranati e poi, lentamente, Ginny chiuse gli occhi.

In un attimo che parve distendersi nell’infinito, Ginny si chiese se fosse giusto baciare qualcuno che non fosse il suo adorato Harry Potter, se quel gesto venuto quasi per caso equivalesse a un tradimento della peggior specie. Un dubbio, un sospetto s’insinuò nella sua mente: e se in quelle ultime settimane si fosse innamorata di Tom, senza che se ne rendesse conto? Sì, doveva essere così, perché Tom era sempre premuroso nei suoi confronti, sempre disposto ad aiutarla e a sollevarle il morale, proprio come il Principe Azzurro delle fiabe: doveva essere per quel motivo che si era sentita imbarazzata quando lo aveva visto, molto più imbarazzata di quando Harry le diceva buongiorno.

Sentì lo strano brivido che provava ogni volta che baciava le pagine ingiallite del diario, solo più intenso, più travolgente, come se tutto il suo corpo fosse percorso da un’onda di marea viva. Il fremito saliva lungo la schiena e i fianchi, si annodava nel basso ventre e nella bocca dello stomaco, si accumulava nel petto facendo battere ancora più forte il suo cuore, mentre una parte di lei si chiese se anche Tom avesse lo stesso sapore di carta dei sandwich che le aveva offerto. Lo sentì irrigidirsi e trattenere il respiro, esitare su cosa fare: Ginny fu pervasa dalla paura di un rifiuto e poi si sentì sciogliere di gioia quando Tom ricambiò il gesto, inspirando un po’ più forte come se volesse inghiottire tutto l’affetto che lei gli aveva offerto da quando avevano iniziato a conoscersi, tutto l’affetto che gli stava offrendo in quel momento. Tom fece scivolare le proprie mani dalle sue per cingerle la vita e affondare le dita sottili fra i suoi capelli, stringendola a sé con la stessa forza disperata con cui un naufrago si aggrappa a un relitto.  

Ginny non poté fare a meno di chiedersi che cosa avesse provato quella ragazza che sorpreso baciarsi con Percy, poco meno di due settimane prima: anche lei aveva sentito quel calore che saliva dal basso ventre alle guance? Anche lei si era sentita la testa leggera e il cuore in subbuglio? Anche lei si era ubriacata del profumo di suo fratello, proprio come l’odore di acqua di colonia e inchiostro vecchio di Tom, che la avvolgeva quasi soffocandola? Anche lei si era sentita come una rosa che, non ancora completamente sbocciata, offriva nettare e polline a un insetto meraviglioso? Anche lei aveva cercato di fondersi in lui e con lui, come se tutta la sua esistenza fosse in funzione dell’attimo che stava vivendo? Anche lei aveva anelato di più, molto di più e ancora di più da quel contatto febbricitante, necessario, indispensabile? Anche lei aveva desiderato che quell’istante si prolungasse nell’eternità, infinito?

La sua testa iniziò a turbinare come se fosse una foglia in balia del vento, la sua coscienza iniziò a scivolare in un dolce oblio mentre l’abbraccio e le labbra di Tom si perdevano nell’eco di un sogno: eppure, proprio il quel momento Ginny ebbe la certezza che alcuni boccioli, quelli più vicino a loro, avessero iniziato a schiudersi, spandendo nell’aria il loro profumo di miele e pepe che, come quello dei gigli bianchi, faceva girare la testa.

 

 

 

 

Ginny ignorava che la via d’uscita passava per le sue labbra.

 

b { a

Note dell’autore

Biancaneve: non ho scelto questa fiaba a caso, perché, per citare Morohoshi Daijirou, “Biancaneve è la storia di una ragazza che muore e torna in vita tre volte, di un principe necrofilo che cerca di comprare il suo corpo, e una scena di tortura finale in cui la regina cattiva è uccisa con delle scarpe di ferro arroventate”.
Barbablù: anche in questo caso, non è un caso, anche se più che il tema della curiosità punita, bisogna considerare quello della tentazione e dell’attrazione per il proibito.
Rosa Cherna: varietà di mia invenzione – cherna significa “nero” in bulgaro – e caratterizzata da petali neri, profumo simile a quello del giglio bianco e rami crivellati di spine. La storiella sugli innamorati, Tom se l’è inventata di sana pianta.
La citazione iniziale è tratta dalla tirade de "Il bacio di Rossana" tratta dal "Cyrano" di Rostand, e che può essere tradotta con: Un bacio, in fondo, che cos'è? Un modo per un po' assaporare, a fior di labbra, l'anima!
Per quanto riguarda il colore degli occhi di Tom: io li ho sempre immaginanti verdi, per essere precisi di quella tonalità che il mio maestro di acquerello definiva glauque – inteso non come glauco, ma quella tinta borderline fra il verde e il marrone, tant'è che trovo sia uno dei colori più difficili da miscelare – e che nelle mie storie definisco verde veleno. Evito di snocciolarvi tutta la simbologia ambigua legata a questo colore.

Un’altra cosa che tengo a precisare, nonostante parlarne mi farà andare fuori traccia e che serve a dissezionare perché Ginny si mostra intraprendente, nonostante quello fosse il suo primo bacio. Non ho voluto sviluppare il tema del bacio in quanto espressione romantica dei sentimenti fra due persone di sesso opposto, piuttosto mi sono rifatta alla sua funzione arcaica di nutrimento legata alla pratica della premasticazione, che poi ha dato origine all’uso del bacio così come lo conosciamo e pratichiamo oggigiorno. Nella storia, il cibo è sostituito dalla forza vitale e dalla magia con cui Ginny, seppur inconsciamente, nutre Tom e quindi rendendo il bacio molto più efficace del semplice scrivere nel diario. Inoltre, tale contatto agevola Tom nel suo prendere possesso della volontà e del corpo di Ginny, fungendo da catalizzatore e dando il via a un effetto domino che culminerà nella Camera dei Segreti – come Tom esplicita ne “Inchiostro rosa dall’odore artificiale di fragola”, Ginny lo ha ingozzato di vita e forse sarebbe stato meglio se le cose fra loro fossero andate con più calma.

Grazie a chi leggerà queste righe e a chi lascerà un commento.

 

Cordialmente,

 

D. Rose

   
 
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