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Autore: writinglove    23/06/2014    2 recensioni
E se l'apocalisse fosse arrivata?Se il male avesse raggiunto un paesino nello stato dell'Ohio?Se in una giornata qualunque,la vita di una ragazza qualunque fosse stata sconvolta nel peggiore dei modi?
Dalla storia :
L’azzurro si mischiò al nero per un istante interminabile,e quel nero non era l’oscurità della notte nella quale eravamo entrambe avvolte. Io non la stavo guardando e lei non mi stava guardando. La verità era che in quell’istante fermo nel tempo,che in quell’attimo pieno d’infinito e di emozioni,noi stavamo leggendo. […] Prima ancora che potessi capire altro,che un’ennesima certezza mi sfuggisse di mano,smisi di leggere. Ed era troppo quel che avevo visto,era tutto troppo…ogni cosa sapeva di una piacevole ed allettante esagerazione. Ma c’era una cosa che non mi scivolò via dalle mani come fosse semplice fumo,un’unica certezza imprescindibile : in quell’attimo la mia esistenza aveva ripreso ad esistere,ed il mio cuore a battere.
Genere: Drammatico, Horror, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Brittany Pierce, Noah Puckerman/Puck, Santana Lopez | Coppie: Brittany/Santana
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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BETWEEN THE HUNGRY

Regole e Realtà .

Quella mattina mi svegliai di soprassalto. Aprii gli occhi all’improvviso e mi sollevai di scatto dal materasso. Forse avevo sognato…forse. Mi stropicciai gli occhi e respirai profondamente e piano,perché stavo ansimando. Avevo gli occhi umidi e il battito veloce come quando…come quando la paura mi catturava a sé,prepotente. Quando sospirai sonoramente e mi scoprii dalla coperta,ricordai un’immagine : quella di una pistola. Avevo di certo sognato,ma ero grata di non ricordare esattamente cosa. Dal tessuto della tenda non filtrava neppure un raggio di sole. L’oscurità inglobava ogni cosa,ogni centimetro di vissuto,ogni centimetro di quel campo disperso nel Vermont. Decisi di alzarmi,ma lo feci con una lentezza indescrivibile. Brittany dormiva al mio fianco serena,e l’ultima cosa che avevo in mente di fare era svegliarla. C’era qualcosa di più,però. Non volevo che mi vedesse in quel modo,non volevo che per l’ennesima volta scorgesse nei miei occhi del dolore. Non sapevo spiegarmi esattamente il perché,sapevo solo che non volevo mi leggesse l’angoscia che mi si agitava dentro. Quella era un’altra cosa che odiavo del campo : lì dentro ogni tua paura,ogni piccola emozione,era alla portata di tutti. Così come con Noah era evidente la sofferenza che provava e l’apatia che questa gli comportava, anche per me erano evidenti le conseguenze di quel che avevo vissuto. A volte mi sembrava quasi di dimenticare tutto quel che era successo,tutto quel che avevo perso,tutto quel che avevo maledettamente provato. Capitava raramente,spesso quando ero in compagnia di Brittany o mi perdevo nell’osservarla. Allora,in quei momenti,mi chiedevo perché diavolo fosse così buona o perché diavolo l’avrei stretta a me per sempre. E poi la guardavo ancora,e mi chiedevo perché fosse così bella e avessi sempre voglia di farle una carezza dolce e leggera. Poi,quando mi distraevo dalla sua figura,quando guardavo mio fratello con i capelli folti e disordinati,o osservavo le sue labbra screpolate,o il suo viso ormai privo di ingenuità,tutto mi tornava alla mente. Ancora non capivo cosa mi succedesse nei momenti in cui il mio cuore entrava in contrasto con il respiro. Sapevo solo che all’improvviso ogni cosa,ogni piccola cosa,si allontanava dal mio sguardo ed io mi allontanavo dalla vita per un attimo. La parola morte risuonava impetuosa,ed io ero costretta ad assecondarla,fragile ed impotente.

Mentre infilavo le braccia nella felpa nera,sospirai. Guardai un’ultima volta la figura di Brittany,ed uscii da lì,entrando nell’oscurità della notte. Avevo scordato che Noah fosse di guardia quella sera. Il suo viso era illuminato dalla luce del fuoco,ed il suo sguardo perso in esso.

«Ciao» lo salutai cordiale,avvicinandomi.

Lui mi guardò,apparentemente sorpreso,e fece un cenno con la testa «hai deciso di darmi il cambio o non riesci a dormire?»

Scossi la testa «La seconda».

Lui annuì,come se conoscesse bene quel di cui parlavo.

Mi sedetti al suo fianco in silenzio e lui non mi guardò,né si allontanò. Era già un qualcosa. Mi aspettavo che si sarebbe alzato e sarebbe rientrato in tenda,e invece no. Forse aveva voglia di parlare,forse ne aveva bisogno così come ne avevo io.

«Come vanno le cose Puckerman?Dico sul serio…»

Si girò appena,giusto quel che bastava per darmi una veloce occhiata,e poi sospirò.

«Come pensi che vadano?Vivo poco meglio di un barbone con degli sconosciuti ed ogni giorno potrei morire,senza neppure sapere per mano di chi o..di cosa».

Lo guardai seria. Aveva ragione.

«Non è di questo che parlavo» affermai con voce ferma,continuando a guardarlo in viso.

Lui si passò una mano sulle guance dalla barba che con il passare del tempo si faceva sempre più consistente,e finalmente spostò i suoi occhi nei miei. Ci fu silenzio per un istante.

«Non mi perdonerò mai,Santana» disse con voce roca,senza spostare lo sguardo.

Tremai.

«N-non hai colpe. Non hai niente di cui rimproverarti,Noah. Tu ci hai salvato la vita».

La mia voce si era ridotta ad un debole sussurro. Non spostava lo sguardo.

«Ho lasciato che mia madre morisse e ho perduto un fratello senza neppure conoscerlo. Di colpe ne ho anche troppe,e tu lo sai».

Scossi la testa,ma non fui convincente «alcune volte non possiamo evitare che delle cose accadano,possiamo solo guardarle accadere. Devi tornare ad amarti,Puckerman. Non è facile per nessuno di noi,ma dobbiamo trovare la forza per evitare di perdere le ultime cose che ci restano. Quelle poche briciole,i ricordi,noi stessi. Non possiamo perderci,non possiamo permettere al vento che ci spazzi via. Siamo l’ultima cosa che ci resta al mondo,Noah» mi tremò la voce «ed anche se ogni giorno rischiamo la vita,questo non vuol dire che non valga la pena di viverla,credendola perduta in partenza».

Noah si asciugò una lacrima ed annuì. In fondo era così fragile,così umano e vero.

«A quanto pare la cheerleader stronza nasconde un animo profondo» disse ironico il ragazzo.

Risi e a quel punto lo abbracciai.

«Non scordarti mai che io ci sono per te,capito?»

Mugolò un sì,tra le mie braccia.

                                                                             

Eravamo di nuovo lì,di nuovo a guardare Steven con la pistola in mano ed il vento tiepido che ci sferzava il viso. Fissavo quelle tre bottiglie e mi chiedevo se ce l’avrei fatta a colpirne almeno una. La mia risposta fu : probabilmente no. Brittany era lì,che osservava il ragazzo e di tanto in tanto mi guardava con la coda dell’occhio. Io la ignoravo. Era da tutta la mattinata che mi comportavo in quel modo con lei,e non sapevo il perché,o meglio,non volevo saperlo. Sentivo il suono della verità muoversi contortamente dentro di me,ma lo soffocavo con altro. Non volevo guardarla. Non volevo parlarle. Non volevo più toccarla. I suoi sguardi mi facevano male perché avrei voluto sorriderle o sfiorarle il braccio,ed invece impedivo a me stessa di farlo. Non potevo e basta. Ogni volta che mi era vicina,ogni notte,avrei voluto…Dio,no. No e basta. Sbuffai.

«Cominceremo da Brittany» annunciò Steven,facendole un cenno con la testa.

La ragazza sospirò,si passò le mani sul viso,e raggiunse Steven con aria preoccupata. Il ragazzo le diede la pistola e lei la prese tra le mani tentennante. Si guardò intorno,si avvicinò ai bersagli e poi caricò l’arma. Bastava guardarla per capire che non fosse pratica e non amasse quel genere di cose. Sospirò ancora,tirò indietro il carrello dell’arma,la guardò,e poi fissò una delle bottiglie.

«Ce la puoi fare» la incoraggiò Steven.

La ragazza si concentrò,ci fu silenzio,e poi il colpo partì. Aveva sbagliato. Scosse la testa e sbuffò come una ragazzina.

«Senti Steven,sono negata. E’ inutile che continui a farmi provare,faccio schifo!» biascicò affranta,muovendosi agitata sul posto.

Steven le si avvicinò e le mise una mano sulla spalla. Mi irrigidii e mi schiarii la voce rumorosamente. Lucas ed Alex si voltarono verso di me,ma io li ignorai.

«Puoi farcela» affermò deciso il ragazzo «devi farcela e ce la farai».

Brittany annuì poco convinta. Steven si allontanò,ma i i miei muscoli erano ancora rigidi. Strinsi il pugno e mi morsi le labbra nervosamente.

«D’accordo» rispose tornando a guardare i bersagli.

Fece qualche passo avanti,poi impugnò con più decisione l’arma e dopo alcuni secondi sparò. Il rumore ruppe il silenzio assieme alle sue grida di gioia. Centro. Un gran sorriso mi si stampò sulla faccia. Stavo per correre ad abbracciarla,ma qualcuno mi anticipò,ricordandomi che non avrei comunque dovuto farlo.

«Lo vedi?» disse Steven cingendola con le sue braccia muscolose «Ti avevo detto che ce l’avresti fatta!Non devi mai dubitare di te stessa».

Brittany ricambiò l’abbraccio e i due rimasero in quel modo per qualche secondo. Mi schiarii la voce di nuovo e i due si staccarono. Cazzo. Le nocche della mia mano destra erano sul punto di bucare la pelle e le unghie segnavano con prepotenza l'interno della mano. Spostai gli occhi dalla nuca della bionda. Se avessi continuato a guardarla,mi sarei resa conto della ragione della mia rabbia. Lei si voltò versò di me e mi lanciò un’occhiataccia. Rimasi interdetta un istante. L’aveva fatto apposta?Maledizione!

«Merda» borbottai tra i denti.

La bionda sparò altre due volte,ma centrò il bersaglio soltanto una.

«E’ il tuo turno» mi avvisò Steven,guardandomi.

Lo fulminai con lo sguardo e lui parve confuso.

Brittany mi raggiunse per consegnarmi la pistola,ed io la fissai dritta negli occhi,con il viso contratto in una smorfia dura e mesta. Lei rispose al mio sguardo con uno che sapeva quasi di sfida. Era come se mi stesse dicendo :”vediamo che sai fare tu!”. Fu ovvio : raccolsi la sfida. Quando mi fu a pochi centimetri di distanza,le strappai l’arma dalla mano.

«Forza,Santana!» mi incitò Steven «Anche tu puoi farcela».

Annuii «Ti dispiacerebbe mostrarmi di nuovo come si impugna?Credo di averlo dimenticato».

Quando il ragazzo si avvicinò,spostando la sua massa muscolosa,sorrisi interiormente. Steven mi raggiunse ed aspettò che gli porgessi la pistola. Scossi la testa.

«Come devo mettere le mani?» gli chiesi con quella finta ignoranza.

Dovevo essere più diretta,così gli sorrisi. Lui afferrò le mie mani e le posizionò sull’arma.

«Così…» disse guardandomi in viso.

«Grazie,Steven» risposi con un tono di voce basso e seducente.

A quel punto,mi voltai verso Brittany e le restituii lo sguardo di sfida. Lei mi rivolse un’occhiata truce e poi spostò gli occhi dal mio viso,infastidita o alterata. Non capivo ancora cosa stesse succedendo tra di noi,ma sapevo che ero stata io a dare inizio a tutto quello. Era cominciato tutto dal momento del suo risveglio. L’avevo guardata a lungo dormire,sognando e …desiderando,e poi,all’improvviso,avevo capito. Avevo capito quanto sbagliato fosse guardarla con le palpitazioni ed il respiro corto,o lasciando l’immaginazione volare lontano e lontano e … mi ero detta che non potevo farlo. Non potevo più essere impulsiva,non in quella situazione,non rischiando tutto di nuovo. Perché sapevo per certo che se avessi assecondato i desideri ed accettato le emozioni,per me sarebbe iniziata,ma anche finita.

«Non c’è di che» disse il ragazzo,sorridendomi con ancora la confusione sul viso.

Inspirai profondamente l’aria tiepida e guardai le bottiglie. Avrei fatto centro ; ne ero certa. Tirai indietro il carrello dell’arma e poi la puntai contro l’ultima bottiglia. Inspirai di nuovo e chiusi gli occhi per un istante. Basta pensare,quella bottiglia era mia. Premetti il grilletto e il rumore della plastica che veniva attraversata dal proiettile mi fece sussultare.

«Sì!» esclamai felice «Ce l’ho fatta!»

Con ancora un sorriso sincero sul viso,corsi verso Steven. Lui allargò le braccia,felice,e mi accolse tra le sue. Lo strinsi forte e lui ricambiò con molta meno forza. Quando ci staccammo,guardai Brittany. Non era più arrabbiata,pareva triste. Aveva gli occhi lucidi e si mangiava le unghie,come era suo solito. E allora mi chiesi perché,perché non potessi andare lì e stringerla forte a me,respirando sulla sua pelle. La risposta arrivò chiara e tonda non appena incontrai quelle iridi celesti affacciarsi dentro l'infinito con curiosità. No,non potevo. Spostai lo sguardo.

                                                                                   

Quando rientrai in tenda,Brittany era già lì,ed imprecai mentalmente. Era seduta sul materasso e guardava dritto di fronte a sé,con lo sguardo perso e gli occhi tristi. Dovevo andarmene di lì ed al più presto. Mi voltai per tornare fuori,ma la sua voce mi bloccò.

«Perché?» si limitò a chiedermi con la voce dura e ferita.

Rimasi in silenzio,senza voltarmi per guardarla. Spostai lo sguardo a terra. Mi tremavano le gambe. Al suono della sua voce,il mio cuore aveva preso a battere più veloce.

«Perché ti comporti così,Santana?E’ per quello che è successo al supermarket?E’ per…»

Mi voltai di scatto «per cosa,Brittany?!» le chiesi con la voce piena di rabbia,avvicinandomi lentamente «Per cosa?!Non è successo niente al supermarket,niente!Mettitelo bene in testa».

Lei scosse la testa,mordendosi un labbro,e capii che stava per piangere.

«Non voglio niente da te!» le urlai,continuando ad avvicinarmi «Tu non sei niente per me!Non conterai mai niente,mi hai capita?»

Avevo i muscoli rigidi e mi sentivo…arabbiata. Ero così furiosa,maledizione!Così furiosa che avrei fatto a pezzi quella tenda. Il cuore mi esplodeva nel petto e gli occhi sprizzavano ira. Non volevo niente da lei!Non volevo niente. Io…io…no!Non potevo,non potevo,non potevo e non potevo. Lei non era mia,non lo sarebbe mai stata. In quel momento,mi sarei presa a schiaffi. L’avevo ferita,avevo dovuto farlo. Ma la verità era ben altra,era così lontana da quella realtà dura e rigida…la verità era che non potevo permettermi di guardarla più negli occhi,anche se era già tardi. Io la volevo,la volevo per me!Volevo le sue labbra sulle mie,volevo la sua bocca sul mio corpo,volevo il suono della sua voce melodiosa sussurrare il mio nome all’orecchio,volevo le sue carezze dolci sulla mia pelle diventare bollenti. Io provavo troppo,io provavo tanto,ma non potevo niente. Se avessi permesso al mio corpo di vivere,anche solo per un istante,se l’avessi letta,sarei tornata di nuovo in quell’oscurità chiamata paura. Nella mia testa risuonò una frase,anzi,una regola : non innamorarti.

«E allora vattene,Santana!» mi urlò in lacrime «Non c’è alcun motivo per cui tu stia qui!Vattene!» urlò ancora,portandosi le mani sul viso.

Se mi fossi concentrata su qualcos’altro che non fosse stata la rabbia,forse sarei caduta a terra,priva di forze. Io l’avevo ferita e le sue lacrime erano solo colpa mia. Ma doveva odiarmi,doveva farlo,perché altrimenti…

Uscii da quella tenda,tremando. Guardai l’erba sotto i miei piedi,e cominciò a girare e girare. Il mio cuore batteva troppo in fretta,ed i miei occhi umidi avrebbero voluto liberarsi di tutto quanto,avrebbero voluto lasciarsi andare,violando ogni regola. Ma non era permesso violare le regole,non a me. Sarebbe bastato un errore,anche piccolo,e allora sarebbe stata morte. Ingoiai ogni cosa,ogni emozione,e a quel punto fui sopraffatta soltanto dalla rabbia. Ero arrabbiata con me stessa. Estrassi il pacchetto di Marlboro dalla tasca della tuta e mi accesi una sigaretta. Era l’unica cosa che avrei potuto fare in quel momento,l’unico gesto “normale”. Poi,senza rendermene conto,cominciai a camminare. I miei piedi si muovevano svelti e nella testa risuonava quel “vattene”. Ero stata disgustosa,io…mi disgustavo,anzi,mi odiavo. Odiavo me stessa,odiavo i miei sentimenti,odiavo anche lei. Odiavo quel campo,odiavo quella stupida e fottutissima tenda,odiavo il fuoco che la sera combatteva l’oscurità ed odiavo anche lei. Odiavo gli affamati,odiavo Josh,odiavo mia madre e mio padre,ed odiavo anche lei. Ma io odiavo me,soprattutto. Odiavo quel che avevo dentro,odiavo la paura,l’amore e l’odio. Odiavo amare,ma amavo odiare. Perché se odi non ami,ma per me non era così. Ogni cosa era lì,in bilico su di un filo,che aspettava solo di esser spinta giù. Ma io non l’avrei mai posta su quel filo,no. Non potevo farlo. Non potevo guardarla o toccarla,perché allora lei sarebbe stata viva,reale e tangibile. Non doveva esserlo in alcun modo,altrimenti sarebbe caduta impotente da quel filo. Eppure la volevo…mio Dio,se la volevo!Al supermarket avevo realizzato una cosa,ma avevo paura di dirla ad alta voce e più semplicemente di pensarla. E camminavo,camminavo e camminavo. Via da lì,via da ogni cosa. 

«Santana!» mi chiamò Steven «Dove diavolo vai?»

Non mi girai e non risposi,semplicemente camminai. Fuggivo dalla consapevolezza,fuggivo dall’amore,dritta verso le fauci della notte e della miseria.

«Aspettami!» gridò il ragazzo.

Gli alberi immensi della foresta stavano quasi per ingoiarmi,ma nel frattempo Steven accelerò il passo e il calpestio dell’erba si fece più vivace.

«Ehi!» mi disse,afferrandomi per un braccio «cos’è successo?»

Quando mi voltai,piansi. Non mi ero allontanata granché dal campo,forse fu per questo che le mie lacrime cominciarono a scendere.

«Lasciami andare,ok?» biascicai stremata.

Avevo infranto la regola.

«Non posso!» i suoi occhi brillavano «E’ troppo pericoloso» si giustificò.

Mi asciugai le lacrime,ma ben presto ne scesero altre. Avevo sbagliato tutto. Avevo ferito la mia persona,avevo ferito me stessa. Stavo per infrangere ogni regola,ma in quel momento mi pareva inevitabile.

«Lasciami!» gridai,arrabbiata.

Steven mi mollò il braccio,mortificato,ed abbassò lo sguardo. Fu in quel momento che capii di voler tentare un’ultima cosa.

«Non posso lasciarti andare nella foresta,è pericoloso…» tornò a spiegarsi,avvicinandosi.

Mi avvicinai anch’io,lui si chinò su di me,e lo baciai. Lo baciai come meglio potei. Le sue mani sulla mia vita,la sua lingua contro la mia,la mia mano sulla sua nuca. Quando i baci divennero rapidi e cominciarono a togliermi il respiro e le sue mani scesero sino al mio fondoschiena,decisi di sì : decisi che valesse la pena provare. Mi staccai da quel bacio,guardai i suoi occhi che brillavano di desiderio,e gli slacciai i pantaloni. Li tirai giù e lui tornò a baciarmi più appassionatamente di prima. Poi mi afferrò dalla vita,mi tirò su,ed io lo cinsi con le gambe. Improvvisamente ci ritrovammo sull’erba,allungati l' uno sopra l’altro. Steven mi tirò giù i pantaloni della tuta,mi  tolse le mutandine,e tornò a baciarmi.

All’improvviso realizzai : stavo facendo sesso con Steven. Soffocai un gemito,dovevo farlo. Neppure quello sarebbe dovuto essere reale,non lo meritava. Ma quando il ragazzo spinse con decisione,mi sfuggì. Era successo : era reale. Quando tutto sarebbe finito,avrei pianto. Avrei pianto perché quello era reale,tranne me e lei.


Lo so,lo so. In questo momento mi state odiando come non avete mai fatto con nessuno in vita vostra. Vi capisco perfettamente. Il primo motivo per cui mi odiate è probabilmente perché sono sparita,ed il secondo perché questo capitolo non è probabilmente quello che vi aspettavate. Ma lasciatemi giustificare almeno un po'. Questi giorni sono stata via e non avevo con me nè il pc,nè una connessione wifi che sopportasse le mie folli navigazioni in internet. In compenso,ho preso il portatile di un amico e mi sono messa a lavoro,pensandovi. Per il resto,so bene che forse sarete delusi e probabilmente avete ragione,ma vi posso solo dire una cosa : fidatevi. Fatelo,e sono certa che non vi pentirete di aver seguito questa folle "scrittrice" da strapazzo. 

Come al solito,quasi niente fila perfettamente liscio. Santana comincia a rendersi conto dei suoi sentimenti per Brittany,specialmente dopo l'ultimo accaduto al supermarket. Aver sentito concretamente la possibilità di perderla,l'ha mandata in confusione e diversi dubbi le si agitano dentro. Ha paura,paura di innamorsi perché sa per certo che in un mondo così pericoloso,potrebbe perderla in un batter d'occhio. Questo è un capitolo fatto dalla contrapposizione di due parti del personaggio : la paura e il desiderio d'amare. Santana non è un robot,è umana e per renderla tale,mi sembrava giusto scrivere un capitolo come questo,che si avvicinasse il più possibile al reale. Il tutto si conclude con Santana che,mentre cerca di fuggire via dall'immagine di Brittany e dalle sue parole,viene fermata da Steven. Ma quando la regola più importante viene infranta,Santana decide di mandare tutto al diavolo e di infrangerle tutte. Steven è la sua ultima possibilità per essere strappata via dalla paura e della confusione,ma non appena si rende conto di quel che è successo,avrebbe voglia di piangere. Ormai,non ha più possibilità,ma nemmeno regole da infrangere.

Beh,gente,sperando che il vostro odio sia evaporato un pochino con il passare del tempo e con il leggere le mie parole,vi lascio ad un'anticipazione. Il prossimo capitolo,sarà "il capitolo". Ho già detto troppo,ma voglio proprio farmi perdonare. Continuate a seguirmi perché prossimamente ne vedremo delle belle e sono certa che alcuni capitoli verranno apprezzati in particolar modo. Comunque ancora molto deve succedere,e tenetevi pronti perché non potete neppure immaginare come si evolverà la storia. In breve,le cose cambieranno bruscamente (sotto tutti i punti di vista) ed abbandoneremo la staticità che mi ha permesso di elaborare alcune cosette...

Allora vi aspetto nelle recensioni,come al solito,e nel prossimo capitolo!Fatemi sapere quel che ne pensate e ...fidatevi di me!

Grazie a tutti per aver letto un altro capitolo di questa follia e per aver scelto di seguire o recensire. Siete preziosi,davvero. 

P.S. Da adesso in poi,pubblicherò ogni cinque giorni.

P.P.S. Vi aspetto sabato!Non mancate ;)

  
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