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Autore: LilithJow    08/03/2014    2 recensioni
Io avevo sempre odiato la morte, così come le persone che le andavano incontro; quelle che rinunciavano alla propria vita, sperando in un'esistenza migliore, che però non c'era e io lo sapevo bene. Non capii perché nella mia mente si materializzò l'idea di permettere a Sebastian di uccidermi e non era qualcosa di simile a ciò che era successo in precedenza.
Avevo deciso di sacrificarmi per permettere a Simon di vivere e ritenevo che fosse una buona motivazione. Ma allora, una ragione non c'era, eppure lo desideravo comunque. - SEGUITO DI "LULLABIES"
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Lullabies Saga'
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Capitolo 25
"Everything goes black"



La psicologia umana è complessa. O, forse, è meglio dire che l'intero concetto di umanità lo è. Gioia e tristezza spesso coesistono, così come il dolore e il sollievo, l'odio e l'amore.
Non cerchiamo di capire come questo accada, rischieremmo soltanto di farci esplodere la testa. Lo accettiamo e basta, senza chiederci il perché anche quando una spiegazione logica sarebbe utile per porre fine alla nostra perenne confusione.

Il punto è che non c'è logica.

L'intero mondo si basa su una reazione a catena innescata da eventi totalmente casuali in cui siamo costantemente e inesorabilmente immersi, senza accorgercene. E così andiamo avanti, a discapito di tutto, della ragione stessa; smettiamo di fare domande, di tentare di rispondere a quelle che ci vengono poste e ci arrendiamo a ciò che ci circonda.

Questo è ciò che accade.

O che dovrebbe accadere.

Certe volte, qualche persona non si abbandona all'accettazione, credendo che sia tutto opera di quel fantomatica e misterioso ente detto “destino”.
Certe volte, qualcuno inizia a combattere ferocemente, si ribella, convinto del fatto che tale catena si possa spezzare o, al limite, modificare, in modo da stravolgere gli eventi e indirizzarli verso un cammino migliore.

Io ero uno di queste persone.
Non accettavo il destino: troppo stupido, troppo crudele. Non volevo e non potevo semplicemente arrendermi allo svolgimento dei fatti senza intervenire.

 

«Che cosa stiamo aspettando, esattamente?» domandai, per l'ennesima volta. Rischiavo di divenire fastidioso, pedante e ne ero consapevole.
Sebastian sbuffò, con occhi socchiusi. Sedeva su uno di quei divani di velluto rosso, con le mani intrecciate e, accanto a lui, si trovava Katie. Io, invece, ero in piedi, proprio di fronte a loro. Non riuscivo a stare fermo, continuavo a fare su e giù in quell'enorme stanza, dove erano presenti altri Divoratori di cui non sapevo il nome. Mi era stato detto facessero tutti parte della Resistenza.
«Ci atteniamo al piano» rispose Sebastian, con apparente calma. Mi fermai di scatto, allargando le braccia. «Rimanere immobili senza fare niente? E' questo il piano?» esclamai.
Lui alzò le spalle, come se la risposta fosse ovvia. Fui io a sbuffare, allora. «Questo piano fa schifo» commentai.

«Lo preferivo di gran lunga quando era senza memoria, almeno stava zitto» disse Katie. Probabilmente, non era sua intenzione farmi sentire quella frase, ma la afferrai nonostante il basso tono di voce. Mi sforzai di ignorarla, non era qualcosa di importante in quel momento. «Hai detto che hai un modo per contattarla» dissi, andando oltre. «Perché non l'hai ancora fatto?».
Sebastian roteò gli occhi e si alzò lentamente in piedi, compiendo un passo nella mia direzione. «Sto aspettando il momento giusto, Simon» replicò.

«E tu sai qual è, vero?».

«Certo che sì».

Scossi appena la testa.

Di lui non mi fidavo. Non era molto presente nei miei ricordi, come se la mia testa avesse deciso di riportare alla luce soltanto cose piacevoli; per quel poco che avevo visto, tuttavia, ero a conoscenza di come mi avesse reso la vita impossibile e, per sentito dire, sapevo che era stato lui a mettere le basi di tutto quel casino.
Ogni cosa era stata costruita sotto il suo controllo, il che mi portava ad odiarlo senza nemmeno provare a capirlo.
Sostenni il suo sguardo, cercando di risultare minaccioso ai suoi occhi tanto quanto lui risultava ai miei. Ci riuscii a stento e Sebastian fece un passo indietro, non proseguendo il discorso.
Era strano che io fossi l'unico umano in quel posto. Per quanto ne sapevo, Thomàs se ne era andato e, sebbene mi costasse ammetterlo, avrei preferito non lo avesse fatto. Era un Cacciatore, era in grado gestire un mucchio di Divoratori.
Io... Beh, io, a parte le poche cose apprese durante la convivenza con Tamara, non sapevo nulla. A volte, pensai addirittura mi avrebbero ucciso in modo così rapido da non darmi il tempo di realizzare. Per mia fortuna, nulla del genere accadde, anzi, alcuni di loro erano stati addirittura gentili con me, recuperandomi dei pasti caldi e delle coperte.

Non erano passati nemmeno due giorni da quando Hazel se ne era andata e a me già mancava il respiro. Katie, in uno dei suoi pochi momenti di tatto, mi aveva detto che tutto sarebbe andato bene, che l'avrei rivista e che avrei potuto sistemare le cose con lei.
Avrei voluto crederle senza esitazioni, ma non faceva parte del mio essere. Ero troppo pessimista per tentare di essere ottimista.

Avevo paura.

Avevo lo strano presentimento che qualcosa di terribile sarebbe accaduto, anche se quel gruppo di Divoratori che mi circondava era di una diversa opinione.
Era come se fossero convinti di poter controllare il corso degli eventi con estrema facilità. La realtà non era così, però, e sembravano non capirlo o, semplicemente, ignorarlo.
Forse, il fatto di essere immortali alterava il loro concetto delle cose. La consapevolezza di avere un tempo determinato a propria disposizione porta le persone a calcolare rischi ed imprevisti e ciò è una caratteristica molto presente negli esseri umani.
Per i Divoratori, tale logica non funzionava. Io, invece, mi ero già perso un sacco di volte in mille se e mille ma e ognuno di essi conduceva ad un epilogo per nulla piacevole. Che ci fosse Hazel di mezzo, poi, complicava le cose.
Il punto era, che quando c'era lei di mezzo, io non ragionavo mai, che avessi memoria o meno. Mi aveva mandato in tilt dal primo momento in cui l'avevo vista ed era accaduto per ben due volte.
Immaginai che il destino c'entrasse, ma una versione scritta da qualcuno di lontano e remoto che probabilmente mai avremmo conosciuto. In quel caso, avrei anche potuto ringraziare per tale storia.
Inoltre, avevamo così tante cose in sospeso: avremmo dovuto chiarirci e non volevo pensasse la odiassi per ciò che era accaduto poco prima che se ne andasse.
Sì, mi aveva dato fastidio vederla con Thomàs; quella parte non potei negarla. Ma sapevo che il nostro rapporto era diverso, era speciale, indissolubile, e di certo non mi sarei tirato indietro di fronte ad un singolo ostacolo.

Ci furono minuti di silenzio interminabili; divennero ore, si fece buio.
Mi ero seduto sul pavimento, a gambe incrociate, aspettando... Odiavo dirlo, ma aspettando il momento giusto. Esso parve arrivare quando udii Sebastian parlare. Sollevai appena il capo e lo vidi di nuovo accomodato sul divano rosso, con gli occhi chiusi.
«Bel giocattolino, eh?». E sorrise. Un attimo di pausa. «Bingo».
Stava parlando con lei. Mi alzai rapidamente e mi avvicinai al Divoratore, per sentire meglio. Ascoltando soltanto una parte del discorso, esso non suonò molto sensato alle mie orecchie. Parevano delle frasi prive di senso, ma evidentemente ce l'avevano se completate con delle risposte e delle domande.
«Chiedile se sta bene. Chiedile se...» dissi. Sebastian sollevò le palpebre, guardandomi storto. «Sta' zitto, Simon. Per favore» esclamò e poi chiuse di nuovo gli occhi.
Feci una smorfia. Gli avrei tirato un pugno in faccia molto volentieri. Serrai la mascella, in modo da non provocare un'inutile discussione, e mi sforzai di obbedirgli, restando semplicemente in ascolto di tutto ciò che avveniva.
Ci fu una relativa tranquillità, per un po': ancora frasi disconnesse o indicazioni per raggiungere un luogo, nulla di più. Dopo, però, le cose sembrarono impregnarsi di tensione.

«Colpiscilo ora, prima che sia troppo tardi». «Non credergli. Non devi credergli».

Stavo rischiando di impazzire, poiché non potevo sapere cosa stava succedendo e mi sentivo irrimediabilmente impotente.
Sebastian scattò in piedi improvvisamente, spalancando gli occhi. Pareva atterrito. «Dobbiamo intervenire. Ora» esclamò. Katie annuì e, inconsciamente, lo feci anche io, come se avessi dato per scontato di andare con loro.
Il piano dei Divoratori, ovviamente, non mi comprendeva.

«Solo Katie ed io» puntualizzò Sebastian. Scossi la testa. «Non esiste» reclamai. «Io...».

«Sei pressoché inutile contro i Creatori, fidati. Solo Katie ed io. Gli altri si tengano pronti, come pianificato».

Non mi diede il tempo di replicare in qualche modo. Scomparvero entrambi in un battito di ciglia.

«Dannazione» imprecai, passandomi una mano tra i capelli.

Trascorsero esattamente diciotto minuti. Un tempo così breve che combaciò con un'agonia così lunga, finché Sebastian e Katie non tornarono e... Lei c'era.
Riuscii a scorgerla nonostante il caos che si creò attorno, tra Divoratori curiosi e la voce affannosa proprio di Sebastian. Mi feci largo, nervosamente, tra la folla che mi bloccava la visuale e quando fui in grado di superarla, mi ritrovai davanti il peggio.
Hazel era lì, stesa sul divano di velluto. I suoi occhi erano chiusi, la pelle più bianca del solito, le labbra violacee.
«No...» dissi e il resto della frase che avevo in mente mi si spezzò in gola. Sgomitai, finché non ricaddi in ginocchio al suo fianco, notando l'enorme macchia di sangue che si estendeva sul suo vestito chiaro, all'altezza del petto.
Mi sentii precipitare, come se tutta la gravità del pianeta si fosse concentrata su di me, tirandomi sempre più verso il basso, verso un abisso nero e infinito dal quale sarebbe stato difficile uscire.
Dentro la mia testa si accumularono voci su voci, che urlavano, che si disperavano, che cercavano di convincermi che fosse solo un brutto sogno.
E invece era tutto dannatamente reale e l'enorme peso che si poggiò sul mio cuore, frantumandolo in mille pezzi, ne diede soltanto la conferma.
«No, ti prego» biascicai ancora e una mia mano scivolò sul suo viso, sfiorandole piano una guancia. Proprio grazie a quel gesto, tuttavia, notai un lieve movimento delle sue labbra. Non era troppo tardi.

«Sta respirando» dissi allora, strizzando gli occhi. «Respira ancora! Noi... Noi dobbiamo portarla in ospedale, ora!». Avevo alzato il tono di voce, ma nessuno pareva ascoltarmi. Erano tutti fermi lì attorno e nessuno osava agire.

«Perché non fate niente?!» urlai.

Sebastian mi fissò, scuotendo appena la testa. «Non c'è più nulla da fare» esclamò, con tono pacato.

«Respira!» replicai, gridando più forte. «E' ancora viva! Voi potete spostarvi da un luogo all'altro in una frazione di secondo e non...».

«Non reggerebbe un'altra smaterializzazione, Simon».

«Non puoi saperlo se non ci provi!».

A quello non ebbe reazione. Distolse solamente lo sguardo dal mio volto perché in fondo sapeva che avevo ragione io, solo che non voleva ammetterlo. Non uno dei presenti riusciva a farlo.
Io avrei dato di matto in breve tempo o forse lo stavo già facendo.
«Immagino debba ricorrere alla vecchia maniera, allora» conclusi. Serrai la mascella, mi alzai in piedi e presi Hazel in braccio, stringendola a me. «Che stai facendo?» esclamò Sebastian, come se volesse rimproverarmi tramite quella domanda. «Quel che dovresti fare tu» ribattei, secco.

«E' mia sorella».

«E' tua sorella e la stai lasciando morire».

Riuscii a tenergli testa, a zittirlo, a impedirgli di bloccarmi.

Attraversai nuovamente la folla di Divoratori e, accelerando il passo, abbandonai quella stanza. Iniziai a brancolare tra quei corridoi poco illuminati: tanti, tutti dannatamente uguali, e avevo l'impressione che più camminavo, più mi allontanavo dall'uscita di quel dannato posto.
Non sapevo dove essa si trovasse, non avevo nemmeno idea di dove l'intero rifugio avesse luogo. Avremmo potuto essere in mezzo ad un oceano o sperduti in un vasto deserto. Vi ero entrato in compagnia di Katie e, da allora, non ero mai andato fuori.
Mi sembrava di essere intrappolato in un labirinto senza via di fuga, con la vita di Hazel che mi scorreva come sabbia tra le dita, granello dopo granello.
«Andiamo, andiamo» soffocai, quasi dovessi darmi la forza di riuscire con quelle parole. In realtà, ebbero l'effetto opposto, riuscendo a demotivarmi ancora di più.
Ogni passo che compievo era a vuoto; non mi portava da nessuna parte e fu allora che persi la lucidità e la logica, insieme al controllo di me stesso. Tanto per acquisirlo, un solo attimo per lasciarselo scappare.
Percepii delle calde lacrime scorrermi sulle guance e, inconsciamente, smisi di camminare. Lentamente, mi abbandonai seduto a terra, strisciando con la schiena contro una parete di roccia ruvida. Hazel mi rimase addosso. Continuai a stringerla a me, sistemandola meglio tra le mie braccia, così che fosse comoda nonostante tutto.
Lei aveva gli occhi chiusi e riuscivo a sentire il suo respiro, lieve e quasi assente.
«Mi dispiace» biascicai, con voce rotta, mentre, con le dita, le sfioravo piano le guance. Udii un suo gemito e, poco dopo, vidi le sue palpebre sollevarsi a fatica.
Hazel mi fissò. Fece per sorridere, ma quel gesto fu smorzato subito da una smorfia causata molto probabilmente dal dolore che stava provando, lo stesso che avrei voluto portarle via affinché non la attanagliasse più.

«Mi dispiace» ripetei, singhiozzando. «Mi dispiace così tanto... Io... Io volevo salvarti».

«E'... O-okay».

«No». Scossi ripetutamente la testa. «No, non è okay. Questo non è per niente okay».

Non avevo smesso di accarezzarla, sebbene le mie mani avessero iniziato ad esser scosse da continui tremori, insieme a tutto il mio corpo. 
Perdevo fiato. Il solo atto del respirare mi faceva male, come se stessi morendo anch'io. E un po' era così, perché le lacrime avevano già cominciato a corrodermi le guance.

«Respira per me» biascicò lei, mentre la vita si spegneva nei suoi occhi che rimasero fissi e spalancati su di me.

Tremai più forte.
Una mia mano scorse sul suo volto, per abbassarle le palpebre e indurla a quel sonno perpetuo che di poetico non aveva nulla.

La morte non è poetica, non è romantica. Se prima del tempo, è soltanto dolorosa, priva di senso e ingiusta.

E fu tale dolore che mi avvolse, quello più profondo e incontrollabile, capace di lacerarti dall'interno, demolirti, distruggerti fino a non lasciare neppure una minuscola briciola di ciò che sei stato. Quello stesso dolore che esplose nelle mie urla che divennero pian piano sempre più forti, mentre me la prendevo col mondo intero perché tutti sembravano colpevoli.
La mia voce echeggiava tra i corridoi oscuri, rimbombava e si propagava in tutto l'ambiente. Gridai finché non ebbi più fiato. Il pianto si era esaurito, gli occhi mi bruciavano e mi sentii... Vuoto, come se quasi non esistessi più. Come se non appartenessi più al mondo attorno.
Immaginai fosse quello il momento in cui si passa dalla rabbia alla consapevolezza di ciò che è appena accaduto.
Immaginai di aver provato le medesime sensazioni tempo addietro, sebbene non riuscissi a ricordarle chiaramente. Era un bene che non fossero tornate a galla, perché, se lo avessero fatto, molto probabilmente sarei crollato in maniera definitiva in quel preciso istante.
Invece, ebbi ancora la forza di sollevare il capo e osservare il volto rilassato di Hazel. Sembrava quasi dormisse, anche se l'avevo vista poche volte farlo.
Era incantevole nonostante il pallore e le labbra scure. La strinsi a me, fregandomene del sangue che mi aveva imbrattato le mani e, parzialmente, i vestiti. Feci in modo che la sua testa poggiasse sul mio petto e presi a cullarla lentamente.
E allora iniziai a cantare quella ninna-nanna che tante volte lei mia aveva sussurrato, anche quando io non ricordavo il suo nome; quella dolce e soave melodia che mi aveva rassicurato così tanto nel momento in cui ero perso e allo sbaraglio, la stessa che, in qualche modo, mi aveva curato.
Il silenzio tagliente si riempì delle parole spezzate che mi uscivano di bocca e io mi abbandonai ad esse, come se fossero l'unica cosa importante nell'oscurità nella quale mi stavo immergendo.

 

***


Tic-tac.

Tic-tac.

C'era un unico, grande e maledetto orologio in quell'enorme stanza dalle pareti spoglie; un modello di vecchia data, dotato di un quadrante d'oro e di un pendolo che scandiva ogni secondo.
Per quel che mi riguardava, il tempo avrebbe potuto anche fermarsi e, se non fosse stato per quel rumore ricorrente, sicuramente lo avrebbe fatto.
Avevo stretto così forte i pugni che le unghie mi si erano conficcate nei palmi e avevo iniziato a sanguinare. Non diedi molto peso a quel lieve dolore; in realtà, quasi non me ne accorsi. Il mio sguardo era fisso nel vuoto, io ero privo di qualunque pensiero perché se mi fossi soffermato a formulare frasi all'interno della mia testa, molto probabilmente avrei ricominciato ad urlare.

Ero seduto su uno dei tanti divani rossi del Rifugio, ma se fossi stato in piedi o sdraiato a terra non avrei colto la differenza.
L'entrata nella stanza di qualcuno, che solo più tardi mi accorsi essere Katie e Sebastian, mi distrasse quel minimo da farmi sussultare e abbandonare i morbidi cuscini.
Mi alzai con quell'accenno di speranza che mi guizzò negli occhi inconsciamente, pensando al fatto che quei Divoratori avessero iniziato a cercare una soluzione a quanto accaduto, che avessero chiamato qualcuno, che... Avessero fatto qualcosa. Qualsiasi cosa.
Loro, però, una volta fermatosi a qualche metro da me, sospirarono e Sebastian disse: «Devi andartene da qui». 
Feci una smorfia, allibito. «Non penso lo farò» replicai. A quel punto, lui sbuffò. «Ascolta» esclamò, cercando di mantenere un tono calmo «se non fosse stato per Katie e la sua stupida promessa, avrei già permesso a chi sta nella stanza accanto di ridurti in mille pezzi. Evidentemente, non posso, quindi... Considera questo come un mio unico e solo favore».

Scossi ripetutamente la testa, passandomi una mano sul viso. «Quindi... Non farai nient'altro?».

«Che intendi?».

«Tua sorella è appena morta».

«Ne sono consapevole».

«E non proverai neanche a... Rimediare? Sai che può succedere, io ne sono la prova».

«Tu sei stato riportato in vita dalla Creatrice. Io non ho quel potere e, anche se lo avessi, non lo userei. Contrattare con la Morte è arduo».

«Arduo, ma non impossibile».

Sebastian serrò la mascella. «Ti conviene accettare il mio favore, Simon».

«No» replicai, serio. «Perché non fai niente? Tutto questo è accaduto per colpa tua. Tu hai dato inizio a ogni cosa, tu hai condotto lei a questa fine! Il minimo che puoi fare è rimediare».
Mi sembrò di essere arrabbiato, furioso, a tratti minaccioso, ma, evidentemente, al Divoratore davo tutt'altra impressione, poiché abbozzò un sorriso, sarcastico, e lo vidi stringere forte i pugni lungo i fianchi. «Dammi la colpa di un sacco di cose, ragazzino, me lo merito» disse «ma non della morte di Hazel. Per quello, forse dovresti solo guardarti allo specchio. E' morta per te. Avrebbe potuto colpire il Creatore senza problemi ed ha esitato perché lui è collegato a te. Colpendolo, ti avrebbe ucciso e ancora una volta questo stupido concetto d'amore è stata la sua debolezza. Quindi, accetta il mio favore, prima che cambi idea e ti rispedisca a fare sonni tranquilli».
Le sue parole mi colpirono esattamente come avrebbero fatto tante lame affilate scagliatemi contro, una dietro l'altra, lacerando la mia pelle e dissanguandomi in maniera fin troppo lenta.
Era possibile che ogni nuova rivelazione fosse peggiore della precedente? Ricordavo di essermi sentito nel medesimo modo quando avevo origliato la conversazione di Tamara con i suoi compagni.
“Il loro amore è soltanto un trucco” aveva detto e mi ero sentito più perso di quanto non lo fossi già.
Quella volta, tuttavia, fu addirittura peggio poiché, allora, mi era stato concesso di trovare una soluzione. In quel momento, invece, la situazione mi stava scivolando tra le dita senza farmi la possibilità di frenare tale caduta.

“Stupida, sciocca, ragazza dagli occhi verdi” pensai. Avrebbe dovuto essere egoista per una sola volta.

Continuai a sostenere lo sguardo di Sebastian con durezza. Non volevo fargli capire che era riuscito a farmi vacillare e sapevo bene che il suo scopo era soltanto rigirare le colpe per alleggerire la propria coscienza – se mai ne avesse avuta una.
Sebbene volessi evitare reazioni spropositate, il mio istinto non mi stette ad ascoltare, nemmeno per un secondo: mi portò a scagliarmi contro il Divoratore, a spingerlo con forza e a fargli perdere l'equilibrio. Gli andai addosso, successivamente, cominciando a colpire il suo volto con violenti pugni e con quella rabbia che aveva bisogno di essere espressa.
Lui non reagì, non subito.
Ci pensò Katie a tirarmi via, faticando, perché anche in quell'occasione, con degli strattoni cercai di liberarmi dalla sua presa. Ci riuscii, ma ormai Sebastian si era già rimesso in piedi. Lo vidi asciugarsi una goccia di sangue fuoriuscita dal taglio che gli avevo procurato sul labbro inferiore.

Avevo il fiatone.

Picchiarlo era servito a qualcosa; perlomeno, in qualche modo mi ero sfogato.

«Va' via, Simon» mi disse Katie, mentre il mio sguardo ancora era fisso e minaccioso nella direzione del compagno. Per far sì che la ascoltassi, la Divoratrice prese il mio viso con una sola mano, da sotto il mento, e mi costrinse ad incrociare i suoi occhi. «Dico sul serio» sibilò. «E' l'unica maniera per tenerti al sicuro. Se tu vieni ucciso, verrà ucciso anche il Creatore, almeno finché il legame non sarà spezzato. Molti di là lo sanno e non riusciremo a fermarli se decidono di agire».
Allontanai con un gesto secco il suo braccio e feci un passo indietro. «Falli agire» esclamai, con rassegnazione.

«Non essere sciocco».

«No, è... E' questo il punto: io sono sciocco e... E che senso ha scappare, adesso? Non ho assolutamente più nulla da perdere. Avevo solo Hazel e lei è morta. Quindi, non... Non ha senso nascondermi».

«Non essere così umano proprio ora».

Feci una smorfia. Quella sua affermazione era assurda e priva di logica.

«Anche Hazel era collegata alla Creatrice. Non sappiamo in che modo, ma lo era. E' stata una perdita incolmabile, lo so, ma... Prima di andar via, mi ha fatto promettere di tenerti al sicuro e questo è il mio unico modo per farlo. Salvati, Simon» mi disse ancora. «Per favore, salvati».

Il suo sguardo mi stava implorando ed era strano perché sapevo che non era usuale per tali Creature affidarsi ad un gesto simile. Eppure, stava accadendo. Stava addirittura mantenendo una promessa di cui poco le importava.
Mi morsi piano il labbro inferiore, un po' per non parlare a sproposito, un po' per il nervoso. «Me ne andrò ad una condizione» esclamai.

«Che cosa?».

«Hazel viene via con me».

Katie accennò una risata, ironica. «E' morta. Non credo che...».

«Potrò non ricordare un sacco di cose, ma so con certezza che quando una persona muore, va seppellita in un luogo dove può riposare in pace. Questo... Non mi sembra esserlo».

«E' una follia».

«E' solo la mia condizione».

«Non credo ti sia mai stato concesso dettare condizioni» intervenne Sebastian e lo scorsi roteare gli occhi, fermo alle spalle di Katie. Serrai la mascella e mi trattenni dall'andargli di nuovo addosso.

«Allora?» esclamai e la Divoratrice davanti a me si morse piano il labbro inferiore. Esitò per qualche secondo e poi rispose: «D'accordo». Al suo consenso, si sovrappose un «Cosa?» stupito del compagno, ma lei lo ignorò del tutto e aggiunse: «Se è quel che serve a farti scappare, va bene».

Avrei dovuto sorridere se solo avessi seguito la logica dei fatti, ma non c'era niente per cui sorridere o forse avevo già scordato come farlo.

Andare via portando insieme a me un corpo senza vita era... Assurdo.

La mia vita, del resto, era divenuta un ammasso di assurdità.

***


Avevo ancora addosso i vestiti sporchi di sangue mentre Katie mi guidava con attenzione attraverso quei corridoi al buio che odiavo con tutto me stesso. Non era importante cosa ricopriva il mio corpo, dato che a me sembrava di non averlo e di muovermi solo per inerzia.

La Divoratrice mi condusse in quella stessa grossa camerata dove si era svolto il funerale di Martha. Era un luogo difficile da scordare.
Hazel era lì, distesa a terra, accanto ai corpi di altre Creature morte ormai da diverso tempo, in attesa di venir bruciate e divenire cenere, per volere di Sebastian. Il solo pensiero che lei avrebbe fatto la stessa fine mi fece rivoltare lo stomaco.

Rallentai i miei passi prima che la potessi raggiungere, anche a causa di Katie che si fermò, passandosi una mano sul viso. «Vado a controllare la situazione con gli altri» disse «poi torno e ti teletrasporto in un posto lontano da qui. Da lì, dovrai proseguire da solo».
Mi limitai ad annuire alle sue frasi e – dovetti ammetterlo – le seguii solo in parte.
Quando Katie si dissolse nell'aria, rimasi solo – relativamente. Dovetti compiere ancora tre passi – li contai – per raggiungere Hazel, ferma, immobile e... Ancora dannatamente bellissima, sebbene i colori della morte l'avessero già ricoperta.
Strizzai gli occhi e mi inginocchiai sul pavimento di roccia, proprio al suo fianco.
Sospirai. «Avevi ragione, sai?» sussurrai, come se lei potesse davvero sentirmi. «Non è così che l'amore dovrebbe farci sentire. Questo dolore è... Troppo da sopportare».
Allungai una mano, sfiorandole delicatamente una guancia con i polpastrelli. La sua pelle era fredda come il ghiaccio e percepii una lacrima scivolarmi sul viso.

«Dannazione». Udii una voce diversa da tutte quelle che erano entrate nelle mie orecchie negli ultimi giorni. Scattai in piedi, all'erta, sebbene non ce ne fosse motivo.
A pochi metri di distanza, notai la presenza di Thomàs, con i pugni stretti, la bocca socchiusa e lo sguardo fisso su Hazel.

«Credevo te ne fossi andato» dissi, asciugandomi distrattamente il pianto con la manica della felpa blu che indossavo.

«L'ho fatto» replicò lui, avanzando nella mia – nostra – direzione. «Poi ho... Avuto uno strano presentimento e mi sono costretto a tornare». Non volevo neanche una spiegazione. Per quanto non lo sopportassi – per ovvie ragione – la sua presenza fu quasi di conforto.

«Come è successo?» mi chiese. Pareva calmo e... In realtà, mi sarei aspettato una reazione diversa: la sua ira, la sua totale perdita di autocontrollo. Invece, non fece nulla del genere: rimase tranquillo e, nonostante gli occhi lucidi, neanche una lacrima gli scivolò sul viso.

Scossi appena la testa. «La battaglia, sai» risposi. «C'erano un sacco di cose che non sapevamo e...».

«Immagino i Divoratori non sappiano far funzionare perfettamente i loro piani».

«No, loro...». Lasciai la frase in sospeso e Thomàs non osò proseguirla o portare avanti in altro modo il discorso. Osservò Hazel ancora per qualche secondo, poi il suo sguardo puntò su di me.

«Voglio riportarla indietro, ma... Nessuno è molto propenso ad aiutarmi» mormorai.

«Perché sanno quanto è complicato».

«Sì. Però lei non si è arresa con me. Se la Creatrice non fosse intervenuta, sono pressappoco sicuro che avrebbe continuato a lottare per riavermi. Io non... Non ho intenzione di arrendermi solo perché è complicato».

«Trattare con la Morte può essere un vero suicidio. Anzi, lo è sicuramente».

«Non mi importa molto. Credo... Credo di aver affrontato prove peggiori e poi... Se mi dicessero che per donarle di nuovo la vita, dovrei rinunciare alla mia, lo farei. Sarebbe una pazzia, lo so, ma... L'amore rende pazzi, del resto».

Thomàs mi fissò per qualche breve attimo e dopo sorrise, senza quell'ironia e quel sarcasmo che spesso lo accompagnavano quando parlava con me. «Credo io non ti possa più chiamare “ragazzino”, Simon» disse.
Non seppi come prendere tale affermazione. Forse era il riflesso di un apprezzamento o chissà che altro. Non ebbi nemmeno idea di come replicare. Sforzai soltanto un sorriso che però si concluse con una smorfia per niente riconducibile a quel gesto.
A tal punto, Thomàs mi scansò lentamente. Si inginocchiò accanto ad Hazel e lo sentii sospirare. Lo seguii prima con lo sguardo, poi compii qualche passo in avanti. Lo vidi accarezzarle piano una guancia e, successivamente, prendere una sua mano e stringerla tra le proprie.
Pensai fossero gesti normali da parte sua. Ero a conoscenza dei suoi sentimenti per lei e della lotta che c'era stata tra noi due per tale motivo.

Lui la amava almeno quanto la amavo io.

Era così evidente e incredibilmente logico che mi passò per la testa di chiedergli aiuto in quell'impresa così ardua.
Tuttavia, prima che i miei pensieri potessero tramutarsi in frasi dette ad alta voce, d'improvviso, notai come dal groviglio di dita cominciò a fuoriuscire una strana luce, azzurra, brillante, fosforescente. Thomàs tremò appena.

«Che... Che stai facendo?» chiesi, quasi senza fiato.

«L'amore rende pazzi, a volte, Simon. Lo sai?» replicò lui, citando le mie parole di solo qualche secondo prima, e abbozzò una risata.

Non capii. Non afferrai il suo tono felice poiché non c'era nulla per cui esserlo. Guidato dall'istinto, finii anch'io in ginocchio ad analizzare ciò che stava succedendo.
La luce azzurra aumentò, si espanse nelle sue braccia e comparve anche nei suoi occhi. Alcune strisce di essa percorsero il corpo di Hazel, attraversandole il petto e il viso.
D'improvviso, poi, così come si era accesa, la luce si spense e Thomàs le lasciò delicatamente la mano. Trattenni il respiro per quelli che furono esattamente ventitré secondi – li contai, uno dietro l'altro. E dopo di che, accadde l'inspiegabile.
Non feci neanche in tempo a rendermene conto che un gran sospiro precedette gli occhi spalancati di Hazel e un suo scatto che la portò a mettersi seduta, sotto la mia espressione incredula e l'enorme perdita di fiato.
Lei cominciò a tremare e a guardarsi attorno, confusa, così, senza ragionarci troppo su, la accolsi immediatamente tra le mie braccia, facendo in modo che poggiasse la testa sul mio petto.
«Shh, va tutto bene» sussurrai e in realtà non avevo la benché minima idea di come le cose fossero state stravolte. Cercai di incrociare lo sguardo di Thomàs e ci riuscii dopo qualche istante. Sorrideva appena e indossava una maschera di malinconia. «Come...» feci per chiedere, ma la mia domanda non giunse al termine. Non ottenni una risposta, ovviamente, e, a quel punto, non ero più sicuro di volere alcun genere di spiegazione.

«Grazie» mormorai, con tutta la sincerità che avevo in corpo.

I miei occhi, poi, tornarono su Hazel, che si era stretta a me, più impaurita che mai.
Tornare dalla morte era qualcosa di assolutamente devastante ed io lo sapevo bene. 
«E' tutto okay, è okay» continuai a mormorarle, finché non sembrò calmarsi, almeno un briciolo. Sollevò il capo, guardando prima e dopo Thomàs. Fece per dire qualcosa, ma qualunque fosse la sua frase, fu bloccata da un «Oh, mio Dio!» che riconobbi subito appartenere a Katie.
Mi bastò girare la testa di qualche centimetro per vederla in piedi a poca distanza, con la bocca aperta, stupita e sconvolta – come biasimarla?

«Cosa diavolo è successo?» quasi urlò.

Io iniziai a sorridere come un perfetto idiota, forse perché l'euforia di aver riavuto qualcosa di così importante indietro mi stava dando alla testa.

«Come... Voi... Cosa?!» continuò a blaterale Katie.

«Sono stato io» le rispose Thomàs.

«Tu? E come?».

«Sarebbe troppo lungo da spiegare».

La Divoratrice scosse ripetutamente la testa e si guardò in giro, come se avesse paura che qualcuno entrasse in quella camerata da un momento all'altro. «Gli altri non posso saperlo» sibilò.

«Perché?» chiesi.

«Beh... Se è tornata in vita lei, potrebbe essere tornata in vita anche la Creatrice, non ti pare?».

A quello non ci avevo ancora pensato e, sinceramente, neanche mi importava. Se in tal momento mi avesse detto di scappare e di nascondermi per il resto della mia vita, lo avrei fatto, perché non sarei stato solo e avrei avuto un valido e insostituibile motivo per farlo.

«Dovete andar via da qui. Tutti e tre» aggiunse Katie. Ci fece cenno di alzarci e di fare in fretta. Mi diede l'impressione di essere atterrita, più che semplicemente sconvolta, il che riuscì a confondermi. Capivo la sua preoccupazione, ma credevo fosse troppa. O forse c'era dell'altro sotto che io, ovviamente, non potevo sapere.
Sostenni Hazel, con l'aiuto di Thomàs, per tenerla in piedi senza farla capitombolare di nuovo a terra. Katie fece in modo che ci dissolvessimo nell'aria insieme a lei. Mi bastò sbattere le palpebre una sola volta e il luogo attorno a noi era già cambiato.

Dell'aria gelida mi sfiorò il viso. Ci trovammo all'aperto, in quel che mi parve un bosco, fitto di cespugli e alberi che con i loro rami coprivano la lieve e scarsa luce del sole. La Divoratrice si guardò ancora una volta, furtivamente, attorno, forse per assicurarsi che nessuno ci avesse seguito – anche se lo ritenevo piuttosto improbabile. «Non so per quanto tempo riusciremo a tenere a bada tutta la Resistenza, dato che le voci sembrano spargersi piuttosto in fretta» disse poi. «Di sicuro avete un gran vantaggio». Fece una breve pausa, prendendo un respiro profondo. «Sarà difficile metterci in contatto, d'ora in avanti, ma... Mettetevi al sicuro». Abbozzò un sorriso, prima nella mia direzione e dopo in quella di tutti gli altri. Mi sembrò diversa dal solito, come se fosse stata toccata da qualcosa di estremamente umano da essere cambiata e, per un breve attimo, la sua espressione mi ricordò quella premurosa di Martha.
Ebbi l'intenzione di dire qualcosa in risposta, ma non me ne diede il tempo: sparì prima che potessi aprire bocca.
Non avevo idea di come sentirmi, allora. Eravamo passati dall'essere in fuga da Creatore e Creatrice, a... Essere nuovamente in fuga, però da una folla di Divoratori.
Altre assurdità che si aggiungevano all'enorme lista.

Non mi ero accorto di come sia io che Thomàs stringessimo ancora Hazel nello stesso identico modo. Fu lui a staccarsi per primo, abbozzando un sorriso di circostanza.

«Credo dobbiate andare» disse.

«Dobbiamo andare» replicai, marcando quel verbo. Sì, stavo includendo anche lui nella nostra nuova fuga, sebbene una parte di me avrebbe voluto escluderlo, ma sarebbe stato ingiusto.

Mi aveva ridato Hazel e... Anzi, sembrava avesse rinunciato in maniera definitiva a lei tramite quel gesto e, se fossi stato meschino ed egoista, sarei scappato in quel preciso istante senza tentare di convincerlo. Il punto era non lo ero e dovevo valutare le cose obiettivamente.

«No, io...» esclamò. «Io non c'entro con questa storia e... Ho promesso sarei sparito, per cui...».

A tali frasi, Hazel si voltò appena verso di me, come se mi stesse chiedendo il permesso di intervenire – cosa di cui non aveva assolutamente bisogno. Tuttavia, mi ritrovai inconsciamente ad annuire e mollai la presa che avevo stretto attorno ai suoi fianchi, in modo potesse avvicinarsi a Thomàs e... Beh, fare quello che riteneva più giusto. Io rimasi immobile, ad osservare e ascoltare.

«Grazie per avermi salvato» sussurrò lei.

Lui le sorrise, in quel modo che mai gli avevo visto fare. «Ti salverei sempre, ricordi?».

Hazel annuì e si sporse nella sua direzione per un abbraccio. Distolsi lo sguardo, allora, puntandolo verso le foglie secche che stavano ai miei piedi. Lo risollevai solo quando quel gesto ebbe fine e lei fece un passo indietro, tornando ad essere al mio fianco.
Allora avremmo dovuto girarci e andarcene, una volta per tutte, e fummo in procinto di farlo, se non che, in una frazione di secondo, gli eventi vennero sconvolti nuovamente e accadde tutto così rapidamente che quasi non riuscii a realizzare. Partì da un rivolo di liquido rosso dalla bocca di Thomàs, mentre il suo sguardo si incrociava con il mio. Lo vidi precipitare a terra, con fragore e nessuna leggerezza. Hazel scattò in avanti e, senza esitazioni, io feci lo stesso, inginocchiandomi insieme a lei al fianco del Cacciatore.

Mi ci volle un po' per capire cosa davvero stava accadendo. Lo feci con orrore.

“Una vita per una vita” sussurrò una voce remota dentro la mia testa.

Non avrei mai pensato di esserne in grado, ma una lacrima mi scorse lungo la guancia e fu proprio per Thomàs.
Tutto il rancore, la nostra non sopportazione reciproca, i fastidi, i dispetti, le cattive parole... Ogni cosa fu oscurata poiché priva di senso. E mi sentii male di nuovo.
A peggiorare la situazione ci furono i singhiozzi di Hazel che aveva accolto Thomàs tra le proprie braccia. Iniziò a piangere, le venne il fiatone.

«No, no, no!» urlò.

Lui, però, parve sereno, come se morire non gli causasse alcun fastidio. Come se non fosse illogico farlo.
Lo vidi addirittura sorridere.

«Un bel modo di andarsene, tra le tue braccia» mormorò Thomàs.

«No, ti prego...» biascicò Hazel. «Ti prego, non... Non mi lasciare, ti prego». Gli accarezzò il volto, freneticamente, costringendo i loro occhi a incatenarsi l'un l'altro.

«Significhi qualcosa, okay?» sussurrò ancora lei, talmente piano che dubitai volesse che la sentissi. «Ha significato qualcosa e...».

«Lo so» replicò lui, con un filo di voce. «Lo so».

Furono le sue ultime parole.

Dopo le sue palpebre calarono e si addormentò per sempre.

***


Il fuoco scoppiettava davanti ai miei occhi.
Era un miracolo che fossi stato in grado di accenderlo, date le mie scarse doti di arrangiarmi in situazioni difficoltose.
Non avevamo ancora abbandonato il bosco e non fu perché non sapevamo come uscirne. La strada non era lontana: riuscivo a sentire il rumore di alcune auto di passaggio non molto distante, ma Hazel era distrutta e pensai fosse più ragionevole fermarci per un po'.

Sedevamo entrambi di fronte a quel focolare improvvisato, in silenzio, forse perché entrambi non sapevamo che dire o le nostre parole avrebbero potuto sembrare fuori luogo.
Non osai neanche muovermi, almeno finché lei non si strinse nelle spalle e non strofinò le mani sulle proprie braccia. Capii avesse freddo, così mi liberai della felpa che avevo e gliela cinsi addosso, in modo da apportarle calore. Hazel sollevò lo sguardo da terra solo in quel momento e sforzò un sorriso privo di entusiasmo.

«Abbiamo fatto la cosa giusta, vero?» biascicò. «Insomma, noi... Lo abbiamo seppellito e...».

«Abbiamo fatto la cosa giusta» sussurrai.

«Forse meritava di più».

«Forse».

Sospirò e una sua mano raggiunse il mio viso, accarezzandomi piano la guancia. «Non so neanche se...» mormorò «Se aveva qualcuno. Degli amici o... O una sorta di famiglia. Non me lo ha mai detto. So solo che i suoi genitori sono morti quando era piccolo e niente di più».

«Aveva te». Quella frase uscì fuori dalle mie labbra in maniera spontanea, come se fosse cosa ovvia. Hazel mi fissò per qualche istante dopo di essa e i suoi occhi parvero brillare nonostante la scarsa luce.

«Cosa facciamo ora?» chiese, con un fil di voce. Io esitai per qualche secondo e poi sorrisi, sinceramente. «Viviamo» risposi. «O almeno ci proviamo».

Non era una bugia e nemmeno una cosa detta tanto per dire. Era la mia intenzione, il mio obiettivo primario.
Se quel fantomatico destino, fino a quel momento, ci aveva riservato solo agonia, era giunta l'ora di beffarlo.

Lei mi baciò sulle labbra, allora, con quella dolcezza e calma che da tanto ci mancava. «Gli innamorati dannati» sussurrò, ancora sulla mia bocca.

Non sapevo cosa sarebbe accaduto da lì in avanti.

Forse ancora casini, ancora tragedie, altri e nuovi nemici. Avrebbe potuto succedere di tutto, ma ero pronto.

 



Mi chiamo Simon Clarke.
Ho diciassette anni e non so esattamente dove sto andando.
Mi sono innamorato di una Divoratrice di anime.
Sono morto per questo.
Ho sconfitto la morte e lo ha fatto anche lei.
Siamo entrambi umani, adesso, persi in mezzo nulla, pronti per una nuova vita.
La mia ennesima nuova vita, insieme alla mia compagna, alla mia donna, alla mia anima gemella.
Alla mia innamorata dannata, in beffa al destino.









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E così si giunge alla conclusione di questa avventura..
Anche se... Beh, devo dirvelo, questo non è un addio a Simon ed Hazel.
Mi sono presa il lusso di usufruire del termine "saga", forse un po' troppo in là per quello che io sto facendo qui, ma..
Il punto è che *rullo di tamburi*...
Ci sarà una terza e ultima parte della storia.
Non so dirvi quando riprenderà, ma ci sarà.
Era già stato deciso dal principio che ci sarebbero state tre parti, però non l'ho mai detto.. Fino ad ora.
Grazie a chiunque abbia letto, recensito o abbia anche solo aperto questa storia.
Siete stati immensi e non smetterò mai di ringraziarvi.
Un grazie particolare va alla mia super-beta Samy - non so cosa fare senza di te!

Spero che Crystalized vi sia piaciuto e che sarete ancora qui per la terza parte.
A presto!
 

  
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