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Autore: Swish_    30/08/2014    5 recensioni
Il protagonista in questa storia non è un assassino. Non è un mostro. Non è un quaderno né un Dio sovrannaturale annoiato. Il protagonista in questa storia è una lei, una ragazza normale e semplice che si ritroverà ad un faccia a faccia con la mente più geniale, cinica e calcolatrice dell'intero mondo.
Un caso investigativo avrà proprio lei come punto focale e a farle capire quanto quella situazione sia pericolosa per lei quanto per il resto del mondo, non sarà un'amica, un parente, o un ragazzo bello ricco e famoso. A farle fare la pazzia più grande della sua vita, a farla cambiare, a farla addirittura innamorare sarà un piccolo genio cresciuto nella solitudine di un ruolo ambito e irraggiungibile. Un ragazzo nelle cui mani sono passati i casi più difficili e irrisolvibili dell'intero globo, tra cui anche l'impossibile caso del Death Note, il quaderno della morte.
Ebbene sì, quel ragazzo sarà proprio L.
Lo stesso L che è riuscito a sopravvivere a Light. Lo stesso che è restato a guardare cosa poi gli sarebbe accaduto.
Come avrà fatto a sopravvivere?
E soprattutto come si comporterà di fronte ai nuovi problemi del caso, tra cui l'amore?
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: L, Mello, Near
Note: AU, Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il mio risveglio fu più difficile di quanto mi aspettassi. La luce accecante di un paio di grosse lampade al neon colpì i miei occhi ancora prima di aprirli. Nei primi momenti non ricordavo nemmeno come c'ero finita in quel posto, da sola, ma l'amnesia durò comunque poco.
Sbattei le palpebre più volte, prima di abituarmi a quella luce, e mentre lo facevo mi rendevo terribilmente conto di quanto grave fosse la mia situazione. Entrambe le mie mani erano legate dietro lo schienale della sedia su cui ero seduta, avvolte da qualcosa... ma non riuscivo a capire bene cosa.
La stanza mi parve subito familiare, con le sue pareti chiare, le piastrelle, e le sue sembianze così anonime e vuote. La scena parsami in mente durante uno dei miei dolorosi flashback riapparve nitida per qualche secondo davanti ai miei occhi: era la stessa stanza dove Bustri attuava i suoi esperimenti sul mio corpo, quando non ero nella cantina sotterranea o quello che era quella fetida cella. Ovviamente non c'erano finestre, ma un orologio elettronico appeso sopra la porta metallica di fronte a me, che ero immobilizzata su quella sedia, segnava le cinque del mattino.
Il terrificante ricordo di Bustri e quello che mi aveva fatto mi invase di nuovo la mente, offuscandola come nebbia fitta... poi, un lampo di luce: la stanza di Mello, il buio, quella voce... Adesso era tutto chiaro. Doveva parermi ovvio fin dall'inizio: Bustri aveva mandato uno dei suoi Spector a prendermi.
Il rumore metallico e secco della porta che veniva aperta riprese la mia attenzione. Oltre di essa intravidi un corridoio lungo e fitto di porte, ma non ebbi tempo di sbirciare altro perché l'alta e sontuosa figura che stava entrando se la richiuse subito alle spalle. Aveva i capelli brizzolati, ma in modo elegante, era vestito di un completo in giacca e cravatta sotto il suo camice bianco sbottonato, il viso pallido, gli occhi color ghiaccio... e un sorriso tirato e tagliente sulle labbra sottili.
Era un uomo.
- Ciao, Sofia. -
Era Bustri.




- Dobbiamo subito setacciare l'intera zona! - esclamò Ryuzaki in tono di allerta.
- Ogni singolo palazzo, di ogni singolo quartiere. - sottolineò terribilmente serio; poi si voltò verso Near, che intanto lo fissava con aria sorpresa e curiosa al tempo stesso.
In verità Ryuzaki era sempre stato l'unico che riusciva a far trasparire delle vere e proprie emozioni sul volto di Near in modo così evidente.
- Near, voglio che tu ti occupi di trovare l'appartamento o quello che sarà dove sono stati fatti contratti di locazione o vendita in modo sospetto negli ultimi tempi. E' lì che Mello sarà andato. -
- Ma Ryuzaki... - ribatté Near.
- … Le ricerche su Bustri? -
Ryuzaki esitò giusto un attimo, prima di rispondergli.
- Dividi l'intero quartiere in due metà. La prima aiuterà te nelle ricerche di Mello e Kanade, e l'altra continuerà con quelle di Bustri. -
- Ma così verremo rallentati. -
- Hai qualcosa di migliore da proporre... Enne? - gli chiese l'altro gelido, in tono di sfida.
Near rimase a guardarlo per qualche istante, con gli occhi freddi spalancati e le braccia attorno alle gambe tirate in petto. Ryuzaki sembrava improvvisamente trasformato, notò il ragazzo dai capelli ramati. Quello sguardo loquace ma freddo su quel viso terribilmente pallido non gliel'aveva mai visto prima, come se si fosse improvvisamente ripreso da un lungo sonno, tornato a tutti gli effetti il temibile L di un tempo. Quello del caso Kira.
Eppure non tutto quadrava...
Concentrarsi di più sulle ricerche del nostro criminale, piuttosto che su quelle di uno Spector già condannato a morte.” pensò Near, mentre che continuava a tenere lo sguardo su quello del collega.
- No. - rispose invece, andando per la prima volta in assoluto contro la sua stessa volontà.
Quella parola tuttavia bruciò lo stesso come fuoco sulle sue labbra, quando la disse.
- Spero solo che te ne renda conto, Ryuzaki. -
- Di cosa? - chiese l'altro, mentre che sprofondava di nuovo le mani nelle tasche dei jeans, mantenendosi freddo e cinico.
- Del fatto che stai rischiando. Forse per te ne varrà la pena di cercare di salvare uno Spector già condannato a morte, solo perché è una donna, e l'unica aggiungerei, che sia stata capace di farti innamorare... ma qui ci sono anche agenti che hanno moglie e figli a casa che li aspettano, e non credo che anche loro sarebbero disposti a rischiare la loro stessa vita solo per una ragazzina come stai facendo tu. -
Subito dopo quelle parole, l'intera stanza si avvolse di una strana atmosfera. Degli agenti che erano presenti alcuni si zittirono, fissando i due detective in silenzio, e altri bisbigliarono appena sottovoce, senza comunque togliere gli occhi di dosso ai due giovani detective che, a quanto pareva per la prima volta nella storia, si stavano chiaramente scontrando.
- Stai criticando il mio modo di lavorare? - chiese allora Ryuzaki, con una certa nota di rabbia nella voce.
- Credi forse che saresti qualcuno tu, senza di me? - scoppiò subito dopo senza dargli neanche il tempo di rispondere, pur mantenendosi immobile e temibile in piedi di fronte al ragazzino accovacciato sulla sedia girevole in un modo così simile al suo.
- Ho risolto infiniti casi impossibili nella mia carriera, e l'ho fatto da solo, grazie unicamente al mio modo di lavorare che tu hai appena criticato! - disse ancora, guardandolo con spietata freddezza.
- …Tranne uno. - ribatté Near, quasi in un sussurro.
A quelle parole Ryuzaki spalancò gli occhi. L'immagine di Light Yagami che lo guardava con preoccupazione sotto la pioggia fitta lo colpì come una lama in petto.
Light...” pensò tra sé.
- Quel caso... - disse atono, dopo qualche istante di esitazione.
- …sarebbe stato impossibile anche per te, se non avessi avuto Mello al tuo fianco. E lui ci ha rimesso una vita, ricordatelo. - sibilò infine.
- … Ma sappiamo entrambi cosa sarebbe successo se ti fossi ritrovato da solo, come me. -
Alzò lo sguardo color carbone sugli agenti che erano nella stanza intorno a loro due, ora tutti immobili e concentrati a fissarlo con sguardo scioccato.
- Signori! - esclamò poi verso di loro.
- Davvero la pensate come il mio collega? Pensavo vi fosse stato chiarito sin dal principio che lavorare con detective come noi avrebbe potuto comportare il rischio della vostra vita. No? - aspettò qualche secondo per vedere la loro reazione. La maggior parte annuì con la testa, mentre altri restarono di pietra.
- Bene, perché pensare solo adesso, quando tutto è già cominciato, alla propria famiglia... sarebbe da stupidi. - concluse, guardandoli uno ad uno dritto negli occhi prima di ritornare su Near.
- Beh, ho cambiato idea, Enne. - sottolineò di nuovo il suo soprannome con appena una nota impercettibile di disprezzo.
- Visto che ci tieni tanto, guida tu le ricerche su Bustri. Ti concedo il 90% dei nostri agenti... il restante 10% mandalo al mio piano. - disse poi, voltandogli le spalle.
- Ho tenuto testa a Kira in persona con un numero di agenti che si potrebbero contare sulle dita di una sola mano, figurarsi se adesso dovrebbe cambiare qualcosa. - continuò, mentre che raggiungeva l'ascensore.
- Ah, e per la cronaca... - disse infine, proprio mentre che le porte metalliche si aprivano e lui entrava al suo interno, voltandosi di nuovo verso Near all'altro capo dell'enorme stanza.
- …Ho scelto io, di uscire fuori dai giochi e non concludere quel caso. Quindi Near, forse sarebbe il caso di ringraziarmi. - e detto ciò, le porte si richiusero in un istante, coprendo finalmente quello sguardo famelico e furibondo che aveva agghiacciato l'intero quartier generale. Compreso Near.



- Salve, Bustri. - risposi gelidamente, fulminandolo con lo sguardo più tagliente che avessi mai potuto sfoggiare.
Lo vidi sorridere:
- Sei in gran forma, a quanto vedo. - rispose lui, ricacciando da una delle larghe tasche bianche del camice una sottile sigaretta.
Di tutta risposta inarcai un sopracciglio, non potendo fare altro:
- Beh sai, potrei stare molto meglio in effetti. - gli dissi in tono tagliente.
- Strano, prima d'ora non avevi mai osato darmi del tu. - gli sentii rispondere rifilandomi un altro sorriso sghembo e avanzando verso di me di qualche passo.
- Le circostanze sono cambiate. - gli dissi, tenendo tutto il mio corpo in allerta man mano che si avvicinava. Sapevo di essere bloccata su quella scomoda sedia vecchia, ma non potevo comunque arrendermi.
Bustri sprofondò di nuovo la sua mano in una tasca, e stavolta tirò fuori un accendino di metallo con il quale accese con fare spavaldo la sua sigaretta. Il tutto senza mai togliermi gli occhi di dosso.
Per qualche istante dimenticai la sua matura età e quasi mi sembrò che mi stesse spogliando con gli occhi. Subito sentii il sapore della bile risalirmi alla bocca al solo pensiero, mentre che lui continuava a schiacciarmi sotto il suo sguardo impenetrabile. Era molto diverso da quel flashback dove lo vidi darmi le ultime “rassicurazioni” prima che la squadra di L mi recuperasse. Effettivamente sembrava più giovane, pur mantenendo in silenzio la sua vera età oltre la quarantina. Non vi erano occhiaie sotto i suoi occhi, e i suoi capelli erano in perfetto ordine. Sarebbe sicuramente parso un impeccabile uomo d'affari ad occhi incoscienti... ma i miei non lo erano più ormai. Sapevo bene chi mi ritrovavo davanti, ci avrei giurato. Dopo un primo tiro di sigaretta, durante il quale staccò per qualche istante lo sguardo su di me solo per schiudere le palpebre con fare compiaciuto, riprese poi a parlare:
- Sono felice di rivederti. -
Quella frase sembrò così sincera da confondermi... ma solo per qualche istante. Dopo poco tempo cercai di stendermi di nuovo la fronte che frattanto si era aggrottata e schiusi anch'io gli occhi, per cercare di mantenere la calma.
- Non posso dire lo stesso. -
- Così mi ferisci, Sofia... - lo sentii rispondere, con fare dispiaciuto ma composto.
- ...Io ho investito e sto ancora investendo tanto su di te... tutto. Tutta la mia vita. Non ho mai voluto farti del male... -
- Eppure l'hai fatto. Anzi, hai fatto anche peggio: mi hai uccisa... Uccisa, signor Bustri! Questo non è fare del male? -
Vidi il suo sguardo indurirsi prima di rispondermi:
- Era solo una delle fasi di un processo molto più grande, Sofia. Insomma, guardati adesso! -
Bustri mi indicò con un largo gesto della mano:
- Sei forte, invincibile... Immortale. Non hai bisogno di niente e di nessuno... Libera! -
- Ah, è questo che tu vedi? Io invece vedo una giovane donna rapita, maltrattata, legata su una sedia e per poco non imbavagliata da un lurido bastardo. Il tutto senza la sua volontà! - sputai tutto d'un fiato, cominciando a perdere la pazienza.
- Sofia... Non dovresti parlarmi così. -
- Ah no? E perché mai? -
- Perché... - lo vidi esitare giusto per qualche secondo.
- La realtà non è quella che credi. -
- E quale sarebbe!? - risposi, mentre che ormai stanca di tutto quel parlare non decisi di tornare ad agire, agitando e dimenando le braccia nel tentativo di allentare le catene, spezzarle o comunque liberarmi in qualche assurdo modo.
- Tu... sei mia figlia. -
Quelle parole mi ghiacciarono il sangue, pietrificandomi.
No, non poteva essere... si stava sicuramente prendendo gioco di me.
- No. - sibilai a denti stretti e abbassando il volto.
- Si, invece. -
- E' una bugia. Un'assurda, terribile... bugia. -
- Sofia... sono stato io ad assegnarti questo nome. Abbiamo lo stesso sangue nelle vene... Appena nata ho dovuto assegnarti ad una coppia dei miei fedeli compagni, i quali tu adesso conosci come i tuoi veri genitori... così avrei potuto darti un lavoro, seguirti e vegliare su di te senza che tu te ne accorgessi. Mi dispiace averti iniettato il Tuconial così presto, so che hai appena vent'anni, quasi ventuno, ma quanto più si è giovani, tanto più efficaci saranno gli effetti. E poi, il tuo caso è stato ancor più speciale... -
- Non ti credo! - gli urlai in faccia.
- Beh, non è necessario che tu lo faccia. Volevo solo che tu sapessi la verità. -
- Ah si!? Davvero ti sei fatto scrupoli del genere? Un vero spreco, farseli solo adesso! - esclamai ancora, furibonda.
- Adesso basta! - urlò lui all'improvviso con voce grave e minacciosa.
- Basta con questi capricci! Le cose stanno così, sono tuo padre e in quanto tale avevo tutto il diritto di decidere della tua vita! E nonostante ciò... - disse poi, tornando lentamente calmo.
- … Voglio darti una possibilità di scelta, perché in quanto mia figlia io... ti voglio bene. -
Quelle parole sembrarono qualcosa di anomale, mentre che uscivano dalla sua bocca. Non mi sembrava vero, non riuscivo proprio a crederci che il capo glaciale per cui lavoravo era MIO PADRE, e... che mi aveva appena detto che MI VOLEVA BENE!
Lo vidi aspettare giusto qualche secondo, forse per vedere la mia reazione che però non arrivò mai. Cosa si aspettava? Un “ti voglio bene anch'io paparino”? Beh di certo non avrebbe mai sentito qualcosa del genere. Non da me, almeno. Mi limitai invece a rialzare lo sguardo su di lui, inarcando un sopracciglio.
Possibilità di scelta?
- Bene, visto che hai perso la lingua, continuo a spiegarti. - continuò.
- Le chiamate che i tuoi attuali genitori adottivi hanno fatto al tuo numero sono state tutte intercettate. Alquanto ridicola l'idea di una sostituta, una finta Sofia... Non trovi? Non c'è voluto molto a capire dove si trovasse il tuo telefono, di conseguenza... So dove vi trovate. Per non parlare dello Spector che avete tenuto con voi, finché non l'ho ucciso... Sciocco, non trovi anche questo? Proprio come se avessero deciso di farsi trovare! -
- Tu... l'hai ucciso? -
- Si, figlia mia. - rispose in tono fiero.
- … Con questo. - disse poi, cacciando fuori un quaderno nero dalla tasca interna del suo camice.
- Saprai sicuramente cos'è, no? -
Lo sguardo sconvolto che avevo diretto su quella sagoma nera si spostò per qualche secondo sul viso dell'uomo che mi ritrovavo davanti, per poi tornare di nuovo al quaderno.
- Il... quaderno... -
- … della morte. Sì, proprio quello. Spero mi vorrai credere sulla parola, ma se non ti fidi, posso provarlo davanti ai tuoi occhi... -
- No! No! Ti... Ti credo! -
Si fermò per sorridermi calorosamente.
- Bene. E allora arriviamo al dunque. Così come so il luogo in cui vi nascondete... So anche altro. Una notizia fondamentale che non ho ancora utilizzato a mio favore SOLO per te. -
Cominciai a provare fitte fortissime di dolore alla testa... tutto quel discorso così confuso... Dove diavolo voleva arrivare?
- Sarò pronto a lasciarti libera, ma sappi... che io conosco il vero nome e il vero volto dell'investigatore più famoso al mondo, che adesso mi sta dando la caccia per sbattermi dentro... ancora non trova prove sufficienti! -
Spalancai gli occhi e drizzai la schiena per la sorpresa, mentre che lui rideva di gusto.
- Già... - continuò con una forte nota di compiacimento nella voce.
- So l'identità di L. Quindi... come ho appena detto, sarò pronto a lasciarti andare per sempre, e non cercarti mai più, lo giuro, ma in cambio... mi prenderò la vita di L. -
Per la prima volta da quando ero diventata uno Spector sentii dei forti brividi corrermi lungo la schiena.
- Cosa deciderai? Sono curioso... Oh, su Sofia. Non farmi quella brutta faccia! - disse ancora, avvicinandosi a me di qualche passo abbastanza per potersi calare e toccarmi la guancia con una mano. All'istante mi voltai dall'altra parte, nascondendo i miei occhi umidi dal suo sguardo.
- Dai, per farti contenta... adesso ti lascerò andare. Ti riporterò nello stesso posto da dove ti abbiamo presa. Ma dovrai sapere che se non ritornerai da me entro le prossime 72 ore... L morirà. - le sue labbra sottili si incurvarono appena.
- Se vorrai tornare da me, basterà uscire dall'edificio dove ti troverai e restare ad aspettare nello stesso posto per qualche minuto. Non ti perderò mai di vista, mai, per le prossime 72 ore. La morte di L segnerà il nostro addio, nel caso decidessi di abbandonare tutto. Nel caso invece farai come ti ho detto e deciderai di stare al mio fianco per un mondo migliore, sappi che dopo poco verrà Alec a prenderti. Ora sta per arrivare, ti riporterà lui indietro. - si prese una pausa per sospirare rumorosamente, mentre che drizzava di nuovo la schiena e tirava un'altra boccata di fumo, tornando a guardarmi dall'alto e risistemando il suo Death Note nella tasca interna del camice.
Avrei voluto dirgli tante cose... Perlopiù insulti, ma non riuscii a pronunciare neanche quelli. Ero sconvolta, scioccata, distrutta. Un'ennesima volta.
- Forse non mi crederai che io sia davvero capace di uccidere L... - disse ancora lui, voltandomi le spalle e dirigendosi di nuovo verso la porta.
- …ma sei sicura di voler correre il rischio? - si voltò di nuovo verso di me, che intanto continuavo a tenere lo sguardo basso.
- E ricorda: abbiamo lo stesso... identico... sangue, nelle vene. Io e te. - dopodiché sorrise, e senza aggiungere altro aprì la porta ed uscì, chiudendosela alle spalle.
Repressi un singhiozzo, tremando, mentre che le lacrime cominciarono di nuovo a rigarmi il viso.
Si, quello ero davvero un buon motivo per lasciarsi finalmente andare e piangere ancora una volta.

Dopo qualche tempo, non avrei saputo dire quanto, la porta di metallo chiaro di fronte a me si riaprì lasciando avanzare però un'altra persona. Appena capii che non si trattava di Bustri sospirai istintivamente per il sollievo. Non avrei mai più voluto rivederlo, soprattutto in quel momento.
- Ciao. - disse atono il ragazzo che invece entrò al posto suo.
Aveva i capelli folti e neri, in contrasto con gli occhi grigi e la pelle chiara. Sembrava giovane, ma comunque un po' più grande di me... con quei suoi jeans strappati, gli anfibi e il chiodo di pelle scuri. Quello stile un po' dark mi ricordò Mello, ma il dolore di non sapere dove fosse era troppo forte così che fui costretta a ricacciare indietro quel pensiero.
Vidi lo strano ma affascinante ragazzo inarcare un sopracciglio con aria infastidita.
- Cos'hai da guardare? - sbottò.
- Non hai mai visto un bel ragazzo? - fece poi, indicandosi con entrambe le mani e incurvando appena le labbra.
A quelle parole fui io ad inarcare le sopracciglia, fulminandolo con lo sguardo ancora umido e reduce del pianto disperato di poco prima.
Fin troppi.” pensai.
“... e tutti fuori dal comune.”
- Così... - provai invece a dire, trovando di nuovo la forza di parlare.
- …Tu saresti quel bel figlio di troia che ha pensato bene a come farmi svenire per poi portarmi qui. -
- Oh, hai ammesso che sono bello. - rispose lui con un'alzata di spalle.
A prima vista sembrava non aver nemmeno sentito il mio insulto, ma dopo un'analisi attenta capii che stava solo fingendo. L'aveva sentito e come: aveva incrociato le braccia in petto, la postura si era irrigidita e i suoi occhi grigi si erano induriti spaventosamente mentre che mi rispondeva.
Dopo qualche istante poi passò ad un gelido e tagliente sorriso:
- Beh, stavolta non perderai i sensi. Contenta? -
Tornai a lanciargli uno sguardo di fuoco:
- Al settimo cielo. - risposi quasi con un ringhio.
Incurvando appena le labbra lo vidi avanzare di qualche passo verso di me. Sospirai rumorosamente: quella era la seconda volta che ero costretta a farmi toccare da qualcuno senza che io potessi allontanarlo.
Il ragazzo si accovacciò appena per tenere lo sguardo poco distante dal mio alla stessa altezza, dopodiché tirò fuori una benda scura e me la mostrò.
- In compenso dovrò metterti questa. - disse poi, cominciando già a spostarmi i capelli.
Alzai gli occhi al cielo e sbuffai, cercando di sopportare e non perdere ancora la pazienza.
- Hai dei capelli terribilmente simili a quelli... di una persona. - disse poi atono, con mia grande sorpresa.
Lo vidi sospirare appena, tenendo lo sguardo basso.
- E... chi? - mi azzardai a chiedere, capendo dalla improvvisa tristezza del suo sguardo che doveva essere una persona importante.
- Nessuno. - rispose lui, tornando freddo e indecifrabile.
- Comunque... Io sono Alec. -
Restammo a fissarci appena per qualche secondo... Beh, di certo non avrei potuto dirgli: “Io Sofia, piacere di conoscerti!”, no?
Mi limitai così ad annuire:
- Tu sai già chi sono io. -
Alec riabbassò lo sguardo sulla benda che teneva ancora fra le mani. Il suo viso parlava più di mille parole, e anche quello mi ricordò subito Mello. Tanta maturità e sofferenza concentrata su un volto così giovane.
- Già. - rispose semplicemente.
- Ora basta parlare. - e detto ciò, mi coprì gli occhi con la benda.
Non spese una sola parola per rassicurarmi, né tanto meno per dirmi come ci saremmo arrivati di nuovo a casa di Mello... ma non potevo certo aspettarmi che lo facesse.
Ero solo curiosa. Com'era diventato lui uno Spector? Qual era la sua storia? Quando era venuto a prendermi sembrava quasi un mostro... ma in fondo avevo solo sentito la sua voce, non avevo visto il suo viso, non avevo letto i suoi occhi, e ora che avevo potuto farlo capivo che non era così spietato e cattivo come mi era parso all'inizio. Era un'armatura, sicuramente. Ne ero quasi certa.
Mi liberò velocemente dalle catene che mi tenevano legate alla sedia, ma mi tenne quelle alle mani, compresi i guanti di gomma. Cingendomi la schiena con un braccio e tenendomi una mano sul gomito mi fece camminare velocemente verso l'uscita. Per tutto il tragitto concentrai le mie attenzioni sull'udito e su ciò che sentivo: l'eco dei nostri passi, porte che si aprivano e si chiudevano... ma nient'altro che non fosse causato dai nostri spostamenti. Dopo essere usciti dall'edificio andammo più veloci, quasi correvamo, e lo facemmo per un po'. Arrivati ad un certo punto poi, ci fermammo bruscamente e salimmo su una macchina. Gli interni in pelle mi ricordarono la limousine su cui ero salita qualche ora prima con Sarah e Mello. Dopo un arco di tempo che non riuscii a calcolare infine, finalmente, Alec mi tolse guanti e manette e con mio grande piacere mi liberai con le mie stesse mani anche della benda.
Per un attimo la possibilità di poter usare di nuovo i miei poteri mi fece venire una strana idea in mente...
- Non provarci. - mi ammonì Alec all'istante, come se mi avesse appena letto nel pensiero.
- … Sei arrivata, vedi? - disse poi, indicandomi il cancelletto scuro della villa di Mello oltre il finestrino scuro.
- Se usassi i tuoi poteri adesso creeresti solo disordine senza concludere niente. -
Tornai a fulminarlo con lo sguardo, ora che potevo.
- Chi ti dice che l'avrei fatto? - risposi infastidita.
Alec alzò di nuovo le spalle, stavolta insieme allo sguardo, con aria annoiata.
- Istinto. - rispose poi, e senza aggiungere altro mi fece segno che potevo andarmene.
- E Mello? Sarah? -
- Sono tutti dove li hai lasciati. Li troverai in casa. -
Guardai di nuovo la villetta oltre il finestrino, poi di nuovo Alec.
Non credevo che sarebbe stato così semplice... e comodo.
Vidi Alec rialzare un sopracciglio scuro come i suoi capelli:
- Beh? -
Svolazzò le sue dita in aria come si fa con un animaletto indesiderato.
- Sciò! Via! -
Non me lo feci ripetere ancora. Senza saluti né arrivederci aprii la portiera di quella che in effetti era davvero una limousine e di corsa superai il cancelletto con un solo salto, bussando poi alla porta. Dopo svariati tentativi e lunghe suonate di campanello, finalmente la porta si riaprii.
- Ma che... -
- Mello! - senza neanche pensarci gli buttai subito le braccia al collo e lo strinsi forte, sprofondando il viso sul suo collo.
All'inizio non ricambiò, forse per la sorpresa, poi però le sue braccia si decisero a circondarmi a loro volta.
- Sofia... - sospirò, con una nota evidente di sorpresa nella voce.
- Pensavo... che non sarei più tornata. - gli dissi con voce tremante.
- Ehi, adesso calmati. - gli sentii rispondere, sciogliendo l'abbraccio.
- Che ci fai qui fuori? Dove sei stata? -
- Oh non ne hai idea! -
- Okay, parliamone dentro... -
Con una mano mi fece segno di entrare, ed io lo feci. Poco prima che richiudesse la porta mi voltai verso la strada: come avrei dovuto aspettarmi, la limousine non c'era più.


ANGOLO AUTRICE
Beeeeene, lo scorso capitolo non ho fatto un angolo autrice perché ero davvero distrutta, capitemi, ogni tanto succede a tutti.
Ad ogni modo! Le faccende si stanno facendo serie qui! Forse è un po' noioso come capitolo questo, sotto il punto di vista sentimentale... ma direi che era necessario!
Non preoccupatevi... Presto ne vedrete ancora delle belle: Ryuzaki è resuscitato! Yeeeeehhh!
Che ne pensate? E' riuscito bene? Ultimamente sto faticando un po' per continuare la storia perché sono presa da tantissimi impegni e quando sono libera sono distrutta!
Ma è sempre un piacere tornare al mio buon vecchio posto alla scrivania per tornare al mio mondo. Anzi, al NOSTRO mondo!
Perdonate i miei infiniti ritardi, chiedo per sempre venia!
P.S.
Vi adoro!
Fatemi sapere che ne pensate! <3

   
 
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