BETWEEN THE HUNGRY
Regole e Realtà .
Quella
mattina mi svegliai di soprassalto. Aprii gli occhi
all’improvviso e mi
sollevai di scatto dal materasso. Forse avevo sognato…forse.
Mi stropicciai gli
occhi e respirai profondamente e piano,perché stavo
ansimando. Avevo gli occhi
umidi e il battito veloce come quando…come quando la paura
mi catturava a
sé,prepotente. Quando sospirai sonoramente e mi scoprii
dalla coperta,ricordai
un’immagine : quella di una pistola. Avevo di certo
sognato,ma ero grata di non
ricordare esattamente cosa. Dal tessuto della tenda non filtrava
neppure un
raggio di sole. L’oscurità inglobava ogni
cosa,ogni centimetro di vissuto,ogni
centimetro di quel campo disperso nel Vermont. Decisi di alzarmi,ma lo
feci con
una lentezza indescrivibile. Brittany dormiva al mio fianco serena,e
l’ultima
cosa che avevo in mente di fare era svegliarla.
C’era qualcosa di più,però.
Non volevo che mi vedesse in quel modo,non volevo che per
l’ennesima volta
scorgesse nei miei occhi del dolore. Non sapevo spiegarmi esattamente
il
perché,sapevo solo che non volevo mi leggesse
l’angoscia che mi si agitava dentro. Quella era
un’altra cosa che odiavo del campo : lì dentro
ogni tua
paura,ogni piccola emozione,era alla portata di tutti. Così
come con Noah era
evidente la sofferenza che provava e l’apatia che questa gli
comportava, anche per me erano
evidenti le conseguenze di quel che avevo vissuto. A volte mi sembrava
quasi di
dimenticare tutto quel che era successo,tutto quel che avevo
perso,tutto quel
che avevo maledettamente provato. Capitava raramente,spesso quando ero
in
compagnia di Brittany o mi perdevo nell’osservarla. Allora,in
quei momenti,mi
chiedevo perché diavolo fosse così buona o
perché diavolo l’avrei stretta a me
per sempre. E poi la guardavo ancora,e mi chiedevo perché
fosse così bella e
avessi sempre voglia di farle una carezza dolce e leggera. Poi,quando
mi
distraevo dalla sua figura,quando guardavo mio fratello con i capelli
folti e
disordinati,o osservavo le sue labbra screpolate,o il suo viso ormai
privo di
ingenuità,tutto mi tornava alla mente. Ancora non capivo
cosa mi succedesse nei
momenti in cui il mio cuore entrava in contrasto con il respiro. Sapevo
solo
che all’improvviso ogni cosa,ogni piccola cosa,si allontanava
dal mio sguardo
ed io mi allontanavo dalla vita per un attimo. La parola morte
risuonava
impetuosa,ed io ero costretta ad assecondarla,fragile ed impotente.
Mentre
infilavo le braccia nella felpa nera,sospirai. Guardai
un’ultima volta la
figura di Brittany,ed uscii da lì,entrando
nell’oscurità della notte. Avevo
scordato che Noah fosse di guardia quella sera. Il suo viso era
illuminato dalla
luce del fuoco,ed il suo sguardo perso in esso.
«Ciao»
lo
salutai cordiale,avvicinandomi.
Lui mi
guardò,apparentemente sorpreso,e fece un cenno con la testa
«hai deciso di
darmi il cambio o non riesci a dormire?»
Scossi la
testa «La seconda».
Lui
annuì,come se conoscesse bene quel di cui parlavo.
Mi sedetti
al suo fianco in silenzio e lui non mi guardò,né
si allontanò. Era già un
qualcosa. Mi aspettavo che si sarebbe alzato e sarebbe rientrato in
tenda,e
invece no. Forse aveva voglia di parlare,forse ne aveva bisogno
così come ne
avevo io.
«Come
vanno
le cose Puckerman?Dico sul serio…»
Si
girò
appena,giusto quel che bastava per darmi una veloce occhiata,e poi
sospirò.
«Come
pensi
che vadano?Vivo poco meglio di un barbone con degli sconosciuti ed ogni
giorno
potrei morire,senza neppure sapere per mano di chi o..di
cosa».
Lo guardai
seria. Aveva ragione.
«Non
è di
questo che parlavo» affermai con voce ferma,continuando a
guardarlo in viso.
Lui si
passò
una mano sulle guance dalla barba che con il passare del tempo si
faceva sempre più consistente,e
finalmente spostò i suoi occhi nei miei. Ci fu silenzio per
un istante.
«Non
mi
perdonerò mai,Santana» disse con voce roca,senza
spostare lo sguardo.
Tremai.
«N-non
hai
colpe. Non hai niente di cui rimproverarti,Noah. Tu ci hai salvato la
vita».
La mia voce
si era ridotta ad un debole sussurro. Non spostava lo sguardo.
«Ho
lasciato
che mia madre morisse e ho perduto un fratello senza neppure
conoscerlo. Di
colpe ne ho anche troppe,e tu lo sai».
Scossi la
testa,ma non fui convincente «alcune volte non possiamo
evitare che delle cose
accadano,possiamo solo guardarle accadere. Devi tornare ad
amarti,Puckerman.
Non è facile per nessuno di noi,ma dobbiamo trovare la forza
per evitare di
perdere le ultime cose che ci restano. Quelle poche briciole,i
ricordi,noi
stessi. Non possiamo perderci,non possiamo permettere al vento che ci
spazzi
via. Siamo l’ultima cosa che ci resta al
mondo,Noah» mi tremò la voce «ed anche
se ogni giorno rischiamo la vita,questo non vuol dire che non valga la
pena di
viverla,credendola perduta in partenza».
Noah si
asciugò una lacrima ed annuì. In fondo era
così fragile,così umano e vero.
«A
quanto
pare la cheerleader stronza nasconde un animo profondo» disse
ironico il
ragazzo.
Risi e a
quel punto lo abbracciai.
«Non
scordarti mai che io ci sono per te,capito?»
Mugolò
un
sì,tra le mie braccia.
Eravamo di
nuovo lì,di nuovo a guardare Steven con la pistola in mano
ed il vento tiepido
che ci sferzava il viso. Fissavo quelle tre bottiglie e mi chiedevo se
ce
l’avrei fatta a colpirne almeno una. La mia risposta fu :
probabilmente no. Brittany
era lì,che osservava il ragazzo e di tanto in tanto mi
guardava con la coda
dell’occhio. Io la ignoravo. Era da tutta la mattinata che mi
comportavo in
quel modo con lei,e non sapevo il perché,o meglio,non volevo
saperlo. Sentivo
il suono della verità muoversi contortamente dentro di me,ma
lo soffocavo con
altro. Non volevo guardarla. Non volevo parlarle. Non volevo
più toccarla. I
suoi sguardi mi facevano male perché avrei voluto sorriderle
o sfiorarle il
braccio,ed invece impedivo a me stessa di farlo. Non potevo e basta.
Ogni volta
che mi era vicina,ogni notte,avrei voluto…Dio,no. No e
basta. Sbuffai.
«Cominceremo
da Brittany» annunciò Steven,facendole un cenno
con la testa.
La ragazza
sospirò,si passò le mani sul viso,e raggiunse
Steven con aria preoccupata. Il
ragazzo le diede la pistola e lei la prese tra le mani tentennante. Si
guardò intorno,si
avvicinò ai bersagli e poi caricò
l’arma. Bastava guardarla per capire che non
fosse pratica e non amasse quel genere di cose. Sospirò
ancora,tirò indietro il
carrello dell’arma,la guardò,e poi
fissò una delle bottiglie.
«Ce la
puoi
fare» la incoraggiò Steven.
La ragazza
si concentrò,ci fu silenzio,e poi il colpo partì.
Aveva sbagliato. Scosse la
testa e sbuffò come una ragazzina.
«Senti
Steven,sono negata. E’ inutile che continui a farmi
provare,faccio schifo!»
biascicò affranta,muovendosi agitata sul posto.
Steven le si
avvicinò e le mise una mano sulla spalla. Mi irrigidii e mi
schiarii la voce
rumorosamente. Lucas ed Alex si voltarono verso di me,ma io li ignorai.
«Puoi
farcela» affermò deciso il ragazzo «devi
farcela e ce la farai».
Brittany
annuì poco convinta. Steven si allontanò,ma i i
miei muscoli erano ancora
rigidi. Strinsi il pugno e mi morsi le labbra nervosamente.
«D’accordo»
rispose tornando a guardare i bersagli.
Fece qualche
passo avanti,poi impugnò con più decisione
l’arma e dopo alcuni secondi sparò.
Il rumore ruppe il silenzio assieme alle sue grida di gioia. Centro. Un
gran
sorriso mi si stampò sulla faccia. Stavo per correre ad
abbracciarla,ma qualcuno
mi anticipò,ricordandomi che non avrei comunque dovuto farlo.
«Lo
vedi?»
disse Steven cingendola con le sue braccia muscolose «Ti
avevo detto che ce
l’avresti fatta!Non devi mai dubitare di te stessa».
Brittany
ricambiò l’abbraccio e i due rimasero in quel modo
per qualche secondo. Mi
schiarii la voce di nuovo e i due si staccarono. Cazzo. Le nocche della
mia
mano destra erano sul punto di bucare la pelle e le unghie segnavano
con prepotenza l'interno della mano. Spostai gli occhi dalla nuca della
bionda. Se avessi continuato a guardarla,mi sarei resa conto della
ragione
della mia rabbia. Lei si voltò versò di me e mi
lanciò un’occhiataccia. Rimasi
interdetta un istante. L’aveva fatto apposta?Maledizione!
«Merda»
borbottai tra i denti.
La bionda
sparò
altre due volte,ma centrò il bersaglio soltanto una.
«E’
il tuo
turno» mi avvisò Steven,guardandomi.
Lo fulminai
con lo sguardo e lui parve confuso.
Brittany mi
raggiunse per consegnarmi la pistola,ed io la fissai dritta negli
occhi,con il
viso contratto in una smorfia dura e mesta. Lei rispose al mio sguardo
con uno
che sapeva quasi di sfida. Era come se mi stesse dicendo
:”vediamo che sai fare
tu!”. Fu ovvio : raccolsi la sfida. Quando mi fu a pochi
centimetri di
distanza,le strappai l’arma dalla mano.
«Forza,Santana!»
mi incitò Steven «Anche tu puoi farcela».
Annuii
«Ti
dispiacerebbe mostrarmi di nuovo come si impugna?Credo di averlo
dimenticato».
Quando il
ragazzo si avvicinò,spostando la sua massa muscolosa,sorrisi
interiormente.
Steven mi raggiunse ed aspettò che gli porgessi la pistola.
Scossi la testa.
«Come
devo
mettere le mani?» gli chiesi con quella finta ignoranza.
Dovevo
essere più diretta,così gli sorrisi. Lui
afferrò le mie mani e le posizionò
sull’arma.
«Così…»
disse guardandomi in viso.
«Grazie,Steven»
risposi con un tono di voce basso e seducente.
A quel
punto,mi voltai verso Brittany e le restituii lo sguardo di sfida. Lei
mi
rivolse un’occhiata truce e poi spostò gli occhi
dal mio viso,infastidita o
alterata. Non capivo ancora cosa stesse succedendo tra di noi,ma sapevo
che ero
stata io a dare inizio a tutto quello. Era cominciato tutto dal momento
del suo
risveglio. L’avevo guardata a lungo dormire,sognando e
…desiderando,e
poi,all’improvviso,avevo capito. Avevo capito quanto
sbagliato fosse guardarla
con le palpitazioni ed il respiro corto,o lasciando
l’immaginazione volare
lontano e lontano e … mi ero detta che non potevo farlo. Non
potevo più essere
impulsiva,non in quella situazione,non rischiando tutto di nuovo.
Perché sapevo
per certo che se avessi assecondato i desideri ed accettato le
emozioni,per me
sarebbe iniziata,ma
anche finita.
«Non
c’è di
che» disse il ragazzo,sorridendomi con ancora la confusione
sul viso.
Inspirai
profondamente l’aria tiepida e guardai le bottiglie. Avrei
fatto centro ; ne
ero certa. Tirai indietro il carrello dell’arma e poi la
puntai contro l’ultima
bottiglia. Inspirai di nuovo e chiusi gli occhi per un istante. Basta
pensare,quella bottiglia era mia. Premetti il grilletto e il rumore
della
plastica che veniva attraversata dal proiettile mi fece sussultare.
«Sì!»
esclamai felice «Ce l’ho fatta!»
Con ancora
un sorriso sincero sul viso,corsi verso Steven. Lui allargò
le braccia,felice,e
mi accolse tra le sue. Lo strinsi forte e lui ricambiò con
molta meno forza.
Quando ci staccammo,guardai Brittany. Non era più
arrabbiata,pareva triste.
Aveva gli occhi lucidi e si mangiava le unghie,come era suo solito. E
allora mi
chiesi perché,perché non potessi andare
lì e stringerla forte a me,respirando
sulla sua pelle. La risposta arrivò chiara e tonda non
appena incontrai quelle
iridi celesti affacciarsi dentro l'infinito con curiosità.
No,non
potevo. Spostai lo sguardo.
Quando
rientrai in tenda,Brittany era già lì,ed imprecai
mentalmente. Era seduta sul
materasso e guardava dritto di fronte a sé,con lo sguardo
perso e gli occhi
tristi. Dovevo andarmene di lì ed al più presto.
Mi voltai per tornare fuori,ma
la sua voce mi bloccò.
«Perché?»
si
limitò a chiedermi con la voce dura e ferita.
Rimasi in
silenzio,senza voltarmi per guardarla. Spostai lo sguardo a terra.
Mi tremavano le gambe. Al suono della sua voce,il mio cuore
aveva preso a
battere più veloce.
«Perché
ti
comporti così,Santana?E’ per quello che
è successo al supermarket?E’
per…»
Mi voltai di
scatto «per cosa,Brittany?!» le chiesi con la voce
piena di
rabbia,avvicinandomi lentamente «Per cosa?!Non è
successo niente al
supermarket,niente!Mettitelo bene in testa».
Lei scosse
la testa,mordendosi un labbro,e capii che stava per piangere.
«Non
voglio
niente da te!» le urlai,continuando ad avvicinarmi
«Tu non sei niente per
me!Non conterai mai niente,mi hai capita?»
Avevo i
muscoli rigidi e mi sentivo…arabbiata. Ero così
furiosa,maledizione!Così
furiosa che avrei fatto a pezzi quella tenda. Il cuore mi esplodeva nel
petto e
gli occhi sprizzavano ira. Non volevo niente da lei!Non volevo niente.
Io…io…no!Non potevo,non potevo,non potevo e non
potevo. Lei non era mia,non lo
sarebbe mai stata. In quel momento,mi sarei presa a schiaffi.
L’avevo
ferita,avevo dovuto farlo. Ma la verità era ben altra,era
così lontana da
quella realtà dura e rigida…la verità
era che non potevo permettermi di
guardarla più negli occhi,anche se era già tardi.
Io la volevo,la volevo per
me!Volevo le sue labbra sulle mie,volevo la sua bocca sul mio
corpo,volevo il
suono della sua voce melodiosa sussurrare il mio nome
all’orecchio,volevo le
sue carezze dolci sulla mia pelle diventare bollenti. Io provavo
troppo,io
provavo tanto,ma non potevo niente. Se avessi permesso al mio
corpo di
vivere,anche solo per un istante,se l’avessi letta,sarei
tornata di nuovo in
quell’oscurità chiamata paura. Nella mia testa
risuonò una frase,anzi,una
regola : non innamorarti.
«E
allora
vattene,Santana!» mi urlò in lacrime
«Non c’è alcun motivo per cui tu stia
qui!Vattene!» urlò ancora,portandosi le mani sul
viso.
Se mi fossi
concentrata su qualcos’altro che non fosse stata la
rabbia,forse sarei caduta a terra,priva di forze. Io l’avevo
ferita
e le sue lacrime erano solo colpa mia. Ma doveva odiarmi,doveva
farlo,perché
altrimenti…
Uscii da
quella tenda,tremando. Guardai l’erba sotto i miei piedi,e
cominciò a girare e
girare. Il mio cuore batteva troppo in fretta,ed i miei occhi umidi
avrebbero
voluto liberarsi di tutto quanto,avrebbero voluto lasciarsi
andare,violando
ogni regola. Ma non era permesso violare le regole,non a me. Sarebbe
bastato un
errore,anche piccolo,e allora sarebbe stata morte. Ingoiai ogni
cosa,ogni
emozione,e a quel punto fui sopraffatta soltanto dalla rabbia. Ero
arrabbiata con me stessa. Estrassi il pacchetto di Marlboro dalla tasca
della
tuta e mi accesi una sigaretta. Era l’unica cosa che avrei
potuto fare in quel
momento,l’unico gesto “normale”.
Poi,senza rendermene conto,cominciai a
camminare. I miei piedi si muovevano svelti e nella testa risuonava
quel
“vattene”. Ero stata disgustosa,io…mi
disgustavo,anzi,mi odiavo. Odiavo me stessa,odiavo
i miei sentimenti,odiavo anche lei. Odiavo quel campo,odiavo quella
stupida e
fottutissima tenda,odiavo il fuoco che la sera combatteva
l’oscurità ed odiavo
anche lei. Odiavo gli affamati,odiavo Josh,odiavo mia madre e mio
padre,ed
odiavo anche lei. Ma io odiavo me,soprattutto. Odiavo quel che avevo
dentro,odiavo la paura,l’amore e l’odio. Odiavo
amare,ma amavo odiare. Perché
se odi non ami,ma per me non era così. Ogni cosa era
lì,in bilico su di
un filo,che aspettava solo di esser spinta giù. Ma io non
l’avrei mai posta su
quel filo,no. Non potevo farlo. Non potevo guardarla o
toccarla,perché allora lei sarebbe
stata viva,reale e tangibile. Non doveva
esserlo in alcun modo,altrimenti sarebbe caduta impotente da quel filo.
Eppure
la volevo…mio Dio,se la volevo!Al supermarket avevo
realizzato una cosa,ma
avevo paura di dirla ad alta voce e più semplicemente di
pensarla. E camminavo,camminavo e camminavo. Via da
lì,via da ogni cosa.
«Santana!»
mi chiamò Steven «Dove diavolo vai?»
Non mi girai
e non risposi,semplicemente camminai. Fuggivo dalla
consapevolezza,fuggivo
dall’amore,dritta verso le fauci della notte e della miseria.
«Aspettami!»
gridò il ragazzo.
Gli alberi
immensi della foresta stavano quasi per ingoiarmi,ma nel frattempo
Steven
accelerò il passo e il calpestio dell’erba si fece
più vivace.
«Ehi!»
mi
disse,afferrandomi per un braccio «cos’è
successo?»
Quando mi
voltai,piansi. Non mi ero allontanata granché dal
campo,forse fu per questo che
le mie lacrime cominciarono a scendere.
«Lasciami
andare,ok?» biascicai stremata.
Avevo
infranto la regola.
«Non
posso!»
i suoi occhi brillavano «E’ troppo
pericoloso» si giustificò.
Mi asciugai
le lacrime,ma ben presto ne scesero altre. Avevo sbagliato tutto. Avevo
ferito la mia persona,avevo
ferito me stessa. Stavo per infrangere ogni regola,ma in quel momento
mi pareva inevitabile.
«Lasciami!»
gridai,arrabbiata.
Steven mi
mollò il braccio,mortificato,ed abbassò lo
sguardo. Fu in quel momento che
capii di voler tentare un’ultima cosa.
«Non
posso
lasciarti andare nella foresta,è
pericoloso…» tornò a
spiegarsi,avvicinandosi.
Mi avvicinai
anch’io,lui si chinò su di me,e lo baciai. Lo
baciai come meglio potei. Le sue
mani sulla mia vita,la sua lingua contro la mia,la mia mano sulla sua
nuca.
Quando i baci divennero rapidi e cominciarono a togliermi il respiro e
le sue
mani scesero sino al mio fondoschiena,decisi di sì : decisi
che valesse la pena
provare. Mi staccai da quel bacio,guardai i suoi occhi che brillavano
di
desiderio,e gli slacciai i pantaloni. Li tirai giù e lui
tornò a baciarmi più
appassionatamente di prima. Poi mi afferrò dalla vita,mi
tirò su,ed io lo cinsi
con le gambe. Improvvisamente ci ritrovammo
sull’erba,allungati l' uno sopra
l’altro. Steven mi tirò giù i pantaloni
della tuta,mi tolse
le mutandine,e tornò a baciarmi.
All’improvviso realizzai : stavo facendo sesso con Steven. Soffocai un gemito,dovevo farlo. Neppure quello sarebbe dovuto essere reale,non lo meritava. Ma quando il ragazzo spinse con decisione,mi sfuggì. Era successo : era reale. Quando tutto sarebbe finito,avrei pianto. Avrei pianto perché quello era reale,tranne me e lei.
Lo so,lo so. In questo momento mi state odiando come non avete mai fatto con nessuno in vita vostra. Vi capisco perfettamente. Il primo motivo per cui mi odiate è probabilmente perché sono sparita,ed il secondo perché questo capitolo non è probabilmente quello che vi aspettavate. Ma lasciatemi giustificare almeno un po'. Questi giorni sono stata via e non avevo con me nè il pc,nè una connessione wifi che sopportasse le mie folli navigazioni in internet. In compenso,ho preso il portatile di un amico e mi sono messa a lavoro,pensandovi. Per il resto,so bene che forse sarete delusi e probabilmente avete ragione,ma vi posso solo dire una cosa : fidatevi. Fatelo,e sono certa che non vi pentirete di aver seguito questa folle "scrittrice" da strapazzo.
Come al solito,quasi niente fila perfettamente liscio. Santana comincia a rendersi conto dei suoi sentimenti per Brittany,specialmente dopo l'ultimo accaduto al supermarket. Aver sentito concretamente la possibilità di perderla,l'ha mandata in confusione e diversi dubbi le si agitano dentro. Ha paura,paura di innamorsi perché sa per certo che in un mondo così pericoloso,potrebbe perderla in un batter d'occhio. Questo è un capitolo fatto dalla contrapposizione di due parti del personaggio : la paura e il desiderio d'amare. Santana non è un robot,è umana e per renderla tale,mi sembrava giusto scrivere un capitolo come questo,che si avvicinasse il più possibile al reale. Il tutto si conclude con Santana che,mentre cerca di fuggire via dall'immagine di Brittany e dalle sue parole,viene fermata da Steven. Ma quando la regola più importante viene infranta,Santana decide di mandare tutto al diavolo e di infrangerle tutte. Steven è la sua ultima possibilità per essere strappata via dalla paura e della confusione,ma non appena si rende conto di quel che è successo,avrebbe voglia di piangere. Ormai,non ha più possibilità,ma nemmeno regole da infrangere.
Beh,gente,sperando che il vostro odio sia evaporato un pochino con il passare del tempo e con il leggere le mie parole,vi lascio ad un'anticipazione. Il prossimo capitolo,sarà "il capitolo". Ho già detto troppo,ma voglio proprio farmi perdonare. Continuate a seguirmi perché prossimamente ne vedremo delle belle e sono certa che alcuni capitoli verranno apprezzati in particolar modo. Comunque ancora molto deve succedere,e tenetevi pronti perché non potete neppure immaginare come si evolverà la storia. In breve,le cose cambieranno bruscamente (sotto tutti i punti di vista) ed abbandoneremo la staticità che mi ha permesso di elaborare alcune cosette...
Allora vi aspetto nelle recensioni,come al solito,e nel prossimo capitolo!Fatemi sapere quel che ne pensate e ...fidatevi di me!
Grazie a tutti per aver letto un altro capitolo di questa follia e per aver scelto di seguire o recensire. Siete preziosi,davvero.
P.S. Da adesso in poi,pubblicherò ogni cinque giorni.
P.P.S. Vi aspetto sabato!Non mancate ;)