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Autore: Halley Silver Comet    25/09/2014    21 recensioni
Sullo sfondo degli eclettici Anni ’80 si intrecciano fiaba e realtà, traffici illeciti e misteri, pregiudizi e desideri di libertà, mettendo alla prova i quattro protagonisti.
Ci sarà ancora tempo per il tanto sospirato lieto fine?
Il ragazzo buttò fuori l’aria tutta insieme, mandando al diavolo i suoi buoni propositi di seguire i consigli della meditazione orientale o qualsiasi cosa fosse.
«Buongiorno a te, Vittoria».
Stropicciandosi gli occhi, la nuova arrivata si avvicinò al tavolo e si sedette di fronte a lui.
«Ti ho disturbato?» domandò, reprimendo faticosamente uno sbadiglio.
«No, figurati. Dubito che possa sentirmi più infastidito di così» sbottò il giovane, sarcastico: non ce l’aveva con l’amica, ma davvero cominciava a trovare insopportabile tutta quella scabrosa situazione.
A tale risposta, la sua interlocutrice lo fissò sorpresa, ma non aggiunse nulla, probabilmente intuendo l’inquietudine che lo logorava da dentro; ciononostante, Marcello un secondo più tardi si pentì di essersi rivolto a lei in quel modo poco gentile. In fondo, non era certo colpa di Vittoria se quello schifoso di Navarra aveva deciso di sequestrare Beatrice
.”
Genere: Commedia, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Vento dell'Ovest - Capitolo 3



- Capitolo Terzo -
Vento di Intrecci







Secondo Marcello, il chiacchiericcio dei turisti e gli schiamazzi felici dei bambini, in quella mattina di ottobre inoltrato, rendevano Via della Conciliazione fin troppo caotica e chiassosa. A dire il vero, non è che ci fosse poi chissà che folla; molto probabilmente, era solo il ragazzo ad essere insofferente, per via dell’incontro che avrebbe avuto con Lord Carter, pertanto si sentiva disturbato anche da ciò che, in un’altra situazione, l’avrebbe lasciato indifferente.
«Scommetto che nemmeno durante il recente incontro tra Gorbačëv e Reagan c’è stata tutta questa tensione» esordì Gerardo, con un sorrisetto tirato, mentre svoltavano verso destra, in direzione di Via di Porta Angelica.
«Carter può essere pericoloso quanto la Guerra Fredda, almeno rimanendo in termini di affari» commentò Marcello, tetro.
Prima di proseguire, gettò un’occhiata all’imponente facciata della Basilica: San Pietro dominava la scena e la sua cupola, rifulgente di luce bianca, si stagliava contro un cielo azzurro pastello.
I due ragazzi giunsero poco dopo al Caffè del Borgo1, chiesero ad un cameriere se Lord Carter fosse, per un puro caso, già dentro ad attenderli e, avendo ricevuto risposta negativa, decisero di rimanere fuori.
«Arriverà con mezz’ora buona di ritardo» affermò Marcello, guardando le lancette del suo orologio, puntate sulle dieci e cinque.
«Come minimo» rispose Gerardo. «Ho sentito dire che, talvolta, si è presentato anche diverse ore dopo l’orario stabilito».
«Non credo convenga aspettarsi molto rispetto, da uno come Edward Carter» sentenziò il biondo accomodandosi sul massiccio bordo di una fioriera vuota. L’amico lo imitò e lì attesero entrambi, pazientemente.
Le campane di San Pietro stavano battendo le undici e mezza, quando il miliardario britannico ed il suo segretario fecero la loro comparsa, a bordo di una berlina nera tirata a lustro.
«In perfetto ritardo» borbottò Tornatore, suscitando l’ilarità dell’altro, il quale ben camuffò la risatina con un colpo di tosse.
Carter, accompagnato da un giovane uomo, scese dall’auto, dirigendosi subito verso i ragazzi. Non era stato difficile per loro individuare chi dei due fosse il magnate, giacché era l’unico nella coppia ad aver superato abbondantemente la cinquantina: un uomo dai capelli neri striati di bianco, ordinatamente pettinati all’indietro, un paio di baffetti sottili e piccole rughe intorno agli occhi. Marcello trovò che fosse una plausibilissima versione più matura di Clark Gable in Via col Vento.
«Good Morning» salutò l’imprenditore, stringendo la mano ai due giovani. «Scusate l’inconveniente ritardo, ma sono insorti dei disguidi... Io e il mio assistente siamo stati finora a discutere di affari».
“Perché, con noi devi parlare del tempo?” pensò il ragazzo, infastidito dall’approccio, facendo dell’ironia sulla proverbiale mania degli inglesi di discutere delle condizioni atmosferiche.
«
Sì, eravamo impegnati con affari molto, molto importanti» replicò l’uomo che accompagnava Carter. «A proposito, John Miller, piacere».
I due giovani strinsero la mano anche a lui, poi tornarono a guardare il magnate, che sembrava irritato da qualcosa.

«
Fa veramente troppo caldo qui. Siamo ad ottobre e ancora ci sono queste temperature. E poi, hanno il coraggio di dire che l’Italia ha un clima invidiabile!»
Il biondo increspò le labbra e rimase a fissare Carter in tralice; ogni secondo che passava quell’uomo gli stava sempre più antipatico. Aveva un modo di dire ciò che pensava fin troppo gretto e rozzo, per essere un pezzo grosso dell’economia britannica; stando a quello che aveva detto Vittoria, aveva anche ricevuto l’onorificenza di Sir dalla Regina in persona, in virtù dell’ottimo lavoro svolto nel campo degli investimenti della nuova industria.
Entrarono nel locale, dove un signore sulla sessantina, probabilmente il proprietario, dopo aver profusamente salutato Carter, li fece accomodare in una sala situata al piano di sopra. A giudicare dal comportamento di entrambi, sembrava si conoscessero molto bene.
L’interno era abbastanza luminoso, sebbene la stanzetta fosse davvero piccola: l’arredamento era elegante, ma assomigliava più ad un ufficio che ad una sala da tè. Anzi, la libreria, il tavolo da biliardo e il tavolino quadrato la rendevano molto simile ad una bisca.
Marcello si chiese se non fosse una specie di ufficio che Carter era solito usare, allorquando si trovasse a Roma, per gestire i suoi affari. Legali ed illegali.
Si accomodarono al tavolo ed immediatamente Miller consegnò ai due giovani un plico di fogli, in attesa che il miliardario cominciasse a parlare. Cosa che non tardò ad avvenire.
«Come potrete leggere dalla brochure informativa che vi ha dato John, il progetto per il quale stiamo cercando dei partner finanziatori riguarda qualcosa che guarda al futuro. Vale a dire, una piattaforma per l’estrazione del petrolio, da costruire nel Mare del Nord
» snocciolò Lord Carter, fiero di ciò che stava proponendo.
«
Un progetto ambizioso» commentò Marcello, in perfetto inglese, alzando appena lo sguardo dai fogli. «Ma perché non prendere in considerazione il Medio Oriente? Anche lei è contro il selvaggio sfruttamento delle risorse dei paesi meno industrializzati?»
In realtà, il ragazzo aveva già un sospetto sulla risposta che avrebbe ricevuto, ma doveva mostrarsi un po’ ingenuo se voleva davvero sapere fin dove voleva spingersi il magnate.
«Niente affatto. Ci sarebbe piaciuto aprire un’altro impianto di nostra proprietà in Kuwait... ma già la costruzione del primo ci ha dato qualche problema con l’Unione Sovietica e con gli Stati Uniti, senza contare che entreremmo in conflitto con la British Petroleum2. Così, abbiamo deciso di rivolgerci altrove, anche per offrire all’industria petrolifera uno sbocco in Europa» spiegò l’imprenditore, con un sorriso sottile. «Senza dover elemosinare l’odioso aiuto di altri».
Gerardo lanciò uno sguardo di sbieco al suo amico: evidentemente anche lui stava cominciando a capire che razza di persona fosse l’uomo che avevano davanti.

«Si vocifera che la British Petroleum voglia acquistare la Britoil
» disse Marcello, incrociando le braccia sul petto. «Ovvio che non voglia altri concorrenti, nel momento in cui si sta espandendo. Però, Lord Carter, non capisco una cosa: il Mare del Nord, per quanto ricco di petrolio, non può assolutamente reggere il confronto con i giacimenti del Caucaso e dei Paesi Arabi. Siete sicuri che costruire lì sia un buon investimento?»
«
Abbiamo fatto delle ricerche. I nostri periti hanno stabilito che la zona è più che adatta al nostro progetto» intervenne Miller, alzandosi in piedi, adirato, come se fosse stato toccato un argomento delicato. «Nelle ultime pagine del dossier ci sono i resoconti delle perizie...»
«Non ho una laurea in ingegneria chimica e nemmeno in geologia, non credo di avere le competenze necessarie per capire ciò che c’è scritto. Mi sembra inutile farmelo leggere, non trova?
»
L’assistente prese nuovamente posto, senza staccare mai gli occhi dal ragazzo. Marcello fu sicuro che se avesse potuto l’avrebbe incenerito seduta stante, tuttavia, poiché il suo astio era pienamente ricambiato, forse Miller non avrebbe avuto la meglio.
Entrò, proprio in quel momento, il cameriere di prima, con in mano un vassoio con quattro bicchieri e una bottiglia di vino.
«
Oh! Wrotham Pinot, l’unico vino autoctono inglese!» esclamò Carter.
Il biondo questa volta poté osservare meglio l’inserviente e si sorprese della cicatrice sotto l’occhio che non aveva avuto modo di notare prima, accorgendosi che ogni nuovo particolare che scopriva gli faceva passare sempre di più la voglia di concludere un affare con quei tipi.
Una volta che i calici furono pieni, il signore andò via e Gerardo prese la parola: «Immagino che non saremo i soli a competere per la partnership, vero?
»
«
No, infatti» rispose Miller, pronto. «Già altre società ci hanno fatto diverse proposte. Di solito noi facciamo scrivere e firmare le offerte, quindi le apriamo tutte insieme alla presenza di un notaio e contattiamo il vincitore, ossia chi ha fatto l’offerta più vantaggiosa, con meno interessi».
«Sembra quasi una gara d’appalto» commentò il ragazzo. 
«
Infatti lo è. Lo Stato Britannico collabora per una buona percentuale nel progetto, pertanto ha disposto che sia fatto tutto secondo la legge» ci tenne a precisare l’assistente.
Gerardo e Marcello si scambiarono l’ennesima occhiata e, capendosi al volo, non posero altre domande.
Durante l’ultimo quarto d’ora dell’incontro, John Miller si affannò a spiegare a Gerardo quando e come loro avrebbero dovuto fare l’offerta per finanziare parte della costruzione della piattaforma (ignorò deliberatamente Marcello perché, probabilmente, l’aveva preso in antipatia), mentre Lord Carter, sorseggiando il suo vino, lanciò alcune occhiate inquisitorie ai due giovani, anche se non proferì più verbo.
Intorno all’una e mezza, i due inglesi salutarono i giovani e, sostenendo di avere altri importanti questioni da sbrigare, entrarono nella berlina e l’autista partì a tutto gas.

«Cosa ne pensi?» chiese Gerardo, non appena l’auto, con a bordo il miliardario e il suo assistente, sparì alla loro vista.
«Che non mi piace» commentò Marcello, lapidario. «Abbiamo fatto bene ad accertarci di persona di come stanno realmente le cose. Tuttavia, dobbiamo ammettere che, questa volta, le dicerie sul suo conto erano tutte vere: a quell’uomo interessa solo raggiungere i suoi scopi, non importa come».
«Vuoi dire che dobbiamo guardarci anche dai suoi intrallazzi?» chiese Gerardo, lanciando all’amico uno sguardo di complicità.
«Esatto. Ci sono contraddizioni in ciò che hanno detto lui e quel Miller, non me la contano giusta. Deve esserci sotto qualcosa di molto losco ed è meglio tenersene fuori» affermò con sicurezza il giovane. «Inoltre, credo che sarà lui stesso a sollevarci dall’incomodo di dirgli di no: non vinceremo mai l’appalto».
«Be’, in effetti, non penso proprio che voglia concederci la possibilità di entrare in affari con lui. Non si è mostrato molto ben disposto verso di noi».
«Oh, ci strapperemo tutti i capelli, per il dolore che ci provocherà questo rifiuto» osservò il biondo, con una buona dose di sarcasmo.
Il moro ridacchiò.
«Se ci fosse stata anche Vittoria, ti avrebbe dato man forte. Nemmeno lei ha una buona opinione su Carter» considerò, mentre si avviavano tutti e due sulla via di casa.
«A proposito di Vittoria, ho saputo che è venuta da te perché pensava avessimo litigato».
«Ah sì, è vero» rispose Gerardo, cambiando repentinamente espressione e rabbuiandosi.
«Cosa c’è?»
«Niente».
«Senti, Gerardo...» cominciò Marcello, come se si stesse preparando a sostenere un estenuante seduta per contrattare qualche affare. «Non facciamo inutili giri di parole. Se è per Maria Luisa sai benissimo che...»
«Maria Luisa non c’entra. O meglio, lo sai, mi piace come ragazza, ma la questione è più complicata di quello che è».
«Che vuoi dire?» chiese, fissando interdetto l’altro, il quale, dopo aver ricambiato l’occhiata, si preparò a replicare.
«Be, è vero che l’altra sera sono stato un po’ invidioso di te perché te ne sei andato sottobraccio a lei, tuttavia...»
Il biondo, esasperato, alzò gli occhi al cielo e sbottò: «Ma se ti ho detto poco fa che non mi interessa! Gerardo, non essere ridicolo. Non possiamo mandare a rotoli anni e anni di sincera amicizia per via di una gallina come Maria Luisa!»
L’amico lo guardò e si abbandonò ad un sospiro di stanchezza.
«In realtà, lo so che non ti interessa, ti ho visto andare via con quella ragazza dai capelli rossi...
ma il punto è che tu puoi scegliere con chi stare, io no. Perfino Vittoria, che ci conosce entrambi da tempo immemore, preferisce te a me».
«Vittoria? Ma se ti adora! Ha sempre una buona parola per te! Pensa che si preoccupava che potessi finire sotto il giogo della Foscari!»
Adesso, a Marcello non importava più di insultare quella cornacchia davanti a Gerardo: lo considerava più fratello di Tiberio, pertanto non poteva permettere che finisse sposato con quella lagna ambulante!
«Eh, già. Intanto si è fidanzata con quel carciofone dello scultore, la cara Vittoria!» commentò l’altro, con un misto di amarezza e disgusto.
«Gerardo, non mi piace il discorso che stai facendo» replicò a viva voce il biondo«Ho capito dove vuoi andare a parare: che devi accontentarti di chi sia disposta a sposarti. Ti sembra un ragionamento logico?»
«Forse non lo è, ma tu non puoi capire, Marcello. Io non ho le tue qualità, sei tu quello che eccelleva in matematica a scuola, il primo nelle gare sportive, il più bravo del nostro corso alluniversità, il più acclamato dalle ragazze. Io, invece, non posso aspirare ad una moglie piena di doti».
«Pensi davvero che bastino quelle cose ad affermarsi come persona?» domandò il giovane, incredulo.
Gerardo scosse la testa: 
«No, ma non puoi negare che avere una buona immagine aiuta. Credevo che, dopo essere stata rifiutata da te, con Maria Luisa avessi almeno un’opportunità».
Marcello sgranò gli occhi, dubitando per un attimo di aver davvero sentito bene.
«Non riesco a credere alle mie orecchie! Stai parlando come mia madre! Non dirmi che anche tu credi che uno si debba accasare a tutti i costi, anche se non ama la persona che sta sposando
«Non è proprio così» ribatté l’altro, insistendo sulla sua posizione. «Io vorrei sistemarmi anche perché, così facendo, forse, finirei di pensare alla donna che amo e che non posso avere, dato che è già impegnata».
«Aspetta un attimo. E chi sarebbe?» domandò Tornatore, sempre più confuso.
«Non importa il nome. Importa solo che io per lei sarò sempre invisibile» rispose Gerardo, sorridendo malinconicamente.
«Scusami, ma continuo a non capirti. Hai provato almeno a dire alla Ragazza del Mistero quello che provi per lei?»
«Sarebbe inutile, lascia stare. Anzi, lasciamo stare l’intera faccenda».
Marcello aggrottò marcatamente le sopracciglia, tanto che comparvero rughe profonde sulla fronte. Non riusciva davvero a credere che il suo migliore amico, una persona tanto buona e pacata, fosse arrivata a simili orribili conclusioni, riguardo al prender moglie.
«Dai, non starci troppo a pensare. Siamo amici come prima?» fece il ragazzo bruno, con il chiaro intento di sdrammatizzare, dopo aver osservato il cipiglio dell’amico.
«Ovvio... però... anche tu hai tante qualità. Vorrei che non lo dimenticassi» aggiunse Marcello, preoccupato per ciò che aveva udito.
«Certo, certo» rispose l’altro, facendo spallucce. «Allora ci riaggiorniamo domani, così da decidere come muoverci con Carter. Buona giornata, Marcello».
Il biondo ricambiò il salutò e rimase a guardarlo mentre si allontanava. Non avrebbe mai creduto che il suo migliore amico potesse essere geloso di lui e Vittoria, come se entrambi l’avessero escluso, come se fosse lo scarto del gruppetto. Gli sembrava quasi... risentito. Il solo fatto che Gerardo avesse potuto pensare cose simili, fece capire a Marcello quanto lamico soffrisse ad essere costantemente eclissato da lui. Cosa, per altro, assolutamente non voluta.
Erano cresciuti praticamente insieme, ma mai avrebbe sospettato che ci fossero questi celati dissapori. Gli dispiaceva vedere la persona che considerava al pari di un fratello così affranta e, in certo senso, rassegnata. Sicuro che anche Vittoria fosse del suo stesso avviso, il giovane si ripromise che ne avrebbe discusso anche con lei; magari insieme avrebbero trovato il modo di dissuadere il loro amico dal compromettersi per sempre, sposando Maria Luisa Foscari e le sue perpetue svenevoli lagne. Magari, in futuro, Gerardo avrebbe avuto modo di incontrare una fanciulla dolce e che sapesse apprezzarlo veramente.
Appuntandosi mentalmente il proposito, il ragazzo seguì il corso di Via della Conciliazione, così da prendere la metro e tornare a casa, quando, in una vetrina di una libreria, notò qualcosa che attirò la sua attenzione: un libro sulla vita e l’arte di Caravaggio ed il pensiero di Beatrice si materializzò istantaneamente nella sua mente.
In effetti, si trovava a pochi passi dalla Cappella Sistina e dagli uffici dei Musei Vaticani. Perché non provare a vedere se si potesse prenotare direttamente da lì?
Animato da quell’idea, decise che si sarebbe recato di persona a chiedere informazioni, ma prima voleva assolutamente acquistare quel libro: era certo che Beatrice avrebbe apprezzato il regalo almeno quanto i fiori e, con buone probabilità, persino Vittoria si sarebbe dimostrata soddisfatta della sua iniziativa.
Entrato nel negozio, il ragazzo si diresse immediatamente allo scaffale dove erano riposti i libri d’arte; e fu particolarmente fortunato, perché il volume che cercava era sistemato in una grande pila, segno che il negozio ne aveva copie in abbondanza. Ne prese una, ma, una volta alla cassa per pagare, notò che la cassiera era impegnata in tutt’altre faccende, infatti, stava gaiamente civettando con un giovane, mollemente appoggiato al bancone.
«Ma è veramente oro?» chiese la ragazza, ammirando il bracciale che aveva al polso.
«
Oro. Vero oro, vero come il mio amore per te, ma non abbastanza bello da eguagliare la tua bellezza» languì il ragazzo.
La ragazza emise una serie di snervanti risolini, mentre Marcello avvertì i denti che gli facevano male, certamente per la dose eccessiva di stucchevolezza racchiusa in quelle parole. 
«Signorina, mi scusi, io avrei una certa fretta. Perché non invita il suo corteggiatore a tornare quando non ci sono clienti?
» proruppe il giovane, senza celare il suo disappunto.
La ragazza trasalì e si fece paonazza, mentre l’altro si girava verso il biondo.
«Tornatore, i fatti tuoi non riesci mai a farteli, vero?»
«
No, Colonna. Traggo un particolare piacere dal romperti le uova nel paniere» rispose Marcello, avendo immediatamente riconosciuto nel suo interlocutore una delle persone che meno gradiva al mondo.
Ascanio Colonna sogghignò in maniera cattiva e sibilò: «Verrà il giorno in cui scenderai dal piedistallo che ti sei costruito. Oh, se scenderai
... ed io sarò lì, in prima fila, pronto a deriderti».
«Allora ricordati di prenotare. Quei posti vanno via subito, non vorrei che poi fossi costretto a rimanere in piedi».
Sul volto del giovanotto il sorriso appassì.
«Prima o poi ti passerà anche tutto questa voglia di scherzare, vedrai» sussurrò, sfidando il nemico con lo sguardo. Poi si voltò verso la commessa, dicendo: «Ci si vede, bambola!»
Girò sui tacchi ed uscì dal negozio. Marcello lo guardò allontanarsi, pensando che, anche se il futuro per lui avesse avuto in riserva dei brutti momenti, di certo non sarebbe caduto mai nelle bassezze di cui era capace Colonna.
«Un po’ di gentilezza non fa mai male, sa?» lo rimbrottò la ragazza, indispettita per la dipartita del suo corteggiatore.
«Ha pienamente ragione, ma solo con chi merita» replicò il ragazzo, asciutto. Pagò in fretta ed uscì dalla libreria, lasciando la cassiera particolarmente imbronciata. E si ritrovò a sorridere, pensando a come l’avrebbe presa quella ragazza, se avesse saputo che Colonna si intratteneva abitualmente con almeno altre dieci.
***

Quando Beatrice vide per la prima volta Campo de’ Fiori, subito ne rimase entusiasta. La statua di Giordano Bruno, posta lì in memoria del suo ingiusto rogo, sembrava un po’ fuori luogo tra i banchi dei mercanti, che cercavano di procacciarsi i clienti, declamando a gran voce la bellezza della propria merce.
I colori ed i profumi, però, conquistarono immediatamente la fanciulla, che prese a guardarsi intorno con grande curiosità.
«Stammi dietro e non ti perdere
» la richiamò scortesemente Anna Laura, precedendola di qualche passo. «Non ho intenzione di venirti a cercare, non ho tempo e tantomeno voglia!»
La ragazza si affrettò a seguire la cugina, evitando di ribattere: era talmente contenta di esser potuta uscire a fare acquisti (anche se, in realtà, le compere non erano per lei), che lasciò correre anche i borbottii della parente. Uscire con quest’ultima, però, non era semplice, dato che, per trovare il prezzo migliore, la donna aveva l’insana mania di fare il giro di tutte le bancarelle svariate volte, fermandosi ad ognuna per parecchi minuti, neanche fossero le stazioni della Via Crucis.
«
Qui sembrano avere buoni prezzi» mormorò Anna Laura, sbirciando il cartellino dei geranei.
Beatrice gironzolò attorno alla bancarella, incuriosita dalle buganvillee dai colori sgargianti: le sarebbe piaciuto avere una di quelle piante sulla veranda, magari da lasciar crescere lungo il reticolato, accanto al gelsomino, ma, dopo aver visto il prezzo, cambiò idea.
Forse sarebbe stato più saggio scegliere una piccola pianta da tenere in camera, una di quelle piccole piante grasse in vaso...
«Anna Laura!
»
La fanciulla si voltò, attirata da qualcuno che chiamava a gran voce la cugina. Fece scorrere lo sguardo lungo il corridoio che si era creato tra i banchi di fiori, cercando di capire chi fosse, e vide una ragazza in bicicletta che agitava una mano: stava venendo verso di loro. Non capì, d’impatto, di chi si trattasse, ma la ragazza era certa che non fosse un viso sconosciuto.
«
Oh, no! Quella poco di buono della Farnese!» gracchiò Anna Laura, come se avesse una spina in gola.
Vittoria fermò la bicicletta e scese con grazia, sistemandosi la gonna dell’abito azzurro e il cappello di paglia dall’ampia falda.
Beatrice osservò la nuova venuta e non poté fare a meno di pensare che fosse una ragazza davvero bella e non si sarebbe meravigliata se avesse scoperto che era una modella.
«Anche tu a far compere?» chiese la giovane, mentre posizionava il cavalletto, così da non far cadere il suo velocipede.
«Sì, stavamo dando un’occhiata, ma non c’è mai niente di bello da queste parti, sicuramente andrò da Mastelli, quello sì che è un vivaio».
«
Mastelli? Ma se ha chiuso per rinnovo del negozio!» notò Vittoria, perplessa.
Anna Laura assunse un cipiglio stizzito: «
Vorrà dire che il nostro giardino aspetterà. Solo i migliori possono metterci mano. E tu, Vittoria, come mai sei qui?»
«Cercavo qualcosa per colorare il salotto e ho trovato questo mazzo di tulipani rossi e arancioni, sono arrivati freschi dall’Olanda, guarda che belli!»
«
A me sembrano un po’ kitch» rispose l’altra, squadrando i fiori come se fossero erbacce infestanti.
«
Io invece trovo che siano adorabili» si intromise Beatrice, ingenuamente.
«Nessuno ha chiesto il tuo parere, sciocca ragazzina
».
Vittoria guardò la giovane, accorgendosi della sua presenza.
«
Chi è questa ragazza, Anna Laura?»
«Lei è mia cugina Bea... Scusala, manca di educazione
».
«Educazione? Solo per aver detto la sua su un mazzo di fiori?
» chiese l’altra interlocutrice, stupita. Poi si rivolse direttamente alla fanciulla. «Bea, da Beatrice, immagino. Come la donna amata dal Sommo Poeta».
«Sì, infatti preferisco esser chiamata con il mio nome intero» precisò la ragazza, lanciando un’occhiata risentita alla cugina, la quale ignorò l’osservazione.
«
Trovo che sia un bel nome...» commentò Vittoria, lasciando la frase in sospeso. Rimase a fissare per qualche secondo Beatrice e poi, come se avesse fatto un collegamento, esclamò: «Ora capisco perché hai un viso familiare: sei la ragazza che è andata via con Marcello l’altra sera!»
Anna Laura stritolò tra le mani il portafoglio, mentre la fanciulla spalancò le sue iridi blu.
«Lei conosce Marcello?»
«Oh, cara, non darmi del lei, chiamami solo Vittoria. E sì, conosco molto bene Marcello, siamo amici dall’infanzia!
» rispose la donna, sorridendo.
Beatrice rimase a dir poco sorpresa, come se quella rivelazione avesse un che di fastidioso e deludente. Improvvisamente si sentì molto triste.
«Anna, devi portare anche tua cugina alla mostra di Bartolomeo, assolutamente!
» esclamò Vittoria, avvicinandosi alla sua biclicletta. «Manderò l’invito ad entrambe. Ora scusate se vi lascio, ma devo correre a sbrigare delle importanti commissioni».
«Ma certo, chi vuole... voglio dire, figurati, non ti tratteniamo oltre».
La ragazza guardò Anna Laura con un leggero cipiglio, come se avesse afferrato l’ironia, tuttavia non ci diede peso. Salutò le cugine e ripartì in velocità.
«Oca starnazzante, che bisogno c’era di invitare anche te?
» brontolò la più grande delle due ragazze. «Solo perché hai avuto la fortuna sfacciata di aver conosciuto Marcello! E, comunque, Bea, imparerai che Vittoria Farnese non fa mai nulla per caso: sicuramente ti farà andare per dimostrarti che solo lei può vantare diritti su Tornatore!»
Beatrice guardò l’altra parecchio confusa.

«Cosa stai dicendo?
»
«
Quel Bartolomeo che ha nominato è il suo fidanzato. Ma lo sanno tutti che è una copertura, e che lo terrà solo finché non avrà trovato il modo di far cadere Marcello ai suoi piedi. Maledetta arpia, come se non le bastassero le schiere di uomini che le sbavano dietro! »
«In realtà... vorrebbe Marcello?
»
«Ma non è ovvio? Ah, sei solo una sciocca ragazzina che ancora non sa come va il mondo!
» sbraitò la donna. «E la Farnese non è altro che una bagascia lussuoriosa. Perfino Ascanio Colonna, un altro importante imprenditore, si è messo a farle il filo. Eh, ma Tornatore sarà mio. Lei e la Foscari devono stargli lontane! Vedremo chi la spunterà, dopo questa mostra!»
Beatrice seguì la cugina in silenzio. Sinceramente, a lei Vittoria aveva fatto una buona impressione e non credeva affatto alle maldicenze che erano uscite dalla boccaccia di Anna Laura. Ciononostante, doveva ammettere che una cosa era vera: Vittoria Farnese era amica molto stretta di Marcello Tornatore, e lo stesso ragazzo l’aveva accennato in più di un’occasione. Quindi la possibilità che tra di loro vi fosse del tenero non era poi così recondita.
La fanciulla sospirò forte e si strinse nel giaccone, avvertendo un freddo non avente nulla a che fare con il vento che aveva iniziato in quel momento a spirare.
***

«
La nebbia a gl’irti colli/piovigginando sale,/e sotto il maestrale/urla e biancheggia il mar declamò a gran voce il signor Rossiglione. «Continua tu, Beatrice. Ricordi la lirica di Carducci San Martino, vero?»
Ma la ragazza aveva la testa altrove. Erano trascorse circa due settimane dall’ultimo incontro che aveva avuto con Marcello: era già passata la metà di ottobre e non aveva ricevuto alcuna chiamata da parte del giovane. Magari aveva ragione Anna Laura, e aveva davvero aveva una relazione segreta con Vittoria, oppure si era dimostrato gentile con lei solo perché sarebbe stato sconveniente dirle in faccia che era solo una ragazzina petulante. Ma allora perché accettare il suo invito? Perché uscire con lei? Che l’avesse fatto sempre per cortesia e non perché provava un minimo di interesse nei suoi confronti?
«
Beatrice? Ci sei?» la richiamò il suo precettore, sventolandole una mano davanti agli occhi.
«Uh? Cosa?
» rispose la giovane, palesemente soprappensiero.
«Sono cinque minuti che cerco di attirare la tua attenzione
. Oggi hai la testa tra le nuvole più del solito».
Beatrice fissò il suo insegnante e sospirò: «
Mi scusi. Non sono molto presente».
«Non credo stamattina abbia molto senso proseguire, direi di riprendere domani
. Però cerca di rivederti Carducci, nel pomeriggio. Ricordati che affronterai l’esame di Stato come privatista, saranno molto severi con te» le disse, cominciando a riordinare i libri.
La ragazza era molto affezionata a quell’uomo paffuto e dai modi cortesi perché era stato uno dei pochi veri amici di Lapo Tolomei e, in quanto tale, si era preso la responsabilità di provvedere all’istruzione di Beatrice. Le dispiaceva non potergli confidare il perché delle sue distrazioni, dato che era l’unica figura che potesse somigliare abbastanza a quella di un padre, ma non voleva fare la figura dell’illusa.
Perché era questo, che in quel momento, Beatrice si sentiva di essere: semplicemente una bambinetta stupida, che si era lasciata abbindolare dal pensiero di poter piacere ad un ragazzo come Marcello.

«Sì, lo so, me l’ha già fatto questo discorso. E cerco di metterci tutto l’impegno possibile
» rispose la fanciulla, infastidita dalle considerazioni che aveva appena tratto. 
«
Si vede che ti impegni, Beatrice. Ho promesso a tuo padre che ti avrei aiutato a prendere il diploma e così sarà».
Rossiglione mise i libri e le penne nella borsa di cuoio consunto, la chiuse e se la mise in spalla.
«Ora riposati e cerca di sgomberare la mente dai pensieri molesti» le raccomandò, rivolgendole un sorriso tra il serio ed il divertito. Beatrice si chiese se l’uomo non avesse intuito tutto quanto; d’altra parte aveva più di cinquant’anni, ma un tempo era stato anche lui giovane e aveva perfino due figli, quindi certamente sapeva come fosse complessa la gioventù.
Lo accompagnò fino al cancello e lo salutò, augurandogli buon proseguimento di giornata. Fu solo quando rimase sola che Beatrice si concesse di tornare a torturarsi con i propri cupi pensieri, il suo animo era inquieto e le insinuazioni di Anna Laura, condite dai propri timori, scaturenti dal silenzio di Marcello, non facevano che peggiorare la situazione. Ciononostante, poiché la fanciulla era un tipino risoluto, arrivò alla conclusione che non servisse a nulla stare a rimuginare dentro di sé: doveva accertarsi di persona di come stessero le cose e, per fare questo, avrebbe potuto fare solo una cosa, ossia recarsi di persona da lui.
Rientrando in casa, lanciò un’occhiata nervosa all’orologio a pendolo del corridoio: era l’ora di pranzo, se si fosse messa in marcia subito forse sarebbe potuta arrivare a casa dei Tornatore per il primo pomeriggio.
Sarebbe stata la mossa giusta? Sarebbe stato educato? O sarebbe passata per una sfrontata? Be’, come diceva il detto, sempre meglio un rimorso che un rimpianto. D’altra parte era tutta questione di faccia tosta, no?
Ora che ci pensava, in realtà, aveva anche un plausibilissima scusa per cercare di rivedere Marcello: il soprabito che non gli aveva più restituito.
Corse di sopra, aprì l’armadio, trovò facilmente il capo d’abbigliamento del giovane e lo piegò, così da metterlo nella sua borsa di panno beige, poi si ravviò i capelli e scese di corsa le scale, sperando di uscire prima che rincasasse qualcun altro e la vedesse.
Se non ricordava male, Anna Laura le aveva detto che Marcello viveva in una casa nei pressi del quartiere pinciano e la fanciulla era certa che chiunque, fra gli abitanti del quartiere, avrebbe saputo indicargli la famosa villa. Senza indugiare oltre, aprì il cancello e si mise in strada, convinta che l’unico modo di mettere a tacere le dicerie fosse accertarsene con i propri occhi e le proprie orecchie.
***

Nel rincasare, dopo aver pranzato con alcuni suoi collaboratori, Marcello venne investito da urla acute provenienti dal giardino. Scocciato e affatto preoccupato (poteva, infatti, avere una chiara idea di cosa stesse succedendo, dato che si ripeteva ogni settimana lo stesso copione), decise di andare a dare un’occhiata.
La scena che gli si presentò davanti era tristemente familiare: Ortensia svenuta sul prato, una cameriera che le faceva aria con dei ventagli, un’altra che reggeva tra le braccia la piccola Claudia, Tiberio, inginocchiato al  fianco della moglie, che le teneva una mano e la Matrona che batteva a terra, nervosamente, la punta della scarpa. Con suo sommo sollievo, però, non vide traccia di suo padre.
La commedia popolare, decisamente, non doveva rientrare tra i suoi gusti.
«Insomma, Ortensia,
non puoi farti prendere sempre da queste crisi di nervi!»
«
Mamma, lo sai che non può sentirti» replicò seccatamente Tiberio.
«
Ma è mai possibile che questo psicologo ancora non abbia capito come aiutarla?»
«
Non sono cose semplici, ci vuole del tempo».
Madama Claudia si aggiustò la gonna con un gesto di stizza, come a dire che, secondo lei, la questione dello psicologo era tutta una gran pagliacciata.
«Cosa è successo?
» chiese il signor Giancarlo, sbucando da dietro un cespuglio di rododendri.
«Ah, eccoti! Si può sapere dov’eri?
» lo rimbrottò la moglie, inviperita.
«Ad innaffiare la siepe. I giardinieri non hanno finito
» si difese placidamente l’uomo. «Oh, Marcello, ben tornato!»
«
Buon pomeriggio a tutti» salutò il giovane, avvicinandosi alla scena del crimine. «Stavolta chi è l’assassino?»
Il padre scoppiò in una sana risata, mentre Madama Claudia e Tiberio gli rivolsero sguardi taglienti.
«
Saresti dovuto essere qui un’ora fa!» gli sbraitò contro la madre. «Che fine avevi fatto?»
«
Sono tornato a casa il prima possibile».
La donna stava per aggiungere qualcos’altro ma, proprio allora, la bambina cominciò a piangere e Ortensia riprese i sensi.
«
Era ora!» sbottò Madama Claudia, scansando prepotentemente la cameriera che stava sventolando la nuora. «Be’, cosa fai ancora qui? Torna alle tue mansioni, non servi più!»
La ragazza, paonazza, balbettò qualcosa, fece una maldestra riverenza e si eclissò alla velocità della luce.
«
Ortensia, come stai?» chiese Tiberio, aiutando la moglie a rialzarsi.
«Oh, tramortita... Mi sento tramortita...
» annunciò, con tono teatralmente piagnucoloso. «Ti prego, ho bisogno del dottor van der Meer, portamici subito!»
L’uomo guardò perplesso la moglie, ma annuì.
«
Mamma, noi...»
«Ho capito, ho capito, andate! Anzi, sparite dalla mia vista, prima che venga a me una crisi di nervi!» 
Marcello guardò andare via la cognata che, appoggiata al braccio del marito, aveva un’espressione fin troppo contrita. Il giovane increspò le labbra: non l’avrebbe mai ammesso, ma aveva i suoi sospetti sul perché Ortensia svenisse, puntualmente, quando veniva a trovare la suocera. Guarda caso, quando andava a trovare sua madre, non accadeva niente di tutto questo.
«
Che smidollata!» commentò Madama Claudia. «E che madre snaturata! Ha lasciato, ancora una volta, qui sua figlia!»
In quel momento, nonna e nipote sembrava stessero facendo a gara a chi potesse urlare più forte: emettevano strilli talmente acuti, che presto sarebbero stati captati dai ricevitori degli ultrasuoni.
La Matrona, allora, si avvicinò alla cameriera che teneva la piccola, gliela strappò di mano e la congedò.
«Ortensia sta poco bene, ha lasciato qui la figlia perché sa che con la nonna non le può capitare nulla di male» osservò il signor Giancarlo.
A quest’osservazione, qualsiasi nonna sarebbe stata contenta, anche se Madama Claudia era tutto fuorché una nonna propriamente detta. Si girò verso il marito e gli inveì contro
: «Io? Io sono scossa almeno quanto Ortensia! Non sono in grado di provvedere ad alcuno! Piuttosto, tu e tuo figlio che avete fatto? Niente! Adesso è giusto che vi diate da fare anche voi!»
La donna appioppò malamente la bambina al figlio minore, ammonendolo: «Prenditi cura tu di Claudia finché non tornano! Io ho bisogno di andare a riposare la testa. Credo che andrò al tea party di Clelia».
Si sistemò i capelli con fare impettito e uscì di scena.

La pargoletta, improvvisamente, smise di piangere: era come se gradisse particolarmente essere tra le braccia dello zio. Marcello guardò la nipotina e poi il padre, infine sospirò: «
Almeno si è calmata».
«Sembra proprio in procinto di addormentarsi» commentò il signor Giancarlo, con fare rassicurante. «Se continua così, puoi anche tenerla con te sotto al gazebo, nella sua culletta. Così puoi sbrigare la corrispondenza, mentre io finisco di innaffiare la siepe».
«
Mi sembra un’ottima idea» assentì il giovane. Chiese ad una cameriera di portargli alcuni fascicoli e, poi, scese le scale, per sistemarsi sotto al gazebo. Poggiò delicatamente Claudia nella culla e la coprì con la copertina, dopo di che si posizionò in modo da riparare la bambina da eventuali spifferi di vento, perché, nonostante fosse una bella giornata, era pur sempre ottobre.
Una volta che gli furono portati i documenti che aveva chiesto, si accomodò sulla poltrona di vimini, accavallando una gamba sull’altra e immergendosi nella lettura, mentre si estraniava dal resto del mondo.
***

Nel vedere il nero ed imponente cancello di Villa Aurelia, Beatrice si accorse che la sua idea non era poi così brillante. Ogni passo che l’avvicinava alla residenza dei Tornatore le faceva venire in mente almeno dieci buoni motivi per i quali avrebbe dovuto fare dietro-front e tornare nella sua squallida stanzetta. Aveva appena deciso di allontanarsi il prima possibile, quando si sentì chiamare: «Buonasera, signorina, possiamo fare qualcosa per lei?
»
Beatrice si voltò, notando che il cancelletto pedonale era stato aperto da un uomo che ora la fissava bonariamente.
«L’ho vista titubante. Stava cercando noi?
» proseguì con estrema tranquillità il signore.
La fanciulla si guardò intorno: non c’era nessun altro nei paraggi, di conseguenza non potevano esserci fraintendimenti sul fatto che quelle parole fossero indirizzate proprio a lei.
«Buonasera
» rispose lei con una vocina flebile. «Io... E vorrei solo parlare un attimino con Marcello».
«
Oh, bene, appena rincasato! È fortunata ad essere arrivata ora».
«
Sì, ecco, devo restituirgli una cosa che m’ha prestato, un paio di settimane fa».
«Allora venga, signorina, la condurrò io da Marcello.
Come si chiama?»
Nell’osservare l’uomo, la fanciulla si rese conto che aveva gli stessi, rassicuranti, occhi verdi del giovane. Probabilmente doveva essere suo padre.
«
Beatrice».
«
Che bel nome, come la Beatrice di Dante!» esclamò il signor Giancarlo, entusiasta. «Venga, signorina, per di qua».
La fanciulla venne condotta in quello che, a suo parere, era uno splendido giardino, perfettamente curato. Passò davanti alle fontane di pietra, gorgoglianti d’acqua, ai viali di ciottoli e ghiaia, alle aiuole profumate: le sembrava un’oasi di pace, dove avrebbe potuto trascorrere dei momenti di pura tranquillità.
“Con Marcello” aggiunse il suo inconscio, facendola lievemente arrossire. In fondo, quella era casa del giovane, era il suo giardino, non era mica così strano, immaginarsi a passeggiare lì con lui.
Il signor Giancarlo si fermò all’improvviso, indicandole un gazebo posto sotto ad un tasso.
«Siamo quasi arrivati, come vedi, Marcello è lì
».
Beatrice seguì con lo sguardo la direzione indicatale e, finalmente, lo vide: il ragazzo era così preso dalla lettura di alcuni fogli, che non si era reso conto di essere osservato da ben due persone. Leggeva e sottolineava, girava i fogli, come se fosse in cerca di qualche nozione in particolare, annuiva o aggrottava la fronte.
La giovane sorrise e, seguendo l’uomo, si avvicinò.
***

Marcello sbuffò sonoramente, seccato dal resoconto sconclusionato che si era ritrovato tra le mani: di sicuro, chi l’aveva scritto, o era dalla parte di Carter (e quindi ci teneva a non far capire cosa stesse facendo esattamente il magnate, rendendo il testo incomprensibile), oppure era, semplicemente, analfabeta; dopo qualche minuto, il biondo pensò che forse erano vere entrambe le ipotesi.
Stava giusto per strappare tutto quell’insieme di insulsaggini, quando suo padre lo chiamò.
«Guarda chi è venuta a trovarti!
»
Alzò lo sguardo e si trovò quasi faccia a faccia con la fanciulla.
«Beatrice!
» esclamò, sbigottito. «Come... Cosa ci fai qui?»
«
Non è un modo molto carino di accogliere la nostra ospite!» lo riprese bonariamente il signor Giancarlo. «Falla accomodare accanto a te. Manderò Ottavia o Annetta per portarvi qualcosa».
Il giovane, che era rimasto come pietrificato, annuì distrattamente e poi si rivolse alla ragazza: «
Sì... ecco... ehm, volevo dire, accomodati».
Lei sorrise e, senza farselo ripetere due volte, si accomodò sulla poltroncina di vimini accanto a lui.
«
Magnifico» commentò l’uomo, compiaciuto. «Vado ad informare la governante. Con permesso, ragazzi miei».
Marcello osservò il padre che si allontanava, quindi si accomodò a sua volta.
«Il vostro giardino è meraviglioso
» esordì Beatrice, con ammirazione.
«Mio padre vi dedica molto tempo ed energie. È lui stesso che dirige i giardinieri
» spiegò il giovane.
Seguirono alcuni istanti di imbarazzato silenzio, durante i quali si sentì solo il cinguettare degli uccelli.
«
Non l’è stato difficile trovarti» cominciò la ragazza, incerta. «Sembra che qui intorno tutti sappiano dove abiti».
«
Sì, è un quartiere di pettegoli» commentò Marcello, sprezzante.
«
Credo di doverli ringraziare, però. Son venuta per ridarti questo».
La fanciulla aprì la sua borsa e ne cacciò fuori il soprabito.
«Ah, il mio cappotto. Grazie» rispose il giovane, prendendo l’indumento. «Sarei dovuto passare io ma, conoscendo la situazione che c’è a casa di tua zia, non sapevo quando fosse il momento giusto per farlo».
«
Se m’avessi telefonato, te l’avrei detto».
«Hai ragione, mi ero ripromesso di farlo questo mercoledì. Purtroppo, Gerardo ed io abbiamo avuto molto da fare la settimana dopo che ci siamo visti».
«
E quella dopo?»
«Quella dopo? Che intendi?
»
Beatrice non rispose, limitandosi a corrugare un poco la fronte. 
«
Vuoi dire che sono passate due settimane da quando ci siamo visti l’ultima volta?» domandò Marcello, rendendosi conto della sua scarsa cognizione del tempo.
«Eh, già. Ma lo hai detto tu, hai avuto da ffare. Magari non hai sentito il bisogno di farti sentire
» commentò la giovane, con un tono che aveva un’eco più triste che arrabbiata.
Il biondo avvertì le guance diventare più calde, consapevole della gaffe appena fatta. Aveva pensato molto spesso a lei nelle settimane passate, eppure si era lasciato lo stesso assorbire completamente dal lavoro.
Si rimproverò, per la scarsa capacità di gestire anche gli aspetti della sua vita che non fossero affari, consapevole del fatto che, prima d’ora, non aveva mai avuto modo di interagire in maniera così diretta con una ragazza. A parte Vittoria, ovviamente.
«Io... mi...
» iniziò lui, senza sapere bene come continuare.
«E lei chi è?» domandò all’improvviso Beatrice, indicando la culla dietro a Marcello.
«Ah... Sì. Lei è mia nipote Claudia, la figlia di mio fratello
».
La ragazza si alzò, avvicinandosi alla bambina.
«Oh, com’è carina questa piccina! Biondina come te, ti somiglia!» disse, accarezzandole una guancina con l’indice. «Quanto ha?»
«
Più che assomigliare a me, è la copia in miniatura della nonna. Ha cinque mesi».
«Guarda come l’è tranquilla».
«Mentre dorme, sì. Quando è sveglia, un po’ meno» commentò il ragazzo, incrociando le braccia contro al petto.
«
Come mai l’han lasciata sotto la tu’ custodia?»
«Mia cognata ha avuto una crisi di nervi, o qualcosa di simile».
Beatrice tornò a guardare Claudia, la quale, nel sonno, le prese il dito con la manina e lo strinse.
«
Oh!» esclamò la ragazza, intenerita. «Quando son piccini sono così adorabili. Spero di averne anch’io uno, un giorno».
In quello che aveva detto la fanciulla, non c’era nulla di male, soprattutto se detto con la sua innocenza, ciononostante, Marcello si ritrovò inspiegabilmente ad avvampare, colto da un’improvvisa inquietudine.

Per fortuna, alle loro spalle, giunse Ottavia, la bruna e massiccia governante, con un vassoio carico di dolci, e questo richiamò l’attenzione dei due giovani. Congedata la donna, il ragazzo fece riaccomodare Beatrice e la invitò a servirsi, mentre anche lui prendeva posto, sperando che lei non si fosse resa conto del suo repentino, quanto ingiustificato, imbarazzo.
«
Hanno un aspetto magnificodisse la fanciulla, servendosi un bignè al cioccolato.
«Sì, è vero. Li fa tutti Ottavia
» affermò il giovane, distrattamente. In quel momento, stava pensando alla pessima figura che aveva fatto e stava cercando un modo per porvi rimedio; alla fine, capì che, forse, l’unico possibile era dire la verità.
«Beatrice, mi dispiace di non averti chiamato, non l’ho fatto apposta» iniziò, titubante. «Pensa che ho perfino prenotato la visita alla Cappella Sistina e mi sono dimenticato di dirtelo» ammise il biondo, con una punta di imbarazzo.
«
Oh, Marcello, sei incredibile!» sospirò Beatrice, ma, in realtà, era divertita. «Dai, ti perdono perché c’hai messo la buona volontà. Quando dovremmo andare?»
«Il ventuno dicembre prossimo
».
«Ah. È lontano come giorno
».
«
Vabbè, mica dobbiamo aspettare allora per rivederci» disse il giovane, senza pensarci troppo.
Gli occhi di Beatrice si illuminarono.
«
Ah, a dire il vero, anch’io mi stavo dimenticando di dirti una cosa: ho incontrato la Vittoria!».
«
Vittoria?»
«
Al mercato. M’ha invitata ad una mostra, assieme a mia cugina, anche se l’avrei preferito che non ci fosse» disse la ragazza, sbuffando. «Tu ci sarai?»
«Ovvio, Vittoria è la mia più cara amica
» rispose Marcello, risoluto.
Beatrice lo fissò attentamente, come se volesse essere sicura che fosse sincero con lei, poi disse: «
Ed è anche una bellissima donna. Ho saputo che ha molti corteggiatori».
«Che li abbia è innegabile,» convenne Tornatore, «tuttavia, io non credo di poterla giudicare sotto quel profilo».
«
Come mai?»
«
Perché, per me, è come una sorella».
Lei parve sorpresa dalla risposta e anche un po’ sollevata: se prima aveva irrigidito la schiena, ora si stava rilassando, appoggiandosi allo schienale della poltroncina; e, addirittura, si servì un altro pasticcino. Marcello inarcò un sopracciglio: chissà perché si era inquietata così tanto nel parlare della sua amica. Se Beatrice avesse saputo che, se si era ricordato di portarle dei fiori quando si erano visti, lo doveva solo ai consigli di Vittoria...
Improvvisamente, gli tornò alla mente il libro acquistato in Via della Conciliazione.
«Accidenti, mi stavo dimenticando pure... Ascolta, ho una cosa per te. Se mi aspetti un attimo, vado a prenderla
. Potresti dare un’occhiata a Claudia, nel frattempo?»
La ragazza, rimase un po’ perplessa ma annuì e lui, preso il cappotto, si diresse velocemente verso la villa.
Fu di ritorno poco dopo, con in mano un pacchetto avvolto in carta azzurra.
«
Questo è per te» disse, porgendolo a Beatrice. 
«
Cos’è?»
«Aprilo e vedrai
».
Una volta che lo ebbe in mano, cominciò a scartarlo pian piano, finché non le fu rivelato il contenuto.
«Un libro su Caravaggio! Io... Io...».
La ragazza lo guardò quasi commossa, poi si alzò e
gli diede un rapido, ma intenso, abbraccio. Nel distaccarsi da lui, aggiunse: «Non so come ringraziarti, Marcello».
«Non serve, l’importante è che ti sia piaciuto» rispose lui, sorprendendosi a crogiolare per quel sorriso spontaneo. Non gli era mai successo di sentirsi così al cospetto di una ragazza, forse, perché non si era mai sprecato a sentire cosa avessero da dirgli le sue ammiratrici. O, forse, perché nessuna di loro aveva dimostrato di possedere l’aura serafica di Beatrice.
Un vento leggero cominciò a spirare, come a volergli dire qualcosa che, per il momento, non riusciva a capire; sembrava che ne avesse afferrato il senso, per poi dimenticarlo subito dopo. Per quanto spirasse più forte, sempre il significato del suo soffio gli sfuggiva.
Ma il Vento dell’Ovest non era un tipo da arrendersi subito e, se voi l’aveste sentito, avreste facilmente intuito queste ultime parole: se ora non hai compreso, tranquillo, tornerò per ribadirlo quando potrai capire di più.
***

Era da poco sopraggiunto il crepuscolo e già, dalle taverne dei rioni trasteverini, proveniva il confuso vociare di uomini sfaccendati, decisamente brilli. Guido Tolomei imboccò una viuzza e, giunto davanti alla taverna dall’aspetto peggiore, si guardò intorno con fare circospetto. Dopo essersi convinto di non essere stato seguito, entrò all’interno, ritrovandosi in un ambiente cupo e opprimente, saturo dellodore del fumo e del vino.
L’oste, un uomo corpulento con un folto paio di baffoni, smise di lucidare un bicchiere con uno straccio lercio e gli fece cenno con la testa, indicando il tavolo posto più in fondo al locale. Il giovane ricambiò il cenno e si avviò, facendo attenzione a non urtare nessuno degli ubriaconi che ridevano sguaiatamente, agitandosi sulle sedie: l’ultima cosa che voleva, era gettarsi in una rissa tra brutti ceffi.
«Tolomei, sei in ritardo
» lo apostrofò Navarra, mandando giù un generoso sorso di vino.
«
Ho fatto quel che si è potuto. Ho avuto molto daffare» dichiarò in un sussurro il giovane, accomodandosi su una sedia sgangherata.
«
La prossima volta, di’ alla tua biondina che la porterai a fare un giro dopo che avrai discusso con me».
Guido deglutì.

«
Come fai a sapere...»
«Che era bionda? Che l’hai portata al Caffè Greco, anche se non te lo puoi permettere? Io so tutto di te. Ci tengo ai miei debitori, non voglio che accada loro nulla, non prima che abbiano saldato con me i loro debiti, ovviamente...»
L’oste si avvicinò, portando un bicchiere e un’altra brocca. Il ragazzo, augurandosi che non fosse lo stesso bicchiere che stava pulendo prima, si versò un po’ di vino: aveva bisogno di bere, perché si sentiva la bocca incredibilmente arida.
«
Sono stato a trovare tua sorella, nel pomeriggio. Tua zia mi ha detto che non c’era. O, magari, si è rifiutata di vedermi, ancora una volta» insinuò l’energumeno, scrutando Guido oltre il bordo del proprio bicchiere.
«La zia non ha alcun interesse ad assecondare la Beatrice: se ti ha detto che la mi’ sorella non era in casa, non era in casa» si difese il giovane. «Tu sa’ benissimo che non vede l’ora che lasciamo entrambi la villa».
Navarra alzò una mano per zittirlo.
«Io sono paziente, Tolomei, molto paziente. Non vorrei essere messo a dura prova: Beatrice è molto bella, ma non è l’unica ragazza degna delle mie attenzioni».
«La Beatrice ha quel caratterino indipendente...»
«Ha un carattere focoso: è anche per questo che ho scelto lei, come moglie. Tuttavia, se non fai qualcosa per velocizzare queste nozze, due terzi dei tuoi debiti non verranno mai saldati».
Qualcuno seduto poco distante rise forte, forse aveva vinto qualcosa giocando con i dadi, e fu quello stimolo sonoro a ridestare completamente Guido, aiutandolo a comprendere ciò che aveva appena udito.
«Solo due terzi? Si era detto che non ti avrei dovuto più una lira!»
«
Se tua sorella fosse più gentile con me, potrei anche darti di più» spiegò Navarra, con una calma quasi inquietante.
«
C’è anche la villa dell’Isola d’Elba, l’è intestata alla Beatrice» affermò il ragazzo, sentendosi improvvisamente perso. «Dopo che sarà la tu’ moglie, potrai disporne come vorrai».
«Ah, già c’è anche la vostra villa in Toscana. Mi sono giunte voci che gli uliveti non producono più come prima».
«In effetti è così. Tuttavia, io credo che sia perché non c’è più un padrone che segue il lavoro dei contadini; que’ bifolchi, senza ordini, si stanno lasciando troppo andare alla nullafacenza».
Conrado de Navarra si sbracò sulla sedia, congiunse le punte delle dita e un ghigno mefistofelico sì delineò istantaneamente sul suo volto rubicondo.
«Andrò a valutare di persona, Tolomei, vedremo se quella baracca vale davvero quanto dici. Nel frattempo, vedi di convincere Beatrice ad uscire con me, come lo farai, però, non mi interessa. Altrimenti, dovrai escogitare un modo per trovare tutti i soldi che mi devi. E alla svelta».
Guido, mandando giù la brodaglia disgustosa che gli era stata servita, osservò il suo interlocutore e avvertì il sudore imperlargli la fronte: la situazione stava prendendo una piega inaspettata, si era creduto furbo, ma Navarra lo era stato più di lui. Lentamente, si rese conto dell’effettivo guaio nel quale si era cacciato e del fatto che avesse trascinato nel fango anche sua sorella, condannandola ad una vita infelice. Fu quello il momento in cui prese coscienza di un’altra verità: se Beatrice non l’avesse perdonato, non sarebbe stato capace di biasimarla.






***
[N.d.A]
1. Caffè del Borgo: è un luogo puramente inventato, nessun riferimento ad attività realmente esistenti.
2. British Petroleum: una delle maggiori aziende energetiche mondiali, oggi conosciuta come BP; i riferimenti agli eventi narrati sono solo fini alla trama, seppur è vero che la British Petroleoum acquistò davvero la Britoil nel 1987.
***
Per la revisione di questo capitolo, ringrazio Lady Viviana per la sua gentile collaborazione e disponibilità. 
Ringazio anche la mia Anto per aver letto, ancora una volta, in anteprima.
Come sempre, la grafica del titolo è opera mia.
***


Salve a tutti!
Come prima cosa, mi sembra giusto scusarmi con tutti voi, lettori, per essere tornata a scrivere questo racconto dopo così tanto tempo. In quest’ultimo anno mi è successo davvero di tutto e di più, tuttavia ora posso affermare con una certa sicurezza che gli aggionamenti riprenderanno con ritmo abbastanza costante (dovrebbe esserci una nuova pubblicazione allincirca ogni venti giorni. So che non è molto, ma è quanto mi è concesso dai miei tempi da studentessa; inoltre, scrivendo capitoli abbastanza lunghi mi sembra un buon compromesso, no?).
A dimostrazione della mia buona volontà, vi lascio il link al mio blog dove troverete uno spoiler del capitolo quarto e un sondaggio (chiedo quale orario vi risulta più comodo per i nuovi aggiornamenti; se vi va di partecipare, non dovete fare altro che cliccare sull
opzione che sceglierete).
Ringrazio chi legge, chi ha messo la storia in uno dei suoi elenchi, chi commenta, chi mi darà il suo parere in seguito e chi ha avuto tanta, tanta pazienza nell’attendere che questo racconto procedesse.
Ringrazio anche i nuovi lettori, che si sono lasciati incuriosire ed hanno scoperto la storia solo ora, in occasione della sua ripresa.
Spero che mi farete sapere cosa ne pensate, anche poche parole posso essere un utile e prezioso feedback all
autore.
Vi do appuntamento alla prossima (questa volta non dovrete aspettare il disgelo post era delle glaciazioni, ve lo prometto)!
Saluti,
Halley S. C.


  
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