E. Y. E.S. O.P.E.N.
[2]
«In backyards, winning battles with our wooden swords
But now we've stepped into a cruel world
Where everybody stands and keeps score
Keep your eyes
open.»
“Vieni con me” sussurrò Prim all’orecchio di Rory,
facendolo sorridere. Il ragazzino scoccò un’occhiata cauta alla madre, che
stava sistemando con cura dei vestiti di Gale in un cassetto, e sgusciò fuori
dall’unità, preceduto dall’amica. Le luci erano state spente da una quindicina
di minuti e l’unico rumore che echeggiava per i corridoi era quello dei loro
passi, ma non c’era poi così tanta differenza rispetto al giorno: il Distretto
13 era quasi sempre silenzioso. Rory lo detestava anche per quello.
I due ragazzi attraversarono a passo svelto la stanza
principale dell’ospedale, cercando di non attirare troppo l’attenzione. Prim
guidò l’amico lungo l’atrio, introducendosi poi in uno dei corridoi sulla
destra: sembrava conoscere quel posto a memoria. Si fermò solo quando raggiunsero
la nursery dell’edificio; in quel momento Rory riconobbe un rumore di passi che
si stavano avvicinando e afferrò d’istinto la mano di Prim, attirandola a sé
verso la parete. Un infermiere attraversò rapidamente il corridoio opposto,
senza accorgersi della loro presenza. Una volta soli i due ragazzi si allontanarono
dal muro, visibilmente sollevati.
“Occhi sempre
aperti” ricordò con un sorriso Rory, lasciando andare la mano dell’amica. Prim
ricambiò il sorriso, prima di scuotere il capo con finta rassegnazione.
“Era un po’ che
non te lo sentivo più dire” osservò, prima di avvicinarsi ai vetri della
nursery. “Mi fa pensare a quando eravamo piccoli. Vieni qui” aggiunse poi,
facendo cenno a Rory di seguirla. “Voglio farti conoscere qualcuno.”
Il giovane aggrottò le sopracciglia con aria perplessa,
ma acconsentì comunque. Sbirciò oltre il vetro, analizzando con lo sguardo i
piccoli pazienti che riposavano nei rispettivi lettini: erano tre. Tre neonati
soltanto, in tutto l’ospedale.
“Non sono bellissimi?” mormorò Prim, analizzando
incantata i movimenti di uno dei bambini. Rory si strinse nelle spalle,
esibendo un’espressione poco convinta.
“Mi hai portato qui per vedere dei marmocchi?” chiese poi con un sorriso per mascherare la punta di
delusione nel tono di voce. Aveva sperato in ben altro quando Prim gli aveva
chiesto di seguirla fuori dall’unità. “Ho due fratelli più piccoli, so come sono
fatti i bambini.”
La ragazzina sorrise, alzando gli occhi al cielo.
“Non è solo per questo” rispose, avvicinandosi a Rory.
“Lo vedi quel bimbo lì? Quello al centro” chiese, sorridendo a uno dei tre
neonati. “Viene dal Giacimento come noi: è orfano” aggiunse, con la voce che le
tremava leggermente. “Il papà è morto durante i bombardamenti e la mamma non ce
l’ha fatta a superare il parto. Ci sono stati dei problemi… Era denutrita e
aveva perso molto sangue per via di una ferita alla gamba. Forse te la ricordi,
avevo aiutato mia madre a medicarla, la notte delle esplosioni.”
Rory annuì; istintivamente allungò il braccio per
stringere la mano di Prim. L’amica ricambiò la stretta e premette la fronte
contro il vetro.
“Non ha nemmeno un
nome” mormorò, rivolgendo un sorriso triste al neonato addormentato. “Pensavo
che avresti potuto aiutarmi a sceglierne uno. Può essere di quattro lettere, se
vuoi” aggiunse, voltandosi verso di Rory. Il ragazzino arrossì leggermente,
tornando a osservare i tre bambini nella nursery. Seguendo l’esempio del padre,
Rory aveva sviluppato una fissazione insolita per le parole da quattro lettere,
e si divertiva spesso a inserirne il più possibile in una frase, sfidando Prim
a fare altrettanto.
“Non sono molto bravo con queste cose” ammise infine, dando
una scrollata spalle. Prim gli sorrise.
“Avrei voluto far venire anche ‘Leen, ma quando sono
passata da lei sua madre mi ha detto che stava dormendo” spiegò poi la
ragazzina, senza distogliere lo sguardo dal neonato. “Sarà dispiaciuta quando
glielo racconterò: tu le piaci, Rory” rivelò infine, guardando l’amico di
sottecchi; il solito sorriso dolce era arricchito da una lieve punta di
malizia. “Le piaci praticamente da sempre”.
Rory distolse lo sguardo, fingendosi noncurante.
“Non mi interessa avere la ragazza” rispose in tono di
voce asciutto, stringendosi nelle spalle. Non era vero, e si dava mentalmente
dello stupido ogni volta che pronunciava frasi simili di fronte a Prim. La
verità era che Eileen, tutto sommato, gli piaceva: era bella, spiritosa e
sempre gentile con i suoi fratelli più piccoli, ma non ne era innamorato. Non
si era mai interessato a nessuna in quel senso, al di fuori di Prim, e non
credeva che l’avrebbe mai fatto. Anche se ormai stava crescendo. Anche se non
era più il ragazzino di otto anni che si era preso una strigliata dalla madre,
pur di far sorridere la sua migliore amica. Perché era quello che piaceva al
Rory di otto anni: vedere Prim felice. Aiutarla a sminuzzare le erbe per le
medicine della signora Everdeen e tenerle la mano durante i pomeriggi di
Mietitura, mentre attendevano il ritorno dei fratelli maggiori dalla piazza.
Adesso che di anni ne aveva tredici, Rory l’avrebbe portata volentieri su un
cumulo di scorie della miniera per baciarla, come faceva Gale con le ragazze
quando aveva più o meno la sua età: ma i cumuli non c’erano più e nemmeno le
miniere. Il Distretto 12 era più vuoto dei loro stomaci durante gli inverni
rigidi al Giacimento e lui e Prim non avevano più un posto da chiamare casa. Gli mancava la sua vecchia vita.
Al 13 lui e la sua famiglia non dovevano più lottare per procurarsi due pasti
scarsi al giorno e ricevevano vestiti puliti e in buono stato ogni qualvolta ne
avessero bisogno, ma erano controllati dal mattino alla sera. Non potevano
uscire all’aperto e non c’era nemmeno un filo di verde a ravvivare il grigio
delle loro uniformi. Non c’era la sensazione rassicurante che Rory aveva
provato in passato nel rientrare ogni sera, dopo aver consegnato il bucato alle
famiglie dei commercianti, al pensiero di essere finalmente a casa. Non c’era il nero del
carbone, ma nemmeno il bianco della neve invernale o la luce tiepida del sole
d’estate.
“Che ne dici di Coal?” azzardò infine arrossendo, consapevole
dell’assurdità della sua proposta. Indicò il bambino con un cenno del capo,
sotto lo sguardo sorpreso di Prim. Coal, carbone. Quattro lettere per un nome
che avrebbe sempre ricordato al neonato il suo luogo di provenienza. Anche se
lui, a differenza dei due ragazzi, non avrebbe mai corso per il Prato, né atteso
con impazienza il ritorno del padre dalle miniere. Prim soppesò le sue parole
con aria d’un tratto ravvivata.
“Penso che sia perfetto” concordò infine, sorridendo al
neonato. “Piacere di conoscerti, Coal” mormorò con dolcezza, prima di
appoggiare il capo sulla spalla di Rory; l’amico le cinse i fianchi con un
braccio, adagiando poi il mento sui suoi capelli. Rimasero in silenzio per
qualche minuto, intenti ad osservare i volti addormentati dei tre bambini.
Fu in quel momento, con Prim stretta a lui e il suo
profumo a stuzzicargli delicatamente le narici, che Rory l’avvertì di nuovo: la
sensazione che aveva perso con l’arrivo delle bombe e che temeva non avrebbe
mai più ritrovato. Era qualcosa che si poteva riassumere in una sola parola,
una parola composta da quattro lettere: c.a.s.a.
Nota dell’autrice.
Questo capitolo partecipa alla - Un
anno colmo di prompt - challenge con il
prompt Bambini.
Buonasera! Ecco qui il secondo capitolo
di questa mini-long. Il passaggio
della canzone che apre questa parte in teoria doveva fungere
da transizione fra la scena del primo capitolo sull’infanzia di Rory e questa
prima scena ambientata al Distretto 13, per questo ci sono gli accenni
alle spade di legno, che rimandano al prologo. Questo capitol purtroppo mi convince decisamente
meno del precedente
>.< Ma fanno comparsa
diversi elementi che ci tenevo ad evidenziare! L’idea della
nursery e del bambino orfano, così
come la questione del nome
mi servivano a rinforzare il concetto delle
“quattro lettere”, ma anche a sottolineare il cambiamento che stanno vivendo
Rory e Prim in seguito ai bombardamenti e al trasferimento.
Il riferimento al cumulo di scorie della miniera
proviene da un passaggio
del terzo libro in cui Gale
racconta tutto tranquillo a Katniss di quante ragazze abbia baciato al Distretto 12, dietro la scuola e sul famoso
cumulo che era stato menzionato anche nel capitolo
precedente. Chiedo scusa in anticipo se troverete qualche parola senza accento
e magari con l’apostrofo,
ma sto cambiando computer
in continuazione e quest’ultimo
che ho preso
in prestito dalla biblioteca non riconosce l’italiano come lingua su word
(la mia battaglia contro la tecnologia prosegue). Dovrei comunque aver corretto tutti gli apostrofi
e gli accenti mancati, spero di non averne dimenticato nessuno. Il prossimo
capitolo sará ambientato nuovamente al Distretto 13 e a quello seguirá l’epilogo. In serata cercherò di finire di rispondere alle recensioni <3 Un grazie infinite a chiunque stia continuando a leggere questa storia!
Un abbraccio!
Laura