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Autore: skippingstone    15/06/2014    2 recensioni
"Mi avevano detto che pensare troppo fa male, mi avevano detto che sarebbe passato tutto eppure la testa mi scoppia, gli occhi bruciano e respirare sembra la cosa più difficile da fare. Rifletto sulla mia probabile morte e sorrido, almeno potremmo stare vicino. Posso affermare di aver combattuto per tutti quelli che non sono riusciti a farlo: ho combattuto anche per te.
Se, invece, riuscirò ad uscire da questa Arena, non sarò più lo stesso: tutte le cicatrici si stanno aprendo nell'interno della mia bocca lasciando un retrogusto di sangue e troppe sono nel cuore. Anche se uscissi da questa Arena, non ne uscirei vincitore. Ho già perso tutto.
Tutto tranne una cosa: la voglia di vendetta.
Possa la luce essere, ora, a mio favore!"
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Altri tributi, Presidente Snow, Tributi edizioni passate
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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18. Un mondo perfetto (la luna)
 
«Snow, ti sei mai chiesto se, al di fuori di Panem, ci sia dell’altro?»
È sera, distesi sul prato di una primavera quasi conclusa, io e Livius guardiamo la luna.
«Mi stai chiedendo se, secondo me, esistano altri posti dove poter vivere?»
«Sì, sai… altre montagne, altri mari, altre case, altre persone.»
«Altri giochi.» – lo dico sottovoce questo ma Livius mi avrà sicuramente sentito.
«Sì, esatto. Altri giochi, altra libertà.»
Guardo Livius e penso al tributo del distretto 2 che è morto questa mattina. È strano: noi lo abbiamo visto sugli schermi ma quel ragazzo, di solito, lo vedevamo sempre in strada. Io lo vedevo anche in qualche mio incubo.
Il suo nome era Venice. Che nome insolito. Quando pensavo al suo nome, immaginavo sempre qualcosa di carino, delicato. Quando ebbi, però, l’onore di "conoscerlo", scoprii che tutto lui era tranne che carino e delicato… soprattutto quella volta che mi rubò le scarpe.
Non lo avevo mai infastidito, non gli avevo mai parlato, non gli avevo mai neanche chiesto il nome. Evidentemente, i guai non si cercano ma sono loro cercano te. I guai arrivano e basta: forse per noia di qualcuno, forse per ingiustizia, forse per cattiveria. Spesso e volentieri i guai si creano senza che tu lo voglia.
Stavo tornando a casa quando lui m’intrappolò in un angolo. Era molto più grosso di me. Mi chiese, non gentilmente, le scarpe ed io non gliele diedi.
Tornai scalzo a casa, con un occhio livido e i capelli tutti scompigliati. Mio fratello rise ma poi smise, mia madre mi rimproverò perché non avevo più le scarpe e mio padre mi picchiò perché mi ero comportato da vera femminuccia.
«Se non sai difendere un paio di scarpe, figurati là fuori. Nell’Arena. Prega di non essere mai sorteggiato sennò moriresti già il primo giorno.»
Quella sera non fece altro che dire queste cose. Mugugnava che io ero uno stupido mentre mangiava quei maledetti broccoletti.
«Non posso pensarci. Ha avuto anche il coraggio di chiedermi di usare un’ascia. Se non sa sferrare un pugno, come può usare un’ascia? Questa è colpa tua…» – indicò mia madre – «…perché ha preso le tue stesse ossa graciline. La tua famiglia è sempre stata deboluccia.»
Conservavo, quindi, solo questo ricordo pessimo di Venice. Lui fu uno dei primi ad avermi fatto sentire debole, stupido, innocuo e odiato da mio padre.
Quella sera, nel mio letto, pensai che, se lui non mi avesse rubato le scarpe, mio padre non avrebbe mai detto quelle cose di me.
Crescendo, poi, ho capito che mio padre avrebbe sempre e comunque detto quelle cose cattive su di me.
«Si è meritato di morire così, si è meritato di restare scalzo.» – sorrido perché, paradossalmente, il tributo del distretto 10, dopo aver strangolato Venice, gli ha rubato le scarpe. In un certo senso è come se fossi felice che lui sia morto: ha ricevuto la punizione che meritava.
Guardo le mie scarpe e so che Livius mi starà comprendendo. Lui riesce a capirmi già solo guardandomi.
«Lassù non ci sarebbero problemi, Snow.» – Livius indica quella palla luminosa che resta lì, immobile e alta, nel cielo – «Sulla luna ci sarebbe tanta libertà.»
«Sulla luna nessuno mi ruberebbe le scarpe e potremmo giocare come vogliamo noi. Saremmo solo tu ed io.»
«Un mondo perfetto, non trovi?»
 
Come se avessi ricevuto una secchiata d’acqua fredda addosso, mi sveglio ansimante e sudato. Mi alzo di fretta e cerco di difendermi da non so bene cosa o chi. Immediatamente, però, chiudo gli occhi e stringo i denti per sopportare il mal di testa che provo.
Dopo aver capito che non c’è niente e nessuno che mi sta attaccando e il mal di testa diventa più lieve, mi affaccio alla finestra cautamente. Sposto le tende che sono strappate e che, dunque, coprono a malapena la finestra. Vedo una fantastica luna piena che splende maestosa nel cielo scuro.
Riesco a vedere la Cornucopia da qua: si è richiusa in sé stessa. Posso solo vedere il grande proiettile d’oro e qualche fascio di elettricità che proviene dal corridoio del distretto 3.
Qua dentro io sono solo, ma al sicuro.
Mi sento sollevato. Poso, sul tavolo, lo zaino che avevo ancora in spalla e inizio a perlustrare la casa rossa. Mobili sottosopra, cassetti aperti e svuotati, roba sul pavimento. Apro gli armadietti e trovo del cibo ammuffito e rosicchiato da qualche roditore. Poco mi importa che un topolino abbia toccato il formaggio, lo mangio lo stesso perché ho fame.
Mi siedo a terra e, mantenendo con una mano il pezzo di formaggio e un tozzo di pane duro con l’altra, inizio a mangiare. Cerco di mordere il pane con i molari che riescono a frantumarlo. Il formaggio, invece, è più soffice, anche se duro all’esterno.
Zittisco, così, lo stomaco che poco fa brontolava e ritorno a cercare del cibo. Trovo pacchetti vuoti, frutta marcia, un sacchettino di sale, una bottiglietta d’acqua, farina di grano e medicinali scaduti.
Prendo la bottiglietta, il sale e li metto sul tavolo.
Continuo la ricerca di cose che potrebbero tornarmi utili, ma trovo solo fotografie di bambini che sorridono.
Lascio questa stanza ed entro nel bagno. Vedo il wc e il mio corpo manda dei segnali chiari e precisi. Mi abbasso il pantalone della tuta e, dopo aver pulito la porcellana con la mano, mi ci siedo sopra e faccio quel che devo fare.
Davanti a me c’è uno specchio. È inquietante: chi abitava in questa casa si divertiva a vedersi mentre faceva cacca?
Sposto la mia attenzione su altro e guardo la stanza per quel che si può. Riesco a vedere le ombre e alcune cose senza scoprire i vari particolari perché non posso accendere nessuna luce. Farlo significherebbe mettersi addosso una di quelle tute luminose di Capitol City, ballare e urlare: «ehi, sono qua.»
Nel bagno c’è un lavatoio, delle saponette consumate, degli asciugamani gettati sul pavimento.
Mi alzo e cerco di lavarmi nel lavatoio. Prendo un asciugamano da terra e mi asciugo. Mi sciacquo anche il capo, mi bagno i capelli e mi sento meglio.
Prendo le saponette e le poso sopra il tavolo.
Ora entro in un’altra stanza, deve essere la camera da letto ma il letto è distrutto. Del materasso rimane solo un tessuto squarciato e della lana che fuoriesce. Gli armadi sono vuoti. Anche i cassetti lo sono.
Esco da questa stanza che non può aiutarmi in nessun modo ed entro in un’altra. Questa è diversa da tutte le altre. Non ha finestre e, quindi, è buia del tutto. Allora ritorno nella cucina.
Quello che ho ritenuto utile per il mio gioco sono, quindi, solo del sale, due saponette consumate e una bottiglietta d’acqua.
«Bene, sono fottuto.»
Svuoto lo zaino: ci trovo un pugnale, della carne essiccata, una bottiglia d’acqua e una crema. Vedo anche gli strumenti della cavigliera: un ago lungo almeno due dita, una piccola torcia e del cotone.
Penso di avere un bottino utile per una sola nottata: morirò presto.
Mi alzo dalla sedia e avrei voglia di sbattere tutto all’aria perché mi sono già scocciato di questa merda di Giochi, ma il mal di testa prende il sopravvento su di me, ancora.
Ritorno a sedermi e, poggiando la testa sul tavolo, guardo fuori.
Sembrano già lontani i tempi in cui guardavo la luna con il mio migliore amico, con Livius.
«Un mondo perfetto, non trovi?» – ripeto la frase che mi disse quando progettammo di scappare da qua, di arrivare sulla luna. Se solo l’avessimo potuto fare… ma il mondo non è perfetto. Sulla luna non ci si può arrivare ed io non vincerò i Giochi. Certo, ora nessuno mi ruba più le scarpe perché so difendermi, ma non ho saputo difendere gli altri. In un mondo perfetto non ci sarebbe nemmeno il bisogno di difendersi e dover difendere... ma qui è tutto imperfetto!
Livius? Morto. Loto? Morta. Falloppio e Søren?
«Falloppio e Søren!»
Mi rialzo di nuovo, scattando. I ragazzi! Dove sono finiti? Qualcosa mi consiglia di uscire e andare a cercarli, qualcos’altro mi consiglia di restare rinserrato in questa casa nell’attesa di un loro arrivo.
Il mal di testa, però, si fa ancora più atroce ed io torno a sedermi.
«Se andassi a cercarli e loro tornassero? D’altronde ci siamo dati incontro nella casa rossa. Se io la abbandonassi per andare a cercarli e loro arrivassero qua, potrebbero non trovarmi e pensare che io sia morto.»
Parlare tra me e me fa sembrare la situazione più chiara. Chiaro come sta diventando il ricordo del rombo del cannone che ho sentito prima di svenire. Se uno dei due fosse morto? E se, dopo esser svenuto, sia scoppiato un altro cannone e Søren o Falloppio siano definitivamente morti?
«No, io esco! Loro lo farebbero per me. Mi hanno difeso, è il minimo.»
Con fretta scaravento tutto quello che sta sul tavolo nel mio zaino. Lo indosso e scopro “con molto piacere” che è più pesante di quanto lo ricordassi, giustamente. Questa volta mi alzo lentamente perché ho capito che farlo con violenza mi procura odiosi mal di testa e mi avvio verso la porta.
Conto fino a tre, prendo un gran respiro e apro la porta. Guardo a destra e sinistra e capisco che non c’è nessuno fuori. Chiudo la porta alle mie spalle e inizio a camminare lungo i bordi delle case dove c’è più ombra. Così dovrei passare più inosservato.
Perlustro attentamente l’Arena, tento di ascoltare ogni minimo rumore e scruto la strada. Improvvisamente un suono acuto, poi l’inno di Panem. È arrivata l’ora di scoprire i morti della prima giornata. Io mi siedo e guardo il cielo per ricapitolare il tutto.
Tacito, tributo del distretto 1 – la morte è causa mia.
La ragazza del distretto 3 – non conosco il motivo della sua morte.
La ragazza del distretto 5 – morta perché caduta nel corridoio sbagliato.
Il ragazzo del distretto 6 – morto chissà in quale modo.
Loto, tributo del distretto 7 – uccisa da Tacito.
Il ragazzo del distretto 8 – ucciso da Tacito.
Il ragazzo del distretto 9 – caduto nel corridoio sbagliato.
La ragazza del distretto 9 – stessa sorte del suo conterraneo.
Il ragazzo del distretto 10 – avvelenato da Falloppio.
La ragazza del distretto 11 – morta chissà come.
Dieci morti. Abbiamo iniziato questi Giochi in ventiquattro e già siamo quattordici. Søren e Falloppio sono vivi! Li devo trovare, a qualunque costo.
Conviene non perdere altro tempo prezioso. Ritorno a percorrere la strada davanti a me ma qualcuno, da dietro, mi colpisce.
Un altro mal di testa e cado a terra.
 
Fischietta.
Cerca di non attirare l’attenzione di qualcuno ma solo quella del soggetto prestabilito. D’altronde l’hanno scelto insieme il loro segnale.
Qualcuno si muove tra i cespugli.
«Bene, sei qui!»
«Te l’avevo detto che sarei arrivata.»
Falloppio esce dai cespugli e si avvicina a Søren.
«Il gruppo dei Favoriti non so che fine abbia fatto. Quando abbiamo lasciato andare Snow hanno seguito noi e non lui, come da piano, ma poi sono scomparsi.»
«Non so ch…»
Si sentono dei passi da lontano, qualcuno calpesta pezzi di vetro e sposta in modo rumoroso le mattonelle che sono sulla strada.
«Chimio, sei stupido? Perché ci siamo portati appresso questo demente? Spiegatemelo!» – Ermen lo colpisce sulla testa.
«Volete abbassare questa voce? Non sopravvivreste nemmeno un attimo nel nostro distretto.» – Medusa parla a bassa voce - «La pesca richiede calma, pazienza e silenzio. Cosa che non avete voi, a quanto sento.»
«Infatti, già odio la voce di tutti.» – Steno segue il discorso della ragazza del suo stesso distretto.
Dietro c’è qualcun altro che sbuffa.
«Tu cos’hai che non va?» – Steno si ferma, così fan tutti gli altri.
«Non so se lo avete notato, ma io sto trasportando un corpo. Anche se è piccolo, ‘sto stronzetto pesa.» – Level lascia le mani del corpo che sta trascinando e si avvicina agli altri quattro. – «Credo sia ora di fare un cambio.»
Ermen colpisce con il piede il sedere di Chimio: «muoviti, cervelloide. Trasporta il ragazzo!»
«Ma…» - Chimio guarda il corpo che giace a terra, con la testa poggiata tra le mattonelle rotte.
«Nessun ma. Muoviti. Pensavi che bastasse essere intelligenti nell’Arena? Beh, notizie per il cervellone: non serve a un cazzo sapere come accendere un fuoco in mezzo alle macerie di questa merda di città.»
«In realtà, sì. Serve sapere come accedere un fuoco tra le macerie perch…» - Chimio cerca di spiegarsi, ma Ermen gli blocca le labbra con la mano.
«Non me ne fotte niente del tuo fuoco, del tuo cervello e delle tue ragioni. Trasporta il corpo di quella merda e muoviti, cervelloide!»
Chimio, cercando di mantenere le lacrime, si avvicina al corpo del tributo e, facendo uno sforzo enorme, inizia a trascinarlo.
«Non vedo l’ora di uccidere Snow!» – Level fa un bel sospiro e segue i ragazzi del gruppo che si sono incamminati.
«Falloppio, se quello è Snow?» – Søren sussurra quelle parole al compagno che cerca di tranquillizzarla.
«Credo ci sia qualcuno tra i cespugli!» – Chimio sposta lo sguardo verso i cespugli bui e si ferma.
«Certo, e tu pretendi che noi ti crediamo?! Facciamo la fine di prima. Stavamo seguendo quei due e tu ci hai portato da tutt’altra parte. Fortunatamente abbiamo trovato questo pezzo di merda che… tu trasporterai! Muoviti, cervelloide.» – Ermen torna indietro verso il ragazzo e lo pizzica sul braccio per fargli capire chi comanda.
«Ti giuro, vorrei fossero tutti muti.» – Steno sbuffa, socchiude gli occhi e continua a camminare.
  
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