Film > Pirati dei caraibi
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Autore: Koori_chan    03/07/2014    4 recensioni
[L’Ottobre del 1703 era uno dei più caldi che la gente di Londra ricordasse.
Per strada i bambini correvano scalzi schiamazzando senza ritegno, e sul mercato si vendeva ancora la frutta dell’estate; il sole, che già aveva incominciato la sua discesa verso l’orizzonte, illuminava i dock di un’atmosfera tranquilla, pacifica, quasi si fosse trattato di un sogno intrappolato sulla tela di un quadro.]
Quando un'amicizia sincera e più profonda dell'oceano porta due bambine a condividere un sogno, nulla può più fermare il destino che viene a plasmarsi per loro.
Eppure riuscirà Cristal Cooper, la figlia del fabbro, a tenere fede alla promessa fatta a Elizabeth Swann senza dover rinunciare all'amore?
Fino a dove è disposta a spingersi, a cosa è disposta a rinunciare?
Fino a che punto il giovane Tenente James Norrington obbedirà a quella legge che lui stesso rappresenta?
E in tutto ciò, che ruolo hanno Hector Barbossa e Jack Sparrow?
Beh, non vi resta che leggere per scoprirlo!
Genere: Avventura, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Elizabeth Swann, Hector Barbossa, James Norrington, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo Nono~







Elizabeth Swann arcuò le sopracciglia sottili e schiuse appena le labbra, la brezza leggera in arrivo dal mare che le solleticava il viso e le dita lunghe e affusolate strette attorno al foglio di carta.
Un paio di occhi scuri e irriverenti la fissavano senza pudore, adombrati da alcune ciocche di capelli scuri tenuti lontani dal viso grazie a una bandana dalla quale sporgevano ninnoli di ogni tipo.
Seduta di fronte a lei nel piccolo cortile sul retro della casa del fabbro, Cristal dondolava emozionata, le guance spruzzate di lentiggini.
- Allora? Che ne pensi? Sei delusa? – domandò, il sorriso incerto mentre si alzava in piedi e la affiancava per dare ancora un’occhiata al ritratto.
Elizabeth alzò lo sguardo e fece spallucce.
- Me l’ero immaginato biondo… - confessò, tendendole il foglio che le aveva passato il vecchio Abraham sottobanco.
- Comunque hai ragione tu, ha carisma! – decretò infine, alzandosi in piedi e inspirando a pieni polmoni l’aria salmastra, l’immagine del ricercato ancora impressa nelle retine.
Cristal le fu accanto con un balzo e le prese le mani, facendole fare una giravolta.
- Carisma, carisma! Quest’uomo è geniale! Riuscire a saccheggiare Nassau senza esplodere un colpo! – cinguettò, adorante.
- Capisci? Chiunque potrebbe depredare una città, ma Jack Sparrow fa di più: evita inutili spargimenti di sangue! Secondo Will è un codardo, io lo ritengo un signore! – continuò, negli occhi chiari il luccichio dell’ammirazione.
- Chissà, forse un giorno Sparrow potrà dire con orgoglio di aver navigato sotto i colori di Capitan Swann e Capitan Cooper! – azzardò l’amica con un ghignetto.
Cristal rise e incrociò le braccia al petto, alzando il mento con finta presunzione.
- Vedrai, Elizabeth, un giorno faranno carte false per poter dimostrare di aver navigato con noi! –
Prima che la figlia del Governatore potesse dire qualsiasi cosa, però, la porta sul retro di casa Cooper si spalancò.
- Cris, tuo padre mi ha mandato a dirti di… - ma la voce morì in gola a Will Turner, che tacque, le sopracciglia appena aggrottate e la mano ancora sulla maniglia.
Improvvisamente Cristal percepì una strana tensione, una sensazione spiacevole e viscida alla quale non era per niente abituata.
Non le sfuggì il fremito acquattato infondo alle iridi nocciola dell’amica, né la reticenza imbarazzata dell’apprendista nell’accorgersi che lui e Cristal non erano soli.
- Buongiorno, William. – salutò Elizabeth chinando dolcemente il capo in quella che la figlia del fabbro riconobbe come una misurata e falsa formula di cortesia.
Dal canto suo Will rimase rigido come uno stoccafisso, l’aria imbambolata e piuttosto stupida.
- Elizabeth… Io… Non credevo ci fossi anche tu… - balbettò, le guance appena tinte di rosso.
- Ovviamente. – replicò la ragazza con inusuale freddezza.
Cristal roteò gli occhi e cercò di porre fine a quel fuoco incrociato in cui era incappata suo malgrado.
- Allora? Che c’è? – domandò sgarbatamente avvicinandosi a Will.
Quello parve riscuotersi e  si voltò verso di lei, leggermente più rilassato nell’incontrare il suo sorrisetto ironico.
Cristal sapeva, e lo avrebbe certamente aiutato a trarsi d’impaccio.
Le comunicò in un sussurro la richiesta di Jim Cooper e attese una risposta.
Lei si morse un labbro e contò rapidamente qualcosa aiutandosi con le dita.
- Quattro… Cinque… No, non ce la faccio oggi. Digli che se non è urgente ci andrò domattina. – e con ciò lo congedò con un cenno della testa e un “ci vediamo dopo” sussurrato a fior di labbra.
Will annuì e tornò a grandi passi verso la porta, facendo un piccolo inchino all’indirizzo della giovane Swann.
- Arrivederci, Elizabeth. – e sparì, chiudendosi la porta alle spalle.
Cristal aspettò di essere certa che Will fosse uscito in strada e si voltò verso l’amica, sbottando irritata.
- Si può sapere cos’avete, entrambi? Perchè sei stata così fredda? –
Elizabeth avvampò e si portò una mano al petto.
- Io fredda? Ma l’hai visto? E’ già un miracolo se si degna di guardarmi negli occhi! –
La bionda sbuffò, lasciandosi nuovamente cadere sulla cassa dove era seduta poco prima.
- Elizabeth, è ovvio! Come fai a non capire? E’ un fabbro, sa benissimo di non avere speranze con una come te! Cerca di disilludersi, tutto qui! – argomentò, esasperata dalla cecità dell’amica.
Quella rimase immobile, le guance ora pallide e il respiro tremolante.
Strinse i pugni attorno al vaporoso abito color del sole, in netto contrasto con il cielo di quella giornata, e si morse un labbro.
- Questo non significa che non possiamo più essere amici come una volta… - esalò, afflitta.
Ci fu un lungo momento di silenzio durante il quale Cristal si interrogò se non fosse il caso di tacere e lasciar correre, ma quella faccenda riempiva d’amarezza anche lei, e si ritrovò ad esternare le sue opinioni senza nemmeno accorgersene.
- Non credo che potremo mai più tornare ad essere amici come una volta, Lizzie… - constatò nell’accomodarsi dietro l’orecchio una ciocca di capelli scompigliata dal vento via via più forte.
Lo sapeva, lo sapevano entrambe: un conto era l’infanzia, un tempo in cui ogni gioco è permesso e non vi è malizia negli sguardi, ma adesso erano cresciuti, tutti quanti, e l’avanzare degli anni significava entrare di diritto in quell’odiosa società che pareva creata apposta per tarpare le ali ai desideri e soffocare le speranze.
- Ieri sono andata a trovare James. – comunicò poco dopo Elizabeth nel tentativo di accantonare quel discorso fastidioso.
Operazione riuscita, la figlia del fabbro drizzò la schiena e si sporse in avanti, avida di notizie.
- Come sta? Le ferite? Tutto bene? –
Lizzie annuì con un sorriso gentile.
- Si è rimesso quasi completamente. E ha chiesto di te… - aggiunse, nella voce una reticenza volta ad acuire il senso di mistero.
- Di me? – ma dei colpi decisi alla porta le interruppero.
- Miss Swann, chiedo scusa, ma è ora di tornare a casa… - i dolci occhi verdi di Howard Smith fecero capolino assieme al suo sorriso dispiaciuto.
- Di già? Ma è presto! – si lamentò la ragazza, giungendo le mani nella speranza che la guardia le accordasse ancora qualche minuto.
 Quello però scosse il capo, deciso.
- C’è aria di burrasca, vostro padre vorrebbe evitare che vi bagnaste rientrando… - spiegò.
Cristal fece spallucce e le due tornarono in casa, dove Marion stava sbrigando alcune faccende.
- Vai già via? Porta i miei saluti a tuo padre! – sorrise agitando la mano all’indirizzo della fanciulla e della guardia del corpo.
- Ci vediamo domani! – ricordò Cristal mentre la carrozza già svoltava l’angolo della strada.
Chiuse la porta e si diresse verso il tavolo della cucina, ma sua madre le sbarrò la strada, in mano un cesto di vimini coperto da un panno colorato.
- Ho sentito che il Tenente Norrington si è finalmente rimesso! Sarebbe proprio cosa ben fatta se lo andassi a trovare e gli portassi questa torta con i saluti della famiglia! – propose con un’aria dolce e che al contempo non ammetteva repliche.
- Ma mamma, da qua a casa del Tenente ci vuole più di un quarto d’ora di cammino, se dovesse piovere… -
- Allora tanto meglio che ti sbrighi ad andare e tornare… - la mise a tacere la donna con un buffetto affettuoso sul naso.
- Despota… - biascicò indossando uno scialle per riparare dal vento la scollatura e annodandosi la mantellina di lana al collo.
Proprio mentre Cristal usciva, Jim entrò in casa, rivolgendo alla moglie uno sguardo curioso.
- Dove la stai mandando? –
Marion si avvicinò alla finestra e sbirciò distrattamente sincerandosi che la ragazza si stesse sbrigando.
- Da Norrington, pare che ormai sia guarito quasi del tutto… - spiegò.
Il fabbro manifestò gli stessi timori della figlia.
- Sei pazza? Sarà fradicia prima di aver percorso metà strada! – fece, oltremodo contrariato.
Marion si profuse in un ghigno che non prometteva nulla di buono.
- Appunto… -
Nel frattempo Cristal camminava spedita per le vie del borgo, il cappuccio della mantellina che le sbatacchiava sulla schiena frustato dal vento.
Quell’anno avevano avuto un autunno caldo e umido, e solo in quei giorni di inizio Novembre le temperature erano scese di almeno dieci gradi, intimidite dal forte vento dalle raffiche sostenute che spazzava la costa.
Bassi nuvoloni neri si erano insaccati contro la baia, calando la città in un buio innaturale, mentre la polvere si levava da terra in solitari mulinelli, alzando di tanto in tanto mucchi di foglie secche e crepitanti.
Per strada non c’era nessuno, fatta eccezione di alcuni monelli dalle ginocchia sbucciate e dai sorrisi sdentati che giocavano a nascondino fra casse e barili e si divertivano a tirare la coda ai gatti e guardarli sfrecciare via, le pellicce dritte di disappunto e desiderio di vendetta.
La ragazza attraversò il paese e imboccò la lunga strada che si inerpicava sul lato della collina che dava sul mare.
Due mesi prima, quando era tornata la spedizione di Thompson, aveva raggiunto villa Norrington in carrozza, ben decisa ad accertarsi che il Tenente tornasse a casa e si facesse medicare come si deve senza fare storie, e non le era parso che il sentiero fosse così lungo ed esposto alle intemperie.
Si strinse meglio nella mantellina ed accelerò il passo nel sentire le prime gocce di pioggia: ormai aveva superato la metà del percorso, tornare indietro sarebbe stato anche peggio.
Cinque minuti dopo, quando il pesante batacchio sbattuto ferocemente contro la porta informò James Norrington di avere visite, la ragazza sembrava appena riemersa da un tuffo in mare aperto.
- Miss Cooper?! – fece il ragazzo, sorpreso e un po’ preoccupato nel vederla battere i denti dal freddo, grondante e con i capelli appiccicati al viso.
- Buongiorno Tenente! Ero passata a farvi visita, ma la pioggia non ha avuto la clemenza di aspettare che raggiungessi il portone! – esclamò con un grande sorriso.
Quello ascoltò il suo discorso a bocca spalancata e la fece entrare, conducendola a passo appena claudicante verso il salone.
- Uscire con questo tempaccio… voi siete folle! Venite, sedetevi di fronte al camino… - le intimò indicandole una poltrona rivestita in velluto verde già sistemata accanto al focolare.
A giudicare dal libro aperto a faccia in giù sul bracciolo Cristal dedusse che quello fosse proprio il posto da cui aveva scomodato il Tenente.
- Ma no, vi inzupperei la poltrona! – fece imbarazzata, sbirciando con la coda dell’occhio la scia di pozzanghere che si era lasciata alle spalle.
James valutò rapidamente la situazione squadrandola dall’alto in basso e le fece cenno di seguirlo al piano superiore.
- Vediamo se posso darvi qualcosa da mettere indosso finchè i vostri abiti non si saranno asciugati… - considerò salendo le scale, seguito dall’incedere timido e reticente della ragazza.
Quando raggiunsero la stanza da letto del padrone di casa lei rimase fuori dalla porta, le guance rosse in netto contrasto con il pallore del viso.
Norrington, in imbarazzo quasi quanto lei, le fece segno di entrare e aprì un’anta dell’armadio in legno chiaro, impreziosito da intarsi in pigmento verde e foglia d’oro.
- Temo di non essere più in possesso di abiti adatti a voi… Ho fatto gettare via quelli di mia madre quando… - balbettò, lo sguardo incupito dai ricordi.
- Non fa niente, posso… posso anche restare così! –
Ma l’ufficiale non volle sentire ragioni, e dopo qualche attimo di ricerca fece emergere dal guardaroba una delle divise rosse dei sottoufficiali, corredata di giacca e camicia.
- E’ mia, di quando ero un ragazzino. Dovrebbe andarvi bene… -  spiegò, appoggiando gli indumenti sul letto.
- Io vi aspetto al piano di sotto, prendetevi pure il tempo che vi occorre… Nel frattempo preparo del té! – fece per andarsene, ma la voce flebile dell’ospite lo trattenne sulla porta.
- Ecco, mia madre… mia madre ha preparato un dolce per festeggiare la vostra guarigione! Spero solo non si sia sciolto… - aggiunse con aria appena mortificata, porgendo il cestino di vimini al padrone di casa.
Quello sollevò il panno per scoprire la superficie dorata di una torta in miracolosamente ancora in ottime condizioni ed esibì un grande sorriso, gli occhi a brillargli di una gioia quasi infantile.
- Ha un profumo delizioso! – e con quella rassicurante constatazione accostò la porta e scese le scale zoppicando.
Cristal apparve una decina di minuti dopo, i capelli ancora bagnati raccolti in una treccia laterale e i vestiti fradici tenuti ben lontani dalla sua figura.
James rimase immobile, il dito ancora sospeso sulla pagina che stava voltando.
Non l’aveva mai ammesso a se stesso, ma adesso doveva proprio convenire che Cristal Cooper era bella.
Non come Elizabeth, la cui bellezza era quella irraggiungibile delle regine, nobile, misurata e carismatica.
Cristal aveva in sé la bellezza delle persone semplici: nei capelli gonfiati dall’umidità la carezza dorata del grano del Sussex, negli occhi la limpida fedeltà dell’oceano, le lentiggini come lievi costellazioni in una notte d’estate.
I suoi modi erano particolari, a volte addirittura impacciati e per nulla femminili, eppure aveva in sé una certa grazia, una fermezza nello sguardo che bilanciava la sua ingenuità.
Si rese conto, lasciando che lo sguardo intuisse i polpacci allenati al di sotto degli stretti pantaloni rossi e indugiasse forse un po’ troppo sulla camicia tesa in prossimità del seno, che ormai si trovava al cospetto di una donna, e cercare di negarlo sarebbe stato solamente un mentire a se stesso.
Solo all’incerto “dove li metto?” della ragazza parve finalmente riscuotersi e riacquistare un po’ di concentrazione.
Sistemò gli abiti di fronte al fuoco scoppiettante e si sedette sul divanetto che dava le spalle alla grande finestra sferzata dalla pioggia, facendo segno alla giovane di prendere posto accanto a lui.
Norrington aveva poca servitù: era una persona solitaria, e trovava che la cameriera e il cocchiere fossero più che sufficienti per servire un singolo individuo; inoltre la maggior parte delle stanze della sua grande villa erano chiuse a doppia mandata da anni, e tuttò ciò di cui si doveva preoccupare era il piano terra e la sua stanza da letto, subito in cima alle scale. Quel giorno non aveva in programma di uscire, sapeva che i Swann non lo avrebbero visitato e non avendo più bisogno di aiuto per camminare aveva deciso di concedere alla servitù un pomeriggio di libertà, stanco di tutto l’affaccendarsi che c’era stato attorno a lui in quegli ultimi due mesi.
Proprio per questo motivo aveva provveduto personalmente a preparare il té e a servire la torta in piattini di porcellana cinese appartenuti a sua madre.
Trascorsero un paio d’ore chiacchierando tranquillamente, ma quando il buio della sera si aggiunse a quello delle nuvole Cristal si rese conto di essersi trattenuta un po’ troppo.
- Sono desolata di avervi arrecato tutto questo disturbo, Tenente, appena pioverà un po’ meno mi incamminerò… - incominciò a scusarsi, presto interrotta dalla voce calda e dolce del ragazzo.
- Non dite sciocchezze, Miss Cooper! E’ tardi, sarebbe oltremodo indecoroso permettervi di tornare a casa da sola. Vi riaccompagnerò in carrozza. -  e il suo era quasi un ordine.
- Ma mia madre si preoccuperà se…! –
- Ne avrebbe certamente ragione se decideste di uscire in mezzo a questo nubifragio. Se entro due ore non avrà accennato a smettere potrete restare qui per la notte, e domattina spiegherò ai vostri genitori quanto accaduto… - propose con fermezza.
Cristal sospirò e si lisciò la stoffa dei pantaloni, nervosa.
In che razza di situazione si era cacciata…





 
Come pronosticato, il mattino dopo i suoi genitori –specialmente Jim- l’avevano accolta con aria spaventata e avevano ringraziato quasi eccessivamente Norrington per le sue premure.
- Mamma, non farmelo fare mai più, è stato terribilmente imbarazzante! – si era lamentata, il viso in fiamme, quando finalmente il Tenente se n’era tornato a casa.
- Suvvia, che esagerata! Cosa può mai essere successo di così imbarazzante? – aveva chiesto, volutamente maliziosa.
- Beh, in realtà niente, ma… Insomma… Ha letto per me, poi ci siamo addormentati… - aveva sussurrato, lo sguardo puntato ai piedi.
- Addormentati? Insieme?! – Jim era scattato in piedi, subito tranquillizzato dal mormorio della figlia.
- Sul divano… La ferita al fianco è completamente guarita, ma quella alla gamba lo affatica ancora un pochino, e io ero stravolta e… Dio, mamma, non fare quella faccia, stamattina avrei voluto sprofondare! Grazie al cielo eravamo solo noi due, o non avrei potuto resistere alla vergogna! –
Al “solo noi due” il fabbro aveva lanciato un’occhiata di fiele alla moglie, che però l’aveva ignorato, sul viso un sorrisetto soddisfatto.
Marion aveva continuato con le sue strane ed imbarazzanti insinuazioni per i mesi successivi, finchè il sole caldo di Giugno non era tornato a scaldare le ossa ed Elizabeth era apparsa con una notizia che aveva piombato il paese intero in un’atmosfera di agitazione e preparativi.
Giunse così anche il tanto atteso dodici di Luglio, un mese esatto dopo il sedicesimo compleanno di Cristal, il Forte allestito per la cerimonia e le donne agghindate con gli abiti all’ultima moda.
- Mamma, mi fai male! Così tira! – piagnucolò la giovane Cooper mentre sua madre si affacendava a raccoglierle i capelli con spille e forcine.
- Tutte le volte che devi renderti un po’ più femminile fai sempre le stesse storie! Chi bella vuole apparire, un poco deve soffrire! – cantilenò la donna con un grande sorriso, ammirando soddisfatta il suo operato.
- Ah, guardati, sei bellissima… - commentò poi, portandola di fronte al grande specchio in camera da letto affinchè potesse apprezzarsi a figura intera.
- Se solo penso a com’eri piccina quando siamo andate per la prima volta al compleanno di Elizabeth… - sussurrò, abbracciandola e posandole il mento sulla spalla, portata dalla malinconia.
- Sai, sono passati sei anni… Anche tu avevi meno rughe all’epoca! – la schernì sua figlia strizzandole l’occhio.
Marion si portò indici e medi agli zigomi e tirò verso l’alto rivolgendo una linguaccia al suo riflesso.
- Ho solo vent’anni più di te, non sono ancora decrepita! Ah, eri una bimba così carina, e adesso sei già una donna in età da marito… - considerò, sistemandole il vaporoso abito verde smeraldo.
Cristal roteò gli occhi, sapendo già dove sarebbe andata a parare.
Era ormai quasi un anno che la tormentava con simili discorsi, quasi il suo matrimonio fosse stato la sua unica ragione di vita. Era consapevole di essere ormai abbastanza grande da dover mettere in conto quella prospettiva, ma onestamente non era smaniosa di sistemarsi così come sua madre avrebbe desiderato, dal momento in cui agli occhi dell’unico uomo in tutta Port Royal capace di farle vedere il matrimonio come una gioia e non come una rinuncia lei era completamente indifferente.
Un pomeriggio di qualche giorno prima, di ritorno da una passeggiata con Lizzie, aveva sorpreso i suoi a discutere in proposito.
- Lo faccio per proteggerla, prima sarà lontana da noi, prima sarà al sicuro. – aveva detto sua madre, nella voce un dolore che l’aveva indotta a non aprire subito la porta.
- Marion, la condanneresti ad una vita  in gabbia? – era stata la replica di Jim.
Al di là dell’uscio chiuso, Cristal aveva percepito sua madre alzarsi di scatto da tavola e alzare la voce.
- Jim, non è divertente! Non è solo brezza fra i capelli e vecchie canzoni! –
A quel punto anche il fabbro aveva alzato la voce, severo e quasi accusatore.
- Non mi sembra che tu abbia mai ricordato quei giorni con tale disgusto! –
- Jim, io non ho scelto questa vita! E’ stato un obbligo, non avrei potuto fare altrimenti! No, non lo rimpiango, è vero, ma non voglio condannare mia figlia allo stesso destino di incertezza a cui mi sono condannata io! –
A quel punto aveva aperto la porta, spaventata e disturbata dalla piega che quel discorso aveva preso. Forse non avrebbe mai dovuto fermarsi ad origliare, forse invece avrebbe dovuto chiedere spiegazioni.
In ogni caso, di fronte agli occhi sgranati e alle labbra serrate dei suoi genitori aveva preferito non indagare oltre, fingendo di non aver sentito nulla.
- Dai, vieni, o faremo tardi… - la incalzò sua madre, distogliendola da quegli sgradevoli ricordi.
Uscirono in strada e Jim le salutò con un fischio di ammirazione.
- Le mie donne, sempre le più belle! – esclamò orgoglioso per poi posare un bacio sulle labbra di sua moglie e incamminarsi verso il Forte.
Cristal sospirò e sollevò appena la grande gonna per non calpestarla.
Da quando James si era rimesso, ai primi di Novembre, non aveva avuto un attimo di tregua, impegnato in spedizioni qua e là per il Mar dei Caraibi. L’impeccabile operato e la professionalità senza eguali del giovane avevano presto dato i loro frutti ed ora, sotto il caldo sole di Luglio, sarebbe infine stato promosso a Capitano e avrebbe ereditato l’ufficio di Thompson, del quale era stato considerato degno erede.
L’aveva incontrato solamente una volta da quando, un mese prima, Elizabeth le aveva comunicato la notizia, e la luce orgogliosa e soddisfatta nei suoi occhi le aveva scaldato il cuore.
Se lo meritava, e Cristal era più che certa che avrebbe reso onore al suo grado.
Quando arrivarono al Forte la terrazza e il porticato erano gremiti di gente, e fu Groves ad accoglierli.
- Se cercate Miss Swann è accanto a Norrington, sarà il Governatore a conferirgli il grado e la figlia rimarrà accanto a lui per tutta la cerimonia, temo… - spiegò con una leggera alzata di spalle.
- Vorrà dire che aspetterò… - replicò Cristal con un sorriso tranquillo, prendendo posto assieme a i suoi genitori all’ombra del colonnato.
La cerimonia fu meno lunga di quanto la ragazza avesse temuto; vi fu un breve discorso, il present arm dei soldati e finalmente l’assegnazione del grado.
Elizabeth, che dava l’idea di starsi annoiando come mai in vita sua, schizzò da Cristal nonappena la cerimonia fu terminata, mentre i violini iniziavano a suonare per allietare l’atmosfera.
- Santo cielo, credevo non sarebbe finita mai! – esclamò dopo aver salutato i Cooper con un inchino e aver rivolto una strana occhiata a Marion.
- Poteva andare peggio, devo ricordarti quando l’Ammiraglio Pike si è ritirato dal servizio? – fece Cristal alzando le sopracciaglia con aria allusiva.
Elizabeth roteò gli occhi, sconvolta al solo ricordo di quell’interminabile cerimonia, poi prese l’amica per mano e si allontanò dalla folla, prendendo a spettegolare di mille e mille cose.
Fu qualche minuto dopo che James Norrington le raggiunse, bardato di tutto punto come imponeva l’etichetta.
Le salutò educatamente e rivolse un’occhiata imbarazzata ad Elizabeth, che inarcò un sopracciglio, confusa.
- Ecco io… mi chiedevo se… Se sarebbe possibile rubarvi Miss Cooper per qualche minuto… - balbettò, lo sguardo che saettava qua e là per non dover incontrare gli occhi della figlia del Governatore.
Quella inclinò appena la testa da un lato, mentre un ghigno le squarciava l’espressione.
- Certamente, Capitano, certamente… - e così dicendo si dileguò canticchiando eccitata finchè non ebbe raggiunto l’ombra del porticato.
James tornò a voltarsi verso Cristal e con un cenno della testa la invitò a passeggiare fino al parapetto che dava sul mare.
- Capitano… mi ci vorrà un po’ per abituarmici… - sospirò, il sorriso sincero a tradire la sua soddisfazione.
- Oh, io non credo… Ci si abitua in fretta al potere! – esclamò la ragazza con tono scherzoso.
- Un po’ meno in fretta alle responsabilità… - ammise l’altro senza tuttavia mutare l’espressione.
La figlia del fabbro poggiò le mani sul parapetto scaldato dal sole ed inspirò ad occhi chiusi l’aria slamastra che saliva dal mare calmo e scintillante nel meriggio estivo.
- Siete stato fortunato, oggi è una bellissima giornata! – esclamò, salvo accorgersi che l’ufficiale non la stava ascoltando.
- James? – domandò nel vedere i suoi occhi puntati sull’orizzonte attraversati da un brivido di agitazione.
Quello si voltò di scatto e arrossì violentemente.
 -Ah, chiedo scusa, mi ero distratto… - balbettò con un grande sorriso imbarazzato.
Era agitato, si percepiva chiaramente dalle mani ficcate nelle tasche della giacca, dai muscoli tesi del collo e dalla mascella serrata.
Cosa diamine gli prendeva?
Prima che la ragazza potesse dire qualsiasi cosa, però, si fece serio di colpo.
- D’accordo, non è certo per parlare della mia promozione che siamo qui. - e in un passo coprì la distanza che li divideva, traendo un sospiro profondo per darsi un contegno.
- Quando ti ho conosciuta, Cristal, ho pensato che fossi solamente una bizzara bambina con un’altrettanto bizzarra passione, dettata da una fantasia forse eccessiva e mal indirizzata. Eppure più crescevi e più ciò che io credevo essere testardaggine diventava determinazione, alimentata da un’intelligenza e da una prontezza di spirito più che insolite in una giovane della tua età. E sei diventata ai miei occhi interessante come non lo è mai stata nessun’altra. –
La ragazza tacque, come pietrificata da quel discorso di cui non capiva il senso, ma che la faceva comunque sentire strana, quasi avesse potuto esplodere da un momento all’altro.
- Io non… non capisco… - azzardò.
- Ti amo. – la interruppe senza convenevoli né giri di parole.
Cristal spalancò la bocca, sconvolta da quella dichiarazione.
- Co… Cosa? Io… credevo di esserti indifferente! – balbettò, le guance improvvisamente paonazze e il respiro corto.
- Indifferente?! Non hai notato quanto nell’ultimo anno ci incontrassimo spesso? Credi che le mie passeggiate presso il mercato del Martedì fossero del tutto casuali? Non ti sei mai chiesta come mai capitassi così spesso a casa tua con qualche scusa? –
La giovane si portò le mani alla bocca, sconvolta da quella dichiarazione inaspettata.
Eppure, adesso, ogni cosa aveva senso, ognuna delle fastidiose domande che per mesi le avevano attanagliato il cuore trovava una risposta.
La amava.
James Norrington, il freddo e serio ufficiale della Marina Britannica, l’enfant prodige fiore all’occhiello della guarnizione di Port Royal, la amava.
- Mi rendo conto che tutto ciò potrà sembrare incomprensibile se non addirittura disdicevole, ma credimi quando dico che è stato fatto tutto per poter essere al tuo fianco. Non posso più contenere ciò che provo, Cristal. – le prese le mani in un tocco gentile, sì dimenticò di inginocchiarsi e parlò mosso dal sentimento travolgente che ormai aveva preso pieno possesso del suo cuore.
- Ti prego, sposami. –
Silenzio.
Percepiva solo silenzio, il vocio concitato della gente scomparso assieme alle grida dei gabbiani e allo sciabordio delle onde. Non c’era più niente se non il cuore che pulsava nelle orecchie e quella richiesta crollata sulla sua coscienza come una palla di cannone sulla superficie dell’acqua.
- Io… - esordì, la gola secca e gli occhi che pizzicavano.
Che fossero di gioia o di paura, cercò di ricacciare le lacrime, la mente alla disperata ricerca di una risposta.
- Io… - disse ancora, completamente incapace di pensare.
Norrington rimase immobile, in piedi di fronte a lei, sul volto ancora pietrificato il sorriso incerto e nervoso dell’attesa.
- Capisco… capisco se… Insomma… Se non… - mormorò dopo alcuni secondi di silenzio insopportabile.
- Ma no, no! E’ che… - balbettò lei, agitando le mani imbarazzatissima.
Fu in quel momento che, non si sa se per fortuna o per disgrazia, fece la sua comparsa Lucas Gillette.
- Capitano Norrington! Eccovi qui, vi ho cercato dappertutto! Vi eravate appartato con Miss Cooper, eh? Spiacente, ma dovete assolutamente tornare al porticato, è l’ora del discorso… - sciorinò quasi senza prendere fiato fra una frase e l’altra.
Norrington gli rivolse un’occhiata che avrebbe potuto incenerirlo.
- Non ora, Gillette, per cortesia. – sibilò, tagliente.
Il sottoufficiale non parve accorgersi della gravità della sua intrusione e rivolse un sorriso sarcastico alla figlia del fabbro.
- Non temete, Miss Cooper, ci penso io a salvarvi dalle romanticherie di James. Sicuramente ciò che vi stava dicendo potrà aspettare! – e circondò le spalle del collega con un braccio, spingendolo insistentemente verso il colonnato.
- Ma veramente… - balbettò quello, mentre Cristal, sconvolta, non osava replicare.
- Lucas! – cercò di rimproverarlo, ma quello non volle dargli ascolto.
- Su, James, il Governatore aspetta, farai brutta figura altrimenti… -
- Aspettate! – esclamò a quel punto la ragazza, protendendo una mano verso di loro.
L’ultima cosa che vide prima che i due fossero fagocitati dalla folla fu lo sguardo di James: deluso, sconfitto, spezzato dal rifiuto.
Si appoggiò al parapetto con la schiena, gli occhi ancora sbarrati e il cuore in gola.
Quella era una proposta di matrimonio. James Norrington voleva sposarla.
Barcollò come in trance finchè non ebbe raggiunto Elizabeth, che le venne incontro con aria preoccupata.
- Cris, stai bene? –
Annuì distrattamente, senza considerare realmente cosa le avesse chiesto.
- Credo di aver preso un colpo di sole, è meglio se vado a casa a riposare un po’… Avvisa i miei genitori, per piacere... – proferì piatta, già incamminandosi.
Elizabeth, però, la afferrò per un braccio e la fece voltare.
- Cris, non vorrai dirmi che ti ha…? – l’amica annuì.
- Non dirlo a nessuno, ti prego. Sono in crisi. –
Erano le sette di sera, poco dopo cena, quando Howard Smith bussò alla porta di casa Cooper.
- Buonasera Jim. Miss Swann gradirebbe trascorrere qualche minuto con vostra figlia, ha una questione urgente da risolvere e le serve il suo aiuto… -
L’uomo lanciò un’occhiata alla figlia, seduta a tavola a leggere mentre Marion ricamava.
Durante il pomeriggio la casa era stata come attraversata da una bufera: vi erano stati pianti, grida, risate e silenzi attraverso i quali avevano affrontato, insieme, la grande notizia della dichiarazione.
- Cristal, hai visite! – la chiamò senza notare l’espressione compiaciuta che la guardia del corpo di Elizabeth aveva rivolto a sua moglie, la quale aveva incrociato le braccia indispettita.
- Ti concedo un paio d’ore, non di più. Vedi di essere a casa prima che faccia buio… - le accordò, mentre anche Marion accorreva alla porta per salutare Howard e Lizzie.
- E se per caso capitassi dalle parti del Forte… - sussurrò quella alla figlia mentre la baciava in segno di congedo.
Cristal rise e scosse la testa.
- Sei terribile, mamma! – e, annodando lo scialle leggero, si chiuse la porta alle spalle e raggiunse Elizabeth.
- Allora? Raccontami tutto! Non hai idea delle scenate che ho dovuto fare perché mio padre mi lasciasse uscire di sera! – esclamò la figlia del Governatore quando la guardia del corpo si fu debitamente allontanata.
- Beh, c’è poco da dire, in realtà… - borbottò passandosi una mano fra i capelli ora sciolti sulla schiena.
Le raccontò in breve quanto successo al Forte e cercò di riassumere la lunga discussione avuta con i suoi genitori una volta a casa.
- Credevo che sarebbero stati contrari, invece mia madre è entusiasta, e papà sembra aver preso la notizia di buon grado… - spiegò calciando un sassolino con la punta dello stivale.
- E tu? Insomma, non sei felice? Oddio, Cristal, non vorrai mica rifiutare! – strabuzzò gli occhi di fronte a quell’assurda eventualità.
La figlia del fabbro si morse un labbro.
- Un ufficiale della Marina e un pirata non possono sposarsi, è controproducente… - mormorò, ottenendo solo di far scoppiare a ridere l’amica.
- Ti prego, Cris! Già che ho perso la scommessa, almeno sia per una causa seria! –
- Scommessa? – Cristal inclinò la testa di lato, confusa.
- Avevo scommesso che James si sarebbe dichiarato dopo la cerimonia. Tua madre diceva prima, e per Howard l’avrebbe fatto proprio oggi. Non riesco a credere che siamo state entrambe battute da un uomo! – si lamentò, mentre l’altra interrompeva la marcia di scatto.
- Cosa?! Avete scommesso su… Ma vi sembra una cosa normale?! –
Elizabeth rise, contagiando anche l’amica.
- Se non altro è servito a rilassarti un po’, è da quando siamo uscite che sei tesa come una corda di violino… - considerò con dolcezza.
- Cris, capisco che la faccenda ti abbia scombussolata, ma James è un uomo dabbene e ti ama davvero, è evidente! Non potresti desiderare partito migliore, credimi… - aggiunse poi, i caldi occhi castani carichi d’affetto.
Si separarono un’ora dopo con un abbraccio e la promessa di vedersi il giorno dopo, ma Cristal non rientrò a casa. Aveva ancora un’ora a disposizone, ed era certa che se avesse avuto l’occasione di godersi il tramonto dall’alto del Forte si sarebbe senza dubbio schiarita le idee.
Non che ne avesse davvero bisogno, sapeva esattamente cosa dire, ma aveva bisogno di qualche momento di raccoglimento, giusto una manciata di minuti da sola con se stessa per assaporare gli ultimi riflessi di una vita che avrebbe presto abbandonato.
Dall’alto dello strapiombo, il disco di fuoco che si gettava mollemente nell’abbraccio dell’oceano e le palme bagnate d’oro e di malinconia, a Cristal mancò il fiato, come se quello fosse stato l’ultimo tramonto che avrebbe potuto ammirare da quel luogo, come se il giorno dopo, al suo risveglio, la sua intera esistenza sarebbe stata stravolta.
Sorrise e si diede della stupida per simili pensieri.
Dopotutto non aveva passato gli ultimi mesi a domandarsi sei i suoi sentimenti sarebbero mai stati ricambiati? E ora addirittura James le aveva chiesto di trascorrere tutta la vita assieme!
Alla sola idea si sentì arrossire e non poté trattenere un sorriso. Se solo un paio d’anni prima le avessero detto che si sarebbe ritrovata in quella situazione sarebbe scoppiata a ridere, dichiarandola impossibile. Ah, quante cose erano cambiate…
Attese che anche gli ultimi bagliori venissero catturati dalla linea dell’orizzonte e fece dietrofront, pronta a tornare a casa, ma una figura in piedi a pochi passi da lei la fece sussultare.
- James! – esclamò senza tuttavia provare l’agitazione che si sarebbe aspettata.
- Buonasera, Cristal… - si avvicinò lentamente, e la giovane notò che non indossava il parrucchino, i capelli scuri liberi nella brezza della sera.
La guardò negli occhi senza dire una parola e lei gli sorrise timidamente.
- Per quanto successo oggi vi porgo le mie scuse, capisco perfettamente che… - ma la giovane lo fermò con un gesto delicato della mano.
- Il signor Gillette ha la capacità di presentarsi sempre nei momenti meno opportuni. – esordì, cercando di non ridere di fronte all’espressione sbigottita del ragazzo.
- Sono io a dovermi scusare. – aggiunse, lo sguardo basso e le guance imporporate dall’imbarazzo.
- Ma ecco, se la proposta di quest’oggi è ancora valida… la mia risposta… -
E nell’esatto momento in cui pronunciò il suo , Cristal Cooper comprese che quella era la cosa giusta.
James Norrington sorrise, e i suoi occhi grigi spruzzati di verde brillarono della gioia di chi ha trascorso una vita alla ricerca della serenità e, dopo anni di dolorosa solitudine, finalmente raggiunge la sua pace.
La prese per i fianchi e le fece fare una giravolta, la gonna si gonfiò nel movimento, e mentre lui continuava a ripetere “ti amo” lei rideva, persa nei suoi occhi.
- Dio, non credevo che sarebbe mai stato possibile! – confessò il Capitano stringendola forte fra le sue braccia.
- E io che ti credevo indifferente… - sorrise Cristal, il capo appoggiato al suo petto, gli occhi chiusi ad assaporare ogni singolo respiro.
Adesso non serviva più nascondere i suoi sentimenti, misurare le parole, fingere.
Alzò lo sguardo e nemmeno si sorprese nel trovare il volto del ragazzo a un soffio dal suo, ma un boato improvviso fece tremare la terra sotto i loro piedi.
- Cos’è stato? – domandò, allontanandosi istintivamente da lui e voltandosi verso il mare.
Ciò che vide le congelò il cuore.
- Pirati!  - sputò Norrington, traboccante d’odio: nella baia, i cannoni puntati contro la città, se ne stavano tre imbarcazioni possenti dalla velatura triangolare.
In un battito di ciglia il Forte fu un brulichio di uomini e l’aria si riempì del fumo dei cannoni.
- Cristal, mettiti al riparo, non è sicuro rimanere qui! – urlò per farsi sentire al di sopra del rumore della battaglia.
- James, posso combattere! – replicò lei, senza considerare il fatto che il Capitano non era a conoscenza dei suoi allenamenti di scherma.
Quello, infatti, la guardò convinto che avesse perso il senno.
- Non ho intenzione di rischiare che ti succeda qualcosa… - le spiegò prendendola per un braccio.
- Mirare alla rampa dei cannoni! Fuoco a volontà! Fate assaggiare i fondali di Port Royal a quei cani rognosi! – sbraitò poi ai suoi uomini, richiamandone due.
- Portatela in un luogo sicuro, svelti! –
- Ma James, io… Posso aiutarti, posso…! – ma la sua voce fu coperta da un’altra cannonata pericolosamente vicina.
Fu con orrore che Norrington si accorse che in paese le case avevano preso a bruciare: erano già sbarcati.
- No, aspettate! – gridò, ma i soldati erano già lontani.
In pochi minuti le tranquille strade di Port Royal si erano mutate nella peggiore rappresentazione dell’Inferno: individui sporchi e dalle espressioni truci si erano riversati a ondate per le vie della città, e distruggevano tutto ciò che trovavano sul loro cammino, appiccando il fuoco e portando morte e terrore.
I due soldati di scorta erano stati stroncati da due pallottole impazzite, e Cristal si era ritrovata a fuggire da un uomo basso e magro, gli occhi a mandorla intrisi di cattiveria.
Era quasi stata raggiunta, quando una lama gli trapassò il petto e alle sue spalle comparve la figura di William Turner.
- Will! – Cristal gli corse incontro e si appropriò della spada del pirata che aveva tentanto di ucciderla.
- Cristal! Sono troppi, vai via, mettiti al riparo! – le ordinò il giovane, incrociando le lame con un altro nemico e affondando la spada nel suo fianco.
- Will, la bottega? – domandò la ragazza, un solo pensiero ad occuparle la mente.
Quello scosse la testa.
- Vai, ti copro le spalle! – le assicurò, indicandole la strada con un cenno della testa.
- Will, non farti ammazzare! – e con un cenno d’intesa corse lungo il sentiero che conduceva a casa sua.
Aveva paura, una paura terribile.
Il caos regnava sovrano, il sangue colava per le strade, nemici pronti a spuntare da ogni angolo.
Sentiva il sangue di coloro che aveva ucciso colare giù dalla lama fin sulla sua mano, ma non poteva permettersi di indugiare sulla nausea che le stava rivoltando le viscere, doveva andare a casa ed assicurarsi che i suoi genitori stessero bene.
Improvvisamente qualcosa la colpì lateralmente, facendola rovinare a terra. Rotolò di lato appena in tempo per evitare di venire trafitta e balzò in piedi, per nulla agevolata dall’ampia gonna e dal grembiule che si impigliava ovunque.
Parò un fendente mortale e piroettò di lato, per poi recidere con un colpo netto la testa dell’assalitore, che rotolò macabra ai suoi piedi.
Si asciugò il viso con una manica e riprese a correre, cercando contemporaneamente di legare la gonna in un nodo laterale.
Quando arrivò di fronte a casa e si accorse che la porta era scardinata si sentì mancare.
Deglutì e strinse nervosamente l’impugnatura della spada, pronta a combattere, ma la casa era deserta.
I mobili erano sfasciati e il paiolo era rovesciato in terra, la zuppa sparsa sul pavimento; dei suoi genitori non vi era traccia.
- Hanno lottato… - considerò a mezza voce, notando in quel momento che la porta sul retro era aperta.
Si precipitò in cortile e lo attraversò di corsa, raggiungendo la stradina posteriore che conduceva fino alla spiaggia, poi li vide.
Suo padre aveva i polsi legati e stava in testa alla fila, in mezzo c’erano due pirati, a chiudere sua madre trascinata per un braccio.
Gli occhi delle due si incrociarono per un lungo momento.
- Mamma… - sillabò la ragazza.
- Mamma! – gridò lanciandosi all’inseguimento, ma la smorfia di terrore della donna la indusse a voltarsi appena in tempo per evitare una sciabolata nella schiena. Con violenza conficcò la sua spada nello stomaco dell’assalitore. Quando si voltò, però, dei suoi genitori non c’era più traccia.
Fu in quell’unico momento di distrazione che qualcosa di duro le colpì violentemente la testa.
Sentì un dolore allucinante, l’amara consapevolezza di aver fallito, poi le urla si ovattarono, e cadde nel buio.
Non era morta.
Non era morta, altrimenti non avrebbe sentito quel fastidioso cerchio alla testa e quella puntura all’altezza della nuca.
Aprì gli occhi lentamente e altrettanto lentamente si portò una mano alla fronte, dove le sue dita incontrarono non senza un certo stupore una fascia di lino.
Scattò a sedere, improvvisamente cosciente del sole che le accarezzava il viso e delle soffici coperte tirate fin sul ventre.
Che ora era? Dove si trovava?
Era a letto, questo era indubbio, e di fronte al letto vi era un armadio in legno chiaro decorato con pigmenti verdi e foglia d’oro.
Conosceva quell’armadio.
- Cristal! –
James Norrington, un graffio sulla guancia destra e gli occhi cerchiati dalla notte insonne, se ne stava seduto a uno scrittoio, ai piedi del quale erano appoggiati gli stivali della ragazza.
- James! Grazie a dio stai bene! – esclamò lei inciampando nelle coperte mentre si precipitava fuori dal letto.
- Che ore sono? James, hanno preso i miei genitori! Dobbiamo fare qualcosa! – continuò in preda al panico, aggrappata alla sua giacca come se fosse stato l’ultimo legame con la vita.
Lui cercò di tranquillizzarla, senza ottenere grandi risultati.
- Sono appena suonate le nove del mattino. Dio, Cristal, ho creduto che ti avessero uccisa! – esalò, nella voce ancora l’apprensione di quando aveva trovato la giovane svenuta  poco lontano dalla bottega.
- Le nove del mattino… – ripeté quella passandosi una mano fra i capelli.
- Non ti preoccupare, appena avrò il via libera organizzerò una spedizione. Dammi un giorno o due e vedrai che… -
- Un giorno o due?! – lo interruppe lei, sconvolta.
- James, ti rendi conto che in un giorno o due i miei genitori potrebbero ritrovarsi in fondo all’oceano?! – continuò, un ampio gesto delle braccia ad enfatizzare le sue parole.
Norrington scosse il capo con fare nervoso.
- Cristal, non posso andare contro gli ordini dei miei superiori! Sai benissimo che sarebbe anche peggio di attendere! – replicò, seccato.
La figlia del fabbro tacque.
Era vero, se si fosse rifiutato di attenersi agli ordini e avesse fatto di testa sua, pur nell’eventualità in cui fosse riuscito a salvare i suoi genitori, avrebbe condannato tutti quanti al cappio al collo.
 Nascose il volto nei palmi delle mani e trasse alcuni profondi sospiri.
- D’accordo, hai ragione. C’è sempre qualche nave che salpa per mezzogiorno, vedrò di organizzarmi… - decise con tutta la naturalezza del mondo.
- Cosa vuoi dire?! – sbottò James, che aveva capito alla perfezione i piani della giovane.
- Credi davvero che lascerò i miei genitori alla mercé di quei barbari?! L’idea di partire da sola non alletta neanche me, ma tu non puoi venire, ed ogni secondo che spreco è più di quanto possa permettermi!- spiegò con una freddezza che lo lasciò spiazzato.
Sorrise, orgoglioso del suo coraggio nonostante l’amarezza che gli gonfiava il cuore.
Improvvisamente tornò ad essere un ragazzino malinconico e lontano da casa, un libro stretto fra le mani in una noiosa giornata di pioggia, i seri e intelligenti occhi chiari che scorrevano rapidi le righe.
Poi la porta aperta lentamente, una busta lunga, il taglio sul suo dito dopo averla aperta con troppa foga. Quel foglio sottile che con poche parole aveva liquidato forse per sempre la sua felicità e le lacrime che si era giurato non avrebbe mai più versato.
No, non avrebbe permesso che la sua Cristal dovesse affrontare un simile dolore, non avrebbe permesso che i sensi di colpa rodessero il cuore alla fanciulla che amava fino a trasformarla nel mero fantasma di se stessa.
Sapeva cosa doveva fare, e anche se quella consapevolezza gli spezzava il cuore, si rese conto che se non l’avesse lasciata andare l’avrebbe persa per sempre.
- Dove li cercherai? – domandò, mentre la giovane si chinava e infilava gli stivali, per poi sciogliere il nodo alla gonna, ancora macchiata di sangue e polvere dalla sera prima.
- Vele triangolari, tipiche delle imbarcazioni orientali. Probabilmente dovranno affrontare una lunga traversata, e in ogni caso avranno bisogno di riparare la velatura e gli alberi dopo la battaglia di stanotte. Il porto più vicino dove una nave pirata possa attraccare in tranquillità è Tortuga. Incomincerò da lì, poi bisognerà pregare. – ragionò ad alta voce, sperando che James non cogliesse l’incertezza e la paura nelle sue parole.
Le accarezzò una guancia dolcemente, cercando di imprimersi nella memoria ogni singolo dettaglio di quel viso pallido e punteggiato di lentiggini
- Verrò a cercarti appena potrò… - sussurrò contro le sue labbra.
- Questo non è un addio… - replicò lei in un soffio, il respiro ad infrangersi contro quello del Capitano.
Chiuse gli occhi, ma fu solo per nascondere le lacrime.
- Grazie, James. –
Fuggì senza voltarsi indietro, il cuore pesante e la gola chiusa da un gigantesco nodo che non ne voleva sapere di sciogliersi.
James Norrington raggiunse la finestra e scostò la tenda, osservando l’unica che avesse mai amato allontanarsi di corsa lungo il sentiero che portava in paese.
L’avevano compreso entrambi: quella scelta avrebbe cambiato per sempre tutto ciò a cui erano abituati.
Cristal si fermò solamente quando fu in vista del porto, rallentata dalle fitte lancinanti alla testa.
Si guardò attorno: la città recava tutti i segni dell’assalto della notte precedente, le insegne dei negozi erano crollate a terra sotto i colpi dei cannoni, chiazze di sangue imbrattavano i muri e ogni tanto, agli angoli delle strade, alcuni sventurati feriti durante il combattimento venivano accuditi dalle donne del paese.
Si voltò per proseguire verso casa sua, ma andò a sbattere contro qualcosa, o meglio, qualcuno.
- Chiedo scusa, io… - fece distrattamente, salvo spalancare la bocca nell’accorgersi chi avesse urtato.
Media statura, andatura ciondolante, cappello a tricorno ben calato in testa e due profondi occhi nocciola.
Come un fulmine le si ripresentò alla memoria il vecchio ritratto che le aveva mostrato Abraham il libraio diversi mesi prima e non riuscì a trattenere un sorriso di pura gioia.
- Oddio, ma tu…! -
Di fronte a lei, esattamente come l’aveva sempre immaginato, se ne stava confuso e spaesato Capitan Jack Sparrow.














 
Note:

Tanto per incominciare AIUTO.
Questo capitolo è stato un parto, davvero, e tuttora non ne sono pienamente soddisfatta.
Pazienza, ormai so che più di così non potrei fare...
Vi chiedo scusa per la lunghezza infinta, ma ho provato a dividerlo ed è stato inutile, così come è stato inutile tentare di fare taglioni. Purtroppo ciò che accade in questo capitolo è tutto di fondamentale importanza per la trama...
Ma andiamo con ordine...
Finalmente diamo un volto al nostro adorato Capitan Jack Sparrow. Lizzie lo definisce "carismatico". Fosse solo quello. Ahah. Cara Lizzie ingenua e ingoran- okay, la pianto. xD
Will è già tutto geloso, e a giudicare da ciò che accadrà in futuro non ha nemmeno tutti i torti... xD
La scena a villa Norrington mi è servita da una parte per introdurre lo snodo successivo della storia, e dall'altra per aprire una piccola parentesi sul personaggio di Marion.
Strano modo di ragionare il suo. Forse un tantino crudele. Tenetelo a mente. ~
Eccoci infine giunti alla scena della proposta di matrimonio.
DIO MIO SE L'HO ODIATA.
Per fortuna che James è terribile in fatto di romanticismo e giustifica la mia incapacità a descrivere le scene rose-cuori-petali-di-ciliegio-svolazzanti.
Però quanto è adorabile quando lei accetta? *w*
Sono sicura che avrete notato tutti la somiglianza che, da questo punto in poi, il capitolo ha con le prime scene della Maledizione della Prima Luna.
Da un certo punto di vista è un omaggio al film, dall'altro... beh, vedremo in futuro cosa comporterà questa somiglianza! -suspence- xD
I misteriosi pirati si sono portati via sulle navi dalle vele triangolari Marion e Jim. Perchè proprio loro? Cosa otterranno dal rapimento di un fabbro qualsiasi?
La nostra Cris, testarda com'è, ha pensato bene di andarli a cercare per conto suo.
Direte voi, non poteva restarsene a Port Royal con il suo promesso sposo e aspettare di lanciare alle calcagna dei pirati i migliori vascelli della Marina Britannica?
Per quale ignoto motivo James l'ha lasciata andare?
La parola chiave di questo capitolo, signori miei, è "scelta", che va a braccetto con "errore".
Ma non vi anticipo niente, non vorrei mai oscurare la trionfale entrata in scena di Capitan Jack! ~ <3

Per tutti coloro che hanno seguito la storia finora sono orgogliosa -e un po' sollevata- nell'annunciarvi che la prima parte di Thunderbolt si è conclusa con questo capitolo. Dimenticate gli agi e la tranquillità di un'infanzia vissuta all'insegna della fantasia: adesso si salpano le ancore, per davvero. E i venti ci sono contrari...

Grazie infinite a chi ha avuto la pazienza di schioppettarsi questo capitolo eterno, a chi recensisce/segue/blabla e a chi è rimasto con me in questo parto attraverso l'analisi dei nostri personaggi! <3

Kisses,
Koori-chan
  
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