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Autore: HuGmyShadoW    09/08/2008    5 recensioni
[...]Nella stanza il silenzio era calato improvviso e soffocante come un'invisibile coperta. I due ragazzi erano lì in piedi, davanti alla madre, a lottare disperatamente con qualcosa nel loro petto per assimilare quanto avevano appena sentito. Infine, Bill deglutì nervosamente e scambiando un'occhiata obliqua con Tom, quasi a cercare una conferma, sussurrò:-Noi... Abbiamo un altro gemello?!-[...]
Una soffitta, un segreto mantenuto tale per diciotto, lunghi anni, due o forse più esistenze totalmente sconvolte... E voi che fareste nel sapere di avere un altro fratello?
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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°(Quattro)°

 

Il mattino seguente mi svegliai lentamente, senza alcuna fretta, come una farfalla che esce dal suo bozzolo. Nessun raggio di sole impertinente o uccellino che si schiantava contro la finestra erano stati la causa del mio risveglio prematuro, e forse fu proprio perché l’avevo deciso io che aprire gli occhi fu quasi piacevole. Mi stiracchiai pigramente, sbadigliando alla vecchia pendola a cucù incastrata fra il vecchio armadio di legno e la vecchia scatola di vecchi peluche. Non si poteva negare che la mia Tana fosse ben fornita di pezzi d’antiquariato...
Mi alzai di buono, anzi, di ottimo umore e mi ritrovai a infilarmi i jeans del giorno prima fischiettando sottovoce “Livin’ la vida loca”: quel giorno ero proprio in vena di follie, avevo voglia di vivere la mia vita in modo pazzo, proprio come nella canzone. Anche se forse, prima di tutto, la mia vita dovevo viverla...
Lanciai un’occhiata alla finestrella rotonda semi aperta dalla notte appena trascorsa, e di rimando il cielo grigio e arrabbiato sembrò scrutarmi con dolorosa attenzione.
Un brivido freddo mi attraversò la schiena, per cui corsi ad mi infilarmi l’ennesimo maglione, rosso, sopra agli altri due che già indossavo. Adoravo il blu, praticamente avrei indossato solo quel colore, e invece quasi ogni maglione, t-shirt, o camicia che possedevo erano bianche, arancione o nere. Un’altra piccola ingiustizia della vita. Ma in fondo, che m’importava dei colori?
Stavo per scendere a fare colazione, ma prima gettai un’occhiata frettolosa alla sveglietta azzurra (almeno quella!) e mi bloccai in mezzo alla stanza. Era troppo presto? O troppo tardi? Non avevo idea di quando si svegliassero abitualmente i miei fratelli... E se li avessi incrociati per le scale, o in camera di mamma? Che spiegazione avrei dato loro? Preferii non pensarci.
Con cautela, mi avvicinai in punta di piedi alla porta e la socchiusi di qualche centimetro, rimanendo in ascolto. Nessun rumore. Mi azzardai ad aprirla un po’ di più e ad affacciarmi fuori con la testa. Silenzio più assoluto. Erano tutti a letto, a quanto pareva...
Il mio stomaco diede in un debole ruggito di protesta per la fame e l’eco che si propagò giù per le scale sembrò un boato nella calma sonnacchiosa della prima mattina. Mi premetti la pancia con le braccia per soffocare i brontolii e mi apprestai a fare una capatina in cucina alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti.
Durante la mia lenta e attenta discesa, ogni gradino scricchiolante, ogni fruscio fuori dalla finestra mi facevano sobbalzare e tendere spasmodicamente le orecchie alla ricerca della fonte di quel rumore, immobilizzato; dopo qualche secondo mi tranquillizzavo e riprendevo a scendere, scalino dopo scalino, col cuore in gola e uno strisciante panico posizionato più o meno dietro la nuca.
Dopo il doppio del tempo che ci avrei messo per arrivare a piano terra senza nessuno in casa, finalmente, nella luce acerba del mattino che filtrava dalla porta a vetri, la porta bianca mi si parò davanti. La aprii, titubante, e mi avvicinai subito al frigo, bianco anch’esso. Quando lo spalancai, per un momento la luce interna mi abbagliò, tanto che dovetti chiudere gli occhi per qualche secondo prima di riprendere a distinguere qualsiasi cosa.
“Vediamo, vediamo...”, rimuginai fra me e me procedendo nell’esplorazione. C’era qualche confezione di latte aperta, diverse lattine di Redbull, comprate apposta per i miei fratelli probabilmente, frutta, verdura, merendine e... ah, la torta di ieri! Ancora intatta. Mamma doveva essere riuscita a difenderla bene. Un’immagine molto fantasiosa di mia madre con un mitra in mano e l’elmetto in testa di guardia al frigorifero mi fece sorridere. Ce l’avrei anche vista, mettere a rischio la propria vita per proteggere glassa e candeline!
“Questa è meglio farla sparire”, pensai afferrando delicatamente il dolce e allungandomi a pescare una forchetta e un coltello da un cassetto. Posai il tutto sul tavolo bianco della cucina, chinandomi ancora sullo sportello aperto per decidere che prendere da bere.
Un rumore soffocato che non riuscii ad identificare mi fece drizzare improvvisamente. Silenzio. Forse me l’ero solo immaginato. Alzai le spalle e mi rimisi a trafficare col frigo tendendo bene le orecchie. Un altro rumore. Non potevo sbagliarmi, stavolta! Balzai indietro con il cuore che mi batteva forte nelle orecchie e ascoltai, ascoltai con tutto me stesso, teso come mai prima di allora.
Un colpo di tosse, proprio ai piedi delle scale, nell'atrio, e un'ombra che si allungava sempre di più sotto la fessura della porta.
-Merda...-, mormorai voltandomi e precipitandomi fuori dalla cucina, attraverso la porta di servizio. Ai piedi avevo solo un paio di calzini ai piedi, e slittando qua e là sul pavimento stralucido, corsi fuori in giardino, sull'erba ghiacciata, affiancato costantemente dalla mia ombra che mi teneva testa senza alcuno sforzo. Col fiatone e una paura gelida che non dipendeva dalla temperatura esterna attorno ai meno 5°C, mi appoggiai al muro e vi ci scivolai contro, fino a toccare terra, sfinito. Per qualche minuto rimasi ad osservare il sole timido e stanco oltre la coltre di nuvole tentando di riprendermi, mentre un solo pensiero mi scorreva nella mente: potevo essere visto. L'unica incognita era da chi...
Il mio sedere stava diventando un blocco di ghiaccio, perciò mi rialzai in piedi battendo i denti. E se fosse stata solo Simone, scesa per un bicchiere d'acqua? La mia lotta interiore stava diventando un affare di Stato per la mia mente, combattuta fra i due sentimenti che si sfidavano a colpi di sciabole nella mia testa. Non so dire quanto passeggiai avanti e indietro cercando di decidermi a favore di una delle due idee che mi ronzavano dentro, ma se fosse stata estate, il cemento sotto i miei piedi sarebbe diventato rovente!
Alla fine, la curiosità ebbe il sopravvento sulla paura, poiché fu di certo la curiosità a farmi strisciare di nuovo attorno alla casa fino all'ingresso sul retro. Ancora quei brandelli di responsabilità e paura cercavano di attirare la mia attenzione, mail desiderio di sapere chi c'era in cucina li seppellì ben presto.
Senza rendermene conto, arrivai.  La porta era chiusa male come l'avevo lasciata. Non era mamma dunque, lei se ne sarebbe accorta all'istante e l'avrebbe accostata con precisione... forse era papà, o forse, forse...
Mi arrampicai sopra un secchio rovesciato per arrivare alla piccola finestrella della cucina, ci sbirciai dentro e per poco non ruzzolai a terra! Miracolosamente mi aggrappai al pressoché inesistente davanzale, riuscendo a farlo nemmeno troppo rumorosamente e attesi, cercando di cogliere qualunque rumore che lasciasse presagire che Tom, che ora si stava sbafando tranquillamente la mia torta, avesse scoperto la mia presenza. Poiché non sentivo nulla e mi stavo stufando di rimanere mezzo accucciato e aggrappato per le unghie, provai a rialzarmi per dare un'altra occhiatina. Sospirai di sollievo quando constatai che il mio fratellone coi rasta non si era accorto di niente, e mi accigliai, un po' meno contento, quando mi accorsi che aveva praticamente finito tutto il mio dolce.
E mentre fissavo con disappunto quella leccornia al cioccolato sparire nello stomaco di quell'ingordo del mio gemello, mi domandai questa cosa: Se qualche vicino troppo mattiniero avesse messo fuori la testa in questo momento, cos'avrebbe visto? Un ragazzo alto e longilineo con una gran massa di corti capelli neri in calzini che spiava nella casa dei vecchi Kaulitz, mi risposi. Decisamente non sarebbe stata una bella immagine. Senza contare che qualche nonnina più furba delle altre con un bel po' di anni alle spalle avrebbe potuto tranquillamente scambiarmi per un ladro o un malintenzionato, e chiamare la polizia. E nemmeno questa sarebbe stata una buona cosa.
Il mio stomaco brontolò ancora una volta, protestando alla vista dell'ennesima fetta che svaniva come per magia al semplice lavorio di mascelle di Tom. Già, Tom... Lo osservai bene per tutto il tempo che rimase ad ingozzarsi e finché non sbadigliò e se ne tornò di sopra sbattendo la porta, lasciando torta e bibita sul tavolo.
Non è che non l'avessi mai visto, avevo quei pochi ricordi sbiaditi dell'anno passato assieme a lui e a Bill, e ovviamente mamma comprava qualunque rivista che nominasse anche di sfuggita i Tokio Hotel, per cui potevo quasi affermare di conoscere tutti i componenti della band. Averceli in casa però era un altro paio di maniche!
Soffiai fuori un po' di vapore verso il cielo, tanto per vedere come si confondeva con le nuvole e solo in quel momento mi accorsi di star tremando violentemente. Non mi sentivo più i piedi, perciò saltai giù dal secchio e presi a pestare per terra, tentando di tornare a far circolare il sangue nelle dita. Non ce la facevo più, dovevo tornarmene dentro, al calduccio! Mi avviai verso la porta e la socchiusi, avvertendo già il familiare calore della mia Tana, quando qualcuno dai capelli scuri mooolto arruffati si materializzò stiracchiandosi all'altra entrata della cucina. Imprecai fra me e me facendo immediatamente marcia indietro e correndo di nuovo al mio secchio. Era Bill, ovvio. Ringraziai il cielo che avesse il risveglio lento e fosse riuscito ad aprire gli occhi solo quel tanto che bastava per centrare la porta, altrimenti mi avrebbe scorto di sicuro!

Sarei rimasto ore ad osservare i miei fratelli, ma il freddo intenso partito dai miei piedi  mi era ormai arrivato al cervello, rendendo le riflessioni strategiche per tornarmene in Soffitta senza farmi vedere decisamente più faticose.
“Allora, se io passo di qua c'è Bill. E se entrassi dalla porta principale? No, no, è chiusa a chiave... Quindi devo aspettare che si alzi mamma e... ma che dico, non posso aspettare chissà quanto tempo, sto congelando già adesso! Merda...”.
Come se non avessi già perso la percezione di quel paio di orecchie ai lati della testa, una brezza freddo si mise a soffiare, attraversando i miei tre maglioni e trafiggendomi la carne con mille spine di ghiaccio. Ormai stavo improvvisando un esibizione di tip tap per riuscire a scaldarmi almeno un po', e come pubblico avevo solo l'urlo del vento e lo stridio dei rami dell'albero dietro casa... Aspetta un attimo...  L'albero?
Un'illuminazione a forma di lampadina mi si accese sopra la testa mentre costeggiavo il muro scrostato della casa e sfrecciavo dritto dritto alla vecchia quercia nodosa che si stagliava contro il cielo ingrigito come una figura stilizzata per bambini.
Mi avvicinai guardandomi attorno con attenzione, nell'eventualità che le solite vecchiette stessero guardando proprio dentro casa, ovvio, e presi a tastare il tronco e i rami bassi della pianta come se fossi cieco, appoggiando gradualmente il peso ora su questo tralcio, ora su quella fronda. Aveva i suoi anni, quel bestione, ma tutto sommato sembrava abbastanza sicuro...
Sbuffai, prossimo all'assideramento, maledissi almeno cinque volte il mio stomaco brontolone, mi accucciai in modo d'avere più spinta per raggiungere quel ramo che sembrava tanto perfetto e... saltai!

°°°

   
 
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