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Autore: Chupacabra19    06/01/2015    6 recensioni
Kendra, una semplice ragazza, vittima anch'essa del nuovo mondo infetto. In queste pagine virtuali leggerete la sua storia, il suo passato, i suoi incontri, ciò che il destino le ha riservato dopo l'epidemia. Questa è la mia prima ff dedicata alla serie twd e segue parte della trama originaria, partendo dalla drammatica situazione della terza stagione.
[Dal capitolo 5] : Mentre Rick, ancora in preda al terrore, poggiava il viso fra i capelli del ragazzo, questo aveva gli occhi fissi su di me. Tornai in piedi lentamente, sperando che quella commovente scena terminasse. D'un tratto, bruciore. Una terribile fitta mi travolse. Un dolore acuto, straziante. D'impulso, mi irrigidii. La lima precipitò al suolo. Abbassai lo sguardo, per capire da dove provenisse tale sofferenza. Un dardo. Un dardo dalle alette verdi conficcato nel fianco. D'improvviso, mi sentii fiacca, debole. La vista mi abbandonò e tutto si fece scuro.
Genere: Avventura, Drammatico, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daryl Dixon, Il Governatore, Nuovo personaggio, Rick Grimes, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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NB 2.0 : sto revisionando i capitoli, con una lentezza da lumaca, ma è già qualcosa. Quindi scusatemi per gli errori!

NB. Messaggio diretto ai nuovi utenti, ai lettori che si imbattono per la prima volta in questa storia.
Ho pensato più volte di modificare il prologo e i primi capitoli, perchè non rispecchiano il resto della storia, o meglio, non li ritengo all'altezza.
Allo stesso tempo però, mi è sempre dispiaciuto doverlo fare. Perciò, eccomi qui che vi prego di non fermarvi a priori e di dare una possibilità a questa fanfiction. Vi prometto che non ve ne pentirete!

 
*
 
Salve lettori! Ho cercato di creare qualcosa di nuovo, sfruttando l'idea di inserire questo nuovo personaggio femminile, la cui vita si intreccierà ai protagonisti della nostra tanto amata serie tv. Spero vi piaccia. Sono ben accetti e graditi tutti i pareri, negativi e positivi, che si trattino di recensioni o messaggi privati. Buona lettura!


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Capitolo 1 : Il ritorno

Odio quando dei pezzetti di cervella restano attaccati al mio bowie seghettato da 30 cm, è sempre un problema pulirlo, e come se non bastasse, non faccio in tempo a godere della sua superficie immacolata che già noto in lontananza uno di quegli schifosi esseri. Mi guardo intorno, è solo. Bene, non dovrò sprecare munizioni. Strattono il mio cavallo e mi incammino. Il contatto fra i miei anfibi e le foglie secche che giacciono a terra inerti provocano un rumore fastidioso, una colonna sonora od una melodia d'accompagnamento per ogni mio passo. Lo zombie si gira di scatto, allarmato dalla mia presenza. Corre, o meglio, arranca nella mia direzione spostando una grossa quantità di natura morta, che oltretutto ostacola ed impedisce una sua andatura più ottimale o rapida. E' tumefatta, sporca. Irriconoscibile. Una donna, posso dedurre solo questo dalla sua gracile figura e dai lunghi capelli fangosi.

Un tempo cercavo sempre di ricostruire con la mente un volto, di immaginare come fossero prima di questo incubo, ma era un lavoro inutile, futile a se stesso. Ciò che erano in passato non conta più, adesso siamo solo io e loro, noi prede e loro carnefici. Non che alla fine siamo così diversi, insomma, noi diventiamo carnefici e loro vittime. Dipende dai punti di vista. Dopotutto si tratta di sopravvivenza per entrambi. Loro cercano solo di cibarsi, come le bestie, non hanno una ragione,  e noi tentiamo l'impossibile per non farci sopraffare da un branco.

Non ho voglia di aspettare. Raccolgo un ramo ben appuntito da terra, già sporco di sangue. Sarà stato utile ad un'altra persona. Mi avvicino con calma a quel mostro che si infiamma di desiderio. I suoi occhi iniettati di rosso cremisi incontrano i miei. Rabbiosa, spalanca le fauci. Ti sto facendo solo un favore, penso. Conficco nel cranio l'arma rudimentale che ha sostituito la mia appena lucidata. Di nuovo si impregna di rosso vivo. Lei cade all'indietro, spinta dalla forza con cui le ho trapassato quella fronte molle. Un rumore sordo si innalza nel bosco. Mi piacerebbe svegliarmi e trovarmi in ospedale, capire di aver fatto solo un brutto sogno, di essere andata in coma per chissà quale assurdo incidente, ma sapere che niente è cambiato, che il mondo non è diventato un'arena. Piangere dalla felicità alla vista dei miei cari. Potrei sfruttare quel sogno per scriverci addirittura un libro e magari diventare famosa. Desideri amari.

Salgo in groppa al mio destriero nero e trotto fra i fitti alberi, cercando di non smarrire la retta via. Il sole brilla e irradia con i suoi potenti raggi l'area circostante. Non ho mai amato così tanto l'estate. L'inverno è stato molto duro, ho rischiato più volte l'ipotermia, e molti miei compagni non ce l'hanno fatta. Orribile a dirsi, ma bruciare i loro corpi ha permesso ai restanti del gruppo di scaldarsi un poco. Chi ha perso la vita per il gelo, donando calore agli amici, chi è morto sacrificandosi, donando qualche giorno in più alle persone care, chi è morto di stento, chi si è suicidato. Sono passati sei mesi e sono rimasta solo io. La spedizione non è andata a buon fine, il sud è completamente invaso. I pochi superstiti che abbiamo incontrato sono durati un battito di ciglia. Una vera e propria mietitura. Il ghiaccio era diventato più pericoloso dei non morti. Il killer per eccellenza. Costruire un'altra cittadina si è rilevato un piano disastroso. Le notizie che ci erano giunte ci avevano fatto ben sperare, vi era la voce di una presenza di un rifugio militare. Un rifugio che poteva diventare una seconda casa. False speranze, come sempre. Noto le tracce che avevamo lasciato sui tronchi di alcune alberi. Matt si era impegnato di firmare il nostro viaggio, in modo da non perdersi al ritorno. Peccato che non possa usufruirne. Grazie. 

Spingo il cavallo ad accelerare, non manca molto ormai. Già sento un nodo allo stomaco. Sei mesi, un'eternità. Il mio letto, la mia camera, mura sicure, amici e lui. Ma non voglio cantare  vittoria in anticipo, ho imparato che il male è sempre in agguato. Potrei arrivare e trovare l'intera cittadina distrutta, i non morti ad ogni angolo e scorgere fra i loro volti quelli di chi ho lasciato là. Niente di nuovo, dopotutto. Perciò, meglio restare coi piedi a terra. Stringo forte le redini, quasi ferendomi con le unghie i palmi. È difficile mantenere il controllo e lucidità in questi momenti. Non sapere cosa trovare all'arrivo. Un'attesa logorante. D'improvviso mi trovo dinanzi ad un corpo sospeso, un corpo che si divincola. Uno zombie. Un uomo impiccato. Ne ho visti tanti in queste condizioni. Chi ha scelto l'impiccagione ha toppato. D'istinto porto il braccio all'indietro, in modo d'afferrare il mio arco, dimenticando per un istante di averlo perduto in una fuga. Infatti, ciò che le mie dita toccano è solo la faretra ormai vuota. Dannazione. Potrei colpirlo con uno dei miei coltelli da lancio, ma dopo non potrei recuperarlo. Dovrò lasciarlo lì, sperando nel passaggio di un altro sopravvissuto meglio attrezzato. Mi dispiace. 

Riprendo la corsa, udendo i suoi gutturali versi farsi sempre più flebili. Galoppando, i lunghi ricci mi frustano le spalle, procurandomi parecchio fastidio. Mi libero il polso da una fascia bordeaux e costringo le punte in una lenta coda. La mia canottiera bianca è ormai grigia, decorata da qualche schizzo rossastro. Potrebbe apparire come una tela di Pollock. La camicia marrone, che un tempo era verde militare, svolazzava  a causa dell'aria prodotta dalla corsa. I lunghi jeans neri si erano trasformati in shorts. Ero stata costretta a tagliarli, essendosi praticamente distrutti. L'unico capo che era resistito, erano i miei anfibi neri, i quali seguivano la linea del polpaccio. Certo, con questo caldo i miei poveri piedi ribollivano, ma erano resistenti ed utili. Non ne avrei mai fatto a meno. Sembro una selvaggia, pensai. Ma non era il momento di pensare all'aspetto, ormai nessuno se ne curava più. Anche se nella mia cara cittadina tutti erano felici, ben vestiti e puliti. Loro avrebbero capito. Se tutto fosse stato integro come il giorno della mia partenza, avrei dovuto prepararmi ad affrontare le famiglie dei compagni caduti. Sono morte persone che avevano qualcuno, qualcuno che aspettasse il loro ritorno. Mentre io, io che sono sola, sono ancora qua. Come un chirurgo che annuncia il decesso di un paziente ai parenti, dovrò fare lo stesso. Sostenere di aver fatto il possibile, elogiarli e intimare ai presenti di farsi forza per loro, per il loro ricordo e coraggio. Piangere con loro è vietato, devo restare fiera e pacata. Sono un soldato e così mi è stato insegnato, sebbene il mio cuore brami altro. Alcuni alberi potati, una strada sterrata, una lanterna poggiata ad un alto ramo. Riconosco dove sono. Ci siamo quasi. 

Percorro di fretta quella stradina ciottolata, giungendo così alla strada principale, asfaltata. Si estende all'infinito. I miei occhi non possono scorgere ancora la meta tanto desiderata, ma so per certo che mancano solamente quattro ore di cammino. Quattro ore d'agonia e gioia. Un'ora circa dopo, trovo al lato sinistro un piccolo ruscello. Il cavallo era stanco ed io assetata. Sebbene non volessi affatto fermarmi, era giusto regalare a quel povero destriero una mezzora di riposo. Scesi, tornando a toccare col suolo degli anfibi la terra. Ci allontanammo dalla strada e seguimmo il ruscello fino alla sorgente limpida, immacolata. Nascendo qui, era assolutamente non infetta. Mi bagnai la fronte e riempii due borracce. Il cavallo si dissetò. Presi dallo zaino due mele ormai molto mature e gliene lanciai una. Ho sempre odiato le mele. Ma adesso era tutta un'altra storia. Certe situazioni ti insegnano ad apprezzare ogni tipo di cibo, perfino i ratti e i serpenti diventano una prelibatezza. Se solo mi vedesse mia madre. Sorrisi leggermente. Il cavallo sembrò apprezzare.

Restai distesa sull'erba color smeraldo, osservando il cielo arricchito da candide nuvole. In altre situazioni avrei profittato di quel momento di calma per pensare, riflettere, ma la mia mente era morta. Dicono che è impossibile pensare al niente, poiché nel momento in cui credi di pensare al niente, stai pensando di farlo, come un cane che si morde la coda. Eppure, in quell'esatto istante il mare inconscio era più piatto che mai. Non si trattava né di noia né di felicità, ero semplicemente vuota. Il mondo era cambiato ed io con lui, mi aveva svuotato, resa robotica. Non tutti i giorni erano bui, ma quasi. Ciò che mi aveva portato avanti in questi sei mesi, era la possibilità di tornare in quel luogo che chiamavo casa. Lì un po' di felicità l'avevo provata. Forse, passarono più di 30 minuti, ma alla fine mi alzai nuovamente. Il cavallo non fece una piega, anche lui sapeva di essere giunto a destinazione . Si avvicinò ed io salii in sella. Riprendemmo il nostro viaggio, avendo recuperato le forze.

Quella strada mi parve interminabile. Macchine abbandonate, cadaveri, peluche. C'erano impronte di vite passate. Il sole stava calando, il cielo si era fatto un poco più scuro, quand'ecco che riconobbi i cancelli, quegli alti cancelli di ferro. Filo spinato, postazioni di vedetta e cecchini agli angoli. Si erano ben organizzati in mia assenza. Rallentai, quasi volessi godere ancora di quella visione. Restai immobile di fronte a quel cartello. Casa. Presi coraggio e lo superai, avvicinandomi ai cancelli e lasciandomi alle spalle quelle lettere cubitali : Woodbury.

  
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