Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: ArwenUndomiel    05/01/2015    7 recensioni
"Harry aveva visto il suo incubo più grande, la causa di ogni suo problema crollare al suolo, poi anche lui era stato raggiunto dal fascio di luce di verde.
Aveva chiuso gli occhi e con un sorriso aveva sentito l’incantesimo
avvolgerlo."
E se morire si rivelasse la cosa migliore che potesse capitare?!
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Harry Potter, I Malandrini, Un po' tutti | Coppie: Harry/Ginny, James/Lily, Remus/Ninfadora
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 4

La notte di Halloween era da sempre un evento per chi frequentava Hogwarts, il banchetto era più abbondante del solito e le leccornie preparate dagli elfi sembravano ancora più succulente agli occhi degli studenti che iniziavano il conto alla rovescia per gustarle, sin dal primo giorno di scuola.
Neville Paciock ne era probabilmente tra i sostenitori più accaniti, ma quella sera, al contrario di ogni previsione, aveva perso completamente l’appetito.
“Neve, le mangi quelle ali di pollo che hai nel piatto?” aveva domandato Seamus Finnigan constringendo il giovane a spostare gli occhi dalle porte della Sala Grande.
“Eh? No … No, prendile pure …” aveva risposto con fare distratto.
L’orologio aveva appena battuto le dieci, ma dei suoi amici non c’era traccia.
Harry e Dylan erano la quintessenza del ritardo, ma che Hermione, Ted e soprattutto Ron non fossero lì ad abbuffarsi, era assolutamente inconcepibile .
E se … No, non era accaduto nulla.
L’anno scorso erano fuori dai confini di Hogwarts quando Harry era stato rapito ed era sicuro al cento per cento che quegli scapestrati non si sarebbero allontanati dalla scuola infrangendo un triliardo di regole per la loro sicurezza.
Ted non gliel’avrebbe permesso.
Una fugace visione del povero ragazzo legato ed imbavagliato nella Stanza delle Necessità, lo aveva spinto a mordersi le labbra.
Si era voltato ed aveva passato in rassegna tutto il tavolo di Corvonero, quando la sua visuale era stata offuscata da una divisa, aveva alzato gli occhi per incontrarne un paio nocciola che conosceva bene.
“Mi stavi cercando?” aveva domandato una ragazza dai capelli color rame.
“No Ginny, stavo controllando se ci fosse Andrea …”
“È andata via un paio di minuti fa, non ha voluto che l’accompagnassi … ” aveva detto corrugando la fronte.
“Pensi sia accaduto qualcosa?” aveva poi domandato con uno scintillio di comprensione nello sguardo.
“Non lo so, mi sembra strano che non ci sia nessuno al banchetto, ecco … Alexander ha iniziato a fantasticarci su da stamattina all’alba …”
Ora a cui, tra l’altro, lo aveva buttato giù dal letto.
“Ora che mi ci fai pensare, non ho visto nemmeno Ashley … Eppure stasera sarebbe stata di ronda con uno dei nostri Caposcuola … ” aveva detto la  giovane con fare pensoso.
“Il mistero si infittisce …” aveva aggiunto Neville, mentre sentiva tutte le speranze di una serata tranquilla abbandonarlo.
“Il fatto che poi mio cugino non si stia abbuffando a morte, è estremamente preoccupante … ”
Neville non aveva potuto fare a meno di sorridere.
Ginny era l’unica figlia di Gideon Prewett e Hestia Jones, aveva perso i genitori qualche anno prima ed era stata accolta in casa di sua zia Molly come una figlia.
Era una ragazza vivace e attenta, aveva dimostrato una forza fuori dall’immaginabile nell’affrontare il lutto che le aveva sconvolto la vita.
Smistata a Corvonero aveva stretto una profonda amicizia con Andrea Lupin, le due non si separavano mai ed il fatto che la figlia del Ministro non avesse accettato la sua compagnia era tutto dire.
Un silenzio teso era calato tra i due ragazzi, ciascuno immerso nelle più improbabili ragioni che avessero spinto il resto della combriccola a tardare.
Nessuno dei due era disposto ad accettare un’incursione di Voldemort nelle loro vite, non ancora una volta, non di nuovo in quel giorno.
Il brusio che faceva da sottofondo alla cena in Sala Grande si era improvvisamente interrotto, riportando i due alla realtà.
Meccanicamente le loro teste si erano spostate alle porte che fino ad allora sembravano essere state sigillate.
Il Preside era sulla soglia in compagnia di un altro mago che aveva tutta l’aria di essere un Auror.
Neville aveva assottigliato lo sguardo per mettere meglio a fuoco ed aveva inquadrato la figura di suo padre.
Il professor Piton si era diretto immediatamente verso i due uomini, avevano scambiato qualche parola ed i nuovi arrivati avevano imboccato il corridoio svoltando a sinistra.
Verso i sotterranei, nella direzione dell’infermeria.
D’un tratto quelle che erano semplici spiegazioni al ritardo di un gruppo di ragazzi troppo casinisti, avevano preso una piega differente.
Neville e Ginny si erano scambiati uno sguardo preoccupato, obbligati a fare i conti con la realtà dei fatti.
Il ragazzo aveva appena accennato ad alzarsi quando una mano si era posata sulla sua spalla destra, si era voltato in quella direzione per incontrare gli occhi del suo professore di Pozioni.
“Non ci provare, Paciock … Tuo padre ti manda a dire di non muoverti da qui.” aveva detto con un tono più tagliente di quanto desiderasse.
Neville aveva aperto bocca, ma era evidente che non fossero richieste repliche.
“Andrà tutto bene…” aveva aggiunto l’uomo, addolcendo il tono e dirigendosi nuovamente verso il tavolo degli insegnanti.
Ginny accanto a lui aveva perso qualche sfumatura di colore, tanto che la panna sulla torta al cioccolato al confronto con il suo viso sembrava sporca.
Potter non le era mai piaciuto più di tanto, avevano due caratteri, a suo avviso, completamente contrastanti, ma trattandosi di uno dei migliori amici di suo cugino Ron, frequentava spesso la Tana e lei aveva dovuto abituarsi alla sua fastidiosa presenza.
Negli ultimi periodi, però avevano abbandonato il piede di guerra e quanto meno non si urlavano dietro improperi nei corridoi, almeno fino a quando quel babbuino con gli occhiali non aveva intrapreso una relazione amorosa con un’oca del quinto anno con la quale, per sua sfortuna, era obbligata a dividere la Sala Comune.
Aveva desiderato durante ogni partita di Quidditch Grifondoro contro Corvonero che quel dannatissimo Potter acciuffa boccini, con un pessimo gusto in fatto di donne, si fratturasse molto dolorosamente qualcosa o che un Bolide lo colpisse in piena testa per mitigare la sua disarmante stupidità; ma ora di fronte all’evidenza che gli fosse davvero capitato qualcosa, non provava la soddisfazione che si era aspettata, forse perché non si trattava di uno stupido infortunio sportivo, forse perché probabilmente Potter aveva rischiato la vita per mano di Voldemort, ancora una volta o forse perché, anche se odiava ammetterlo, la presenza di Harry non era poi tanto fastidiosa.
Si era voltata verso Neville che sembrava aver perso il dono della parola ed istintivamente aveva notato qualcosa di anacronistico, proprio dietro di lei , una ragazza dai lineamenti orientali, discuteva animatamente con le sue amiche lanciando occhiate di fuoco in direzione della porta, poi in uno scatto di nervosismo si era strappata dal collo una collanina, l’aveva gettata nel piatto e come una furia era uscita di scena.
Ginny si era scoperta a scuotere il capo, a giudicare da ciò a cui aveva appena assistito, poteva affermare quasi con certezza che non era affatto vero che a Corvonero venissero smistate le persone più argute.
 
 
Albus Silente, preside della scuola di magia e stregoneria di Hogwarts, era considerato il mago più potente di tutti i tempi, la sua grandezza non era mai stata messa in dubbio, nemmeno dopo l’ascesa al potere del mago oscuro che terrorizzava sia il mondo magico che quello babbano e si faceva chiamare con lo pseudonimo di Lord Voldemort.
Il vecchio mago incarnava in sé molte amabili qualità tra le quali, senza ombra di dubbio vi era la pazienza, o almeno così egli stesso credeva fino a quel pomeriggio.
Era stato convocato al Ministero della Magia da Cornelius Caramell che era stato uno dei suoi più cari amici fino a quando non si era trovato a fronteggiare, nelle elezioni politiche tenutesi due anni prima, uno dei suoi più brillanti studenti. Da allora lo aveva ritenuto, secondo un criterio che ancora si sforzava di cogliere, responsabile del tracollo della sua carriera ai vertici delle istituzioni magiche ed aveva preso le distanze.
Visti i precedenti, il professore era parso alquanto sorpreso della missiva che gli era stata recapitata quella mattina presto.
Consapevole di non poter rifiutare un colloquio richiesto in via ufficiale, era partito alla volta del Ministero, desideroso di rientrare il prima possibile.
Non aveva dimenticato ciò che era accaduto l’anno prima e non voleva abbandonare il castello più a lungo del necessario.
Caramell era un ometto piuttosto tarchiato con l’espressione leggermente corrucciata di chi si trova perennemente immerso nei  propri pensieri, fin sulle sopracciglia cespugliose faceva, in ogni stagione, bella mostra di sé una bombetta color verde acido, che dava un tocco di vivacità ad una figura che di suo, proprio non ne aveva.
Silente lo aveva trovato seduto alla scrivania, intento a scrivere con foga su una pergamena.
Era entrato nell’ufficio arredato in maniera talmente pomposa che sembrava rispecchiasse l’indole del suo occupante e prima di richiudersi la porta alle spalle, aveva salutato, gentile.
Per tutta risposta l’ex ministro aveva abbandonato la  piuma sul tavolo con studiata lentezza per poi assumere un’espressione di malvagità mista a trionfo che aveva spinto il vecchio Preside a sospirare, sicuro ormai che il suo desiderio di tornare in Scozia a breve, sarebbe rimasto inesaudito fino a notte fonda.
E così era stato.
Caramell militava tra i maghi che si opponevano strenuamente al governo di Remus Lupin, ostacolandone le proposte di legge ed aumentando esponenzialmente le tempistiche degli interventi. Il buon ministro non si era, però mai perso d’animo e con il piglio che solo lui possedeva aveva fatto valere le sue ragioni e promulgato tutte le norme che riteneva fossero necessarie per il benessere del mondo magico.
Inutile dire che, nonostante il periodo di terrore in cui, si era trovato a governare, aveva migliorato la qualità della vita per tutti.
Ormai i Lupi Mannari potevano considerarsi integrati a pieno all’interno della società, gli elfi domestici, sebbene inizialmente scontenti del provvedimento, avevano apprezzato la presenza di un sindacato che li tutelasse.
Le relazioni internazionali con i Giganti si potevano ritenere prospere e fruttuose, così come i rapporti con i Goblin che avevano incrementato di molto i fatturati del Regno Unito magico grazie alla propria abilità nel commercio.
L’unico ambito in cui il ministro aveva deciso di non intervenire era  quello dell’istruzione, semplicemente perché riteneva che Hogwarts fosse perfetta esattamente com’era; ed era proprio su questo punto che invece batteva l’opposizione.
Con la sua vocetta untuosa, Caramell aveva illustrato a Silente le intenzioni della sua fazione di controllare la qualità degli insegnamenti impartiti nella sua scuola. Riteneva infatti che, il Ministro, assolutamente incompetente in merito, sottovalutasse il clima di panico che il ragazzino visionario e la sua famiglia di squinternati stavano diffondendo,  plagiando deliberatamente le giovani menti.
Il Preside aveva scosso il capo rassegnato, numerose volte aveva provato a far ragionare Cornelius convincendolo che Voldemort era tornato sul serio, ma egli si ostinava a non vedere. Per fortuna non era più il Ministro altrimenti, Silente ne era sicuro, sarebbe morto più d’un innocente a causa della sua cecità.
Remus non aveva tardato ad arrivare e si era aperta un’accesa discussione in merito al fatto che non fosse assolutamente necessario inserire nessun Commissario Speciale a vigilare sull’operato di chi insegnava ad Hogwarts, ma dopo più di dieci ore passate a discutere e solo a seguito del benestare del Preside, il Ministro aveva dovuto cedere alle pressioni per quieto vivere.
La scelta del supervisore spettava a Caramell, quindi il semestre avrebbe messo a dura prova tutti.
Di certo Silente non avrebbe permesso a nessuno di turbare la serenità dei suoi studenti, anche se da quanto aveva appreso da Severus, non c’era bisogno di quell’inetto per farlo.
A quel pensiero, un’onda magica si era propagata per tutta la scuola, Frank al suo fianco, aveva sentito l’energia risalirgli per la spina dorsale e si era voltato a guardarlo.
Non era uomo che si spaventasse facilmente, ma l’espressione di Silente in quel momento lo aveva fatto sentire come un bimbo piccolo dopo un terribile incubo.
 
Le persone riunite nei pressi dell’infermeria avevano avvertito la presenza del Preside prima ancora di vederlo arrivare.
Quando aveva svoltato l’angolo aveva trovato tutti in piedi ad attenderlo.
“Buonasera … ” aveva salutato cordiale, l’ombra che gli aveva offuscato il viso, completamente svanita.
“Ciao Albus .. ” aveva risposto James andandogli incontro per stringergli la mano.
“Severus mi ha spiegato a grandi linee quello che è accaduto … ”
“A cosa pensa sia dovuta la perdita di memoria?” aveva domandato Lily che non aveva mancato di cogliere una strana sfumatura nelle parole del Preside.
“Spero che Poppy mi faccia entrare in modo che io possa tentare di scoprirlo …”  era stata la risposta in tono allegro.
La signora Potter si era sciolta in un sorriso al pensiero del potente mago che temeva le ire dell’infermiera della scuola.
Congedandosi il preside aveva bussato e Regulus lo aveva lasciato entrare.
“Come sta?”
“I parametri sono nella norma, ora riposa … ” aveva risposto il medimago.
“Pensi che potrei avvicinarmi al letto senza che la cara Madama Chips, mi amputi un arto?”
“Certo, Poppy è in medicheria … Ma si sbrighi, sa che diventa irascibile quando trova persone in infermeria dopo l’orario di chiusura.”
Dopo essersi scambiati uno sguardo divertito i due avevano preso direzioni differenti.
Quando era a pochi passi dal letto in cui riposava Harry, Silente si era arrestato ed aveva assottigliato lo sguardo.
L’aura magica che avvertiva era indubbiamente quella del Bambino Sopravvissuto, ma c’era qualcosa che al contempo la rendeva completamente diversa, come se appartenesse ad un’altra persona.
Aveva  mosso la bacchetta per rivelare eventuali incantesimi utili a celare la vera identità, ma non vi era traccia di nulla di simile.
Harry non si era accorto della sua presenza, dormiva come se non avesse avuto la possibilità di riposare per mesi.
Silente era rimasto ancora un po’ a fissarlo, desideroso di cogliere qualcosa che lo aiutasse a capire, ma era impossibile giungere ad alcuna conclusione senza un dialogo.
Era uscito dall’infermeria giusto qualche minuto prima dell’arrivo di Madama Chips.
I suoi occhi avevano incontrato quelli apprensivi di Lily e per la prima volta non aveva la minima idea di cosa dire.
 
 
Quando Remus era arrivato al numero 10 di Downing Street, era notte fonda.
Si era voluto smaterializzare in un vicolo lì vicino, desideroso di godere di un po’ di aria fresca, prima dell’incontro con il primo ministro britannico.
La strada era illuminata dalla luce tenue dei lampioni e a fargli compagnia c'era la luna crescente.
Si era incantato a guardarla, era bellissima eppure da ragazzo l’aveva odiata più di qualunque cosa al mondo. Era la causa di tutti i suoi problemi, del suo non poter essere come tutti gli altri.
Si era ripromesso che se fosse riuscito a diventare talmente importante da poter cambiare realmente le cose, avrebbe fatto in modo che non sarebbe stata più un problema per le persone come lui.
Era sulla buona strada per riuscirci.
Sulla nuca avvertiva gli sguardi della sua scorta, sicuramente opera di James.
Di solito non consentiva a nessuno di accompagnarlo, se non ai suoi migliori amici.
Il pensiero di quanto stava accadendo ad Hogwarts lo aveva spinto ad accelerare il passo.
Voleva essere accanto a James per aiutarlo a sopportare quell’ennesima batosta e accertarsi delle condizioni di salute di Sirius.
Era il ministro della magia, ma prima di tutto un Malandrino.
Con un sospiro, aveva salito gli scalini che conducevano alla porta di ingresso.
Prima che potesse suonare il campanello, un uomo vestito di nero e con un auricolare lo aveva lasciato entrare.
“Signor ministro, il suo ospite è arrivato …” aveva detto guidando Remus per il lungo corrioio.
Era una routine che si ripeteva in occasione di ogni incontro.
Una volta giunti davanti all’ufficio, l’agente aveva aperto la porta lasciandogli il passo.
“Buonasera Remus …” aveva detto un uomo dai capelli brizzolati e vivaci occhi scuri che brillavano al di sopra di occhiaie marcate.
“Ciao George …” aveva detto il ministro della magia, con un lieve sorriso ad increspargli le labbra.
Erano buoni amici da tempo immemore, infatti mai collaborazione tra babbani e maghi si era rivelata più proficua.
“Mi dispiace infinitamente per quello che è accaduto nei pressi di Nottingham … I miei auror sono arrivati troppo tardi … ” aveva continuato, mortificato.
“Dispiace anche a me … Posso offrirti qualcosa da bere? Scotch, Bourbon?”
“Un bicchiere di scotch andrà benissimo, grazie … ”
George si era alzato dalla sua poltrona in pelle e con mani tremanti aveva riempito due bicchieri piuttosto capienti.
Ne aveva porto uno a Remus e si era appoggiato alla scrivania con il capo chino.
“Sai Rem, sono stanco di questa situazione … Oggi ho dovuto incontrare i familiari delle vittime … Delle millecinquecento vittime. Non ho più parole per dare conforto. Non ho più speranza per riempirle.”
Il licantropo aveva chiuso gli occhi e sospirato.
Lo sapeva bene cosa significava dire ad un padre che non avrebbe più rivisto i suoi figli, ad una moglie che non avrebbe avuto più la possibilità di vivere la quotidianità con suo marito.
Per cosa poi? Più si sforzava di comprenderlo e più gli sembrava una gigantesca cazzata che si dovesse arrivare a tanto in base a degli ideali completamente malati.
Lo sapeva bene Remus, perché due anni prima, aveva dovuto guardare negli occhi le mogli dei suoi migliori amici dicendo loro che non sapeva se sarebbero sopravvissuti.
Aveva dovuto guardare anche nei suoi di occhi e darsi la stessa, orribile notizia.
George lo aveva guardato a lungo, poi aveva parlato distogliendolo dalle sue riflessioni.
“Cosa possiamo fare?”
“Purtroppo più di quello che stiamo facendo, nulla …”
“Perché tutto questo odio nei nostri confronti? Rispetto a voi siamo indifesi, come può un “babbano”, come dite voi, difendersi contro una bacchetta? Dove sta lo scontro corretto?” aveva domandato, nel tono una rabbia crescente.
Remus aveva ghignato con amarezza, lasciandolo spiazzato.
“Non esiste un perché George, semplicemente questa testa di cazzo, si è svegliato una mattina ed ha deciso che tutti quelli che non hanno il sangue puro, sono feccia. Lo sei tu, lo sono io, lo sono i miei amici, i miei figli, gli amici dei miei figli e così discorrendo.
Credi che perché abbiamo una bacchetta siamo al sicuro? Che noi abbiamo maggiori probabilità di sopravvivere e ce ne sbattiamo dei vostri morti? Non è così, amico mio … Te lo posso assicurare.” Aveva detto tutto d’un fiato, il respiro accelerato per via del nervosismo.
Sapeva perfettamente che George non intendeva dare la colpa a nessuno di loro, ma aveva bisogno di dire quelle cose.
Di farlo ad alta voce.
L’altro lo guardava con gli occhi sbarrati, sentire Remus parlare in quel modo era occasione più unica che rara.
Dopo qualche istante aveva parlato.
“Non c’è nessuna soluzione a questa faccenda?”
“Una ci sarebbe, ma significherebbe dargliela vinta su tutti i fronti.”
Il primo ministro lo aveva guardato con aria interrogativa.
“Chiudere i passaggi dimensionali, confinare i maghi nel mondo magico … In questo modo noi non potremmo uscire e voi non potreste entrare … “
“E che cosa comporta esattamente?”
“Che faremmo il gioco di Voldemort … La magia resterebbe off limits per i nati babbani.”
George aveva emesso un sospiro di frustrazione dalle labbra semichiuse.
Come potevano agire? Come potevano proteggere migliaia e migliaia di persone senza fare il gioco di quel folle?
Si era passato una mano sul viso, poi aveva parlato
“ E se arrivassimo al punto di non poter fare altro, Remus? Vale la pena sacrificare la vita di tutte queste persone ? ”
“No, niente vale delle vite … Ma questo è un genocidio in piena regola, pensa di trovarti catapultato ai tempi della seconda guerra mondiale .. Hitler aveva i suoi campi di sterminio, Voldemort un gruppo di bastardi armati di bacchetta e delle peggiori intenzioni … Troverebbe un modo per aggirare l’ostacolo e continuerebbe più spietato e feroce di prima.”
Un sospiro affranto aveva accompagnato la fine della frase.
Remus sentiva la bile risalire su per la gola, nella bocca ancora il sapore del liquore costoso che gli era stato offerto.
Se George decideva di cedere, avrebbero perso ben più di un collegamento tra i loro mondi.
“Cosa consigli di fare a questo punto?”
“Resistere.”
 
Si era congedato subito dopo, una volta uscito in strada aveva fatto cenno ad uno degli auror che lo stava osservando da dietro un albero.
Dopo aver superato lo sgomento di essere stato individuato sebbene avesse metà del corpo disillusa, l’uomo gli si era avvicinato.
“Signore ...”
“Buonasera Hasting …”
L’auror gli aveva fatto un cenno di saluto.
“Voglio che restiate qui a sorvegliare questa casa per stanotte … Da domani darò ordine che venga fatto quotidianamente … Resterei io stesso …”
“Non posso permetterglielo.”
“… Appunto, mi dispiace dovervi domandare questo sacrificio.” Aveva continuato.
“È il nostro lavoro.”
“Grazie, davvero.”
Hasting lo aveva guardato sgranando leggermente gli occhi.
Si sorprendeva ancora dei modi di Remus.
Era il ministro della magia eppure non si sentiva al di sopra di nessuno.
D’improvviso una consapevolezza
“Signore, non possiamo lasciarla andare da solo … La casa dovrà rimanere scoperta fino a quando non la sapremo al sicuro.”
“Non ce n’è bisogno… Restate pure qui.”
“Ma signor ministro … Il capo ci ha dato l’ordine tassativo di …”
“Tranquillo Theodore … Sono parole sprecate con lui. Rimanete qui, ci penso io a portarlo a casa.
Tra tre ore vi manderò il cambio.” Aveva detto un uomo con gli occhiali sopraggiunto in quel momento.
“Agli ordini, capo.” E dopo averli salutati, era ritornato alla sua postazione.
“Non mi aspettavo che venissi … ”
“Non potevo lasciare i miei auror in balia dei tuoi “non ce n’è bisogno”, “state tranquilli”,”parlerò io al vostro capo” e via discorrendo …” aveva fatto un cenno con la mano come per dire che avrebbe potuto continuare all’infinito.
“James ..”
“Remus, quando lo capirai che sei il ministro della magia e hai bisogno di una scorta?!”
Moony aveva sospirato affranto.
“Ok, al momento non sono dell’umore per discutere … ”
Prongs lo aveva guardato con maggiore attenzione.
“”L’incontro è andato male?”
“Dipende da ciò che intendi … ”
“Ti ha urlato contro, preso a schiaffi o roba del genere?”
“No… È stato cordiale, mi ha offerto dello Scotch …”
James aveva inarcato un sopracciglio.
“Tu non bevi.”
“Lo so … ”
Il sopracciglio di Prongs aveva quasi raggiunto l’attaccatura dei capelli.
“Ad un certo punto mi sembrava quasi propenso a chiudere i passaggi dimensionali …”
James aveva sgranato gli occhi
“Merda.” Aveva soffiato prima che potesse impedirselo.
“Già… E sai qual è il punto? Per un momento ho pensato di consigliargli di farlo, di chiudere i ponti, di dimenticarsi della nostra esistenza … La verità è che non siamo in grado di proteggere nessuno da Voldemort e il peso di questa consapevolezza mi sta schiacciando.”
“Remus, non sei Merlino… Non puoi vegliare sulla vita di tutti,  stai facendo un lavoro magnifico e ne verremo a capo, ne sono certo … ”
“Io non più, è questo il punto …” il sapore del vomito gli aveva pervaso la bocca e prima che James potesse aiutarlo stava già dando di stomaco dietro un cassonetto.
Dopo qualche minuto si era rialzato ed aveva inspirato profondamente dal naso, passandosi un fazzoletto di stoffa sulla bocca.
Le sue iniziali erano state ricamate sull’angolo superiore nel modo più orribile che potesse esistere. Con un lieve sorriso James aveva pensato a Tonks che si dedicava al punto a croce.
“Non preoccuparti … Sto bene, volevo farlo da quando ho saputo dell’attacco.”
“Se continui di questo passo ti ammalerai … Vuoi dell’acqua?”
Moony aveva scosso il capo.
“Harry?”
“Dormiva … Silente ha fatto una capatina in infermeria per vedere come stesse, ma di fatto non ci ha detto nulla  e la cosa mi preoccupa … Non poco.”
“Sono sicuro che non appena avrà modo di discutere con lui, riuscirà a darci qualche risposta in merito …”
Si era battuto una mano in fronte come se si fosse appena ricordato di qualcosa.
“Cosa?”
“Da domani ad Hogwarts sarà in servizio un supervisore nominato da Caramell …” aveva detto il nome dell’ex rivale con disprezzo.
James lo aveva guardato, sconvolto.
“Non guardarmi in quel modo… Ho passato un intero pomeriggio a spiegargli che non era una buona idea, alla fine Silente stesso mi ha detto di accettare … ” aveva detto sospirando.
“Si sa già di chi si tratta?”
Remus aveva annuito rabbrividendo.
“Dolores Umbridge.”
“CHI??”
“Già … Ma non temere ho intenzione di mandarvi tutti i weekend a darle filo da torcere … ” aveva detto Moony mellifluo.
James era scoppiato a ridere.
“Bentoranto messer Moony … ” aveva detto inchinandosi.
“Grazie messer Prongs… Così potrete tenere d’occhio anche i ragazzi …” aveva detto più a se stesso che all’amico che però aveva colto ed aveva annuito con vigore.
“A proposito di adolescenti da tenere sotto controllo … Sirius come sta?” aveva domandato.
“Meglio … Regulus quasi ha dovuto tramortirlo per visitarlo.”
“Avrebbe fatto un favore a tutti ….”
Si erano guardati ed erano scoppiati a ridere, poi James aveva tirato fuori un boccino
“Portus.”
“Una passaporta? Dove andiamo?”
“Ad Hogwarts, Silente ci ha invitati a rimanere per la notte … Sembrerà di essere tornati ai tempi della scuola!” aveva detto Prongs con gli occhi  che brillavano.
“ Sarebbe meraviglioso poterlo fare sul serio.” aveva replicato Remus malinconico.
Aveva allungato la mano afferrando l’oggetto e dopo qualche secondo erano spariti.
Poco distante da loro, un’ombra aveva fatto lo stesso.
 
 
Nella scuola di magia regnava la quiete, le persone che occupavano il corridoio sui cui davano le porte dell’infermeria si erano recate nelle più disparate zone del castello.
James aveva aiutato sua madre e zia Lily a portare un piccolo bagaglio a mano negli appartamenti che Silente aveva offerto loro per la notte.
Insieme a lui c’era Alexander, si poteva dire che fossero praticamente inseparabili.
L’atmosfera non era delle più allegre, ognuno era perso nei propri pensieri.
Un suono metallico li aveva riportati al castello.
“Merda!”
“Mamma!” aveva detto James, scandalizzato.
Eleanor era arrossita, gli anni di vicinanza con Sirius non avevano fatto bene alla sua dialettica.
“Che succede Ellie?” aveva domandato Lily, nascondendo un sorrisetto.
“Lancaster. Cercapersone.” aveva risposto quasi ringhiando.
Da quando il direttore della clinica aveva introdotto quegli aggeggi babbani modificati con la magia, non viveva più.
La cosa più terribile era che dopo le prime due chiamate, compariva un ologramma di quell’orrido ometto e ai poveri guaritori toccava sopportare una spiacevole conversazione con lui.
Lily aveva fatto una smorfia disgustata.
“Sei reperibile?”
“No, non lo sono ... Infatti mi domando come sia possibile che mi abbia contattata.”
Alexander aveva assunto un’ espressione preoccupata.
“Forse è capitato qualcosa di grave …” aveva detto più a se stesso che agli altri.
Le due donne si erano rivolte uno sguardo terrorizzato, ma prima che potessero dare voce ai propri pensieri, una voce fuori campo le aveva arrestate.
“James e Remus sono arrivati … Stanno camminando proprio qui fuori, li vedo.”
Entrambe avevano ripreso a respirare.
“Beh, in ogni caso mi tocca andare … ” aveva detto Eleanor sconsolata, alzando gli occhi verso suo marito che, seduto sul davanzale, fumava una sigaretta.
“Non credo sia legale che ti contatti a suo piacimento obbligandoti ad andare lì quando gli pare.”
“Lo so, ma non voglio intavolare una discussione né con lui, né con il suo ologramma.”
“Ti accompagno ad Hogsmeade per smaterializzarti... ” aveva detto Sirius e subito dopo aveva spento la sigaretta e fatto evanescere il mozzicone.
“Può usare la metropolvere signora Black, il camino è aperto … ”  la voce di Silente era echeggiata per la stanza.
James aveva sgranato gli occhi.
“Come fa a sapere sempre tutto?” aveva detto ed Alex aveva fatto spallucce.
“È Silente.”  Aveva replicato, come se tanto bastasse.
“Grazie, signor preside.”
“Allora a dopo … Vengo a prenderti quando finisci.”
“No, non … ”
“Non te lo sto domandando, Eleanor.”
La donna aveva guardato male suo marito.
Era scosso, lo conosceva bene. Lo nascondeva, come sempre, ma il comportamento di Dylan lo aveva ferito.
Aveva deciso di non replicare e gli aveva lasciato un bacio sulla guancia.
“A dopo ragazzi … James, per favore, non sparire … Voglio parlare con te quando torno... Se mai riuscirò a farlo!” aveva detto in direzione di suo figlio, poi si era infilata nel caminetto e nascosta da una fiamma verde, era scomparsa.
Il ragazzo si era voltato verso suo padre in cerca di risposte.
“Non ho idea di cosa debba dirti … ” aveva risposto quello con l’aria sorpresa tanto quanto la sua.
“Voi non dovreste essere nei vostri dormitori adesso?”
“Andiamo, zia Dora … ” aveva detto Alex esasperato.
“Sono una vostra insegnante qui e voi dovete rispettare le regole … ”
I due ragazzi avevano alzato le sopracciglia.
“Altrimenti potrei togliervi dei punti e farvi finire sotto Tassorosso nella sfida per la Coppa delle Case!” aveva aggiunto grattandosi il mento con fare pensoso.
“Non lo faresti!” aveva detto James, sconvolto.
“Si chiama giocare sporco …” era intervenuto Alexander.
“Mettetemi alla prova …”
“Sei sicura di non essere la responsabile di Serpeverde??” aveva domandato James con un ghigno.
“Sparite!!” aveva risposto Tonks indispettita, mentre tentava di nascondere un sorriso.
“È proprio quello che mia madre mi ha detto di non fare … ”
“Questo ragazzo è irritante quasi quanto te, sai Sirius?”
L’interessato aveva ghignato.
“Fidati, questo aspetto lo ha preso dalla madre!”
Lily era scoppiata a ridere per la scenetta.
“Va bene, dato che vi divertite tanto, dite a mia madre che sono andato via perché mi insultavate … ” aveva detto sdegnoso ed era uscito.
“James …” lo aveva richiamato suo padre.
Aveva fatto capolino dalla porta.
“Direttamente nel dormitorio, non fate deviazioni, per oggi ne ho abbastanza di casini … Ok?”
James aveva annuito.
I due si erano richiusi la porta alle spalle.
“Sono esausto … ” aveva detto Alex mentre si passava una mano sugli occhi.
“È stata una giornata …”
“Di merda.”
“Esattamente … Chissà Dylan che fine ha fatto …”
“Controlla sulla Mappa, l’hai con te, giusto?”
James aveva annuito ed aveva infilato la mano nella tasca della divisa trovandola vuota.
Si era girato verso Alex.
“Sei sicuro di averla presa?”
“Sì, l’ho usata quando eravamo di fronte all’infermeria …”
“Allora ripercorriamo mentalmente quello che hai fatto …”
“Ci siamo alzati e l’avevo appena riposta, poi abbiamo salutato tuo padre e mio zio … Ci siamo spostati e …” si era battuto una mano in fronte.
“Cosa?” aveva domandato Alex, poi aveva compreso.
“L’ha presa Ted.” Avevano detto praticamente in coro.
 
 
Nel frattempo, l’oggetto della loro discussione, era appena giunto nei pressi di uno dei passaggi segreti che usavano di solito per uscire da Hogwarts.
Dylan se n’era andato, quindi voleva rimanere da solo ed in tutta onestà anche lui aveva bisogno di riflettere.
Si era rigirato la mappa tra le mani, aveva assistito alla discussione che il suo migliore amico aveva avuto con il fratello maggiore.
Non voleva essere trovato e James non avrebbe esitato a cercarlo, così lo aveva reso irreperibile.
Aveva sorriso compiaciuto.
Il passaggio era abbastanza alto e largo da consentirgli di camminare senza difficoltà.
Il pensiero che la tranquillità che avevano raggiunto con tanta fatica era andata a donne di malaffare gli faceva torcere lo stomaco.
Non aveva nemmeno avuto la possibilità di parlare con suo padre.
Aveva paura, anche se detestava ammetterlo. Queste incursioni di Voldemort nella loro vita, erano solo una dimostrazione del fatto che poteva colpirli duramente quando voleva.
Suo padre era il ministro della magia, una persona scomoda, da eliminare.
Il pensiero di perderlo lo aveva fatto rabbrividire violentemente e lo stomaco gli si era contratto ancora di più.
Si era massaggiato le tempie per scacciare il pensiero.
Doveva essere forte, ora che i suoi amici erano in balia degli eventi, lui doveva essere in grado di riportarli al qui e ora, sempre.
Si era dipinto un bel sorriso sul viso, prima di aprire il quadro che chiudeva il passaggio.
“Hey Abe!!”
“Ted, che ci fai qui a quest’ora e soprattutto da solo?” aveva domandato il proprietario della Testa di Porco, diffidente.
“È una lunga storia … Hai tempo per una partita a scacchi?”
“Sì, il locale è chiuso …” aveva risposto.
Quel ragazzino gli era sempre piaciuto, era intelligente e sensibile, un’ottima compagnia.
“Il solito?”
“Sì, grazie … ” aveva risposto il giovane.
Intanto che il barista si affaccendava attorno al banco, aveva aperto la Mappa e dopo aver pronunciato la formula magica, aveva dato uno sguardo alla situazione.
Notando il cartiglio di Dylan, aveva inarcato un sopracciglio. Poi aveva recuperato il cellulare e gli aveva inviato un messaggio.
Era stato il loro progetto estivo, prendendo ad esempio quello che aveva fatto il direttore del San  Mungo con i cercapersone, avevano sistemato dei telefonini in modo che funzionassero all’interno dei confini di Hogwarts e li avevano dotati di tante piccole funzioni che li rendevano proprio … Magici, sì era la parola adatta.
Da quando suo padre aveva allentato le restrizioni della magia tra i minorenni, consentendo loro di compiere gli incantesimi più semplici al di fuori della scuola, le vacanze erano diventate molto più interessanti.
Aberforth gli aveva messo davanti un bel bicchiere di latte ed un sandwich, lo stomaco di Ted aveva brontolato rumorosamente.
Il ragazzo era arrossito.
“Si vedeva da un miglio che non avevi cenato …” aveva detto l’uomo.
Era conosciuto per essere un tipo burbero, ma con Ted e gli altri due Grifondoro scalmanati che gli facevano quelle visite notturne, era molto cortese ed attento.
“Per ringraziarti, ti farò scegliere il colore …” aveva detto l’altro, mentre prendeva un generoso sorso dal bicchiere.
“Sempre nero, lo sai … ”
“A noi due, allora … ”
 
 
Dylan percorreva i corridoi della scuola, sicuro come se avesse con sé la Mappa, era talmente abituato a girovagare di notte, che riusciva a captare anche il minimo movimento ed a trovare un rifugio prima di beccarsi una punizione, un’altra. L’ennesima.
La sua andatura non era minimamente alterata dal peso della ragazza profondamente addormentata che reggeva tra le braccia.
Avevano parlato a lungo e quando si era chiuso in uno dei suoi soliti silenzi, Andrea aveva ceduto alla stanchezza.
L’aveva osservata per un po’, perso nei ricordi della giornata.
Più ripercorreva con la mente le ore appena trascorse e meno capiva come fosse possibile che quello che era praticamente la sua ombra, non ricordasse nemmeno il suo nome.
Non  credeva che avrebbe fatto tanto male, inconfutabile dimostrazione che quel suo mostrarsi così intoccabile era, appunto solo apparenza.
Qualcosa si era incrinato in lui, nell’esatto momento in cui Harry lo aveva chiamato con il nome di suo padre.
Suo padre.
Un altro bel casino.
Grande, più o meno, come l’universo.
Aveva trattenuto uno sbuffo di frustrazione.
Perché doveva essere tutto così dannatamente complicato?
Non voleva mostrarsi debole, mai … Soprattutto di fronte a lui.
Si sentiva nell’ombra di James da quando era stato abbastanza grande per capire.
Amava suo fratello, come … Beh, non aveva nemmeno un termine di paragone tanto era immenso quello che sentiva.
Come poteva essere diversamente?
James gli aveva insegnato un sacco di cose interessanti, lo aveva portato a giocare con sé quando era troppo piccolo per uscire da solo, aveva coperto le sue malefatte infantili.
Poi quando erano diventati grandi, le cose erano diventate difficili, soprattutto dopo che loro padre aveva rischiato la vita.
Dylan era cambiato, per autodifesa si era chiuso in se stesso senza lasciare a nessuno la possibilità di avvicinarsi troppo.
Persino alla sua famiglia, ai suoi amici.
Harry e Ted, però aggiravano le sue barriere, lo riscaldavano con la loro presenza.
PERCHÈ?
Perché a loro?
Non lo avrebbe mai capito.
La rabbia gli  aveva contratto i muscoli del collo ed aveva scosso il capo per tentare di rilassarsi.
Un leggero bip lo aveva fatto arrestare, sapeva bene di cosa si trattava.
Sperava che qualche Serpeverde stesse infastidendo ancora Ted.
Era il figlio del Ministro ed un bersaglio facile per la sua pacatezza.
Si sarebbe divertito un mondo a prenderli a calci in culo.
Con un po’ di difficoltà  aveva reperito il cellulare e letto quanto appariva sullo schermo.
Il tuo cartiglio è decisamente troppo vicino a quello di mia sorella.
Spostati altrimenti sarà il tuo culo a subire maltrattamenti.

Aveva trattenuto a stento una risata.
Incredibile, anche a distanza, intuiva i suoi pensieri.
Prima che giungessero all’ingresso della Sala Comune, Andrea aveva aperto gli occhi.
“Mi hai portata in braccio fin qui?” aveva domandato ancora mezza addormentata, mentre Dylan la poggiava a terra.
“Avevo pensato di farti levitare, ma non mi pareva il caso … ”
“Ho troppo sonno per insultarti, buonanotte D” aveva detto prima di sparire dietro un muro.
“’Notte Andy.” aveva risposto il ragazzo con un sorriso.
Aveva preso a percorrere la  strada a ritroso, ma non aveva alcuna intenzione di andare nel dormitorio, i pensieri che tanto provava a tenere a bada lo avrebbero assalito una volta posata la testa sul cuscino.
Doveva assolutamente tenersi occupato.
D’improvviso la malsana idea di prendere il Nottetempo ed andare a fare un giro a Londra, c’era un club nei pressi del Tamigi dove spesso era andato a scaricare la rabbia in eccesso.
Tornava sempre un po’ ammaccato, ma ne valeva la pena.
Quando combatteva era un’altra persona, niente problemi, niente Voldemort.
Era appena arrivato alle porte del castello, per fortuna ancora aperte.
Gazza doveva essere stato trattenuto e sospettava che a dargli l’espediente fossero stati Fred e George Weasley.
Con un sorriso, aveva varcato la soglia prima di immobilizzarsi alla vista della persona che gli sbarrava la strada.
“Dove credevi di andare?”

“Avanti, argomenta.”
“Da nessuna parte …”
“Non è la prima volta che esci di notte … È pericoloso Dylan, quante volte devo ripetertelo?”
Il ragazzo si era limitato a fissare l’uomo che aveva di fronte con espressione neutra.
“Volevo solo fare un giro.”
“Credevo che dopo oggi avessi finalmente capito che nemmeno Hogwarts è sicura di questi tempi.”
Dylan aveva sbuffato.
“Pensi che mi diverta a farti da balia?”
“Nessuno te l’ha chiesto.”
“Non giocare a questo gioco con me, ragazzino. Sai quanto posso essere sgradevole se lo desidero.” Gli occhi color pece ridotti a fessure.
“Ti preferisco quando siamo in aula e fingi che io non esista.”
Piton aveva abbozzato un sorriso, poi gli si era avvicinato e gli aveva posato una mano su una spalla.
“Come stai?” aveva domandato scrutando il nipote acquisito più da vicino.
“Me la cavo … ”
“So che hai dato spettacolo oggi …” aveva buttato lì.
“Zio Severus, non voglio parlarne.”
“Io non ho mai avuto tanti amici Dylan, tuo padre si premurava affinché ogni mia giornata fosse infernale e tuo zio, beh … All’epoca non andavamo granchè d’accordo. Non facevo altro che tenermi dentro ogni dispiacere e questo mi ha avvelenato, sono diventato uno stramaledetto figlio di puttana e solo per un caso fortuito non sono diventato un mangiamorte. Esprimere le proprie emozioni non significa essere deboli, ma saggi.”
Il giovane lo aveva guardato.
“Credo che la saggezza non mi appartenga affatto.”
“Sì, lo credo anch’io …  Ma puoi provare a sorprendermi!” aveva detto con il chiaro intento di sbeffeggiarlo.
Dylan lo aveva guardato di sbieco, ma non aveva potuto impedirsi di alzare uno degli angoli della bocca in un ghignetto che lo faceva apparire più che mai simile a Sirius.
Piton gli aveva fatto cenno di fare dietrofront e non aveva protestato, sapeva che sarebbe stato inutile.
“Ah, quasi dimenticavo … 20 punti in meno a Grifondoro.”
“Cazzo, apparteniamo alla stessa famiglia!”
“Ripeti?”
“Perdinci, condividiamo anche i pasti durante le feste!”

“Fila, prima che decida di punirti!”
 
 
Sirius era rimasto accanto al camino, ad aspettare i suoi amici. Lily era letteralmente crollata sul divano accanto a lui e sebbene avesse ponderato più volte l’idea di svegliarla per dirle di andare a letto, non se l’era sentita, tanto dormiva beata.
Era passato più di un quarto d’ora da quando Eleanor si era recata al San Mungo, ma non aveva comunicato in alcun modo con loro, il che significava che probabilmente la faccenda l’avrebbe trattenuta a lungo.
Aveva chiuso gli occhi tentando di rilassarsi, ma l’immagine della famigliola sterminata dai mangiamorte lo aveva spinto a riaprirli subito dopo.
Frustrato si era passato una mano tra i capelli.
Non poteva andare avanti in quel modo. I seguaci di Voldemort erano sempre più sfacciati, colpivano in zone sorvegliate dagli auror non curandosi minimamente delle conseguenze.
Se li sarebbero ritrovati in casa un giorno di quelli.
La sua riflessione era stata interrotta dal chiacchiericcio sommesso di James e Remus.
“Hey … Come va Pad?” aveva domandato quest’ultimo apprensivo.
Sirius aveva alzato un pollice per poi indicare la donna che dormiva e suggerire tacitamente di spostarsi nell’altro salottino.
James aveva dato un bacio a sua moglie e le aveva sistemato meglio la coperta che aveva sulle spalle, poi si aveva chiuso la porta delicatamente.
“Allora? ”
“Bene Rem, non ti ci mettere anche tu.” Aveva risposto l’animagus seccato.
“Scusa se mi preoccupo.”
“Non ce n’è motivo … Hai altre cose a cui pensare. Com’è andato l’incontro con Brown a proposito?”
Il ministro aveva distolto lo sguardo e Sirius si era voltato verso James in cerca di risposte.
“Remus ha bevuto dello Scotch.”
“È andata così male?” aveva domandato Padfoot sgranando gli occhi.
“Non so dirlo, in tutta onestà … ” era intervenuto Moony, sincero.
“Stai bene?”
“Si invertono i ruoli?”
“Oh, piantatela voi due … Sembrate due mogliettine apprensive.” Aveva sbottato Prongs con ghigno malevolo sul bel volto.
Sirius aveva alzato gli occhi al cielo e Remus aveva fatto lo stesso.
Poi il primo si era preso la testa tra le mani, suscitando l’interesse degli altri due.
“Cazzo, se reagisco come te, Rem, sto messo proprio male.”
James era scoppiato a ridere e il ministro gli aveva fatto una smorfia.
“I ragazzi ?” aveva domandato l’uomo con gli occhiali.
“Alex e James sono nei loro dormitori  … John , Ashley Andrea e … Gli altri, non li ho più visti da quando mi hanno chiuso in infermeria.” Aveva risposto Sirius cupo.
“Non sono riuscito a scambiare nemmeno una parola con Ted.” Aveva convenuto Remus mentre scuoteva il capo.
“Pensi che abbia ancora problemi?” aveva domandato James, preoccupato.
“Mi auguro di no …” aveva detto sinceramente dispiaciuto, per poi rivolgersi verso Padfoot.
“Credo che nessun Serpeverde si avvicinerà più a lui, dopo il discorso che Dylan ha fatto in Sala Grande l’altro ieri.”
“Discorso? Non ne sapevo nulla.” Era intervenuto James.
“Si è rivolto direttamente a Nott, dicendogli che se mai si fosse avvicinato a Ted ancora, gli avrebbe fatto talmente male che nemmeno sua madre lo avrebbe riconosciuto.” Non aveva potuto non sorridere, anche Sirius aveva fatto la stessa cosa per lui, con parole simili.
“Che bel caratterino, eh Sir?”
“Non parlarmene.”
Remus aveva afferrato al volo.
“Avete discusso ancora?”
L’animagus aveva voltato il capo verso la finestra annuendo.
“Motivo?”
“Il semplice fatto che esisto e sono suo padre.”
“Non dire cazzate.” James si era seduto di fronte al suo migliore amico.
“Dylan ti adora.” Aveva aggiunto scrutandolo con attenzione.
“Pensa se gli stavo sulle palle!”
Remus gli aveva rifilato uno scappellotto.
“Oggi mi ha accusato di non ricordare la sua prima parola perché non era James, il figlio perfetto … ” aveva detto sorridendo amaramente.
“Perché ti turba tanto?” aveva domandato il licantropo, conoscendo la risposta.
“Mi ricorda me, più di quanto io possa accettare. Io non sono mio padre. Non faccio differenze tra i miei figli. Conosco perfettamente tutto quello che li riguarda e li amo allo stesso, identico, maledettissimo modo. Se mi avessero detto che un giorno avessi amato qualcuno più di Eleanor, non ci avrei creduto … Invece …  ” e scotendo il capo aveva lasciato cadere il discorso.
James lo aveva guardato con dolcezza per quell’ammissione. Lui e Remus erano molto più avvezzi alle tenerezze e diventavano delle vere pappemolli quando si trattava dei figli. Sirius non parlava mai dei suoi sentimenti e ,sebbene fosse strano per il più scapestrato dei Malandrini, era piuttosto rigido con i ragazzi.
“Sirius, guardami … ” aveva detto spingendo il suo migliore amico ad alzare gi occhi dalla piastrella che aveva osservato per gli ultimi minuti.
“Dylan non ce l’ha con te … Non è sempre stato così, o sbaglio?”
Padfoot aveva inclinato la testa di lato come faceva sempre quando non afferrava un concetto.
“No, prima era diverso … Ogni nostro dialogo non si trasformava in una lite furibonda … Sono due anni che …” poi aveva compreso ed aveva corrugato le sopracciglia al cenno di assenso di Prongs.
“Si è chiuso per difendersi. Ha avuto paura quando abbiamo rischiato la vita in quell’attentato, due anni fa. E si è allontanato, da tutti. Una parte di lui vuole che sia così …”
“… Ma l’altra desidererebbe che fosse tutto come prima e sente la competizione con James, perché si accorge che riesce a gestire quello da cui lui sta scappando.” Era intervenuto Remus.
“Questo non va bene.” Aveva risposto l’animagus.
Gli altri lo avevano guardato, curiosi.
“Non va assolutamente bene.”
“Dylan non è te a quindici anni.” Aveva detto James cogliendo il motivo del respiro accelerato di Sirius.
“E se fosse esattamente come me, invece? Guardalo. Si comporta come facevo io.”
Remus gli aveva posato una mano sulla spalla.
“Io … Non posso pensare che beva o faccia uso di droghe, come ho fatto io o che … ” aveva perso un po’ di colore.
“ A cosa stai pensando?” James era allarmato.
“Ricordi quando Regulus mi ha detto che lo avevano beccato un paio di volte mentre tentava di uscire di notte?”
Prongs aveva annuito.
“E se lo facesse per spostarsi da Hogwarts, io alla sua età , partecipavo alle gare clandestine, l’adrenalina mi faceva stare bene per qualche ora. Non provavo niente.”
“Si, ricordo ancora quando sei tornato in dormitorio che eri una maschera di sangue perché l’asfalto era scivoloso ed eri caduto dalla moto …” aveva detto Remus, incupendosi.
“Il pensiero che lui possa aver fatto qualcosa di simile sotto al mio naso, mi terrorizza a morte. Se gli capitasse qualcosa, io … Non me lo perdonerei mai.”
“Non preoccuparti, avrai modo di tenerlo d’occhio …”
“In che senso Rem?”
“Caramell ha voluto inserire nell’organico della scuola un commissario speciale, Dolores Umbridge per la precisione …Non fare quella faccia, ho dovuto cedere. Ma …” aveva detto illuminandosi di una luce malvagia tutta malandrina.
James e Sirius lo guardavano in attesa.
“Ma? ” aveva detto il primo, ansioso.
“Come ti accennavo prima, Jamie … Non sta scritto da nessuna parte che io non possa inserire dei vigili a vigilare sul comportamento del vigilante.”
Sirius aveva inclinato nuovamente la testa di lato e Remus gli aveva rivolto uno sguardo interrogativo.
“Mi sono perso al ma … ”
 
 
Nella sala comune di Grifondoro, quattro ragazzi erano rimasti svegli più degli altri. Uno camminava nervosamente lungo il perimetro della stanza, gli altri lo osservavano costernati, incapaci di pronunciare alcuna parola di conforto.
"James, smettila di fare avanti e indietro ..." aveva esordito John, alzandosi anch'egli in piedi.
"Non è da nessuna parte ... Neville non lo ha visto per tutta la serata e, mentre Ron e Hermione sono rientrati da più o meno due ore di lui nessuna traccia... E ora che ci penso ..." aveva detto alzando lo sguardo verso l'amico.
"Sì, nemmeno Ted è nel dormitorio ... Penso che siano insieme, in ogni caso sono ad Hogwarts ... Mio fratello non è così sconsiderato."
"Bene,menomale che almeno uno può contare sul buonsenso ..." aveva risposto ancora più affranto.
"Non credere di essere l'unico preoccupato, è difficile avere a che fare con due adolescenti a cui stanno venendo meno tutte le certezze poco per volta ... "
James aveva abbassato le palpebre. Era esattamente come diceva John. Remus era sempre impegnato con l'attività di ministro e sebbene fosse molto orgoglioso di suo padre, Ted risentiva del fatto che si vedessero praticamente mai. E Dylan aveva sempre creduto che loro padre fosse invincibile, inarrivabile. Due anni prima aveva scoperto che non era così e da allora, era un'altra persona. Non lo riconosceva più. Non voleva che gli si avvicinasse troppo. Era schivo, chiuso, sfrontato.
Aveva emesso uno sbuffo e si era seduto sulla poltrona accanto al camino, reclinando il capo all'indietro.
Ashley era rimasta in silenzio a guardarli. Era il destino dei fratelli maggiori quello di essere perennemente preoccupati e, di certo, loro avevano più ragioni degli altri per esserlo.
Si era voltata verso il suo gemello che con le mani giunte sotto al mento, osservava il dibattito dei suoi amici. Sapeva dall'espressione del suo viso che Alex non fosse davvero lì. Probabilmente perso a ripercorrere gli avvenimenti della giornata. Era fatto così, razionale tanto quanto lei era istintiva in determinate situazioni ed esattamente il contrario in altre. Come dimostrava la fasciatura leggermente colorata di rosso sulla sua mano destra.
John si era avvicinato alla finestra e scrutava il parco alla ricerca di ogni insignificante movimento. Stava impazzendo anche lui come James, ma non poteva perdere la calma. Ad aggravare la situazione c'erano le continue minacce che quei dannati Serpeverde non mancavano di rivolgere sia Ted che ad Andrea e quel pensiero in particolare gli faceva perdere il lume della ragione. Aveva stretto i denti,in un riflesso della sua rabbia cieca.
Tra qualche giorno ci sarebbe stata la luna piena e sebbene non fosse un vero e proprio licantropo, nei giorni che precedevano il plenilunio, tutto diventava troppo per lui, dal mantenere la concentrazione durante le lezioni, all'avere il controllo sulle sue pulsioni. Si era voltato in direzione di Ashley e, come se avesse attirato il suo sguardo, si era trovato due occhi color nocciola puntati addosso.
"È inutile che cerchi di nasconderlo, sei agitato tanto quanto James ... " aveva detto in un sussurro.
John si era voltato verso la poltrona e aveva notato il petto dell'altro ragazzo abbassarsi ed alzarsi con regolarità.
"È crollato ..." aveva convenuto Alex mentre lo osservava con affetto.
e John si era rilassato.
"In effetti,l'altra notte non è rientrato in dormitorio ... Sai dove fosse?" aveva domandato curioso.
"Credo si veda con una ragazza di Tassorosso e anche che gli piaccia molto, ma sai che non lo ammetterebbe mai." aveva concluso con un ghigno.
John aveva sorriso di rimando e Ashley aveva alzato gli occhi al cielo.
"Come se voi due sbandieraste ai quattro venti le vostre cotte..." aveva detto sorniona.
"Io non ho cotte ..." aveva risposto il fratello, scandalizzato.
"Sarei piuttosto interessato a sapere delle tue, però ... " aveva aggiunto più attento
"Piuttosto mangio qualcosa cucinato da Gazza ... "
"Dai, perchè ti ostini .. Io sono un ragazzo, chi più di me può darti consigli sui ragazzi??"
"Se non fossi anche maniacalmente geloso saresti perfetto ..."
"Sei la mia sorellina..."
"Ho già un confidente comunque.." aveva detto facendo l'occhiolino in direzione di John che aveva sorriso teneramente.
"Non posso competere con il nostro saggio Lupin ... Va bene, raccatto quell'animale e me ne vado a letto ..." aveva detto mentre scuoteva James con vigore.
Quest'ultimo aveva aperto un occhio e mentre si alzava a fatica e sbadigliava come un ippopotamo aveva mugugnato qualcosa che assomigliava vagamente ad un "Buonanotte".
Alex lo aveva seguito subito dopo, salutandoli.
Ashley non aveva potuto fare a meno di sorridere. A quel quadretto mancava però qualcosa, per meglio dire qualcuno.
Si era immediatamente rattristata.
"Hey ... Cos'è quell'aria disperata?" aveva domandando John prendendo posto sul divano accanto a lei.
"Harry ..."
"Già, un altro bel casino ..."
"Non posso credere che non ricordi nulla ... "
"Lo aiuteremo noi, Ley ... Gli racconteremo ogni singolo episodio e ti sembrerà che ci conosca ancora meglio di prima..." aveva detto illuminandosi di determinazione come solo lui sapeva fare.
La ragazza gli aveva sorriso teneramente.
"Vorrei essere ottimista tanto quanto te ..."
 
 
Era quasi l’alba quando Dylan era uscito dalla Stanza delle Necessità. Non aveva chiuso occhio tutta la notte, ma distruggere tutto quello che gli era capitato sotto tiro, era stato … Liberatorio. Si sentiva leggero, sebbene i dorsi delle sue mani fossero ricoperti di schegge di legno e graffi.
Nella sua furia aveva maturato l’idea di passare dall’infermeria per parlare con Harry, vedere come stesse.
Erano le 05:00 e a quell’ora suo zio non era ancora in servizio e Madama Chips sonnecchiava nel suo studio. Con un po’ di fortuna e trovando la porta aperta sarebbe riuscito ad entrare senza dare nell’occhio.
Giunto nei pressi della sua meta aveva dato uno sguardo in giro per accertarsi di essere completamente solo.
Poi avvicinatosi alla porta aveva applicato una leggera pressione alla maniglia e un lieve click gli aveva annunciato il successo della sua manovra.
Lentamente e facendo attenzione ad ogni minimo rumore, era entrato nella semioscurità dell’infermeria. Si era richiuso la porta alle spalle e si era addentrato per raggiungere l’ala in cui si trovavano i letti.
Il russare della zia di sua madre gli aveva assicurato il via libera, così accelerando il passo si era trovato proprio di fronte il letto di Harry.
Il ragazzo dormiva coperto fino al mento, sembrava sereno e Dylan aveva avuto quasi l’impressione di aver immaginato tutto.
Era Harry. Sempre il solito Harry.
Non poteva non ricordarsi di lui.
Uno spiffero lo aveva fatto rabbrividire, così si era diretto alla finestra e mentre osservava i primi raggi del sole di Novembre rischiarare il parco, l’aveva richiusa.
Si era voltato e aveva trovato due occhi smeraldo dietro a delle lenti spesse e tonde fissarlo.
Erano gli occhi del suo migliore amico eppure era chiaro che Harry non avesse idea di chi fosse.
“Ciao …” aveva esordito.
“Ciao …” aveva risposto l’altro.
“Dylan …”
“Sì, mi ricordo di te … “
Dylan aveva sentito il cuore mancare un battito.
“Tua madre mi ha detto il tuo nome giusto qualche ora fa …” aveva continuato Harry, sorridendo affabile.
La delusione era visibile sul volto dell’altro ragazzo.
“Giusto …” aveva detto non appena si era rimpadronito di se stesso.
“Allora … ehm, come ti senti?” aveva continuato fingendo che la conversazione si svolgesse in maniera normale, come sempre.
“Bene, non dormivo così bene da mesi …”
“Niente sogni strani ?”
Harry si era incupito, e così anche in quella realtà i suoi sonni erano disturbati da incubi presumibilmente su Voldemort. Quel ragazzo doveva condividere con lui il dormitorio.
Guardandolo meglio si era riscoperto a pensare che fosse strano parlare con il figlio di Sirius. Era come lui e non solo fisicamente.
Glielo ricordava in un modo impressionante.
“No, tutto liscio come l’olio … ”
Dylan aveva sorriso.
“E tu? Cosa ci fai in  giro all’aba?”
“Oh, io … Amo girovagare di notte …”
Un’altra cosa che avevano in comune.
“Hobby rischioso …”
“Già, Piton ci ha tolto 20 punti … ” aveva detto grattandosi il capo, imbarazzato.
Oh, un’altra persona che si comportava esattamente come nel suo mondo. Piton era sempre una garanzia.
“Che untuoso bastardo.” Aveva detto scotendo il capo.
“Puoi dirlo forte!” aveva convenuto l’altro ragazzo con un ghigno.
Erano rimasti a fissarsi ancora un po’ non sapendo che altro aggiungere, poi Dylan aveva ripreso la parola.
“Quando ti dimetteranno, verrò a prenderti io, così se non dovessi ricordare qualcosa del castello , potresti chiedermelo o rivolgerti a Ted, ma lui tende a rendere tutto noioso.”
“Non credo che ci riesca anche con Hogwarts.”
“Non metterlo alla prova.”
Si erano guardati per un po’, poi erano scoppiati a ridere, tappandosi la bocca con le mani.
Un movimento nello studio aveva fatto loro presagire che Madama Chips si sarebbe svegliata a breve.
“Beh, è meglio che vada …”
Harry aveva annuito.
“Grazie …” aveva detto , sincero.
“Ci vediamo dopo, Snitch …” aveva risposto l’altro con noncuranza, poi si era voltato di scatto verso di lui , mortificato.
“Scusami, io …”
“A dopo, Ace.”
Harry aveva sentito quel nome scivolargli di bocca, come se fosse la cosa più ovvia e naturale del mondo, come se lo avesse sempre fatto.
Dylan aveva sgranato gli occhi.
“Io, non so perché ti ho chiamato in quel modo …” aveva detto il ragazzo con gli occhiali mentre si massaggiava una tempia.
“Noi ci chiamiamo così da quando avevamo nove anni e abbiamo deciso che fosse divertente avere dei soprannomi.”
“E quello di Ted qual è?”
“Archi … ”
“Archi?”
“Sì, come il gufo di quel cartone babbano che ci ha costretti a guardare un milione di volte … Credo si intitolasse “La spada nella roccia” e lui è saccente esattamente come Archimedes, il gufo … Senza poi considerare che come porta sfortuna lui agli avversari durante le partite di Quidditch, nessuno mai … ” aveva concluso con un sorriso smagliante.
Harry aveva ricambiato e desiderato come non mai di ricordare tutti quei bei momenti vissuti insieme ai suoi amici.
Dylan aveva sentito gli occhi riempirsi di lacrime e prendendo come espediente l’ennesimo rumore proveniente dalla stanza attigua si era fiondato fuori dall’infermeria.
Aveva mosso qualche passo, poi si era lasciato scivolare a terra lungo il muro.
Faceva male.
Avrebbe sempre fatto male.
 
 
Eleanor si era appena smaterializzata ad Hogsmeade, albeggiava e lei aveva perso tutta la notte dietro ai vaneggiamenti di Lancaster, per fortuna era intervenuta Alice ad aiutarla e, dopo aver promesso al Perfido Byron di dedicarsi alle scartoffie che le aveva appioppato, nemmeno fosse una giurista del diritto magico, se l'era svignata alla volta del castello, dove indubbiamente c'era più bisogno di lei. Da quando aveva ideato una cura, seppur sperimentale, per la licantropia, quell'uomo non le dava tregua.
Ora che ci pensava, dato che il suo principale paziente era proprio il ministro della magia, tutto quel polverone attorno alle sue ricerche era più che giustificato.
Frustrata aveva emesso uno sbuffo, giusto il tempo di notare qualcuno in piedi di fronte a lei che sembrava piuttosto irato.
"Cosa della frase:  vengo a prenderti io, non ti era chiara?" aveva domandato Sirius riducendo gli occhi a due fessure.
"Non sono una ragazzina, non c'è bisogno di scaldarsi ..." aveva risposto mettendo su un broncio adorabile.
"Si da il caso che tu sia mia moglie e che io mi preoccupi per la tua sicurezza ..."
Eleanor gli aveva rivolto uno sguardo di sbieco.
Maledizione a lui e all'esser così maledettamente sexy sempre, anche quando era arrabbiata e quella sua aria malandrina proprio non  la aiutava a far valere le sue ragioni.
"Appunto, sei mio marito non la mia balia..." aveva detto prima di ritrovarselo a pochi centimetri dal viso e trattenere il respiro.
"Capisco che la situazione possa essere pesante, ma non voglio che te ne vai in giro da sola... Chiaro?"
La donna aveva annuito, ma prima che potesse aggiungere altro, le labbra di Sirius erano sulle sue ed Eleanor si era completamente persa per poi ritrovarsi quando aveva sentito la fronte di suo marito appoggiarsi alla propria.
"Hai il naso gelido... Tanto per cambiare..." aveva detto l'animagus con un sorriso e lei si era sciolta come neve al sole.
"Torniamo al castello, va bene?"
"Sì, prima vorrei fare una capatina in infermeria,però ... "
"A quest'ora?"
"Dimentichi che sono la sola e adorata nipote dell'infermiera della scuola... " aveva risposto con l'aria di chi la sa lunga.
"Vuoi lasciarmi vedovo così presto?"
Eleanor aveva alzato gli occhi al cielo.
"Poco male, le pretendenti non mi mancano ... " aveva detto l'uomo con una faccia da schiaffi colossale.
"Spero di aver sentito male..."
La sua risata tanto simile ad un latrato aveva raggiunto le orecchie della donna che si trovava a qualche metro di distanza.
Era rimasta indietro per osservarlo mentre con il pesante fascicolo di Lancaster sotto il braccio, ma dando l'impressione di non sentirlo affatto, si stava avviando lungo il sentiero.
D'improvviso si era voltato e quegli occhi color ghiaccio così magnetici l'avevano intrappolata in quello sguardo che Sirius riservava solo a lei.
Lo aveva amato sin dal primo momento in cui avevano iniziato a discutere, lo amava più della sua stessa vita e lo avrebbe amato per sempre.
Accelerando il passo,lo aveva affiancato ed aveva intrecciato le loro mani, l'uomo si era visibilmente rilassato.
"Sir, cosa c'è che non va?"
"Ho fatto un giro nel dormitorio di Grifondoro prima di venire qui, c'erano tutti tranne Dylan e Ted ..."
"Non preoccuparti saranno in giro per il castello ... La giornata trascorsa deve averli messi a dura prova ..."
Sirius aveva annuito cupamente.
"C'è dell'altro, vero?"
"Cosa te lo fa pensare?"
"Quell'aria tormentata che metti sempre su quando si parla di Dylan."
...
"Com'è andata con Lancaster?" aveva detto con il chiaro intento di cambiare discorso.
Eleanor lo aveva guardato con tenerezza e lo aveva assecondato.
Persi nelle loro chiacchiere, in poco tempo avevano raggiunto l'infermeria, la donna aveva appena svoltato l'angolo, quando aveva visto qualcuno uscirne letteralmente sconvolto.
Subito aveva fatto dietrofront e con un braccio aveva bloccato Sirius.
"Che succede?" aveva chiesto quello sottovoce.
"Abbiamo trovato Dylan." aveva detto con voce tremante.
Preoccupato per la reazione di sua moglie, l'uomo si era sporto appena in tempo per vedere suo figlio scivolare lungo il muro fino al pavimento e tenersi la testa tra le mani, scosso dai singhiozzi.
Istintivamente aveva mosso un passo per andargli incontro. Tutto quello che voleva fare era stringerlo e rassicurarlo, ma la presa di sua moglie si era fatta più stretta.
Si era voltato per trovarla in lacrime.
"N-non andare ... N-non si perdonerebbe mai di essersi fatto vedere in quello stato... N-non da te." aveva detto con voce tremante.
E mentre asciugava con le dita il volto di Eleanor, faticando a respirare, Sirius aveva avuto la consapevolezza che suo figlio fosse esattamente e nel modo più autodistruttivo possibile uguale a lui.
 
 
Un picchiettare sommesso alla porta dei quartieri in cui dormivano, aveva spinto Remus ad abbandonare il calore delle coltri per accogliere chiunque fosse in giro a quell'ora del mattino.
I colori dell'alba inondavano il salottino in cui un paio d'ore prima era rimasto a chiacchierare con Sirius e James.
Quest'ultimo dormiva beato con Lily, come si poteva scorgere dalla porta leggermente socchiusa.
Doveva trattarsi del canide ed Eleanor.
"Sir, sei sempre il solito rompiballe..." aveva detto aprendo la porta.
Poi aveva abbassato lo sguardo quel tanto che bastava per incontrare un paio di occhi color ambra, come i suoi, che brillavano sotto dei ciuffi blu elettrico.
Aveva sorriso, illuminandosi.
"Teddy ..."
"Ciao papà, scusa non volevo disturbarti... "
"Non dire stupidaggini..." aveva detto lasciandolo entrare e gli aveva passato una mano tra i capelli.
"Sei gelido ..." aveva convenuto con la mano a mezz'aria.
Ted aveva alzato lo sguardo, colpevole.
Remus aveva scosso il capo.
"Dove sei stato?" aveva domandato, serio.
"In giro, non preoccuparti ... Non mi sono allontanato.." aveva risposto con un lieve sorriso.
Con un colpo di bacchetta, l'uomo aveva acceso un bel fuoco nel camino ed aveva fatto comparire due tazze di cioccolata calda.
Ted aveva alzato un angolo della bocca in un ghigno, suo padre e la convinzione che la cioccolata potesse curare ogni male.
D'improvviso la sensazione di terrore che gli aveva costretto lo stomaco in una morsa, giusto qualche ora prima, si era ripresentata più forte.
Non poteva pensare che quei momenti, seppur rari gli venissero tolti.
Aveva preso a tremare, sotto lo sguardo attento di Remus.
"Ted... Va tutto bene?"
Il ragazzo aveva annuito a fatica, ma contemporaneamente aveva perso la presa sulla tazza che si era rovesciata con tutto il suo contenuto sul tappeto.
Sebbene provasse a tranquillizzarsi non ci riusciva , come non riusciva nemmeno a respirare.
"TED..." Remus lo aveva fatto sdraiare, massaggiandogli la schiena.
"Va tutto bene, respira ... Respira ..." continuava a ripetere mentre lo vedeva tranquillizzarsi un poco alla volta.
"Sto bene ... Papà ... Tranquillo..." aveva detto mentre prendeva grandi boccate d'aria.
"Non puoi cavartela così ... Cosa ti ha sconvolto fino a questo punto?" aveva detto,preoccupato.
"Solo... Tutto quello che è successo fino ad ora." aveva detto con un sorriso.
Remus gli aveva carezzato una guancia.
Avevano parlato a lungo e poi il ragazzo si era congedato.
Il ministro era rimasto a fissare l'uscio, nonostante avessero fatto un bel po' di rumore, dormivano ancora tutti. Chiaro sintomo che fossero stremati.
Il tempo che aveva passato con suo figlio lo aveva reso inquieto, c'era qualcosa che non andava. Glielo stava nascondendo, ma quello era un attacco di panico in piena regola.
Perso nelle sue riflessioni non si era reso conto dell'arrivo di sua moglie.
"Come mai già sveglia?"
"Lo sono da quando mio figlio faticava a respirare ..."
Remus aveva annuito con un grande sospiro a gonfiargli il petto.
"Ti stai ancora domandando il perchè?"
L'uomo aveva annuito.
"Eppure si direbbe che tu sia una persona arguta..." aveva detto Dora con aria saccente.
"Quando si tratta della mia famiglia posso diventare alquanto sciocco ..." aveva detto teneramente.
Dora lo aveva guardato con amore.
"Ted ha paura di perderti. Ma non te lo direbbe mai perchè sa che rinunceresti alla tua carica per evitargli sofferenze ..."
"Come fai a saperlo?"
"Quella di stasera non è la sua prima crisi di panico."
Remus si era voltato completamente verso di lei con gli occhi sgranati e si era ritrovato a chiedersi per la milionesima volta in poche ore, se davvero ne valesse la pena.
 
 
ANGOLINO DI ARWEN
Ciao a tutti!! Eccomi qui, dopo innumerevoli mesi di attesa.
Non tenterò nemmeno di scusarmi, purtroppo il mio tempo è diviso tra lavoro e università, di rado riesco a ritagliarmi questi meravigliosi momenti per scrivere.
Vi ringrazio profondamente, per non aver perso le speranze e aver continuato a domandarmi notizie sulle mie storie, tenterò di essere più costante.
Vi lascio al capitolo con la promessa che, appena possibile, risponderò a tutte le recensioni pregresse, sperando di trovarne di nuove.
Anche se con un po' di ritardo, ci tengo a farvi i miei più cari auguri per questo 2015. Che sia l'anno delle cose belle e dei sorrisi e, ricordate, come dice il saggio Ligabue: "Sono sempre i sogni a fare la realtà".
Affettuosamente vostra,
Arwen
  
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: ArwenUndomiel