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Autore: Eustachio    14/02/2015    4 recensioni
Una sera di novembre Francesca e Massimo si incontrano sotto la pioggia. Francesca è timida e insicura, spesso messa in ombra dalla sorella gemella. Massimo ci sta provando o è tutto nella testa di Francesca?
***
Mentre Evelina ruota il braccialetto attorno al polso, mi sembra di rivedere me stessa che mi rigiro il filo d’erba tra le dita. Solo che adesso Massimo le cinge la vita con il braccio e le sussurra qualcosa all’orecchio. Lei sorride e lascia perdere il braccialetto.
A volte ho l’impressione di vedere la mia vita dall’esterno: qualcun altro identico a me, mia sorella, che la vive al posto mio. Incrocio lo sguardo di Massimo, lo sguardo da innamorato rivolto a Evelina che per un attimo sembra rivolto a me. [...]
Genere: Drammatico, Science-fiction, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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Prima parte

Un incontro

Giovedì 26 novembre 2009

Sono sola alla fermata dell’autobus. In biblioteca ho perso la cognizione del tempo ed è stato il bibliotecario a ricordarmi che stavano per chiudere. Mi sono tolta le cuffie, ho controllato l’ora dal cellulare e mi sono sbrigata a uscire. Una volta fuori mi hanno sorpreso il freddo di novembre e il ticchettio della pioggia. Mi sono stretta nel cappotto, ho aperto l’ombrello e sono arrivata fino alla fermata. Il prossimo autobus dovrebbe passare tra un quarto d’ora. I lampioni tingono le strade d’arancio e sui marciapiedi sagome indistinte corrono al riparo sotto i portici o si affrettano ai margini della strada con gli ombrelli.

Un ragazzo incappucciato corre sotto la fermata. Nel caso in cui voglia sedersi sposto la borsa, ma si limita a guardare gli orari e poi la strada, in piedi. Si toglie il cappuccio e sospira. Ha un bel profilo, il naso prominente, un accenno di barba, i capelli scuri tagliati corti, gli occhi grandi. Sposta il peso dal tallone alle punte, sporgendosi ogni tanto nella speranza di intravedere l’autobus. La pioggia diventa scrosciante e il ragazzo si tira indietro.

In tasca e con i guanti le mani si scaldano, ma il freddo mi punge le guance e i jeans sono troppo leggeri. Accavallo le gambe.

«Fa sempre così ritardo?» chiede il ragazzo.

Trasalisco, ma mi stringo nelle spalle come se fosse stato un brivido di freddo. «Di solito prendo l’altro autobus. Oggi ho fatto tardi».

«Sarei dovuto uscire prima». Sbuffa e si siede anche lui, gli occhi fissi sulla strada. «Il professore continuava a spiegare e spiegare, se non dovevano chiudere le aule ci teneva dentro ancora mezz’ora. Se sapevo che pioveva mi portavo almeno l’ombrello».

«Vivi in zona?»

«Sulla traversa prima del supermercato. Se l’autobus si degnasse di arrivare mi eviterei la corsa sotto la pioggia».

Annuisco. La pioggia batte sul tetto della fermata. Dal vetro i lampioni sono aloni di luce opachi. Un autobus svolta.

«È questo?» Lui si alza e si sporge fuori dalla fermata, schermandosi gli occhi con la mano. Mi alzo anch’io, ma l’autobus alla rotonda prende l’altra strada. Torniamo entrambi a sederci.

«Scrivo a mia sorella, va’». Prendo il cellulare dalla borsa. «Se fa prima dell’autobus possiamo darti un passaggio, tanto è di strada».

«Oh». Per la prima volta mi guarda negli occhi. Li ha neri, molto espressivi. Le labbra gli si increspano in un sorriso. «Grazie, sarebbe proprio una mano santa».

Evelina non risponde subito. Rimango col cellulare in mano e per qualche istante sia io che il ragazzo lo fissiamo, una luce chiara e distinta nella strada arancione. La pioggia riduce di intensità, ticchetta dolcemente sul tetto della fermata. Mi investe la stanchezza della giornata: le lezioni, il pranzo in pizzeria, l’ora in fila al ricevimento, altre lezioni, il torpore della biblioteca con Florence and the Machine che mi fanno perdere la cognizione del tempo mentre ricopio gli appunti… Mi appoggio al vetro sospirando.

«Si sta calmando». Il ragazzo guarda il tetto, come aspettandosi una conferma. «Ti sembrerà una follia detto da uno che manco conosci, ma… che ne dici se aspetti tua sorella a casa mia? O comunque ci avviamo? Se ti risponde prima che arriviamo a casa possiamo sempre tornare indietro».

Esito. Sembra un ragazzo tranquillo, non ci sono segni di vita né dal cellulare né dall’autobus e in fondo io stessa gli ho offerto un passaggio poco fa.

Lui alza la mano sinistra e si mette la destra sul cuore. «Giuro solennemente di avere buone intenzioni. Se vuoi ti do la carta d’identità e dai tutti i miei dati a tua sorella, così se ti succede qualcosa di brutto sai che non la passerò franca».

Scuoto la testa trattenendo una risatina di circostanza. «Non serve. Dici che abiti qui vicino?»

«È proprio la traversa prima del supermercato, più avanti. Di solito ci metto un quarto d’ora a piedi, anche meno se cammino velocemente. Se mi fossi portato l’ombrello neanche starei qui ad aspettare l’autobus, ma… chi lo sapeva che scoppiava un acquazzone».

Mi guarda trepidante d’attesa, le mani ora nelle tasche del cappotto. Non ha neanche i guanti.

«Mi hai convinto». Abbozzo un sorriso. «Andiamo, prima che riprenda a piovere a dirotto».

Ci rimettiamo le borse in spalla. Lascio il telefono nella tasca del cappotto mentre apro l’ombrello. Lo tengo sollevato per coprire anche lui. Gli arrivo sotto la spalla.

«Se vuoi lo tengo io».

«Sì, grazie».

Glielo porgo e ci incamminiamo. Lui cerca di coprire entrambi e allo stesso tempo di stare a debita distanza. Qualche locale è ancora aperto, ma le cartolerie e le librerie che di solito pullulano di studenti la mattina ora sono chiuse. L’acqua viene raccolta nei canali di scolo, ma qua e là ci sono pozzanghere di luce.

«A proposito, io sono Massimo».

«Piacere, Francesca».

Ci stringiamo la mano.

«Cosa studi?» chiede lui.

«Lettere. Tu?»

«Filosofia».

Cammino a testa bassa, attenta a dove metto i piedi.

«Ti avverto, se la casa è un disastro è tutta colpa del mio coinquilino. Ovunque, anche in camera mia. Non che dobbiamo andare in camera mia, eh».

Tengo il cellulare stretto nella mano della tasca. Perché Evelina non risponde? Perché l’autobus non è passato?

«Se hai fame possiamo mangiare qualcosa, sempre che tua sorella non risponda prima. Ancora niente?»

Si sta sforzando di essere gentile. In fondo vuole solo tornare a casa anche lui e che Evelina non si faccia sentire gli è d’impiccio.

«No. Non preoccuparti».

«Ecco, qui a destra». Il marciapiede è più piccolo nella traversa. Cammina dietro di me. Io affretto il passo. Supero le strisce senza notarle, lui mi sfiora il braccio dicendo: «Attraversiamo qui».

Appena arriviamo al suo condominio mi restituisce l’ombrello per cacciare le chiavi e aprire il portone. Lo tiene aperto, ma rimango sulla soglia.

Mi guarda sorpreso. «Non entri?»

«Non voglio disturbare. Provo a chiamare mia sorella o cerco un altro autobus».

«Ma che disturbo, mi hai accompagnato fin qui! Entra, dai».

Chiudo l’ombrello e lo scrollo prima di entrare e chiudermi il portone alle spalle. Perché è così insistente? Neanche ci conosciamo, neanche mi dovesse qualcosa.

Chiama l’ascensore. Le porte si aprono lentamente. Abbandoniamo l’odore di prodotti per le pulizie dell’atrio per quello neutro dell’ascensore. Entro per prima. Massimo preme il cinque e cominciamo a salire.

Lo guardo attraverso lo specchio con la coda dell’occhio. Le spalle, il cappuccio e la borsa sono bagnati. Si è bagnato per coprire me mentre camminavamo qui fuori o era già così da prima?

Si mette le mani nelle tasche dei jeans e guarda il soffitto. Compongo il numero di Evelina, ma non c’è campo.

Prima ancora che le porte si aprano Massimo traffica con le chiavi. Nel suo appartamento il corridoio è buio. Da una porta chiusa proviene una striscia di luce e una musica sommessa. Massimo mi precede. Struscio i piedi sullo zerbino un paio di volte e lascio l’ombrello all’ingresso.

«Permesso» mormoro. Mi chiudo la porta alle spalle.

Massimo è in cucina, la prima stanza sulla destra. La borsa è a terra, s’è tolto il cappotto. Indossa una felpa blu. È largo di spalle. Potrebbe mettersi a dieta, andare in palestra, e avrebbe un bel fisico.

«Vuoi qualcosa?» Apre il frigo. «Abbiamo… Mmm. Acqua, tè, birra. A te la scelta». Mi guarda da sopra lo sportello. «O vuoi qualcosa da mangiare?»

«Il tè va benissimo, grazie».

Poso la borsa a terra, mi levo il cappotto e lo metto sullo schienale della sedia. Chiamo di nuovo Evelina mentre lui riempie un bicchiere, ma continua a squillare a vuoto. Le scrivo che per il momento sono a casa di un conoscente, le dico di raggiungermi all’altezza del supermercato e concludo con un Chiamami appena puoi.

Bevo qualche sorso di tè. L’orologio della cucina ticchetta. La musica dell’altra stanza cambia, è I Gotta Feeling. Con questo freddo ho voglia di qualcosa di caldo. Stasera mi preparo una cioccolata e mi guardo un film. Finirò domani di copiare gli appunti.

Massimo tamburella le dita sul suo bicchiere. «Giuro che col mio coinquilino condivido giusto l’appartamento, non i gusti musicali. Ti dà fastidio? Se ti dà fastidio gli dico di abbassare».

«Non preoccuparti».

«Non può piacerti una roba simile, dai».

Mi umetto le labbra. «Cosa ne sai?»

«Fammi indovinare». Si accarezza il mento, assumendo la posa da pensatore. «Ti piace di sicuro Florence and the Machine. Radiohead, Coldplay, Keane. La tua canzone preferita dei Beatles è Eleanor Rigby».

Bevo un altro sorso di tè. «E da cosa capiresti tutto ciò, sentiamo?»

«Sei una ragazza. Fai Lettere, ti piacciono i libri di poesie e le giornate di pioggia. Non vai in discoteca, non senti questa musica».

Mi sta prendendo in giro. Alzando la testa incontro un sorriso sghembo. «Ci ho preso, vero?» chiede. «Che mi dici degli Strokes?»

«Meglio dei Radiohead».

Un lampo gli attraversa gli occhi. «Aspetta, questa ti piacerà per forza!» Si alza ed esce di corsa dalla cucina. Finisco il tè. Sono le nove meno cinque ed Evelina ancora non risponde.

Massimo torna col portatile. Avvicina la sedia all’angolo del tavolo e gira il computer verso di me.

«Sai chi è Julian Casablancas?»

«Non mi è nuovo».

«È il cantante degli Strokes, ha fatto un album da solista». Il computer si è acceso. Le dita di Massimo si muovono velocemente sulla tastiera. «Senti un po’ questa, è la mia preferita».

Parte Glass. Riconosco la voce del cantante, ma non suona come negli Strokes. Non afferro le parole e non capisco quali siano gli strumenti. Mi mette tristezza e stanchezza.

«È bella».

Massimo abbassa il volume. «Sempre meglio dei Radiohead?»

«Credo di sì». Sorrido. «E comunque mi spiace contraddirti, ma non mi piacciono granché i Beatles. Eleanor Rigby è un’eccezione».

«Sta di fatto che ci ho preso».

Sbuffo, lui ride.

«Hai fame? Posso improvvisare qualcosa, se ti va».

Il telefono vibra. Lo prendo, Massimo ferma la canzone.

«Perché non rispondevi?»

«Ero sotto la doccia e poi stavo guidando. Ho parcheggiato davanti al supermercato. Con chi sei?»

«Arrivo». Riattacco.

Io e Massimo ci alziamo contemporaneamente, le sedie stridono.

«Ti accompagno?» chiede.

«Non serve, è qui sotto». Mi rimetto il cappotto. «Grazie per il tè e per la musica».

Si mette le mani nelle tasche dei jeans, si stringe nelle spalle. «Grazie a te per la compagnia».

Mi accompagna alla porta, accendendo le luci nel corridoio. «Non dimenticare l’ombrello» dice.

Rimango sulla soglia. Ho la borsa in spalla, il cellulare in tasca, l’ombrello in mano. Ho tutto.

«Be’, è stato un piacere» dico.

«Ci becchiamo all’università». Ha la mano sulla porta. «Ci prendiamo un caffè, se vuoi».

«Con piacere. Buona serata, grazie ancora».

«E di che».

Il sorriso scompare dietro la porta. Mi avvio lungo il corridoio. L’ascensore è impegnato. Faccio le scale a piedi, aggrappandomi al corrimano.

Evelina, in macchina davanti al supermercato, accenna un colpo di clacson. Entro in macchina con l’ombrello zuppo. Mi allaccio la cintura di sicurezza mentre Evelina mette in moto.

«Ho aspettato per più di venti minuti l’autobus. Ho perso la cognizione del tempo…»

«Ma con chi eri?»

«Un ragazzo che aspettava l’autobus con me».

«Sei pazza? Un estraneo?»

«Non aveva l’ombrello, l’ho accompagnato a casa e…»

«È carino almeno?»

Evelina ha i capelli bagnati. Li ha legati in una coda. Una goccia le cola sulla fronte.

«Non hai fatto neanche in tempo ad asciugarti i capelli!»

«Mamma cucina, papà non è ancora tornato».

«Ti ammalerai».

«No che non mi ammalerò. Allora, è carino?»

I tergicristalli stridono sul parabrezza. Siamo ferme al semaforo. Un signore con l’impermeabile attraversa la strada a grandi falcate e corre al riparo sotto un portico.

«Non è importante. Tanto non lo rivedrò».

«Secondo me lo rivedrai eccome. Va all’università?»

«Sì, fa Filosofia».

«A maggior ragione».

Inspiro forte col naso, appoggiandomi allo schienale. «Ha detto se ci prendiamo un caffè».

«Gli piaci! Devi assolutamente rivederlo».

«Ma che dici, l’avrà detto così per dire».

«Voglio sapere per filo e per segno cos’è successo».

Scatta il verde. La macchina riparte.

Tornando a casa le racconto tutto, da quello che ci siamo detti a com’è d’aspetto, dallo stato del suo appartamento a come mi ha inquadrato.

«Ho un buon presentimento» dice Evelina. «Devi rivederlo. Devi e basta».


Note alla storia:

Innanzitutto ciao e grazie per essere arrivato/a fino alla fine del capitolo!

Alcune informazioni di servizio:

  • La storia è già conclusa, quindi sta solo a me pubblicarla. Se ti incuriosisce, abbi pazienza. Immagino di pubblicarla un po' alla volta nel giro di un mese.
  • È divisa in tre parti e ogni parte pone un cambio di prospettiva drastico con la precedente. Non a caso ho selezionato come sotto-generi anche "drammatico" e "science-fiction". In sostanza, non è solo una storia romantica. Anzi, il rapporto tra Francesca ed Evelina è forse più importante di quello tra Francesca e Massimo.
  • Consiglio di tener d'occhio le date, non solo per gli sporadici riferimenti temporali, ma anche perché la storia si dipana nel corso di qualche anno e da un capitolo all'altro possono trascorrere dei mesi.
  • Che la storia ti piaccia o meno, se la segui con piacere o se sei arrivato/a alla fine del capitolo stufo marcio già dalle prime righe, non esitare a lasciare un commento: apprezzo le opinioni altrui, positive o negative che siano.

Note al capitolo:

  • «Giuro solennemente di avere buone intenzioni»: ovvio riferimento a Harry Potter.
  • Puoi ascoltare Glass qui se non la conoscevi già.
   
 
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