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Autore: Elis17    05/07/2014    28 recensioni
William Tomlinson ha ventitré anni e un figlio di tre, la sua ragazza, Eleanor, è morta a diciassette anni di parto.
Da tre anni passa la sua vita a portare e a riprendere il figlio Max dall'asilo e a crogiolarsi per la morte della sua amata.
Edward Styles è un ragazzo gay di diciassette anni e ha una sorella di tre, Gemma.
Edward si innamora di William il primo giorno di asilo di Gemma e Max, i quali si ritrovano in classe insieme.
William non si accorge di lui per molto tempo, fino a quando il ragazzino non decide di usare la sorellina per attirare la sua attenzione.
E la attira.
×
Williard [Larry] × Willionor [Elouonor] × Janielle [Payzer] × Jouise [Zerrie]
Seventeen!Edward × TwentyThree!William
Student!Edward × YoungFather!William
Larry!AU × Williard!AU × Kids!AU × Parents!AU
×Middle names×
Genere: Drammatico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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Capitolo1: A Special Day.


Eleanor continuava a spingere, sempre di più, incitata dalla persona che più amava, spingeva, stringeva forte i denti, a volte facendoli collidere tra loro provocando un dolore che era niente a confronto di quello che provava in quel momento.
Strizzava nella mano sinistra quella del ragazzo, le sue unghie entravano quasi nella carne dell'altro, la pelle delle loro mani era sudata, scivolosa, la presa dolorosa per lui.
La ragazza cercava di usare gli incitamenti come punto di forza, ad ogni consiglio, ad ogni stretta di mano, ad ogni carezza sulla fronte o ad ogni bacio sulla tempia, questa spingeva, buttava la testa all'indietro, arricciava le dita dei piedi e spingeva, prendeva aria e poi, di nuovo, spingeva.
Il ragazzo al suo fianco la supportava come mai aveva fatto prima, le era sempre stato accanto, l'aveva amata per quella che era ed ora, nella fase più importate, più bella e più dolorosa della sua vita, era lì, con lei e non la stava abbandonando come qualunque ragazzo al posto di lui avrebbe fatto.
Le sopracciglia aggrottate, gli occhi lucidi, le rughe sulla fronte, le urla strazianti, le imprecazioni sussurrate, erano tutti sintomi del dolore che provava e la donna cinquantenne che le stava tra le gambe sembrava capire tutta la situazione, cosa provava, come se l'avesse già sperimentata sulla propria pelle, la guardava incoraggiandola con lo sguardo, la fissava, prima lei e poi là sotto dove iniziava ad intravedersi qualcosa.
La signora esultò, incoraggiandola ancora di più e così anche il giovane continuò, con un po' più di ardore questa volta.
Cazzo!” imprecò a denti stretti la giovane sul lettino, in quella stanza troppo bianca, troppo pura, che da lì a poco sarebbe stata macchiata.
Da cosa? Di certo non solo dal sangue.
Non ne poteva più di tutto quel dolore, era straziante, l'attesa agognante e la tortura era una morte troppo lenta da sopportare.
Voleva smettere e lasciare tutto al destino e sapeva che sarebbe accaduto, quel dolore non derivava solo da quella piccola creatura che da lei voleva uscire, era il dolore della consapevolezza, ma no, non ne aveva paura, sapeva che tutto le cose negative che si sentono ai giorni d'oggi non sarebbero mai accadute.
Sapeva tutto lei, a soli diciassette anni sapeva cose che nemmeno la signora davanti a lei conosceva.
Sapeva che sarebbe accaduto.
Sapeva come sarebbe andata dopo.
Sapeva che non sarebbe stato facile per il suo amore.
Lo sapeva e basta, sesto senso?
Si prese un momento di pausa, giusto qualche secondo, solo per poter degustare tutto, per sentire la voce squillante e preoccupata del suo amato, la voce stridula e fastidiosa dell'ostetrica, il 'bip' incessante della macchina posta alla sua destra, voleva annusare quello che la circondava, l'odore ripugnate e pungente del sangue, quello schifoso ed odioso dei medicinali, dei disinfettanti, voleva vedere ancora gli occhi del ragazzo che l'adorava, neanche fosse una Dea greca, voleva gustare ancora le sue labbra, sentire la sua sottile barba pungergli le mani o il volto o, ancora meglio, il collo.
Si voltò a guardare quel semplice ragazzo che gli aveva reso la vita migliore in tutti i suoi aspetti.
Non ce la faccio.” sussurrò semplicemente ed il ragazzo la guardò fissa negli occhi, capendo male, ovviamente.
Sorrise divertito e a lei si fermò il cuore, ecco, era quello di cui aveva bisogno, un semplice sorriso ed in seguito della sua voce.
Certo che ce la fai, su, sono qua, spingi!” La incitò nuovamente stringendole ancora più forte la mano e lei spinse.
Ma lei, sì, lei non parlava di non riuscire a portare al termine tutto quello che le stava accadendo in quel preciso istante.
Lei... beh capita prima o poi, no?
Eccola, la vedo!” Esclamò quella vecchia, entrambi i ragazzi iniziavano ad odiarla.
Più forte! Manca poco! Ancora un po'! Dai!” Continuava a ripetere ed ad ognuna di queste stupide e ripetitive incitazioni la ragazza spingeva riuscendo nella sua impresa.
Ce l'aveva fatta!
Sorrise sfinita.
Il ragazzo le baciò ripetutamente le tempie dedicandole dolci parole come “Sono orgoglioso di te”, “Sono sicuro che abbiamo fatto un bel capolavoro”, “Ora siamo in tre” oppure qualcosa di molto più provocante come: “Se vuoi ne facciamo un altro” ed entrambi risero mentre la ragazza rispondeva a tutte le sue frasi mentalmente.
Grazie, amore, anche io”, “Ovvio, guardaci, siamo i migliori”, “Io...”, “Lo rifarei anche cinquanta, ma solo con te”.
Mentre gli sorrideva calorosamente sentirono delle dolci urla e la giovane scoppiò a piangere.
Era stremata, non ce la faceva più, era stanca e l'unica cosa che voleva fare era riposare e lo avrebbe fatto, presto.
La signora sporse sull'addome della giovine il piccolo pargolo, annunciando con calore che era un maschio.
Come? No, doveva essere una bambina!” esclamò il ragazzo.
Sarà bello come il papà!” disse la ragazza, la voce ormai un sussurro poco udibile mentre le sue orecchie si riempivano di quelle bellissima grida, il dolce peso di quella creatura su di lei, gli occhi pieni di lacrime mentre osservava i piccoli occhi di suo figlio, gli stessi del suo ragazzo che osservò poco dopo e vederlo sorridere mentre guardava le persone più importanti della sua vita le fece mancare l'ennesimo fatidico battito di cuore.
Il piccolo era infagottato in una calda coperta azzurra.
Foto!” esclamò la signora e i giovani genitori si avvicinarono, le tempie le une contro le altre, le guance accaldate appiccicate tra di loro per via del sudore ed il piccolo appena arrivato tra loro.
Un braccio del papà reggeva la mamma e l'altro loro figlio, come a racchiudere il piccolo quadro familiare, l'ultimo, per l'esattezza.
La mamma teneva stretto al suo petto, sul suo cuore, con una debole stretta, il piccolo di appena tre chili.
Ti amo” si dissero contemporaneamente e sorrisero tra loro con un'intesa pazzesca che solo tra amanti può esistere.
Il giovane, dopo che la foto fu scattata, prese in braccio il figlio e lo osservò bene da vicino; le guance paffute e arrossate, la pelle delicate, gli occhi così simili ai sui e quei pochi, pochissimi, capelli scuri.
Era bellissimo.
La cosa più bella che avesse mai visto.
La giovane madre vedendo padre e figlio così vicini si coricò sfinita sul lettino, sussurrando qualcosa così che solo il ragazzo potesse sentirla, sorrise un'ultima volta e poi si addormentò per sempre, troppo stanca per resistere ancora.
Dio l'aveva sostenuta e le aveva promesso quell'ultimo momento e lei lo aveva vissuto al meglio.
Tutte le sue emozioni sparirono, non sentì più niente, forse, e dico forse, una piccola stretta intorno al suo dito indice, poi, tutto svanì.
Quando il giovane si voltò a guardarla era ormai troppo tardi, il volto di lei era rilassato come non mai, le gote pallide e non più rosa come le ricordava, le labbra di un rosa sfocato che mai avrebbe immaginato esistesse, le palpebre calate a coprire i suoi grandi occhi marroni, i capelli lunghi scompigliati e quella smorfia così simile ad un sorriso felice.
Sarai un meraviglioso papà William, ne sono sicura...”




William ricordava quel momento fin troppo bene, era come il suo film preferito, rivedeva tutte le immagini, ne conosceva a memoria le battute, le scene che si susseguivano tra di loro ormai con monotonia: erano sempre e solo quelle.
Quante volte abbiamo guardato il nostro film preferito sperando che alla fine qualcosa cambi, che il finale non sia lo stesso, che il nostro personaggio preferito non muoia?
Quante? Tante, e anche William lo aveva fatto.
La parte più brutta per lui era realizzare che quello che stava revisionando per l'ennesima volta non era un film, ma la realtà, la sua vita; se si fosse girato non avrebbe trovato nessuna ragazza dai lunghi capelli castani a fissarlo; coricato a fianco a lui, su quel letto singolo, non c'era nessuno.
Però, se si voltava una cosa poteva notarla, a fianco del letto a muro, c'era una culla bianca, posizionata al centro della stanza, gli faceva venire in mente che la sua ragazza non era realmente morta e che qualcosa di lei viveva ancora.
William si era trovato, così all'improvviso, un ragazzo padre di soli ventidue, quasi ventitré, anni.
La sua ragazza era deceduta tre anni prima per parto a soli diciassette anni.
William si sentiva in colpa per tutto: i genitori della ragazza l'avevano sbattuta fuori di casa dopo aver scoperto della gravidanza, così, William, l'aveva ospitata a casa sua, nella sua stanza, con il consenso dei suoi genitori e quest'ultimi l'aveano accolta come un'altra delle loro figlie.
Gli mancava.
Gli mancava come l'aria, come l'ossigeno, sembrava quasi avesse un bisogno mal sano di lei, era droga vivente per lui.
Gli mancavano i suoi gesti, i suoi grandi occhi, le sue labbra piene, le sue esili braccia e il suo minuto corpo.
Gli mancavano le parole di conforto che lo aiutavano sempre, la sua risata sempre genuina, la sua voce vellutata e così dolce, pacata.
Gli mancavano le sue e le loro azioni abituali.
Gli mancavano i loro momenti, fatti solo di loro e del piccolo, gli mancava vederla gironzolare per casa mentre si teneva la schiena con la mano appoggiata sul fianco, le spalle curvate all'indietro e la pancia che sporgeva ormai da tempo.
Gli mancava averla la notte coricata al suo fianco, sentire il calore che il corpo di lei emanava, il suo profumo così delicato.
Gli mancava aver possibilità di immaginare che sarebbero stati una bellissima famiglia, lui, Eleanor ed il piccolo, il solo pensare che sarebbero potuti andare tutti e tre al cinema, al parco giochi, ai giardinetti, sapere che sarebbero potuti andare a vivere in una casa tutta loro, dove i genitori avrebbero avuto una camera da letto per loro e il nuovo arrivato una stanzetta tutta sua dove poter giocare ed invitare magari qualche amichetto.
Avrebbero potuto avere, chissà, forse, uno o altri due figli, dopotutto a William piacevano le famiglie numerose, proprio come la sua, ormai era abituato ad avere al suo fianco tantissima gente che lo amava; ma ora all'appello ne mancava una, anche se allo stesso tempo un'altra, molto più piccola, si era aggiunta.
E a lui da una parte andava bene così, se non ci fosse stato quel piccolo esserino ora non avrebbe niente di più vero a ricordargli la sua defunta futura moglie.
Perché sì, aveva preso qualche giorno prima del parto la decisione di chiederle di sposarlo, di vivere insieme, di avere altri bambini, di avere dei nipoti successivamente e voleva invecchiare con lei e morire con lei.
Invece lei lo aveva lasciato da solo, a marcire nella sua stanza, nel suo letto.
A farlo rinascere era stato solo suo figlio, ogni volta che lo fissava, molte volte con sguardo severo - dopotutto era stata colpa sua, ma non glielo avrebbe mai fatto pesare – gli ricordava sempre di più tutto quello che era capitato, i momenti belli e quelli brutti che gli aveva fatto passare, ma lo amava, perché era lì con lui, almeno il piccolo non lo aveva abbandonato come aveva fatto la madre.
Lui si sentiva abbandonato.
Un moto di rabbia lo attraversò da parte a parte, il cuore batteva forte, le budella ribollivano, gli occhi bruciavano, le sopracciglia aggrottate gli dolevano, le guance gonfie pronte a sputare fuori un urlo che reprimeva da troppo tempo.
Guardò il soffitto e tutto quello che sentì furono i gorgogli di suo fogli, un piccolo allarme che lo avvertiva che il piccolo si stava svegliando dal suo riposino pomeridiano.
Soffiò forte invece di urlare e si precipitò a vedere quello spettacolo della natura che tanto amava osservare.
Ecco, quella era una delle sue parti preferite del suo film preferito: vedere il figlio fare qualsiasi azione abituale era una visione quasi divina, era una cosa così naturale e così magica allo stesso tempo.
Lo amava, più della sua stessa vita, avrebbe fatto di tutto per lui, avrebbe anche sacrificato la propria vita per la sua.
Lo osservò per bene, imprimendo nella sua mente quella scena.
Il piccolo starnutì facendo così sbattere la testa sul sottile cuscino, stiracchiò le gambe, le piccole dita dei piccoli piedini si arricciarono e si tesero qualche secondo, le esili braccia si sollevarono al fianco della testa mentre il bambino di appena due anni sbadigliava spalancando quella piccola bocca a forma di cuore ed aprendo gli occhietti azzurri.
William perse un battito e la prima cosa che fece fu prendere il figlio da sotto le ascelle, sollevarlo e appoggiarlo sul suo petto e facendo posare la testa del piccolo sulla spalla indietreggiò andandosi a ricoricare sul letto.
Era la sua posizione preferita, amava stare così con suo figlio, sentire il suo dolce peso sul petto e la sua piccola vocina vicina all'orecchio.




Il ragazzo e suo figlio rimasero per minuti, forse ore, in quella posizione.
Furono interrotti dal suo cellulare che squillava.
Il giovane non voleva muoversi o rompere quel momento magico che tra loro si era creato, così lasciò che il cellulare continuasse a squillare, lasciò che 'Uncover' venisse interrotta di punto in bianco dalla persona che dall'altro capo della linea cercava di rintracciarlo.
Girò il viso per guardare suo figlio appoggiato con la testa sulla sua spalla e fissò i suoi occhi in quelli del bimbo così simili ai suoi.
Si fissarono e William sorrise nel vederlo così attento a succhiarsi il piccolo pollice.
Il piccolo rise nel vedere il papà felice e William si perse nell'osservarlo; gli occhietti luccicanti e sorridenti, i denti piccoli e bianchi che spiccavano sul suo incarnato scuro.
Il cellulare riprese a squillare e le note della sua canzone preferita si sparsero qua e là inondando tutta la camera.
William si sporse verso il comodino sistemato al fianco del letto e leggendo il mittente che lampeggiava sulla schermata rispose subito.
“Mamma” disse con voce apatica, quella donna aveva interrotto un momento importante della vita sua e di suo figlio.
“Tesoro! Perché non hai risposto, è successo qualcosa?” domandò subito Johanna, sua madre, partendo prevenuta.
La donna, dopo la morte della giovane Eleanor, era perennemente preoccupata per suo figlio e suo nipote, ma aveva sempre e comunque in volto un radioso sorriso.
E come biasimarla?
William non si era mai lamentato, non aveva mai pianto, non era mai scoppiato in un impeto di ira dopo il grave accaduto.
Era, semplicemente, rimasto in silenzio, anche davanti alla tomba, alla sepoltura, era rimasto in un religioso silenzio che veniva spezzato raramente per osservare e sussurrare dolci parole al figlio di pochi giorni.
No, non era di certo depresso, solo non voleva esternare al mondo intero le sue emozioni, a cosa importava alla gente se lui era triste o incazzato?
Faceva la differenza?
Provava rabbia, tanta rabbia, i genitori di Eleanor non si erano presentati al funerale, la funzione l'avevano pagata tutta loro, i Calder non avevano fatto una piega nemmeno quando avevano saputo che la loro unica figlia era in procinto di partorire, non si erano fatti sentire nemmeno quando William aveva comunicato loro il nome del nipote.
Quei brutti bastardi avevano abbandonato la loro bambina, perché sì, Eleanor era ancora una bambina, era piccola, diciassette anni non sono tanti, devi ancora crescere, esplorare il mondo, capire chi sei, conoscere gente, renderti conto che non tutto fa schifo, ma che qualcosa di bello al mondo c'è.
Erano entrambi piccoli, erano due bambini che avrebbero dovuto crescere un bambino.
Si potrebbe dire che la giovane Eleanor abbia fatto tutte le sue esperienze in un solo anno.
Si era innamorata dell'affascinante William, aveva consumato con lui tutte le sue prime esperienze, dal primo bacio alla prima volta, era persino rimasta incinta, ma niente e nessuno li aveva scalfiti in alcun modo, erano rimasti sempre e comunque loro due ed il loro amore, non si erano mai abbandonati a vicenda in nessuna delle loro complicate situazioni.
Erano forti, insieme.
Già, insieme, peccato che non lo fossero più da più di due anni, forse quasi tre.
Ma che giorno era?
“Tesoro mi stai ascoltando?” chiese dopo aver parlato per interi minuti la madre.
“No, scusa, ripeti?” chiese quasi scocciato, aveva anche interrotto i suoi pensieri!
Si stava seriamente incazzando.
“Ti stavo dicendo che sta sera non torno per cena e che rimango da Robin, va bene? Guardi tu le ragazze?” chiese, neanche fosse lui l'uomo di casa o il padre delle sue sorelle.
Beh si, forse era lui l'uomo di casa, ma questo non doveva essere un pretesto per affibbiare a lui il carico di non solo suo figlio ma anche di quattro sorelle.
“Si si come vuoi tu.” la liquidò, ma non riuscì a chiudere la conversazione che la donna lo richiamò.
“William?” ora era gentile e meno agitata ed il grande cuore di William si sciolse.
“Si mamma?”
“Stai bene?” William non voleva sentire sua madre con quel tono di voce, ogni volta gli faceva male, il cuore sembrava venir sbranato da tanti piccoli denti affilati di una belva a lui sconosciuta.
“Si mamma, sto bene!” e questa volta il tono che usò suo figlio fu più pimpante, meno freddo e un poco, giusto un po', più allegro.
“Bene, augurami una buona serata!” esclamò lei facendolo ridere.
“Tutto quello che vuoi, l'importante è che non torni incinta!” si, era un argomento delicato quello, ma era sua madre e di lei si fidava, con lei poteva scherzare tranquillamente.
“Che figlio ingrato!” rise lei amaramente.
“Un figlio ingrato che ti ha donato un bellissimo nipotino, modestamente!” rise ancora lui.
“Un bellissimo nipotino che oggi compie tre anni!” esclamò lei ancora più raggiante.
Quanto amava sua madre? Tanto.
Ecco che giorno era!
“Eh già, il mio campione cresce così velocemente, come passa in fretta il tempo, eh?” domandò retoricamente William, ma sua madre gli rispose lo stesso.
“Troppo velocemente, tu hai già quasi ventitré anni, Charlotte diciassette, Felicité quindici e le gemelle undici.”
“Oddio, non ricominciare di nuovo con questa storia, lo so che ogni anno che passa dobbiamo aggiungere un numero in più!” scherzò lui, il tono così allegro quasi a non riuscire a riconoscerlo nemmeno lui stesso.
“Si, e la mamma ne ha quasi quarantacinque, mio Dio come sono vecchia!” esclamò lei fintamente giù di morale.
“Una bellissima vecchia!” cercò di arruffianarla lui.
“Ruffiano!” rise lei, appunto.
“No, ma va, che dici mamma?” rise di gusto e con lui sua mamma.
“Ti voglio bene, amore.”
“Ti voglio bene anch'io mamma.”
Finì la chiamata tastando lo schermo del suo Samsung.
Guardò il figlio che lo stava fissando, si erano fissati per tutta la conversazione.
Il piccolo era un tipo di poche parole, ne combinava una dietro l'altra e si divertiva a giocare con le zie gemelle.
“Andiamo Campione? Abbiamo un compleanno da festeggiare io e te!” esclamò prendendo in braccio il figlio per non farlo cadere, si alzò e poi mise per terra il piccolo.
Si fissarono, l'uno dall'alto al basso, l'altro dal basso all'alto.
La differenza di altezza era pazzesca, il piccolo amore di papà, pur avendo ben tre anni, era alto fino al ginocchio di William.
“Allora? Che facciamo di bello oggi?” William stravedeva per suo figlio, era tutto per lui, era il ricordo vivente e presente di qualcosa che era ormai passato da anni, era vita, era amore, era felicità; la sua vita, il suo amore e la sua felicità.
Il grande amore della sua vita lo fissava senza dire niente e continuando a succhiarsi il piccolo pollice.
“Dovrai smettere prima o poi no?” chiese retoricamente, ma qualche secondo più tardi si ritrovò a ridere da solo dopo aver immaginato suo figlio, che con la voce di un uomo di cinquanta anni, gli rispondeva di “No”.
Il bambino continuava a fissarlo senza dire una parola, come sempre.
“Dai, andiamo!” lo incitò il papà girandolo verso la porta e spingendolo dolcemente con una mano sulla schiena verso questa.
Gli tenne la mano mentre scendevano le scale della piccola villetta dove vivevano in sette, lui, suo figlio, sua madre e le sue quattro sorelle.
Arrivò al piano di sotto, più precisamente in salotto, a petto nudo, a coprirlo solo i pantaloni lunghi della tuta e cinque paia di occhi a fissarlo; uno di questi con astio gli altri quattro con adorazione.
Di William si poteva dire tutto, ma non che non fosse un ragazzo brillante e tremendamente bello.
Castano e occhi azzurri, corporatura normale, forse troppo esile, e muscoli al punto giusto.
Ma la parte più bella di lui era il carattere, o la voce, dipendeva dai punti di vista.
Gli occhi delle cinque ragazze davanti a lui si spostavano con frenesia da lui a suo figlio per poi tornare su di lui e così per qualche secondo.
Sia lui che suo figlio erano delle visioni da venerare, un papà davvero tanto bello e un figlio tremendamente adorabile.
Se amavi uno di conseguenza amavi anche l'altro, o per un motivo o per l'altro.
La sorella, Charlotte, continuava a fissarlo in attesa mentre le sue compagne di classe lo guardavano con la bava alla bocca.
Adolescenti arrapate, pensò il giovane.
La situazione era davvero esilarante per William, si tratteneva dal ridere in faccia a quelle piccole mocciose la cui ispirazione era solo scopare, non sapeva cosa significasse vivere e tanto meno accudire un figlio.
“E' pieno inverno, hai intenzione di andare in giro per casa conciato così?” chiese arrabbiata Charlotte.
“Ma io ho caldo” si lamentò proprio come un bambino mentre un sussurro simile ad un “anche io inizio ad avere caldo” si velò nella stanza facendo scoppiare a ridere tutti tranne che Charlotte e il suo nipotino preferito – non che ne avesse altri, comunque.
“Se vuoi apro una finestra, Minnie!” esclamò lui ridendo e scherzando con la ragazzina di appena diciassette anni.
Charlotte e le sue amiche avevano la stessa età che Eleanor aveva tre anni fa.
Era da ben tre anni che non rideva così tanto in una sola giornata.
Quello doveva di certo essere un giorno speciale, suo figlio compiva tre anni, tre anni erano passati dalla morte della sua ragazza, chissà cos'altro il destino gli avrebbe prospettato quel giorno.
“No no, tranquillo, basta che ti metti una maglia” rise la ragazza nervosa, rossa in volto.
“Ah si, certo, io mi devo coprire per non far sentire caldo a te, mi sembra logico.” scherzò ancora.
“Ragazze, mi tenete un attimo il piccolo? Mi vado a vestire va, non vorrei mai che questa stanza diventasse una sauna.” scherzò ancora e questa volta anche Charlie scoppiò a ridere.
Quanto adorava suo fratello? E suo nipote? Tanto.
Le ragazze iniziarono subito a rigirare come un calzino il piccolo, che per l'esattezza era vestito proprio come il suo papà, mentre William saliva le scale per tornare in camera sua.
“Allora, vediamo qua cosa abbiamo.” parlò ad alta voce William tra sé e sé.
Trovò un maglione di lana blu sulla sedia girevole della sua scrivania e lo indossò.
Si voltò e per poco non ebbe un infarto: sulla soglia della porta della sua stanza c'era Minnie, la compagna di classe che pochi minuti prima aveva avuto un attacco di caldo.
“Minnie! Mi hai fatto prendere un colpo!” esclamò sconcertato.
Cosa ci faceva quella ragazza lì?
“Scusa, non era mia intenzione.” si scusò subito lei, lo sguardo puntato verso il suo viso.
“Dimmi, avevi bisogno di qualcosa?” chiese, non poteva semplicemente scollarsi da lui?
“Ecco io... volevo solo un secondo parlarti, non volevo darti fastidio.” riprese subito la parola, sembrava quasi avesse intuito il fastidio nei suoi confronti, eppure Will non aveva fatto nessuna smorfia, era rimasto in silenzio aspettando una risposta, era così semplice leggerlo?
“No tranquilla, scusami, dimmi pure!” affermò riprendendo il controllo.
“Ecco vedi, si beh... tu...”
“Io?” chiese dubbioso.
E adesso che aveva fatto lui?
“Beh si, mi piaci, cioè, si, si, mi piaci!” affermò la ragazza, si torturava le mani, lo sguardo passava dal soggetto dei suoi sogni a tutta la stanza senza mai fermarsi.
William rimase spiazzato da quella dichiarazione.
Non pensava di certo che la piccola Minnie, la stessa che aveva visto crescere perché era la migliore amica di sua sorella, si fosse presa una cotta per lui.
Era basito.
Non sapeva che dire, le parole gli erano morte in bocca.
“Okay, scusami, non avrei dovuto dirlo, non... fai finta che io non abbia detto niente, grazie per avermi ascoltata ma questa conversazione non è mai avvenuta, okay? Tranquillo, ora me ne vado, ciao!” la ragazza parlò velocemente, si girava in continuazione a vedere se arrivava qualcuno.
Se ne stava per andare quando William la bloccò per un braccio.
La fissava e Minnie si sentiva in soggezione, quasi a disagio.
La ragazza sperava tanto in un assenso di affermazione, magari dei sentimenti ricambiati, no okay, quello era troppo anche per lei da concepire, ma forse un qualcosina di positivo... poteva almeno sperare o ancora meglio sognare, no?
Il ragazzo la fissava senza dire una parola, questa situazione non andava dimenticata, no, andava solo sistemata.
“Da quanto va avanti questa storia, Minnie?” chiese solamente mentre la sua mano arrivò fino a sfiorarle la mano poi il suo tocco si volatilizzò proprio come l'amore della sua vita aveva fatto con lui.
“Da... quando avevo più o meno dodici anni, forse tredici...” Minnie incrociò le braccia al petto, sotto al seno prosperoso facendo in modo che questo si alzasse ancora di più.
William spostò velocemente lo sguardo dal movimento che le sue mani, le sua braccia – ed i suoi seni – avevano compiuto e rifletté.
Tutta quella situazione era dannatamente sbagliata, tutta.
“Senti... io ne sono davvero tanto lusingato Minnie, ma non posso, non so se comprendi la situazione...” domandò.
“Io... beh si, ma...” provò a dire, forse a giustificare quell'amore non corrisposto.
“No Minnie, nessun ma! Ho ventitré anni, tu diciassette, sei la migliore amica di mia sorella e per me, per quanto tu possa essere una bella ragazza” lei sorrise distrattamente e tristemente “rimani questo per me, una delle mie sorelle, da proteggere ed amare come tale, lo so, queste parole ti fanno male... non piangere ti prego, ma è così, e cosa più grave sono anche padre!” esclamò spiegando tutta la situazione.
La ragazza era scoppiata a piangere, non singhiozzava, non si lamentava, sul suo bellissimo viso si vedevano solo gli occhi rossi e le lacrime solcare i suoi alti zigomi.
William la teneva le mani sul viso e le asciugava le lacrime con i pollici mentre la fissava dritto negli occhi.
Ecco, Minnie si era innamorata non del suo aspetto quanto del suo carattere.
“Vedrai che troverai un altro coglione più bello di me, anche se questo è difficile, più intelligente, anche questo molto difficile, con un carattere migliore del mio, questa poi, e che ti tratterà come una principessa!” scherzò e la ragazza rise.
“Sei più tranquilla ora?” le chiese, dopo tutto l'amava, proprio come amava Charlotte, Félicité, Phobe e Daysi, le sue sorelle.
“Hai ragione, difficile trovare un ragazzo migliore di te, ma ci proverò, tu non sarai mica l'unico perfetto a questo mondo, no?” chiese ridendo.
“Mi offendo così! Certo che sono l'unico perfetto!” affermò abbracciandola.
“Sei il miglior fratello che non ho mai avuto!” e quella era la cosa più dolce che aveva mai sentito dire nei suoi confronti.
“Le tue sorelle sono davvero fortunate ad avere un fratello come te.” se quella ragazza sarebbe andata avanti a dire quelle cose, William sarebbe scoppiato a piangere.
“Hei, lo sai, se hai bisogno di una spalla io ci sono, anche Charlotte, ma se hai bisogno di un parere diverso da quello di quella pesta io ci sono, davvero!” scherzò ancora dicendo anche una mera verità.
“Grazie William, davvero, ne terrò conto!” gli disse la ragazza stringendolo ancora più forte.
“Lo sai? Regali davvero dei bei abbracci!” rise lei staccandosi da lui.
“Allora sarò il tuo orsacchiotto da abbracciare come e quando vuoi!” rise lui.
Quella sì che era una bella giornata.
“Sarai il mio Boo Bear!” rise ancora di più lei, le lacrime ormai secche ed il trucco colato sulle guance rosse.
“Bene, allora sarò il tuo Boo Bear!” affermò con convinzione lui spalancando le braccia ed aspettando che Minnie si catapultasse tra esse.
Si abbracciarono e ridendo e scherzando scesero le scale.
“Solo, Will, non dirlo a nessuno, per favore.” lo scongiurò e lui si chiuse la bocca con una zip immaginare.
Arrivarono nel piccolo salottino che ancora ridevano e Charlie si accorse di loro.
“Più che una pipì ti è venuta la diarrea, quanto ci hai messo?!” esclamò lei notando i due che se la ridevano ancora.
“E' che mi sono persa, non trovavo il bagno!” inventò su due piedi una balla.
“Cosa?! Ma se praticamente vivi qui!” rimase spiazzata Charlotte da quella risposta mentre notava che William e Minnie ridere guardandosi.
Sapeva della cotta della sua migliore amica, allora, poteva essere che...?
No, non poteva essere.
Charlotte era sempre più confusa.
“Sì, si è persa e l'ho riportata di sotto!” rise ancora lui, gli occhi lucidi.
Da quanto non lo vedeva così felice? Tanto.
“Cosa è successo di sopra?” domandò cercando di captare qualcosa di strano, ma quella situazione era tutta strana!
I due, William e Minnie, si fissarono per poi ridere e sorridersi a vicenda mentre Will prendeva in braccio il figlio.
“Io e il mio Campione usciamo!” informò tutto il gruppo, poi come se si fosse appena ricordato fece dietro front e parlò nuovamente.
“Ah Charlotte, mamma ha detto che dorme da Robin, siamo solo noi, non combinate disastri, se volete ragazze potete fermarvi tutte a dormire!” esclamò lasciando perplessa e sconvolta Charlotte che continuava a fissarlo.
“Ehm, okay?” balbettò sua sorella.
William non usciva e non invitava nessuno a casa da anni, con il figlio stava sempre a casa, in camera sua, il massimo dove andava con lui era il giardinetto che si affacciava sul vialetto di casa Tomlinson o all'asilo.
Le uniche persone che lo andavano a trovare a casa erano i cugini James e Ruth.
Era felice di vederlo così, certo, ma si ricordava che giorno fosse quello?
Così lo seguì.
“Willie! Posso sapere che hai? Ti sei fatto? Hai bevuto? Stai bene?” chiese Charlie.
“Certo! Mai stato meglio! Perché?” chiese un po' confuso, voleva solo uscire con suo figlio.
“Lo sai che giorno è oggi?” domandò Charlotte, era confusa, non capiva.
“Certo! Che domande, il mio Campione compie tre anni! Dobbiamo festeggiare, solo io, lui e...” e non finì la frase.
“E... volevo portarlo da Eleanor.”
Da quanto in quella casa non si sentiva più il suo nome? Tanto.
“Willy, sai dove si trova ora El?” e quel nomignolo?
“Charlotte, hai capito male, non sto impazzendo, so cosa è successo tre anni fa, lo so che Eleanor è morta, lo so, cazzo se lo so! Voglio solo far uscire mio figlio, voglio fargli vedere il mondo, non lo porto mai ai giardinetti e oggi voglio fargli un bel regalo, voglio... voglio solo essere felice e ricominciare, El rimarrà sempre nel mio cuore e nei miei ricordi, ma voglio essere forte e felice per il piccolo.” spiegò.
“Oh William!” esclamò Charlotte abbracciandolo.
Quanti abbracci aveva ricevuto quel giorno ed erano tutti bellissimi.
William aveva sempre adorato gli abbracci.
“Andate e divertitevi, io e le ragazze ci mettiamo comode ed ordiniamo poi delle pizze per sta sera, va bene?” chiese sciogliendo l'abbraccio e fissando per bene i loro occhi, così identici.
“Certo! Adesso esci che dobbiamo cambiarci!” rise.
“Come se non vi avessi mai visti nudi eh!” rispose lei a tono con un ghigno dispettoso in volto.
“Dettagli!” rispose chiudendole la porta in faccia mentre il piccolo rideva e batteva le manine.
“Amore! Come siamo felici io e te insieme eh!” esclamò guardando il figlio mentre lo poggiava a terra.
Andò all'armadio e prese dei jeans stretti neri, un maglione di lana rosso, delle calze bianche di lana e le sue adorate Vans nere.
Prese le stesse cose per il figlio, comprate su misura per il piccolo su internet.
Si vestivano sempre uguali i due, o per meglio dire, il padre vestiva il figlio come sé stesso e si divertiva a farlo!
Vestì prima il figlio e poi si cambiò lui.
Mise ad entrambi una sciarpa verde al collo ed un cappello grigio di lana sui loro capi.
Chinandosi, William, baciò il piccolo naso del figlio e questo rise di gusto buttando indietro la testa e lui sorrise.
Scesero di nuovo le scale e tornando in salotto un coro di urla sdolcinate si velò.
“Ma che carini, vestiti uguali!” esclamò Minnie.
“Ovvio!” affermò William guardandola.
“Okay, noi andiamo, non date un party hard per favore!” rise.
Prese il suo giubbotto e lo infilò e così fece con il figlio mentre le ragazze li guardavano in adorazione.
“Tuo figlio è più bello di te, lasciatelo dire Tommo!” rise Minnie.
“Eh lo so! Secondo te perché mi porto dietro lui al parco?” scherzò William facendo ridere tutte le ragazze.
“Bene, Charlotte dove sono le gemelle?” chiese dubbioso.
“Sono di sopra in camera loro a giocare.”
“Daysi! Phoebe! Scendete!” urlò per farsi sentire al piano di sopra.
Dopo qualche istante sentirono dei piedini sbattere sul parquette e due testoline bionde far capolino nella stanza.
“Volete venire con me al parco o chiamare una vostra amichetta e farla venire a dormire?” chiese lui chinandosi verso le gemelle per arrivare alla loro altezza.
“Possiamo fare entrambe le cose?” domandarono entrambe,
“Sì! Andiamo al parco e...” iniziò Daysi.
“E poi andiamo a prendere Didì!” finì Phoebe.
William le guardò analizzando la situazione.
Gli unici maschi in casa sarebbero stati lui e suo figlio.
E dov'era il problema?
Più erano e meglio sarebbe stato!
“Okay, vado a chiamare la mamma di Didì, contente? Ora andatevi a vesti, veloci!” disse battendo le mani in modo da incitarle a muoversi.
“Charlotte, oltre alle pizze ordina anche una torta al cioccolato, Coca-Cola, Fanta e vai a comprare, dolci, patatine, caramelle al supermarket qua sotto insieme alle tue amiche, questa sera si festeggia sul serio!” spiegò velocemente mentre prendeva il telefono e digitava il numero di casa della famiglia della piccola Didì.
Mentre il telefono squillava sentiva le voci delle ragazze che si mettevano d'accordo su cosa prendere.
“Pronto?” chiese una voce forte.
“Lilibeth! Sono William, si ricorda di me vero!?” chiese scherzando.
“William, certo! Come stai, tesoro?”
“Bene, lei?”
“Oh dammi pure del tu! Bene, di cosa hai bisogno figliolo?”
“Volevo chiederle se potevo prendere in ostaggio sua figlia per sta notte, festeggiamo i tre anni di mio figlio e ho detto alle gemelle che chiamavo la piccola Didì, può venire?” chiese di botto, senza lasciarla parlare.
“Oh ma tanti cari auguri! Certo, quando passi a prenderla?”
“Prima di cena, verso le sei e mezza, le va bene?” chiese per sicurezza.
“Ma certo, mi fa molto piacere!”
“Okay, gliela riporto poi domani nel pomeriggio!” affermò.
“Certo, nessun problema, almeno io e mio marito...” iniziò a parlare, ma William la interruppe.
“Okay, sono felice per lei e suo marito, ma non mi interessa!” rise.
“Ma cosa hai capito giovanotto! Così possiamo guardarci in pace quel nuovo programma televisivo! Sempre a pensare male voi giovani d'oggi! Ma dimmi te!” rise la signora Lilibeth.
“Oh okay, mi scusi, cioè, scusami, beh ora vado, passo più tardi!”
“Va bene, a dopo!” e Lilibeth riattaccò.
Le gemelle fecero capolino davanti a lui nell'esatto istante in cui lui chiuse la chiamata.
“Siamo pronte!” esclamarono in coro.
“Bene, andiamo.”
Guardò l'orologio che segnava le tre di pomeriggio.
Era inverno, ma a Doncaster il sole era alto nel cielo.
“Noi andiamo!” urlò alle ragazze mentre si metteva sul collo il figlio, lasciando così a penzoloni i piccoli piedi del bimbo sul suo petto mentre questo si appigliò ai suoi capelli lasciati liberi del cappello.
Prese per mano le gemelle, un da una parte e una dall'altra, e si diressero verso i giardinetti dall'altra parte della via.
Arrivati oltre il grande recinto che racchiudeva tutti i giochi lasciò che le bambine corsero verso la casetta di legno piena di scivoli e di tappeti dove poter saltare.
Si inginocchiò, fregandosene altamente se i pantaloni si sarebbero sporcati, e fece scivolare il figlio da dietro il suo collo a davanti a lui facendolo scendere.
Lo portò per mano vicino alle altalene e lo fece sedere sul seggiolino.
Si posizionò davanti a lui e lo spinse, prima piano, poi sempre più forte.
Non lo aveva mai visto così felice, era bellissimo, tutto coperto, solo gli occhi sorridenti in vista.
Alzava in alto le mani e voltava il capo verso l'alto ad osservare il cielo nuvoloso.
Sentiva distintamente la sua esile vocina emettere strani suoni di felicità e la sua gioiosa risata.
Un grande sorriso apparve sul volto di William.
Amava suo figlio e amava Eleanor per averglielo donato.
Dopo un po' il bimbo, per quanto amasse quell'attrazione, si stufò e volle scendere lasciando il posto ad una bambina che lo osservava sorridente, era castana, i capelli lunghi e pieni di boccoli, gli occhi verdi e le gote rosse.
William fece scendere il figlio, che si aggrappò subito ai pantaloni dal padre senza allontanarsi, e aiutò la bambina, che avrebbe dovuto avere su per giù la stessa età di suo figlio, a salire sull'altalena.
Dopo aver fatto salire la bimba prese il figlio per mano e lo portò ai tappeti dove vi erano le gemelle che continuavano a saltare felici.
La bimba che aveva aiutato poco prima li raggiunse e la osservò.
William le sorrise e aiutò sia lei che il figlio a salire su uno dei tappeti.
Iniziarono tutti e quattro a saltare felici e notò che la bimba continuava a stare vicino a suo figlio.
Che lo conoscesse?
“Gemma!” sentì urlare alle sue spalle, si voltò di scatto per vedere da dove arrivasse l'urlo e notò un ragazzo correre verso di loro.
Si fermò davanti al tappeto dove stavano i quattro bambini e osservò la scena con discrezione.
“Gemma! Quante volte ti ho detto di non allontanarti? Eh? Quante? Dio santissimo, mi hai fatto prendere un colpo, non farlo mai più, capito? Mai più!” il ragazzo riccio continuava a parlare mentre accarezzava le guance della piccola Gemma.
William si sentì in dovere di intervenire, vedeva la piccola Gemma – ora conosceva il suo nome – terrorizzata e triste allo stesso tempo.
“Dio santo! E se ti fosse successo qualcosa?” chiesa ancora il tipo.
“Hei amico, calma sta bene, era qui, è qui!” esclamò William posando una mano su una spalla del ragazzo.
“Eh? Oh grazie! Grazie davvero, l'ho persa di vista!”
“Tranquillo non è successo nulla!”
“Si, si!”
“Eddy! Ma c'eva Mimì!” esclamò la piccola Gemma.
“Chi?” chiese stizzito il riccio.
“Mimì!” esclamò di nuovo sbuffando per poi indicare il figlio di William.
“Lo conosci?” chiesero in coro William e il ragazzo dagli occhi verdi.
“Uffa!” disse la bimba, il labbro inferiore sporgente e le braccia incrociate al petto mentre sbuffava ancora.
“Okay okay, stai calma!” rise il riccio.
“Comunque” il riccio si voltò verso William “io sono Edward!” esclamò sorridendo e mostrando delle adorabili fossette che gli bucavano le guance.
“William” rispose semplicemente porgendogli la mano, Edward gliela strinse subito, una presa forte e decisa, bene.
“Willie! Willie! Willie!” iniziarono a chiamarlo in coro le gemelle ed il piccolo.
“Eh?” chiese voltandosi di scatto, era rimasto incantato a fissare il ragazzo davanti a lui.
“Dobbiamo andare da Eleanor!” dissero in coro le gemelle.
“Ah si!” disse sovrappensiero.
Edward ci era rimasto un po' male, sentire un nome femminile in una discussione non era un punto a suo favore.
Chiedere a Gemma di cercare di avvicinare William e Max non era stato un buon piano e scoprire che era etero era ancora peggio.
Un po' ci sperava però.
“Sono tutti tuoi?” chiese sconvolto.
“Eh si! E non sono finiti.” rise William.
“Dio santo, ma come fai a sopportarli? Io a momenti sotterro Gemma!” rise.
A William non piacque per niente quella battuta, ma ci passò sopra e rise anche lui.
“Ci ho fatto il callo!” scherzò mostrando le mani.
“Sono comunque bellissimi, i tuoi fratelli, intendo!” disse il ragazzo osservando uno per uno.
William non ci aveva pensato, ma suo figlio poteva anche essere scambiato per suo fratello, ma non voleva che qualcuno lo pensasse, suo figlio era suo e soltanto suo, o al massimo, suo e di Eleanor.
“Grazie, ma solo le gemelle sono le mie sorelline lui è...” Edward non lo lasciò finire che parlò al posto suo.
“Ah, gli zii ti hanno affibbiato pure il cuginetto, capisco!” rise.
“No, veramente volevo dire che è mio figlio.” spiegò sorridendo con gentilezza.
Edward lo guardò spiazzato.
“Davvero?!” esclamò.
“Eh si.”
“Ah, oddio... ehm scusami, io non lo sapevo.”
“Ma figurati, non scusarti!” rise.
“Ma lui ti ha chiamato...”
“Willie, si lo so, quella peste segue le gemelle!” rise guardandoli.
“E' comunque bellissimo, davvero, tu e la tua ragazza dovreste esserne orgogliosi!” esclamò stupito e complimentandosi con sincerità.
“Ehm si, ne sono... cioè siamo orgogliosi di lui.” balbettò, ma davvero, non ce la faceva a parlare di un morto come se fosse vivo, soprattutto se era la sua ragazza.
“No, okay, si ne siamo entrambi orgogliosi, ma lei non... lei non è qui, ecco, non so se mi sono spiegato.”
Ma perché ne stava parlando con un perfetto sconosciuto?
Forse sconosciuto no, conosceva il suo nome dopotutto, ma cambiava qualcosa?
“Sì, lo vedo che non è qui!” rise ingenuamente l'altro.
“No, voglio dire che è morta!” esclamò, forse con un po' di rabbia, non lo aveva mai detto davanti a suo figlio.
“Oh... ah! Oddio, scusami, non ci ero arrivo, mi... mi dispiace, davvero!”
E sì, gli dispiaceva, ma c'era una parte di lui, tanto piccola, che luccicava facendogli notare il fatto che forse era single.
Sì, era un fottuto egoista.
“Ehm Eleanor?” chiese con titubanza.
“Sì, Eleanor.” rispose con orgoglio.
“Papà?” lo chiamò il figlio.
“Sì, amore?” Si girò subito a guardarlo.
Ed il piccolo gli sorrise solo, assomigliava così tanto alla sua mamma.
“Senti, oggi è il compleanno di mio figlio, lo so, ci siamo appena conosciuti, ma ti va di portare la piccola alla festa? Tanto i piccoli a quanto pare si conoscono già.” disse rivolgendo la parola al riccio e parlando velocemente.
E come faceva Edward a rinunciare ad un'opportunità del genere?
La prima volta che lo aveva visto era il primo giorno d'asilo di Gemma ed era subito rimasto affascinato da William.
Lo vedeva sempre la mattina che portava il figlio e il pomeriggio quando andava a riprenderlo.
Fortuna volle che Gemma e Max fossero in classe insieme, ma non si era mai presentata l'occasione per farci anche solo amicizia.
Così colse l'occasione al volo.
“Ehm si, perché no? Va bene se vengo anche io?” chiese subito, dopotutto doveva badare alla sorellina.
“Certo, più siamo meglio è!” rise alzando la mano in aria per farsi dare il cinque, cosa che Ed fece subito sorridendo.
Se William doveva iniziare di nuovo a vivere doveva partire subito col piede giusto e qual è il metodo migliore se non fare amicizia?
“Okay, ehm suonate al campanello Tomlinson per le sette, okay? Abitiamo lì!” informò il ragazzo indicando l'abitazione.
Non avrebbe mai rinunciato a portare suo figlio da sua madre solo per una nuova amicizia.
“Okay, allora noi andiamo a prepararci.” sorrise Edward prendendo per mano Gemma e facendola scendere dai tappeti.
“Bene, a dopo! Ciao!”
“Ciao!”
“Bene, andiamo anche noi piccoli!” affermò prendendo di nuovo sul suo collo suo figlio e le gemelle per mano.
Uscirono dal grande recinto e si diressero verso il cimitero di Doncaster.
Il cielo si era scurito, le nuvole erano grigi e minacciavano pioggia, ma a lui non interessava.
Entrarono attraversando il portone in ottone e si diressero subito verso la zone del prato.
Lasciò le mani delle gemelle e fece scendere il figlio mettendolo di fronte ad una fredda e lucidissima lapide dove era incorniciata una foto di una giovane ragazza sorridente.
Si chinò e indicò la foto al figlio e alle gemelle.
“Bambini, questa è Eleanor, Max, questa bella ragazza è la tua mamma e ricorda...” incominciò fissandolo negli occhi “...ti ama tanto quanto ti amo io e io ti amo tanto.”
“Bella.” disse solo il piccolo Max mentre osservava la foto della madre.
“Sì, era davvero tanto bella.” disse William con gli occhi lucidi.
“Max saluta la mamma, oggi è il vostro giorno.”
“Ciao mamma, ti voglio bene!” esclamò Max avvicinandosi alla lapide calpestando il terreno che copriva la tomba.
Guardò la foto, si avvicinò ad essa e la baciò per poi ripeterlo.
“Ti voglio bene, mamma.”
Anche io amore.”
“Anche la mamma te ne vuole.” rispose William scoppiando a piangere per la prima volta dopo tre anni dalla morte della sua amata.
Prese di brutto il figlio e se lo portò sul petto e lo strinse forte a sé.
“La mamma ci ama, tanto!” disse ancora e continuava a ripeterlo.
Sì, vi amo tanto amori della mia vita, siete forti.”
Le gemelle si erano appiccicati a loro e li proteggevano, li abbracciavano e li consolavano.
“Willie, dobbiamo andare da Didì!” dissero Daysi ed Phoebe contemporaneamente, non sopportavano più quella situazione.
“Oh si, certo!”
“Eleanor, oggi facciamo una grande festa sai? Il nostro amore compie ben tre anni, fagli gli auguri, su!”
Auguri amore, la mamma ti ama!”
“Sento!” disse felice Max.
“Cosa amore? Cosa senti?” chiese sconvolto, che la sentisse anche lui?
“Mamma, la sento!” e rise, ancora di più di quando andava sull'altalena, era felice, piangeva e rideva contemporaneamente.
“Si amore, anche io!” e William sorrise nel vederlo così felice.
“Eleanor, ci senti? Sta sera siamo in tanti, io, Max, i cugini James, le gemelle, Didì, Felicité, Charlotte e le sue amiche e la prima amichetta di Max, Gemma e suo fratello Edward! Ora andiamo a prendere Didì che è già tardi eh!” Disse salutando con la mano la lapide e così fecero anche il figlio e le gemelle.
“Ciao Eleanor!” urlarono quasi le gemelle.
“Ciao mamma, ti voglio bene!” era la sua frase preferito ormai e a William andava bene così.
William riprese sul collo Max e per mano le gemelle e si diressero verso casa della piccola Didì.
Sì, quello era di sicuro un giorno speciale.

 
















 
Sera!

Più che altro dovrei dire notte!
Ma sono dettagli!
Parliamo subito della storia, è la prima Larry, o per meglio dire Williard,
che pubblico, era solo per informarvi lol
Dico subito che shippo Larry ma che non odio le Elounor Shipper e gli Elounor in generale,
infatti nella storia Eleanor ha un ruolo davvero molto importante e lo si intuisce subito.
Mi ero davvero stufata delle fan fiction Larry che usavano il personaggio di
Eleanor come la stronza di turno o quella che Louis odia sempre,
quindi eccomi qua a darle un ruolo come si deve, a parere mio.
La storia è abbastanza forte quindi se siete deboli di
cuore e particolarmente dolci fate voi hahahah
Vi chiedo gentilmente di lasciare una recensione con un vostro parere,
è davvero importante per me e ve ne sarei davvero molto grata!
Grazie ancora a chi è arrivato a leggere fino a qua,
per me è stato un parto scriverlo e spero di risentirvi presto!
Su Twitter sono @LookAfterYou17.
Su Wattpad sono @Elisaku.
Qui potete trovare le mie altre fan fiction in corso:
Num3ro Sbagliato.
La Ragazza Onnipotente.
Buona notte Williard Shipper e Willionor Shipper!


Elisaku.

 
  
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