Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: LindaBaggins    28/10/2014    3 recensioni
Sono tempi bui: Voldemort, appoggiato da un numero sempre crescente di seguaci, si prepara a salire al potere, e nel mondo magico cominciano a levarsi i primi venti di guerra. Attraverso una storia di vent’anni e sullo sfondo di due Guerre Magiche, si sviluppano le vicende di Catherine Swire - prima Grifondoro timida, gentile e insicura, poi Auror del Ministero, e infine membro del nuovo Ordine della Fenice – legate a doppio filo a quelle dei Malandrini in un intreccio di amicizie, tradimenti, amori e perdite.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sirius Black, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica, Più contesti
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

CAPITOLO 1

TEMPI DIFFICILI

 

AGOSTO 1976

L’odore salmastro e pungente del mare, mescolandosi piacevolmente al profumo dei fiori, impregnava l’aria di quella mattina di fine estate. Un sole spietato, incurante del fatto che agosto stava volgendo al termine e che stava arrivando il momento di smorzare un po’ la sua ferocia, brillava nel cielo azzurro completamente sgombro di nuvole, disegnando sul verde del prato ampie pozze di luce alternate a chiazze d’ombra. Dalla finestra aperta che dava sul giardino il rumore attutito di pentole e stoviglie, portato dalla lieve brezza proveniente dalla Manica, si confondeva con le note di una canzone trasmessa alla radio, in cui la voce roca e potente di Celestina Warbeck ammoniva l’amante fedifrago di aver “rotto l’incantesimo tra loro e risvegliato la Bashee che era in lei”.
Catherine, i capelli raccolti in un nodo distratto in cima alla nuca e un paio di vecchi occhiali da sole sollevati sulla testa, se ne stava inginocchiata all’ombra di un vecchio tiglio, godendosi la lieve frescura ed esaminando attentamente una piccola porzione di prato davanti a lei.
«… tre, quattro, cinque … sei … e sette!» mormorò contando con un dito, mentre il viso le si illuminava sempre più di sollievo.
Meno male … anche questa volta ce l’ho fatta a recuperarvi tutti!
Sul terreno, all’interno di un approssimativo recinto di circa un metro di diametro costruito con sassi di medie dimensioni, strisciavano pigramente sette lumache delle dimensioni di una mano. Sarebbero sembrate in tutto e per tutto delle lumache giganti babbane, se non fosse stato che il loro corpo e il loro guscio, al posto della consueta tonalità marrone e giallastra, esibivano colorazioni che andavano dal blu elettrico, all’arancione, al rosa shocking, al verde acido. Catherine, canticchiando distrattamente tra di sé il ritornello della canzone di Celestina Warbeck, prese una ciotola piena di foglie di insalata poggiata sull’erba accanto a lei e le depositò, prendendole a manciate, all’interno del recinto improvvisato. Gli Streeler – questo era il nome delle grosse lumache multicolore – si avventarono sul cibo il più velocemente che la loro andatura lo consentì, e iniziarono a divorare l’insalata con una voracità quasi inquietante.
Catherine lanciò una rapida occhiata all’orologio che portava al polso sinistro. Le lancette la informarono che mancavano pochi secondi allo scoccare dell’ora, e la ragazza si dispose ad osservare attentamente il gruppo di lumache, gli occhi stretti per la concentrazione. Proprio nel momento in cui la radio dentro casa annunciava gracchiando che erano le tredici in punto, i sette Streeler, con un debole schiocco secco, cambiarono colore tutte nello stesso momento, dando vita ad un altro bizzarro caleidoscopio di blu, verdi, gialli, rossi e arancioni. Catherine, estratto dalla tasca un foglio di pergamena spiegazzato, controllò velocemente l’elenco di numeri, orari e giorni della settimana che vi erano segnati e, a giudicare dal sorriso di soddisfazione che le si allargò sulle labbra, parve che la conclusione a cui era giunta fosse più che soddisfacente.
«Cathy! Vieni in casa, per favore, il pranzo è quasi pronto!»
Il richiamo la raggiunse all’improvviso dalla finestra aperta della cucina, mischiandosi alla voce dello speaker del notiziario radiofonico e al rumore delle onde che, in lontananza, si abbattevano placide sugli scogli. Catherine si alzò in piedi e si scrollò via qualche filo d’erba dalle gambe e dai pantaloncini corti. Prima di raccogliere la ciotola vuota e dirigersi verso la veranda, però, prese una fialetta piena di liquido rossastro poggiata sull'erba accanto a lei, tolse il tappo e, tenendola sospesa a una trentina di centimetri da terra, ne versò il contenuto sopra il recinto degli Streeler. Subito una sorta di cupola trasparente e traslucida, appena visibile a occhio nudo, apparve sopra il cerchio di sassi, rimarginandosi rapidamente nei punti dove si vedevano degli squarci; uno degli Streeler, che aveva appena iniziato ad arrampicarsi per tentare la fuga, iniziò a strisciare lungo la parete trasparente, così che presto sembrò sospesa a mezz’aria a testa all’ingiù.
Quell’Incantesimo di Ostacolo era una precauzione che Cathy aveva dovuto prendere fin dai primi giorni in cui aveva cominciato ad allevare gli Streeler, per evitare loro di scappare e andarsene a zonzo per tutto il giardino. Oltre ad essere difficile ritrovarle tutte e sette una volta che si erano disperse tra piante e cespugli, c’era anche il problema della scia velenosa che si lasciavano dietro e che era in grado di far bruciare e avvizzire qualsiasi tipo di vegetazione con cui veniva a contatto - un’altra delle caratteristiche che le distingueva dalle loro cugine non magiche. La chiazza d’erba che Catherine aveva designato come loro casa e che aveva provveduto a delimitare con i sassi, infatti, era già completamente scomparsa, lasciando il posto a terra nuda e arida per il sole. 
«Mi farai diventare matta, con questa tua fissazione per le bestie strane!» aveva esclamato sua madre, terrorizzata per il suo amato giardino, quando all’inizio dell’estate Catherine le aveva chiesto il permesso di allevare degli Streeler. «Io alla tua età avevo un cane, non una legione di infernali lumache fluorescenti!»
Catherine sorrise tra sé e sé. Alla fine, come sempre quando si trattava di assecondare la sua passione per gli animali di tutti i tipi (magici e non), sua madre aveva acconsentito alla richiesta, a patto però che trovasse un sistema per impedire agli Streeler di scappare. A volte capitava che le lumache, grazie alla corrosiva bava che si lasciavano dietro, riuscissero a sfondare gli Incantesimi di Ostacolo di sua madre e ad evadere; fortunatamente Isabel non aveva mai minacciato ritorsioni e si era solo limitata a fornire a Catherine una scorta di Pozione Riattivante - utilissima per ripristinare o rafforzare gli incantesimi danneggiati - oppure a rimetterle dentro lei stessa, rinforzando l’incantesimo e borbottando contrariata tra di sé.
Appena varcata la soglia dell’ingresso, un profumino invitante arrivò ad allietare le narici di Catherine, il cui stomaco si esibì in un buffo e sonoro gorgoglio. Fece il suo ingresso in cucina con l’acquolina in bocca e trovò sua madre china davanti al forno, intenta a controllare una teglia piena di quelle che sembravano invitanti lasagne alle verdure, mentre la radio gracchiava in sottofondo.
«Tempismo perfetto» si complimentò Catherine con un sorriso. «Ho una fame da lupi.»
Sua madre le lanciò una breve occhiata distratta. «Come stanno le tue bestiacce?» chiese, agitando un paio di volte la bacchetta verso il contenuto della teglia e infilandola di nuovo nel forno. «Sei u a recuperarle tutte?»
Catherine non si offese. Il tono conciliante usato da sua madre le fecero capire che l’appellativo “bestiacce” era stato usato in modo più affettuoso che ostile.
«Sì!» rispose trionfante, staccando un acino d’uva dalla ciotola sul ripiano della cucina e infilandoselo in bocca. «Tutte tornate alla base! Lo sai, credo di aver scoperto una cosa interessante!»
«Davvero? Che cosa?»
Catherine non si fece pregare. «Sono quasi sicura che tra alcuni Streeler che vivono a stretto contatto da molto tempo si sviluppi un tipo di legame più forte, di modo che, quando cambiano colore allo scoccare dell’ora, tendono ad assumere più o meno la stessa colorazione, oppure tendono a “scambiarsi” il colore che avevano fino a quel momento!» spiegò entusiasta.
Lo sguardo che sua madre le rivolse, questa volta, era di gran lunga più attento e decisamente colpito. «Dici sul serio?»
«Eccome! Oh, non vedo l’ora di dirlo ad Hagrid! Ha promesso che se fossi riuscita a raggiungere buoni risultati con gli Streeler durante l’estate, avrebbe messo una buona parola con il professor Kettleburn per farmi badare ad uno Snaso tutto mio!»
Isabel sospirò, rassegnata. «Beh … uno Snaso almeno  sarà utile a qualcosa e non se ne andrà in giro a bruciacchiarmi tutti i fiori del giardino.»
«Ma dai, sei ingiusta!» rise Catherine. «Anche gli Streeler sono utili! Devo essere io a ricordarti, signora pozionista, dell’efficacia del loro veleno per tenere lontani gli Horklump?» ci pensò un attimo su, fermamente decisa a trovare un altro pregio a quei bizzarri lumaconi a cui, tutto sommato, aveva finito per affezionarsi. «E poi sono carini!»
Sua madre scoppiò in una breve risata e socchiuse nuovamente il forno per controllare le lasagne. «Non offenderti, tesoro, ma per quanto riguarda gli animali hai un concetto di “carino” che proprio non capirò mai. Spero che tu non usi lo stesso metro di giudizio con i ragazzi, o dovrò iniziare a preoccuparmi di chi mi troverò un giorno per casa!»
Gli occhi di Catherine rotearono verso l’alto. «Direi che per adesso puoi anche fare a meno di preoccupartene» replicò, ironica. «E’ pronto il pranzo?»
«Quasi, ma non pensare di sederti a tavola in quelle condizioni. Fila di sopra a lavarti e a metterti dei vestiti puliti, e poi ne riparliamo.»
«D’accordo!» obbedì Catherine, sorridendo. Le depose un piccolo bacio sulla guancia e lasciò la cucina, diretta alle scale che portavano ai piani superiori.
«Ci sono delle lettere per te, le ho appoggiate sulla tua scrivania!»
La voce di Isabel la raggiunse quando era già a metà dei gradini, e il sorriso che ancora aleggiava sulle labbra di Catherine non poté fare a meno di allargarsi ancora di più. Aumentò il passo, salendo gli ultimi scalini due a due, così impaziente di arrivare in cima che sull’ultimo quasi scivolò e perse l’equilibrio.
Il corridoio del piano di sopra era breve. Vi si affacciavano soltanto tre porte – quelle delle due camere da letto e del bagno – e le pareti dalla calda tonalità color giallo tenue erano occupate da decine di fotografie che ritraevano lei, sua madre o entrambe, nei luoghi e nelle situazioni più svariate. In una di esse, una piccola Catherine di poco meno di un anno gattonava nel prato davanti a casa tentando di raggiungere un giocattolo; in un’altra lei e sua madre – quattro o cinque anni più tardi – sorridevano all’obiettivo, con alle spalle la frastagliata costa della Cornovaglia e le onde che si infrangevano ritmicamente sugli scogli; in un’altra ancora, una Catherine undicenne decisamente impacciata posava davanti alla macchina fotografica con indosso la divisa di Hogwarts, la lettera di ammissione in una mano, la bacchetta magica fresca di negozio nell’altra e i capelli raccolti in una distratta coda di cavallo, mentre le labbra, tese in un sorriso imbarazzato, non riuscivano del tutto a nascondere gli incisivi un po’ sporgenti. Catherine sorpassò distrattamente le fotografie che le sorridevano e la salutavano da dietro il vetro delle cornici, ma nonostante la fretta non poté fare a meno di posare lo sguardo – come sempre quando arrivava a quel punto del corridoio - su una vecchia foto in bianco e nero mescolata alle altre. Sua madre, poco più che ventenne, teneva goffamente in braccio un fagotto di coperte tra le quali si intravedeva il visetto addormentato di Catherine, nata da pochi giorni. Isabel fissava dritto dentro l’obiettivo, scostandosi ogni tanto una ciocca di capelli dal bel viso acqua e sapone, e sorridendo leggermente. Benché la parte inferiore del volto esprimesse gioia, tuttavia, la parte superiore sembrava appartenere ad un’altra persona: i suoi occhi verdi, così simili a quelli di sua figlia, erano oscurati da una nube di inequivocabile tristezza. Catherine non sapeva perché la sua attenzione fosse sempre così attratta da quella fotografia piuttosto che da una qualsiasi di tutte le altre che affollavano le pareti. Sospettava che fosse per via della stupefacente bellezza giovanile di sua madre, una bellezza che avrebbe saputo attirare su di sé qualsiasi sguardo e che –le venne da pensare con rassegnazione – di certo non era riuscita a trasmettere a lei. Ma il motivo era anche un altro, e Catherine lo sapeva fin da quando era stata abbastanza grande da elaborare pensieri sensati: ciò che la attirava di quella fotografia era l’evidente solitudine di sua madre, quell’assenza ingombrante accanto a lei che senza dubbio era la ragione del suo sguardo pieno di velata tristezza.
Aveva fatto domande, all’inizio: non riusciva a capire perché tutti gli altri bambini avessero due genitori e lei soltanto uno. Non che in fondo ne fosse troppo turbata: erano sempre state solo loro due, solo lei e Isabel, e questo, per quanto la riguardava, era una cosa perfettamente normale; ma il fatto che la maggior parte dei bambini avesse, accanto ad una mamma, anche un papà che di tanto in tanto faceva fare loro cose curiose come issarseli sulla schiena o farli volare in aria per poi riprenderli al volo, era una stranezza che proprio Catherine non riusciva a spiegarsi. Sua madre, nei primi tempi, era stata cauta. Aveva cercato di spegnere la sua curiosità infantile ripiegando su una mezza verità che non la impressionasse troppo, e sostenendo che il suo papà “era partito per un viaggio molto lungo”. Al che Catherine un giorno, ingenuamente, le aveva chiesto se prima o poi sarebbe tornato. Ricordava come fosse ora il modo in cui sua madre l’aveva fissata per diversi secondi con le labbra semiaperte e gli occhi improvvisamente umidi, la forchetta piena di cibo che si stava portando alla bocca immobile e tremolante a mezz’aria.
«No, tesoro» si era limitata a rispondere, alla fine. «Non tornerà.»
Solo crescendo Catherine aveva capito pienamente il significato di quelle parole. La sua curiosità, tuttavia, non si era spenta del tutto, e presto era tornata alla carica per cercare di estorcere a sua madre qualche altra informazione e avere la meglio sull’ostinato mutismo che sembrava cogliere Isabel ogni volta che Catherine accennava all’argomento. Alla fine, in un uggioso pomeriggio autunnale in cui le sue insistenze erano state più tenaci del solito, Isabel aveva acconsentito a raccontarle in modo molto scarno e sintetico le tragiche circostanze che avevano portato alla morte di suo padre, pochi mesi prima della sua nascita. Catherine ricordava bene il modo asciutto e apparentemente distaccato in cui le parole erano uscite fuori dalla bocca di sua madre, ma aveva stampato in mente in modo  altrettanto chiaro lo sguardo di profonda amarezza che aveva invaso i suoi occhi mentre parlava. Pur non essendo troppo cresciuta, aveva compreso immediatamente, in modo quasi istintivo, quanto fosse costato a Isabel ripercorrere quegli avvenimenti e raccontargli quelle cose. Aveva accettato in silenzio quello che le era stato detto, senza osare chiedere altro, molto più dispiaciuta per il dolore che vedeva dipinto sul viso di sua madre piuttosto che per quello che aveva appena appreso. Sapeva che era sbagliato, sapeva che avrebbe dovuto provare almeno un po’ di sofferenza per suo padre, ma non ci riusciva. Non l’aveva mai visto. Tutto quello che conosceva di lui era la tomba nel cimitero di Newhaven che, di tanto in tanto, sua madre la portava visitare, e su cui erano incise solo un nome, una data di nascita e una di morte.
Brandon Swire, 15.07.1936, 21.03.1960.
Le parole si formarono in modo quasi automatico nella mente di Catherine, come uno scioglilingua imparato a memoria e ripetuto tanto spesso da perdere significato, mentre la sua mano si poggiava sulla maniglia della porta della sua stanza. Non appena entrò, un paio di orecchie si sollevarono da un ammasso di folto pelo striato acciambellato al centro del letto, e due grandi occhi verdi la fissarono pigramente mentre si avvicinava.
«Buongiorno, bellezza!» salutò Catherine con un sorriso, i pensieri su suo padre già sbiaditi e dimenticati in qualche remoto angolo della mente. Medea, la femmina di Kneazle incrociata con un gatto che Catherine possedeva fin da quando era un cucciolo di pochi mesi, si srotolò con un elegante movimento fluido e si allungò fino a raggiungere quasi il doppio della lunghezza che era stata fino ad un momento prima, rivelando una folta coda simile a quella di una volpe e un petto candido e vaporoso. Si produsse in un suadente e amichevole “prrr”, mentre raggiungeva il bordo del letto e sporgeva la scura testa tigrata verso di lei. Catherine le concesse qualche secondo di carezze e grattatine dietro le orecchie (gesto che non mancò di essere ringraziato con sonore fusa), prima di dirigersi con impazienza verso la propria scrivania. Su di essa, come Isabel le aveva preannunciato, erano poggiate due lettere. Fece per allungare la mano verso la prima, ma un seccato stridio proveniente da sinistra la finestra la fece bloccare. Stryx, il piccolo allocco dal petto dorato e dai tondi, dolci occhi gialli, la fissava dal suo trespolo vicino alla finestra aperta, facendo schioccare il becco con disappunto.
«Hai ragione, scusami!» rise Catherine, estraendo un Biscottino Gufico dalla scatola sulla sua scrivania e lanciandoglielo. Stryx lo prese al volo e lo ingoiò con evidente soddisfazione, per poi sistemarsi meglio sul trespolo e infilare la testa sotto l’ala. Catherine, nel frattempo, si era seduta alla scrivania e aveva preso in mano la prima delle due lettere, la cui busta (decisamente voluminosa) era tappezzata di francobolli raffiguranti la Statua della Libertà e impettiti Ministri della Magia con la parrucca e il cappello a tricorno. Mentre strappava la busta, sentì un peso familiare balzarle sulle ginocchia.
«Non pensarci nemmeno» disse in tono di avvertimento a Medea, che stava già fissando Stryx con gli occhi verdi socchiusi e la coda che fendeva eccitata l’aria. «Lo sai che devi lasciarlo in pace.»
La gatta, dopo aver lanciato uno sguardo rassegnato in direzione della padrona, abbandonò la sua posizione di attacco e si accovacciò sulle gambe di Catherine facendo sparire tutte e quattro le zampe sotto al corpo, ma senza smettere di frustare l’aria con la coda né di fissare il volatile con sguardo famelico. I due animali convivevano senza grossi incidenti ormai da qualche anno – da quando Catherine aveva convinto sua madre ad adottare un cucciolo di Kneazle – ma Medea, pur abbastanza intelligente da capire che l’allocco di casa godeva di una speciale immunità, non poteva fare a meno di rimanere a lungo nella stessa stanza con lui senza fissarlo leccandosi i baffi. Catherine era abbastanza certa che non avrebbe mai osato spingersi oltre, e tuttavia era felice che settembre stesse per arrivare: Medea sarebbe venuta con lei a Hogwarts, e per qualche mese sarebbe potuta stare lontana dal povero Stryx, scongiurando l’eventualità che il suo innato istinto predatorio le sfuggisse di mano.
Dalla busta fuoriuscirono numerosi fogli pieni di una calligrafia piccola e tondeggiante, piena di fronzoli e ghirigori qua e là. Catherine, riconoscendo immediatamente la calligrafia, sorrise e si appoggiò allo schienale della sedia. Si dispose alla lettura, la mano destra che carezzava distrattamente il dorso di Medea.

Cara Cathy,

scusa se ci ho messo così tanto a risponderti, ma nell’ultima settimana non abbiamo avuto nemmeno un giorno libero da impegni. Ci sono talmente tante cose da fare, qui a New York, che è difficile persino trovare un momento per mettersi seduti e riposare! Inoltre devo badare di continuo a quel mostriciattolo pestifero di Kevin, perché se lo perdessimo di vista anche solo per un attimo sarebbe capace di scappare e di perdersi. Il che mi starebbe più che bene, francamente, ma quando l’ho fatto presente ai miei mi sono beccata uno scappellotto e una ramanzina, perciò sono costretta a fargli da balia.
Comunque, non posso lamentarmi troppo: qui è tutto così incredibile, così diverso da Londra, che non puoi fare a meno di andare in giro con il naso per aria e la bocca aperta. Ci sono palazzi così alti che non riesci a vedere la cima, e hai presente quel bizzarro mezzo di trasporto babbano con cui il signor Evans accompagna sempre Lily all’Espresso di Hogwarts? Qui ce ne sono a fiumi, le strade sono completamente invase dal loro rumore infernale. A mia madre il primo giorno stava per venire un attacco isterico, sai quanto odia la confusione!
Mio cugino mi ha parlato della scuola di magia che lui frequenta qui, e mi ha fatto persino vedere una fotografia. Non è bella quanto Hogwarts, ma pare che si divertano molto di più e che gli insegnanti non siano così rigidi come da noi: insomma, ti sembra giusto che le gonne delle loro divise siano di almeno una spanna più corte delle nostre? E pare che le squadre di Quidditch abbiano addirittura dei gruppi femminili di sostegno che durante le partite incitano i giocatori cantando e ballando. Dici che se provassi a proporlo alla McGranitt si arrabbierebbe molto?
Ma adesso, Cathy, arriva la parte migliore: mio cugino mi ha fatto conoscere alcuni dei suoi compagni di scuola, e non so dirti quanto fossero carini, simpatici e alla mano! Altro che quei ghiaccioli musoni che dobbiamo sorbirci a Hogwarts! E, reggiti forte … uno di loro, Joe, mi ha lasciato il suo indirizzo nel caso nei prossimi mesi volessimo scriverci! A dire la verità ci siamo anche scambiati un paio di baci, ma la cosa è finita lì. Voglio dire, era davvero
troppo carino, ma non ho voluto incoraggiarlo più di tanto: non so se mi va di impegnarmi in una relazione a distanza … Ovviamente è sottinteso che David non deve saperne nulla, intesi? Non voglio che succeda la fine del mondo per un paio di baci innocenti e (probabilmente) senza futuro.
Tu come te la passi? Come vanno gli esperimenti con i tuoi viscidi esserini multicolori? Scommetto che hai già finito tutti i compiti delle vacanze, al contrario di me. Mia madre era già abbastanza arrabbiata per questo, poi sono arrivati anche i risultati dei G.U.F.O. a peggiorare la situazione. Insomma, a te sei G.U.F.O. sembrano così pochi? E’ vero che la maggior parte sono degli “Accettabile” e che con quello “Scadente” a Pozioni non potrò essere ammessa alla classe di Lumacorno, ma non mi sembrava davvero il caso di farne una tragedia …
Hai sentito Lily? Mi ha scritto la settimana scorsa, e anche se non l’ha ammesso (lo sai quant’è orgogliosa) mi è sembrata ancora parecchio giù per quello che è successo lo scorso giugno. Merlino, ancora non ci credo che Piton abbia potuto essere così idiota! Voglio dire, sai che non mi è mai piaciuto granché, ma a parte il suo essere un viscido strambo e la sua tendenza a frequentare la peggior feccia Serpeverde, mi sembrava che un po’ di cervello, di tanto in tanto, l’avesse! In ogni modo, Lily è ancora in vacanza con i suoi, ma se non ricordo male la lettera diceva che dovrebbe tornare domenica. Il che è perfetto, perché anche io dovrei tornare nel finesettimana, e pensavo che lunedì prossimo potremmo andare tutte insieme e Diagon Alley! Ho troppa voglia di rivedervi, mi siete mancate in queste settimane!
Adesso devo proprio andare, mio zio vuole portarci a visitare altri nostri parenti americani. Non posso credere che ce ne siano ancora, ho dovuto baciare almeno cinque vecchie zie barbute da quando sono arrivata qui!
Ti prego, convinci tua madre a mandarti a Diagon Alley, lunedì! Dille di non preoccuparsi, e che saremo di ritorno prima del tramonto. Salutamela tanto, e fai una carezza (simbolica) agli Streeler da parte mia! Aspetto con ansia tue notizie!

A prestissimo!

Tua

Mary

Soltanto quando arrivò alla fine della lettera, Catherine si accorse che sulle sue labbra aleggiava un piccolo, involontario sorriso. Rimise i fogli nella busta, scuotendo leggermente la testa con aria rassegnata. Mary non si smentiva mai: dovunque andasse, qualsiasi cosa facesse, trovava immancabilmente il modo di infilarsi in qualche avventura amorosa che, di solito, durava giusto il tempo di trovare qualcuno di altrettanto carino verso cui sbattere le sue lunghe ciglia da cerbiatta. Lei e Lily trovavano incredibile la sua capacità di attirare esseri umani di sesso maschile nello stesso modo in cui le persone normali attiravano zanzare nel periodo estivo, ma in fondo non c’era molto di cui stupirsi: Mary era davvero una bella ragazza, senza dubbio una delle più carine di Hogwarts, dove poteva vantare molte conquiste, diversi cuori infranti e l’ostilità di non poche studentesse. Catherine e Lily erano le sole a perdonarle la sua incorreggibile volubilità: la conoscevano meglio di chiunque altro, e sapevano bene che sotto la superficialità e il cinismo che Mary a volte ostentava c’era un carattere più sensibile e leale di quello che le apparenze lasciavano credere.
In ogni modo, la sua proposta di andare tutte a Diagon Alley quel lunedì era troppo allettante per non tenerla in considerazione. L’aspettativa di rivedere presto le sue due amiche, di scorrazzare insieme per i negozi e di mangiare un gelato da Florian Fortebraccio ascoltando Mary mentre raccontava i dettagli della sua vacanza negli Stati Uniti, riusciva a metterla di buonumore al solo pensiero. Sperava solo che Isabel non avrebbe fatto troppe obiezioni …
Concesse a Medea una grattatina dietro l’orecchio, prima di allungare la mano verso la seconda lettera e di strapparne la busta con impazienza. I fogli di pergamena, questa volta, erano molto meno numerosi, ma considerato chi era il mittente Catherine non se ne stupì più di tanto: al contrario di Mary, che in certe occasioni rasentava la logorrea, Lily non aveva la stessa propensione per le chiacchiere.


Cara Cathy,

Sono davvero contenta di avere avuto tue notizie! Come stai? Hai fatto progressi con gli Streeler? Da quanto ho capito dalla tua ultima lettera, la tesi che stavi cercando di dimostrare era molto interessante. Sono sicura che il professor Kettleburn sarà molto soddisfatto di te!
Io, purtroppo, ho poco o niente da raccontarti rispetto all’ultima volta che ci siamo sentite. Questa vacanza con i miei è abbastanza piacevole, ma a volte mi annoio: Petunia è sempre un po’ scontrosa, con me, e spesso mi sembra di essere da sola persino quando siamo insieme nella stessa stanza. Per giunta non conosco nessuno in questo posto, così passo le giornate a leggere e a fare lunghe passeggiate per conto mio. Puoi immaginare con che sollievo accolga ogni volta l’arrivo delle lettere tue e di Mary!
Ti sembrerà strano, ma quest’anno il pensiero di tornare a Hogwarts non mi rende euforica come tutte le altre volte. Voglio dire, sono contenta, ovviamente, e non vedo l’ora di rivedervi, ma ho una specie di buco nello stomaco che … beh, non so spiegarlo. Forse è soltanto ansia al pensiero di dover affrontare un altro anno da Prefetto. Sì, è sicuramente così. Sono orgogliosa che mi abbiano affidato questa responsabilità, ma francamente lo scorso anno è stato il più stancante che io abbia mai passato a Hogwarts. Credi che sia facile tenere testa a quegli idioti di Black e Potter e trovare anche il tempo di mangiare, dormire, andare in bagno, pattugliare i corridoi e seguire le lezioni? E Lupin non mi è per niente di aiuto! Sai quanto io lo stimi, ma il fatto che il più delle volte tenda a coprire, ignorare o giustificare i suoi amichetti mi irrita da morire.
A proposito di Hogwarts, quasi dimenticavo! Hai già avuto i risultati dei G.U.F.O.? A me sono arrivati qui (per fortuna la nostra casa è piuttosto isolata e nessun Babbano ha visto arrivare il gufo con la lettera), e direi che non posso affatto lamentarmi.
Non ho ancora avuto notizie di Mary, nell’ultima settimana, ma dall’ultima lettera che mi ha scritto sembrava se la stesse spassando alla grande. Scommetto quello che vuoi che anche negli Stati Uniti è riuscita a infilarsi in qualcuno dei suoi flirt inconcludenti!
In ogni modo, io sarò di nuovo a casa domenica pomeriggio al più tardi, quindi dobbiamo assolutamente trovare un modo per incontrarci! Sono un po’ pensierosa, in questi ultimi tempi, e rivedervi mi tirerà sicuramente su di morale.
Scrivimi presto e saluta tua madre da parte mia!

Un abbraccio dalla tua

Lily

Il sorriso che Cathy si ritrovò sulle labbra, questa volta, aveva un sapore un po’ più amaro del precedente. Le lettere di Lily, di solito, erano allegre e solari: era una ragazza forte – sicuramente la più forte di tutte loro - e capitava di rado che permettesse alla tristezza di sopraffarla. Catherine, tuttavia, percepiva senza troppa difficoltà la malinconia che affiorava tra quelle righe vergate con grafia stretta, elegante e ordinata. Mary aveva ragione: Lily era troppo orgogliosa per ammettere di stare passando un brutto momento, ma loro la conoscevano bene, e riuscivano a capirlo senza bisogno che lo dicesse apertamente.  Si ripromise, per l’ennesima volta, di non dispiacersi troppo quando Piton si fosse beccato la prossima Fattura Urticante da Potter e Black. Perché, per quanto Lily fingesse di non dare importanza a quello che era accaduto a giugno, e per quanto si illudesse che quel buco nello stomaco fosse colpa di tutt’altra cosa, era fin troppo chiaro che la causa del suo malessere fosse la rottura con il suo migliore amico. Catherine non amava dare giudizi troppo netti sulle persone, ma questa volta era costretta a concordare con l’appellativo di “idiota” che Mary, senza troppe cerimonie, aveva riservato a Piton.  Sperò ardentemente che Isabel le accordasse il permesso di andare a Diagon Alley, il lunedì seguente: una bella giornata tra amiche, con un giro al Ghirigoro e Mary che si lanciava in iperboliche ed esilaranti descrizioni della sua esperienza in America, era quello che ci voleva a Lily per tirarsi un po’ su di morale! Sarebbe stato auspicabile che anche Petunia facesse la sua parte per rinfrancarla un po’, ma Catherine sapeva che su quel versante c’era poco in cui sperare: Lily e sua sorella non erano mai andate troppo d’accordo, e dopo l’ammissione di Lily a Hogwarts i loro rapporti erano, se possibile, ancora peggiorati.
«Cathy! E’ in tavola!»
La voce di sua madre la raggiunse dal fondo delle scale, scuotendola dalle sue riflessioni e facendola ripiombare nella realtà. Rimise frettolosamente la lettera di Lily nella busta e si alzò dalla sedia, provocando le indignate proteste di Medea. Ripromettendosi di rispondere alle amiche appena terminato di pranzare, si diresse al piano di sotto, facendo solo una rapida tappa in bagno per lavare via i rimasugli di terra dalle mani, dalle braccia e dal viso.
Quando finalmente approdò in cucina, dove sua madre aveva appena iniziato a depositare generose porzioni di lasagne sui piatti, la radio sulla credenza stava continuando a ronzare in sottofondo con le notizie del giorno. Si lasciò cadere al suo posto e prese in mano la forchetta, mentre sua madre, dall’altra parte del tavolo, faceva lo stesso.
«Il Ministero della Magia ha reso noto poche ore fa il bilancio delle vittime dell’aggressione avvenuta nelle prime ore della sera nel villaggio di Portbury, vicino a Bristol» stava dicendo in quel momento lo speaker, in tono serio e grave. «Secondo il Quartier Generale degli Auror e il Dipartimento delle Catastrofi e degli Incidenti  Magici, le vittime ammonterebbero a venti persone, per la maggior parte Babbani e Nati Babbani, mentre i feriti – che in questo momento si trovano all’Ospedale San Mungo – sarebbero circa una trentina. Gli Obliviatori della Squadra di Cancellazione della Magia Accidentale sono subito accorsi sul posto per occuparsi dei Babbani coinvolti, ma prima che venisse loro modificata la memoria molti di loro hanno affermato istericamente di essere stati attaccati da delle figure incappucciate che sono comparse all’improvviso, come dal nulla, nella piazza centrale del villaggio. Il portavoce dell’Ufficio per l’Applicazione della Legge Magica ha rilasciato una dichiarazione in proposito, dove ha confermato che un Marchio Nero è stato avvistato in cielo subito dopo l’aggressione. La rivendicazione dell’attentato da parte dei Mangiamorte, quindi, non sembra essere messa in dubbio dalle fonti ufficiali. Passiamo adesso all’elenco dei nomi delle persone scomparse in queste ultime ore …»
Catherine si accorse di non stare prestando la minima attenzione a quello che stava mangiando. La sua mandibola e la mano che portava la forchetta alle labbra si muovevano automaticamente, quasi appartenessero a qualcun altro, mentre le sue orecchie erano tese ad ascoltare, con lo stomaco annodato, le notizie gracchianti della radio. Non sapeva perché continuava ad ascoltarla ad ogni occasione, in modo quasi ossessivo, rovinandosi puntualmente quasi tutti i pasti della giornata. Era raccapricciata, ma allo stesso tempo attratta irresistibilmente dalle notizie che arrivavano dall’esterno. Voleva sapere, voleva informarsi di quello che accadeva, ma allo stesso tempo aveva paura di quello che avrebbe sentito: era capitato più volte, negli ultimi tempi, di sentire i nomi dei genitori di alcuni suoi compagni di scuola negli elenchi delle vittime o delle persone scomparse, e ogni volta le sembrava di stare vivendo dentro un orribile sogno da cui era impossibile svegliarsi. Lanciò un fugace sguardo a sua madre al di sopra dell’ennesima forchettata di lasagne alle verdure. Isabel consumava il suo pranzo in silenzio, la testa china sul piatto, la mano destra che manovrava lentamente la forchetta, ma a Catherine non sfuggirono il suo volto tirato e le sue sopracciglia aggrottate.
Il preoccupante aumento, in quegli ultimi mesi, di morti improvvise, arresti, torture e misteriose sparizioni, avevano gettato sua madre in uno stato di preoccupazione quasi permanente. Non che lei e Catherine avessero qualcosa da temere, essendo entrambe purosangue, ma – come aveva osservato Isabel quando Catherine gliel’aveva fatto presente – non si poteva mai sapere fino a che punto avrebbe potuto spingersi la follia di quei fanatici. C’era, poi, una questione ancora più rilevante: fino alla sua decisione di ritirarsi a vita privata per badare alla figlia appena nata ed elaborare il lutto per la morte del marito, Isabel era stata una delle più note pozioniste della Gran Bretagna. Il fatto che ancora nessun Mangiamorte avesse bussato alla loro porta di casa per reclutarla nelle loro file, era merito soltanto dell’impegno con cui sua madre aveva fatto perdere le sue tracce trasferendosi in uno sperduto paesino sulla costa meridionale, nonché – come Catherine sospettava – del puro e semplice caso. Erano queste le ragioni per cui nella loro cantina (come in quella di migliaia di altre famiglie di maghi) era sempre pronto un Armadio Svanitore in cui scomparire all’occorrenza; erano queste le ragioni per cui entrambe sobbalzavano involontariamente ogni volta che sentivano bussare alla porta, ed erano queste le ragioni per cui sua madre, ultimamente, non vedeva molto di buon occhio l’idea di mandarla in giro da sola.
Ingoiò l’ennesimo boccone di cibo con la stessa facilità con cui avrebbe mandato giù un sasso. Era decisamente il momento meno opportuno per esporre a Isabel il suo progetto riguardante Diagon Alley, ma si rese conto che, se voleva dare una risposta in tempi brevi a Mary e Lily, prima della fine del pranzo avrebbe dovuto chiederle il permesso. Stava giusto pensando ad un modo per porre la sua richiesta che non allarmasse troppo Isabel e che non causasse infinite discussioni e malumori – come era ormai successo diverse volte – quando, inaspettatamente, fu sua madre a introdurre l’argomento.
«Come stanno Mary e Lily?» le domandò in tono leggero, prima di bere un sorso di Succo di Zucca. «Sono tornate dalle vacanze?»
«Non ancora» rispose Catherine. «Saranno di nuovo a casa nel finesettimana, mi hanno detto. Comunque, a quanto ho capito, stanno piuttosto bene.»
«Pensavo che prima dell’inizio della scuola potresti invitarle da noi per un tè» continuò Isabel. «Mi farebbe piacere rivederle. E poi, se non sbaglio, Lily mi aveva chiesto una mano per aiutarla a preparare quella Pozione Lucidante da regalare a sua madre per il suo compleanno, l’ultima volta che ci siamo viste.»
«Sarebbe carino» concordò Catherine. «Lo scriverò nelle risposte alle loro lettere, più tardi.» Esitò un momento, rimestando incerta il cibo nel piatto, prima di continuare: «Sai, mi hanno proposto di andare insieme a loro a Diagon Alley, lunedì prossimo. Ho pensato che sarebbe stata una buona idea, visto che … insomma, devo ancora comprare tutto il materiale per la scuola … e poi non ci vediamo da un sacco di tempo. Tu cosa ne dici? Posso … potrei andare?»
Sbirciò la madre, ansiosa, sperando di leggere nel suo volto anche solo un piccolo indizio di accondiscendenza, ma come si aspettava Isabel aggrottò le sopracciglia ed emise un lungo sospiro.
«Cathy» cominciò, pazientemente «ne abbiamo già parlato diverse volte. Lo sai che questo non è il periodo più adatto per tre ragazze di sedici anni …»
«Quasi diciassette, per quanto mi riguarda» borbottò Catherine, ficcandosi in bocca un altro boccone di lasagne.
«… per andarsene in giro da sole. So bene che ormai siete quasi adulte, ma i tempi sono molto cambiati!»
«Credo di essermene accorta. Leggo il giornale e ascolto la radio come tutti» ribatté Catherine piano, gli occhi ancora puntati sul piatto. Stava iniziando a sentire una familiare avvisaglia di irritazione tremarle nello stomaco, ma cercò di mantenere un tono tranquillo.
«Benissimo, allora non c’è bisogno che ti spieghi che un posto come Diagon Alley, pieno di studenti di Hogwarts provenienti dalle famiglie più svariate, potrebbe diventare il bersaglio ideale, se i Mangiamorte decidessero di pianificare un attacco!»
Catherine trasse un profondo respiro. Stava tentando con tutte le sue forze di rimanere calma, ma quando Isabel assumeva quell’atteggiamento da donna onnisciente, come se solo lei si rendesse conto della gravità della situazione e Catherine fosse solo una bambina inconsapevole, la rabbia minacciava sempre di sopraffarla. Quando finalmente rispose, sentì la propria voce leggermente incrinata dalla stizza: «Forse è per questo che da un po’ di mesi a questa parte Diagon Alley è piena di Auror ad ogni angolo. Non credi che questo lo renda, al contrario, uno dei posti più sicuri della Gran Bretagna?»
Le sopracciglia di Isabel si aggrottarono fin quasi ad unirsi in un’unica linea scura. Fissò la figlia con espressione severa per qualche secondo, come imponendosi a sua volta di non perdere la calma di fronte alla chiara sfumatura di sarcasmo nel tono di Catherine.
«Non mi interessa quanti Auror ci siano» replicò dopo qualche secondo, scandendo lentamente le parole. «Lo sai come la penso al riguardo. Se non ti dispiace, preferirei che tu non andassi.»
«Ma non posso nemmeno starmene chiusa in casa per sempre!» sbottò Catherine, incapace di trattenersi oltre. «E poi sono una purosangue, santo cielo, quante probabilità ci sono che diventi un bersaglio per i Mangiamorte?»
«Abbiamo già parlato anche di questo, Cathy, e vorrei non dovermi ripetere per l’ennesima volta!» La voce di sua madre, adesso, era notevolmente più alta, e il suo tono decisamente spazientito. «E’ dei Mangiamorte che stiamo parlando, di persone fanatiche, crudeli e senza scrupoli! Il fatto che tu sia una purosangue non è una garanzia che tu venga lasciata in pace, specialmente se …»
La mano di Catherine si bloccò a metà strada e rimase per diversi secondi immobile, vibrante davanti alla bocca. Aveva un vago sospetto di ciò che sua madre stesse per dire, ma cercò di illudersi ancora per qualche istante che non sarebbe stato così.
«Specialmente se … ?» ripeté lentamente, invitandola a continuare.
Prima di rispondere, Isabel deglutì, come se improvvisamente non fosse più molto sicura di ciò che stava per dire. «Specialmente se ti fai vedere in giro con persone che non possono vantare la tua stessa inattaccabilità dal punto di vista del loro stato di sangue» sputò fuori alla fine a voce più bassa ma decisa, distogliendo lo sguardo da quello della figlia.
La rabbia, che fino a quel momento Catherine aveva fatto del suo meglio per tenere sotto controllo, straripò dagli argini e dilagò.
«Se ti riferisci a Lily, sappi che non ho nessuna intenzione di smettere di andare in giro con lei soltanto perché i suoi genitori sono Babbani!» mise in chiaro, a voce più alta di quanto avrebbe voluto. «Ho già declinato il suo invito ad andare in vacanza con loro, quest’estate, e soltanto perché non volevo lasciarti da sola a casa in preda all’ansia per un mese intero! Santo cielo, non posso credere che tu mia stia dicendo queste cose! E’ quasi il tipo di discorso che farebbe un sostenitore di …»
«Ora non buttarla sul melodrammatico!» la interruppe Isabel. «Lo sai che non ho mai avuto nessun pregiudizio e che voglio bene a Lily come se fosse mia figlia!»
«Oh, e quindi invitarla a casa nostra per un tè va bene ma andare insieme a lei a Diagon Alley no?»
«Ti sto solo chiedendo di essere prudente, tutto qui! E fammi il piacere di smetterla di usare quel tono con tua madre!» esclamò Isabel bruscamente, sovrastando la voce di Catherine. La ragazza ammutolì e strinse le labbra, impotente, le narici allargate e lo sguardo puntato in quello di Isabel con aria di sfida. Le mani le tremavano per la rabbia che era costretta a reprimere, e la gola era stretta in una morsa di ferro.
«Credo di non avere più fame. Ti aiuto a sparecchiare» disse dopo qualche secondo con voce inespressiva, spingendo rumorosamente indietro la sedia e portando via il proprio piatto. Isabel non replicò né si mosse dal proprio posto, mentre Catherine faceva avanti e indietro tra il tavolo e la cucina per mettere i piatti nel lavello. Si limitò a fissarla di sottecchi con aria indecifrabile, come valutando ciò che era appena accaduto fra loro. Un paio di volte sembrò sul punto di dire qualcosa, ma richiuse subito le labbra, stringendole fino a ridurle ad una linea sottilissima.
Dopo che ebbe tolto dal tavolo anche la tovaglia e che l’ebbe ripiegata e riposta nel cassetto, Catherine abbandonò la stanza senza una parola, lasciandosi alle spalle sua madre impegnata a lanciare un incantesimo sule stoviglie perché si lavassero da sole. Salì la rampa di scale che portava al piano di sopra pestando più del solito sugli scalini, e fu sollevata quando finalmente si ritrovò sola nella sua stanza. Fu arduo trattenersi dallo sbattersi la porta alle spalle, ma in qualche modo ci riuscì: non voleva dare a Isabel un altro motivo per prendersela con lei, e sicuramente non aveva alcuna voglia di far nascere un’altra discussione. Si buttò a pancia in su sul letto e rimase per diversi minuti a fissare il soffitto, cercando di controllare il respiro e calmarsi.
Non sapeva con chi sentirsi più infuriata: se con Isabel, che avrebbe voluto vedere più forte e che invece cedeva così facilmente alla paura, o se con Tu-Sai-Chi e tutti i suoi Mangiamorte, i veri responsabili di quel clima di terrone che si era creato nel paese e che portava contrasti, discordie e incomprensioni anche tra i membri della stessa famiglia.
Sospirò e si premette i pugni sulle palpebre chiuse. C’erano volute settimane, nonché gli sforzi congiunti suoi, di Mary e di Lily, per convincere Isabel a firmarle il permesso per le uscite di Hogsmeade, al terzo anno. Sua madre aveva acconsentito a firmare solamente quando era stata assolutamente sicura che il villaggio, al pari del castello, era protetto da un numero sufficiente di Auror e dai più avanzati incantesimi di protezione; e anche dopo, aveva continuato per molto tempo a inviarle lettere piene di raccomandazioni ogni volta che, durante i finesettimana, si preannunciava un’uscita a Hogsmeade.
Catherine non riusciva a biasimare del tutto sua madre per i suoi timori e le sue paure a volte eccessive: era comprensibile che l’istinto di protezione nei confronti della sua unica figlia – anzi -  dell’unica cosa importante rimastale al mondo dopo la morte di suo marito, la  spingessero, a volte, ad esagerare con l’apprensività; e d’altronde, le cose che si sentivano alla radio e si leggevano sulla Gazzetta del Profeta ogni giorno era talmente agghiaccianti che, certe volte, era impossibile per chiunque non cedere al panico.  Catherine non era un’incosciente. Aveva paura, esattamente come tutti gli altri. Di notte veniva svegliata, madida di sudore, da incubi terribili pieni di figure nere incappucciate, risate malvagie, grida e lampi di luce verde, esattamente come tutti gli altri. Ogni giorno si chiedeva non più se, ma quanti nomi di persone che conosceva avrebbe sentito alla radio nella lista delle persone uccise o scomparse, esattamente come tutti gli altri. Sapeva benissimo che, in quei tempi difficili, la prudenza non era solo necessaria, ma vitale.
E tuttavia, ogni volta che sua madre la pregava di non uscire e di non farsi vedere con Lily, ogni volta che alla radio o sul giornale raccomandavano di limitare i propri spostamenti e di rimanere in casa, sentiva un moto di ribellione scuoterla nel profondo. Era proprio questo, quello che voleva Lord Voldemort: intimorirli, terrorizzarli, ridurli a un branco di topi spaventati che non osavano nemmeno mettere il naso fuori dalla tana; dividerli, seminare discordia, metterli l’uno contro l’altro. Le sembrava impossibile che sua madre non lo capisse, proprio lei che per Catherine era sempre stata un modello di forza e di integrità.
Inspirò profondamente e allargò le narici, il petto gonfio di rabbia. Lei era solo una giovane strega di sedici anni dal carattere timido e pacifico, che amava i libri, lo studio e il tè caldo nei pomeriggi di pioggia, senza particolari talenti a parte ciò che riguardava gli animali e le creature fantastiche. Non poteva fare molto per migliorare la situazione, ma non aveva nessuna intenzione di farsi trasformare in un topo spaventato. Di questo era assolutamente certa.
L’amara realtà dei fatti, tuttavia, non cambiava: nonostante tutti i suoi tentativi e tutti i suoi buoni propositi, lunedì non sarebbe potuta andare a Diagon Alley con le altre. Aveva aspettato per settimane l’occasione di passare una giornata insieme a loro, scorrazzando per negozi e mangiando gelato fino a farsi venire il mal di pancia, e adesso doveva rinunciarci. Certo, sarebbero comunque potute venire a casa sua a prendere un tè per fare due chiacchiere … ma non sarebbe stata la stessa cosa.
Sospirò. Avrebbe dovuto trovare un modo per dare la notizia alle ragazze senza che ci rimanessero troppo male. Forse con Mary sarebbe stato più facile, ma con Lily … Aveva già declinato il suo invito a passare le vacanze insieme a lei: se avesse rifiutato anche questa occasione per passare del tempo insieme avrebbe potuto intuire che sua madre non vedeva di buon occhio che si frequentassero fuori dalla scuola, ed era un’eventualità a cui Catherine preferiva non pensare. Era tutto così frustrante!
Dei leggeri colpi alla porta la strapparono alle sue riflessioni e fecero drizzare le orecchie a Medea, che sonnecchiava sulla sedia davanti alla scrivania.
«Avanti» rispose Catherine controvoglia. Non le andava di vedere sua madre e ascoltare di nuovo le sue giustificazioni sul perché sarebbe stato molto meglio, per lei, non andare a Diagon Alley. Odiava quando le parlava con quel tono condiscendente e paternalistico, come se lei fosse soltanto una bambina capricciosa che andava blandita. Voleva solo rimanere da sola per un po’, finché la rabbia fosse sbollita e il malumore si fosse attenuato.
«Posso entrare?»
Isabel mise dentro la testa, socchiudendo la porta di uno spiraglio. Catherine si limitò ad un secco gesto di indifferenza con il mento, cosa che a sua madre sembrò bastare. Entrò e si sedette sul bordo del letto, cautamente, come se avesse paura di occupare troppo spazio. Tacque per qualche istante, le mani schiacchiate tra le cosce, a disagio. Catherine continuò a non guardarla, mantenendo un ostinato silenzio. Trascorsero diversi secondi prima che Isabel finalmente, si decidesse ad aprire bocca.
«Immagino che tu sia molto arrabbiata con me» constatò con un piccolo sospiro, a mezza voce. Catherine non disse nulla: la risposta le sembrava più che evidente. Continuò a evitare il suo sguardo, la mandibola contratta e le narici dilatate.
«Non sei una stupida, Cathy» continuò sua madre in tono paziente. «Sai bene perché ti ho detto quelle cose. Il solo pensiero che possa succederti qualcosa … io, ecco … non voglio neanche prenderlo in considerazione.»
La sua voce si incrinò leggermente verso la fine della frase, cosa che Catherine non poté fare a meno di notare. Subito cominciò ad avvertire un fastidioso pizzicore agli angoli degli occhi, e si maledisse per la sua dannata debolezza. La verità era che, per quanto a volte non la sopportasse, odiava vedere sua madre piangere, oppure sul punto di farlo. Avrebbe dato qualsiasi cosa per evitare che accadesse: ogni volta era come se qualcosa le si spezzasse dentro. Sapeva che, in quei momenti, avrebbe dovuto essere forte anche per lei, ma la maggior parte delle volte non ci riusciva affatto, e il risultato era che, per quanto si sforzasse di trattenersi, si ritrovava a piangere a sua volta per la pena di vederla triste. E, anche quella volta, sembrò che il copione stesse per ripetersi.
Improvvisamente, Catherine sentì che non sarebbe riuscita a rimanere trincerata dietro la sua rabbia ancora per molto. Sapere che per sua madre era la cosa più importante del mondo era una cosa, ma sentirselo dire apertamente, con quel tono fragile, era tutta un’altra faccenda. Continuò tuttavia a fissare la parete alla sua destra come se fosse la cosa più interessante sulla terra, decisa a non cedere.
«Questo, però, non giustifica quello che ho detto poco fa sul conto di Lily» disse Isabel, la voce ridotta quasi ad un sussurro. «Credo proprio di avere esagerato, questa volta.»
Catherine lanciò cautamente un’occhiata nella sua direzione, come se volesse assicurarsi di aver sentito bene e che il suo udito non le stesse facendo strani scherzi. Sua madre si stava davvero scusando con lei? Quante volte era successo durante le loro discussioni, nei suoi sedici anni di vita? Probabilmente avrebbe potuto contarle sulle dita di una mano …
 «Tu sai quanta stima io abbia di Lily e quanto le voglia bene …» disse Isabel, fissandola con gli occhi umidi.
«Lo so» rispose Catherine, deglutendo per cercare di ricacciare in fondo alla gola la morsa che la bloccava.
«Non voglio che tu pensi che stia cominciando ad avere pregiudizi.»
Fu a quel punto che Catherine capì di essere sul punto di capitolare. Si girò sul fianco sinistro, si puntellò sul gomito e avvolse il braccio libero intorno al collo della madre.
«Non l’ho mai pensato» la rassicurò, il viso nascosto nell’incavo del suo collo per nascondere la commozione.
Ci furono diversi secondi di silenzio, un silenzio molto diverso da quello gelido che era calato nella stanza all’ingresso di Isabel. La donna la abbracciò, il sollievo palpabile nella forza della sua stretta, e – sospettò Catherine – si prese del tempo per calmarsi e ricacciare indietro le lacrime che avevano minacciato di strariparle dagli occhi. Quando parlò di nuovo, infatti, la sua voce era molto più ferma.
«Stavo pensando, Cathy … riflettendoci bene, forse l’idea di andare a Diagon Alley non è poi così brutta.»
Catherine si staccò da lei e la guardò con gli occhi spalancati, sorridendo raggiante. «Dici sul serio?»
Il volto di Isabel, che alla vista dell’entusiasmo di Cathy si era aperto a sua volta in un sorriso, assunse un’espressione più seria.
«Sì» le confermò in tono indulgente, ma che non ammetteva repliche. «Però dovete promettermi di tenere gli occhi bene aperti, di essere molto prudenti e di stare insieme il più possibile. Mi sono spiegata?»
Catherine annuì, felice. Era più di quanto avesse osato sperare.
«E state alla larga da Nocturn Alley! Non è un buon posto dove andare a ficcare il naso, specialmente di questi tempi.»
Acconsentì anche a questo, anche se non c’era davvero bisogno di una raccomandazione del genere: chiunque fosse dotato di un minimo di buon senso e non avesse nutrito alcun interesse per la Magia Oscura sapeva che addentrarsi nei vicoli di Nocturn Alley non era affatto una buona idea. Quel posto faceva venire i brividi …
«Allora posso scrivere a Mary e Lily che lunedì potrò andare anch’io?» chiese al settimo cielo, tirandosi seduta.
Isabel sorrise. «Fai pure. E ricordati di dire loro che sono invitate a casa nostra per il tè.»
Catherine la abbracciò di slancio, gli occhi che minacciavano di nuovo di iniziare a pizzicare per la commozione. «Grazie» disse semplicemente, piena di gratitudine. Sapeva quanto doveva essere costato a sua madre darle il permesso di andare. Sapeva anche che le loro discussioni non sarebbero finite lì, e che la volta seguente, probabilmente, le preoccupazioni eccessive sarebbero ricominciate, insieme alle discussioni e ai malumori, ma per il momento le andava bene così.
Si sciolse dall’abbraccio e scese dal letto, mentre Isabel si alzava e usciva dalla stanza. Le servivano pergamena, penna e inchiostro, immediatamente! Non vedeva l’ora di scrivere a Mary e Lily la splendida notizia! Frugò nel tremendo disordine del primo cassetto della scrivania, alla ricerca dell’occorrente per scrivere. Le sembrava già di sentire l’odore di libri vecchi del Ghirigoro, il profumo di pergamena nuova della cartoleria, l’odorino delizioso del gelato al cioccolato di Florian Fortebraccio, i bisbigli eccitati di Mary e la risata cristallina di Lily.
Prese in braccio Medea, si sedette e spianò ben bene il pezzo di pergamena che aveva scovato nel fondo del cassetto. Intinse la penna d’oca nel calamaio e poggiò la penna sul foglio, sorridendo tra sé e sé per la felicità.

Cara Mary,

non crederai mai a quello che sto per dirti! …

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ANGOLO AUTRICE

Ben ritrovati a tutti! Innanzitutto mi scuso per quanto ci ho messo ad aggiornare, ma impegni universitari di vario genere non mi hanno permesso di scrivere molto, in questi ultimi mesi. Spero che il primo capitolo sia stato di vostro gradimento. Effettivamente non succede granché, serve più che altro a presentare la protagonista, la sua famiglia, i suoi interessi e una parte del suo carattere (che comunque verrà approfondito nei prossimi capitoli), nonché a inquadrare i tempi difficili (da qui il titolo) in cui Catherine sta vivendo. Dal prossimo capitolo cominceranno a entrare in scena anche gli altri personaggi importanti di questa storia, e le cose inizieranno a farsi un po’ più interessanti (spero). La passione di Catherine per gli animali (fantastici e non) è un omaggio alla me di moooolti e molti anni fa, quando ero fissata con gli animali e sostenevo (beata ingenuità) che da grande avrei fatto la veterinaria, convinzione abbandonata molto presto con il passaggio al lato oscuro della forza, ovvero all’area umanistica.

Ringrazio fin da ora tutti coloro che vorranno leggere e – magari – lasciare un parere! Un ringraziamento particolare va a Cate90, che mi ha sostenuto moralmente e consigliato riguardo ad un aspetto della trama di questa fan fiction, e ad Alexander_Supertramp, che mi ha fatto notare un’incongruenza nella data di nascita di Cathy (nascendo il 31 ottobre 1960, ovvero dopo il 1 settembre di quell’anno, non avrebbe potuto andare a Hogwarts nel 1971 insieme ai Malandrini, quindi ho provveduto a spostarla al 31 ottobre 1959). Grazie davvero, siete stati molto utili!


Per chi fosse curioso di sapere chi è la pazza che partorisce questi capitoli, ecco qua:
- Il mio profilo su EFP: http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=150485
- Il mio profilo personale di FB: https://www.facebook.com/linda.delgamba
Per chi invece volesse rimanere sempre aggiornato su ciò che scrivo, qui trovate la mia PAGINA EFP su Facebook: https://www.facebook.com/mrsblack90efp

Spero di tornare presto ad allietarvi (o rompervi le scatole, dipende dai punti di vista) con il prossimo capitolo!
Saluti,

MrsBlack90

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: LindaBaggins