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Autore: Delena85    05/09/2014    1 recensioni
Lilian ha vent'anni e vive con suo padre, frequenta la facoltà di medicina e spera, un giorno, di diventare proprio come lui. Ha gli occhi di sua madre e lo stesso colore di capelli, ma di lei non sa nient'altro, tutto ciò che la riguarda è avvolto nel mistero. Suo padre non la nomina mai e l'unica volta che ha provato a chiedere spiegazioni la sua risposta è stata:
“Un giorno o l’altro ti parlerò di me e tua madre… e, forse, tutto ciò che hai sempre pensato di me cambierà"
Per anni ha atteso con pazienza che quel giorno arrivasse ma ora è stanca di aspettare, vuole risposte e le avrà!
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Ventisette anni prima

Era il primo giorno d’autunno, le vacanze estive erano ormai solo un ricordo e la scuola si era riaperta già da alcuni giorni. John attraversava i corridoi con alcuni libri sotto il braccio e il giubbino di Jeans gettato sulla spalla. Aveva solo diciotto anni e con la spensieratezza e la spavalderia, di chi sa di aver ogni ragazza carina del liceo ai suoi piedi, si preparava ad un altro giorno di lezioni.
Il professor Cooper avrebbe ripreso a parlare della guerra di secessione, interrotta il giorno precedente, l’insegnate di matematica avrebbe introdotto l’ennesimo argomento che nessuno avrebbe capito, il suo compagno di banco l’avrebbe fatto notare, scatenando l’ilarità di tutti, e la giornata sarebbe scivolata via così come tutte le altre. Sarebbe arrivato il suono della campanella e tutti sarebbero tornati ad occupazioni più divertenti, dimenticando per qualche ora di essere studenti del liceo. Lui avrebbe richiuso i suoi libri, avrebbe scelto la ragazza di turno con cui passare il pomeriggio  e tutto sarebbe stato esattamente uguale al giorno precedente.
John non ne aveva il minimo dubbio e con un pizzico di noia continuava a camminare lentamente verso la sua aula, così da non arrivare troppo presto, non gli piaceva comportarsi da primo della classe, anche se lo era. La sua unica aspirazione era diventare medico, tutto il resto: la scuola, le ragazze, gli amici non erano altro che un mezzo per arrivarci nel modo più piacevole e redditizio possibile.
Svoltò l’angolo fischiettando un motivetto infantile e prima che potesse sollevare lo sguardo fu letteralmente travolto da una ragazza che correva nel corridoio.
“Sta’ attenta” la ammonì spazientito raccogliendo i suoi libri. La sua voce trasudava sarcasmo e sdegno, e non si degnava nemmeno di guardarla.
“Scusa non volevo” farfugliò lei con evidente imbarazzo. “Cercavo solo di arrivare puntuale in aula, sono nuova e non sono molto pratica” aggiunse giustificandosi.
“Non ho bisogno di una spiegazione dettagliata di tutti i tuoi drammi.” la schernì scambiandola per l’ennesima matricola che non sapeva dove diavolo andare.  “Cerca solo di stare più attenta la prossima volta”
“Certo” acconsentì e il suo tono rimase dolce e fermo come prima. Non sembrava affatto infastidita dai suoi modi bruschi.
Incuriosito dal suo atteggiamento remissivo, John sollevò lo sguardo incontrando il suo viso e si sentì come se improvvisamente la terra sotto i suoi piedi si stesse aprendo e lui sprofondasse, continuando a cadere all’infinito.
Occhi blu come il mare in tempesta lo fissavano, incastonati in un volto  che non avrebbe mai più dimenticato.
“Chi sei?” le disse non riuscendo a pronunciare nulla di più sensato.
Lei lo guardò, sconcertata da quel repentino cambiamento d’umore, il sarcasmo era sparito dalla sua voce così come il fastidio dal suo volto.
“Mi chiamo Georgie”
“Non sei una matricola?” chiese retorico, sembrava piuttosto confuso.
“No sono al terzo anno, mi sono trasferita qui da poco” chiarì e si scostò una ciocca di capelli oro pallido dal volto, accennando un sorriso.
John  la fissò per un lungo momento, assomigliava a un pulcino spaurito, un pulcino sexy e devastante, ma pur sempre un pulcino.
Sorrise a quel pensiero e lei fece lo stesso di riflesso, e questo la rese ancora più bella ai suoi occhi. Non c’era malizia o superbia dietro la sua bellezza, non c’erano strati di trucco ad addolcire i lineamenti o abiti provocanti ad accentuare le sue curve. Georgie era pura, ingenua, il suo sguardo era una finestra spalancata sul suo cuore e John vi si immerse senza nemmeno rendersene conto.
Stordito, continuava a guardarla non riuscendo a distogliere lo sguardo dal suo volto, Poi la lancetta dell’orologio sulla parete scattò segnando le otto e trenta, e lo risvegliò dal suo torpore, la lezione stava per cominciare e lui, anche se in ottima compagnia, non aveva alcuna intenzione di presentarsi in ritardo.
Si staccò dalla parete con disinvoltura e passandole fin troppo vicino le disse:
“A presto Georgie” 
Il suo alito bollente le sfiorò l’orecchio e un brivido le attraversò la spina dorsale lasciandola senza fiato, non gli rispose, le sue labbra rimasero serrate e solo quando riuscì a ritrovare il controllo di sé si volse stupita dal quel gesto così intimo, e accarezzando con lo sguardo la sua schiena muscolosa lo seguì fino a che  non sparì dietro l’angolo.
Non aveva mai conosciuto nessuno più strano di lui, e nemmeno più bello. Il suo viso era paragonabile a una scultura, con magnifiche sopracciglia scure arcate, un naso sottile e dritto, la bocca ferma e sensuale, e occhi d’ambra dorata che brillavano dietro ciglia folte.
“Che stupida, non gli ho chiesto nemmeno come si chiama” rifletté battendosi il pugno nella mano e sarebbe corsa a cercarlo se la campanella non avesse suonato avvisandola che le lezioni stavano per cominciare. “Oh mio Dio è tardissimo”
Girò sui tacchi nervosamente e in preda all’agitazione raggiunse la sua aula. Bussò con fin troppa foga e non appena la voce della professoressa di scienze risuonò dall’interno, fece scattare la maniglia aprendo la porta.
La signora Jones era una donna sulla sessantina, dai capelli scuri e gli occhi verdi, magra e dall’aspetto malaticcio.
“Entra pure” le disse in tono arcigno “tu devi essere la nuova studentessa: Georgie Duncan”
Georgie spostò il peso del corpo da un piede all’altro, intimidita dal suo volto, un  cipiglio autoritario creava delle piccole rughe tra gli occhi e tendeva le sue labbra in una linea ferma.
“Sì signora”
“Molto bene, c’è un posto libero in terza fila, vicino a tua cugina Summer, puoi accomodarti lì”
La ragazza annuì diligentemente e scortata dagli sguardi curiosi dei suoi nuovi compagni raggiunse il suo posto.
“Si può sapere dove diavolo eri finita?” la riprese Summer, sottovoce, non appena si fu seduta.
“Ho incontrato un ragazzo nei corridoi e ci siamo scontrati e io…te lo spiego dopo” farfugliò distogliendo lo sguardo dagli occhi nocciola di sua cugina.
La signora Jones le stava fissando in cagnesco e battendo le mani tentò di richiamarle all’ordine
“Allora, vogliamo cominciare la lezione?”
Le due ragazze annuirono prontamente e prima che lei potesse aggiungere altro aprirono con zelo i loro libri.
La lezione sulle rocce fu più noiosa di quello che avrebbero mai potuto immaginare, i minuti scorsero con una lentezza esasperante e quando la campanella suonò, un sospiro di sollievo generale sfuggì alle labbra di tutti i presenti.
“Finalmente è finita non ne potevo più” esclamò Summer abbandonando con gioia il suo posto “La scienza non fa per me”
“Il problema non è la materia, è l’insegnante. La signora Jones manca di passione, se solo si impegnasse di più nell’esporre i concetti credo che tutti la adorerebbero”
“Oh Georgie non cambi mai, cerchi di trovare del buono ovunque” la canzonò prendendola sottobraccio “La professoressa Jones è una pessima insegnante, tutto qui, e credimi non sarà un pizzico di passione in più a cambiare le cose”
Georgie piegò le spalle con rassegnazione e sorridendo al volto gioioso di sua cugina si lasciò condurre fuori dall’aula. E il resto della mattina continuò, più o meno, allo stesso modo.
Lei e Summer seguivano gli stessi corsi, e questo le facilitò di molto le cose, sua cugina era un vulcano di simpatia, un tipetto tutto pepe dall’aspetto minuto e il sorriso contagioso, che la faceva sentire a casa ogni volta che appariva sul suo volto.
Trasferirsi non era stato affatto semplice ma non aveva avuto scelta, suo padre era morto di cancro e sua madre…beh lei se n’era andata molto tempo prima. Georgie non la ricordava affatto e ultimamente aveva cominciato a pensare che fosse molto meglio così, non aveva alcun interesse a conoscere una donna che l’aveva abbandonata quando era ancora in fasce. Preferiva vivere con sua zia Susanne e suo zio Tom, loro almeno la amavano e non avevano esitato un istante ad accoglierla in famiglia come una figlia. E poi c’era Summer che non la lasciava mai,  seguendola ovunque come un’ombra.
Le si sedette a fianco durante tutte le lezioni e la accompagnò in mensa. Presero posto in fondo, in uno dei tavoli ancora vuoti, la sala si stava riempiendo a poco a poco e, temendo di essere interrotte prima del tempo, Summer si affrettò a porle quella domanda che l’aveva tenuta sulle spine per tutta la mattinata.
“Allora vuoi dirmi che ti è successo?”
Georgie si strinse nelle spalla con noncuranza, inconsciamente sentiva che era meglio non dare troppa importanza a quell’incontro.
“Te l’ho detto, camminavo per i corridoi e sono andata a sbatte contro un ragazzo” spiegò non entrando troppo nel dettaglio
“E poi?”
“Gli ho chiesto scusa”
Summer si agitò sulla sedia, le risposte monosillabiche di Georgie le facevano venire l’orticaria
“Georgie voglio i dettagli: dove è successo, quando e soprattutto: CHI?”
“Non ho idea di chi fosse, il suo atteggiamento era così strano che ho dimenticato di chiedergli il suo nome”
“Ah  sei un disastro…era carino almeno?”
Georgie non rispose ma un sorriso involontario tese le sue labbra
“Lo era eccome” rispose Summer al suo posto “Descrivimelo, se era carino lo conosco di certo”
“Ok” acconsentì e si fermò un attimo a riflettere su cosa dire.
L’aspetto di quel giovane l’aveva colpita nel profondo e non voleva risultare vanesia o sciocca agli occhi di sua cugina. Era meglio minimizzare, la prendeva in giro fin troppo spesso e quando poteva preferiva evitarlo.
“Era alto, muscoloso ma non troppo, con folti capelli castani e…” la voce le si spense e il suo tentativo fallì miseramente, vanificato dal suo ingresso in mensa.
Un gruppetto di ragazzi gli camminava intorno scambiandosi pacche sulla spalla mentre lui se ne stava impassibile con lo sguardo fisso davanti a sé e il giubbino gettato sulla spalla. Era ancora più bello di come le era sembrata poche ore prima, la maglietta nera con lo scollo a v gli fasciava il petto, mettendo in evidenza il torace scolpito, e Georgie non riusciva a distogliere lo sguardo.
“Ehi che ti prende?” le chiese Summer preoccupata
“E’ lui” esclamò in un soffio
Sua cugina balzò sulla sedia eccitata, voltandosi immediatamente verso la direzione indicata dal suo sguardo.
“Quale? Quello bruno con il giubbotto della squadra di Football?” le chiese intercettando lo sguardo di Bob Northon, che sghignazzava come un ragazzino alle spalle di John.
Georgie scosse la testa completamente rapita da quegli occhi d’ambra, che anche da così lontano avevano il potere di ipnotizzarla.
“No, quello con il giubbino di Jeans gettato sulla spalla” chiarì e, come se l’avesse sentita, John sollevò gli occhi di scatto incrociando il suo sguardo e non lo distolse nemmeno quando lei tornò a voltarsi verso sua cugina.
“John Monroe?” le chiese Summer, fissandola con stupore “Tu sei andata addosso a John Monroe?” ripeté come un disco rotto “ E lui cosa ti ha detto?”
Georgie si morse un labbro per non scoppiare a riderle in faccia, a giudicare dalla reazione di sua cugina doveva essere il ragazzo più popolare, e inaccessibile, della scuola.
Lo guardò di nuovo ma il suo sguardo era rivolto altrove.
“All’inizio mi ha tratta freddamente ma poi è stato gentile e mi ha chiesto le solite cose suppongo”
“Tipo?” insisté con determinazione
“Chi ero, da dove venivo, poi… non so come spiegarlo…mi ha guardata in un modo strano, unico, in realtà nessuno mi aveva mai guardata in quel modo” aggiunse pensierosa, ricordando l’intensità del suo sguardo dorato, ne sentiva ancora il tocco bollente sulla pelle come se l’avesse marchiata a fuoco.
 “John Monroe ti ha guardata in un modo unico? Ok tu hai le allucinazioni” sbuffò Summer deridendola apertamente.
“E’ vero Summer, se lo avessi visto diresti lo stesso anche tu”
“No Georgie. John Monroe non guarda noi povere mortali in quel modo, anzi oserei dire che non ci guarda affatto, lui ci ignora  e fidati essere ignorate è già una gran conquista”
In qualsiasi altra occasione, Georgie avrebbe finito sicuramente con il credere alle sue parole, era lei quella determinata, ma non questa volta. sapeva cosa aveva visto e non lo avrebbe dimenticato tanto facilmente.
“Perché parli in questo modo? Io non credo che lui sia così snob come lo descrivi”
Sua cugina  sollevò gli occhi al cielo con esasperazione, un ‘altra vittima del fascino di John Monroe pensò provando pena per il suo povero cuore. Ancora qualche settimana e l’avrebbe pensata esattamente come lei, doveva solo metterla in guardia.
“Credimi lo è, o almeno lo è in quanto a ragazze. Per suscitare il suo interesse dovresti avere almeno una quarta di seno ed essere il capitano delle cheerleaders, e non mi pare che tu abbia nessuno di questi requisiti. Sei bella, questo è sicuro, e hai gli occhi più limpidi che abbia mai visto, ma fidati John Monroe non guarda certi dettagli, sei troppo ingenua e docile per i suoi gusti.”
Georgie non rispose, in qualche modo le parole di sua cugina l’avevano ferita, anche se non riusciva a comprenderne la ragione, dopotutto cos’altro avrebbe potuto aspettarsi da lui, era bello come pochi, ed era logico che ne approfittasse, specialmente considerando che erano tutte pazze di lui, senza esclusione, perfino Summer, che ne parlava quasi con disprezzo,  avrebbe fatto carte false per averlo, ne era certa.
Per quale motivo lei avrebbe dovuto essere diversa? Non era una donna anche lei? non aveva un cuore fatto di carne e sangue come tutte le altre? Non aveva emozioni o speranze?
E allora perché credere che lui l’avesse guardata diversamente doveva essere così sbagliato?
Georgie non era mai stata ostinata, eppure in quel momento lo divenne, qualcosa dentro di lei le suggeriva che aveva ragione, e non credette a nulla di ciò che sua cugina aveva detto. John Monroe aveva visto qualcosa in lei, qualcosa di unico, qualcosa che nemmeno lei sapeva di avere ma c’era e ora ne era consapevole.
“Parlami di lui?”
“Non hai sentito quello che ti ho detto?” protestò Summer
“Ti ho sentita, ma non mi interessa”
Il suo tono non lasciava possibilità di replica, voleva sapere tutto di lui e se sua cugina non voleva parlargliene avrebbe trovato qualcun altro  disposto a farlo.
“E va bene” acconsentì rassegnata “Ma poi non dire che non ti avevo avvertita”
Georgie tornò a sorriderle con benevolenza e lei cominciò un resoconto dettagliato su quel ragazzo che, con uno sguardo, le aveva stregato l’anima.
“John Monroe è il figlio dell’avvocato Monroe, quell’uomo dall’aspetto gentile e gioviale che abita in quella grande villa ai piedi della collina. Ha perso sua madre quando aveva solo dieci anni, non so come è morta, aveva dei problemi al cuore. E da allora ha un unico chiodo fisso, diventare un cardiologo affermato”
“Davvero?” le chiese Georgie incantata, le faceva uno strano effetto immaginare che un ragazzo così popolare avesse anche delle aspettative così alte.
“Sì è molto bravo, e sarà di certo lui a fare il discorso di commiato” ammise con non troppo entusiasmo facendole capire che questa non era altro che la parte bella della storia.
“Beh mi sembra tutto molto positivo?”
Summer sospirò tristemente
“Certo, potrebbe esserlo, se solo lui non fosse sempre così glaciale. Non si lega mai a nessuno, se ne sta sempre in disparte, le sue ragazze non durano che poche settimane e i suoi amici…beh non sono nemmeno sicura che ne abbia. John Monroe è un ragazzo incomprensibile, a volte ho come la sensazione che non sia nemmeno di questo pianeta”
“Oh andiamo Summer non esagerare” la riprese con un sorriso
“Non sto esagerando Georgie” scattò sulla difensiva “Ma a quanto vedo sei troppo presa da lui per credere alle mie parole, giudicherai da sola. Speravo di risparmiarti questa delusione ma purtroppo non credo sarà possibile”
E con queste ultime parole si alzò dalla sedia con il vassoio in mano, gettò i resti del suo pranzo nell’immondizia e si avviò senza aspettarla verso l’uscita.
Sconcertata dalla sua reazione, Georgie rimase a fissare la porta per molto tempo dopo che se ne fu andata. Ma solo molti anni dopo capì quanto le sue preoccupazioni fossero fondate.
   
 
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