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Autore: Tikal    05/04/2015    1 recensioni
Piccola – okay, non proprio piccola – raccolta di fan fiction dedicate ai personaggi più disparati di One Piece, perché mi sono innamorata di quel manga e non potevo non scriverci niente sopra. Attenzione: si prevedono abbondanti precipitazioni di AU.
#01 - Happy new year, Cora-san (Law & Cora) "«Corazon», chiama. L’altro alza lo sguardo, scrutando incuriosito il suo compagno di viaggio. «Dimmi, Law» «Ti va a fuoco la spalla»"
#02 - Hey brother (Ace & Rufy) "Si è addormentato con le lacrime, Rufy, quando le stelle erano già alte nel cielo e il Sole era già scomparso da ore oltre la linea dell’orizzonte, tuffandosi tra le onde del mare blu."
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Kaya, Koala, Mugiwara, Sabo, Usop | Coppie: Eustass Kidd/Trafalgar Law, Franky/Nico Robin, Rufy/Nami, Rufy/Zoro, Sanji/Zoro
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!
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Hey brother 



Ad Ace non è mai piaciuta la notte, quando, che  sia a casa di Dadan o sdraiato sotto un albero nella foresta, ogni cosa tace, avvolta dal torpore del buio e dalla flebile luce delle stelle, i pensieri possono vagare liberi nella sua mente e gli incubi tornano a tormentarlo – e dopo la scomparsa di Sabo ancora di più, perché in parte se ne sente responsabile.
In quel momento, sdraiato sull’enorme letto che lui e Rufy condividono, in una delle rare occasioni in cui tornano da Dadan – che, dopo Sabo, sono comunque molte più rispetto a prima – il suo sguardo si perde fuori dalla finestra, tra le stelle lontane e luminose che splendono nel cielo sopra di lui, e un sussurro sfugge dalle sue labbra. Alle sue spalle, Rufy si agita nel sonno, mormorando qualcosa che al maggiore sfugge.
Gli da le spalle, Ace, perché sa che non riuscirebbe a sopportare di vedere il suo fratellino mentre dorme, il volto rigato dal pianto e contratto in un espressione triste e innocente: si sente responsabile delle lacrime che ogni sera scorrono copiose sul viso di Rufy, quando pensa che il maggiore dorma, perché sa benissimo che detesta vederlo piangere.
Quello che Rufy non sa, però, è che, nel silenzio della notte, quando solo le stelle vegliano sui due bambini, anche il volto di Ace si riga di lacrime amare; non un pianto vero e proprio, perché non un singhiozzo esce dalle labbra del corvino, ma soltanto qualche lacrima salata, che scorre sulle guancie coperte di lentiggini. Ci prova, Ace, a impedire a quelle lacrime maledette di bagnare il cuscino, ma ogni notte è una battaglia persa che, forse in realtà, non vuole vincere. E allora stringe i denti, soffocando quel singhiozzo che gli è rimasto in gola da quando ha letto la lettera di Sabo e ha visto la sua nave andare a fuoco, distrutta dalla stupidità che ha spinto quell’uomo a rivolgere un’arma e a premere il grilletto contro un bambino che non aveva nessuna colpa, se non quella di sognare di essere libero – come se sognare la libertà, poi, fosse un peccato.
Vorrebbe tornare indietro nel tempo, impedire che quei nobili si riprendano Sabo, l’incidente al Grey Terminal, che la barca di suo fratello coli a picco, ma non può farlo; checché la gente sostenga che nelle sue vene scorre il sangue del diavolo – e che lo sia anche lui –, rimane umano, nient’altro che un ragazzino di poco più di dieci anni che non ha potuto fare nulla per salvare una delle poche persone a cui teneva.
Alle sue spalle, Rufy ha smesso di singhiozzare ed è scivolato in un sonno profondo. A essere onesti, Ace un po’ lo invidia, perché, nonostante anche Rufy sia il figlio di un uomo a cui il governo dà da anni la caccia – gliene ha parlato nonno Garp, tra un litigio e un pisolino, ma lui di quella storia non ci ha capito un granché, se non che il padre del più piccolo è un pericoloso criminale – ignora ancora la verità, inconsapevole del sangue che scorre nelle sue vene, e sembra dormire tranquillo, nonostante la vicenda di Sabo, senza l’odio e la paura che tengono svegli il maggiore la notte, quando c’è troppo silenzio e i pensieri sembrano urlare nella sua testa.
Anzi, probabilmente Rufy sarebbe entusiasta di scoprire di avere un padre – quasi certamente non sospetta nemmeno di averne uno – e che egli è l’uomo più ricercato al mondo, considerando quello che vuole diventare da grande.
Ace si volta ad osservarlo, asciugandosi il volto sul cuscino: si è addormentato con le lacrime, Rufy, quando le stelle erano già alte nel cielo e il Sole era già scomparso da ore oltre la linea dell’orizzonte, tuffandosi tra le onde del mare blu. Accanto alla sua testa, le sue piccole mani stringono forte il suo cappello di paglia, come fosse un naufrago che annega in mezzo al mare e quel copricapo il relitto a cui si aggrappa per sopravvivere. Ace ha sempre trovato buffo, e forse anche un po’ fastidioso, il fatto che quel ragazzino si sia affezionato così tanto a un cappello vecchio e logoro che deve avere almeno il doppio dei suoi anni, e più di una volta ha cercato di capirne il perché, ottenendo sempre la solita risposta: «Questo è il cappello della promessa fatta a Shanks! Non posso farlo toccare a nessuno!»
«Nemmeno al tuo fratellone?» aveva domandato con un ghigno Ace.
«Nemmeno a te, mi dispiace Ace» aveva risposto Rufy con un sorriso da orecchia a orecchia.
Forse Rufy è un po’ matto, a gridare a squarciagola che ‘Diventerà il Re dei Pirati!’ anche quando c’è in giro Garp, che non risparmia pugni e sgridate, o forse è lui il matto, perché non cerca di farlo desistere da quell’obbiettivo che gli porterà solamente guai – anche se non lo ammetterebbe mai, Ace non vuole che finisca come Roger, inginocchiato su un patibolo con i marine pronti a giustiziarlo, ma soprattutto non vuole che diventi come suo padre –, non lo ha mai capito, ma quando osserva Rufy parlare del suo sogno vede i suoi occhi brillare, e il suo entusiasmo lo contagia senza che lui possa minimamente opporsi. Ne è certo, un giorno quel marmocchio piagnucoloso sarà un grande uomo e realizzerà il suo sogno – anche se non lo ammetterebbe nemmeno in punto di morte.
In quel momento, osservandolo addormentato, Ace non fatica a credere che sia suo fratello, anche se è un grandissimo piagnucolone; hanno gli stessi occhi, gli stessi capelli, lo stesso appetito, la stessa voglia di libertà, la stessa voglia, lo stesso sguardo, che aveva anche Sabo. A Rufy mancano solo le lentiggini, e sarebbe quasi identico a come era lui tre anni fa. E, anche se tra di loro non c’è un vero legame di sangue, Ace sente che sono veramente fratelli, lo sa, perché il patto che hanno fatto vale più di ogni altra cosa, di ogni altro legame, e lui, nel profondo del cuore, sa bene che, se mai fosse necessario, difenderà Rufy anche a costo della vita, perché è il suo fratellino e nessuno può fargli del male.
Di fronte a lui, Rufy, la voce impastata dal sonno e gli occhi socchiusi, mormora qualcosa, un farfuglio confuso che il maggiore riesce appena ad afferrare.
«Ace…»
«Uh?» risponde l’interessato, all’improvviso sull’attenti: magari Rufy dirà qualcosa di stupido e imbarazzante su cui l’indomani lui e Sabo rid-
L’entusiasmo del momento muore in fretta, così come è arrivato, quando Ace si ricorda che non potrà più sentire la risata del biondo, perché lui, così come ci è entrato, è uscito dalla sua vita, lasciando un vuoto troppo ampio per essere colmato solamente da quella peste del più piccolo.
Ace stringe il lenzuolo tra le mani e digrigna i denti: maledetto Sabo, anche dopo essersene andato, è ancora lì con loro, nei loro pensieri, nei loro gesti, nelle loro parole, presenza costante all’interno della loro vita. E fa ancora più male, perché Ace vorrebbe solo smettere di soffrire, di sentire quel dolore in mezzo al petto, là dove gli hanno detto esserci il cuore, ma non può, perché in qualche modo lo continua a ricordare, anche involontariamente, e lo rivede ovunque attorno a lui. Sa che è un comportamento da stupido, e lui stesso si dà dell’idiota per quelle lacrime che ancora una volta gli pungono gli occhi, desiderose di scorrere sulle sue guancie, eppure, per quanto ci provi, non può dimenticare Sabo, suo fratello.
«Ti voglio bene». È un sussurro flebile, che il vento subito si porta via, ma Ace fa in tempo a coglierlo prima che lo spettro di quelle parole svanisca del tutto.
Ti voglio bene?, Ace assaggia sulla sua lingua quelle tre parole così strane e aliene, che nessuno aveva mai osato rivolgergli, e, quando prova a ripeterle, ciò che esce dalle sue labbra è soltanto un mormorio soffocato, che niente ha a che vedere con il sussurro del più piccolo.
Forse è vero, è un mostro e per questo è incapace di amare.
Chiude gli occhi, tornando a dare le spalle a Rufy. D’altronde che bisogno ha di dire a quel moccioso “ti voglio bene”? Lui diventerà un pirata, e i pirati non sono gente che si lascia andare a queste stupide smancerie.
«Hey, fratellone» Rufy è sveglio. Ace lo sente rigirarsi dietro di lui, ma non si volta, non ne ha la forza.
«Ace» insiste ancora il ragazzino, osservando contrariato la schiena del fratello che continua a dargli le spalle. Ha la voce impastata dal sonno e le palpebre pesanti, ma lotta contro il torpore che lo avvolge: deve restare sveglio.
«Sai, anche se lo hai detto piano – Rufy si stringe al petto il cappello di paglia, quasi fosse un pupazzo – io lo so che mi vuoi bene, ti ho sentito».
E Ace non sa se è vero o se si è immaginato tutto, ma si limita a non rispondere, scosso da quello che Rufy gli ha appena detto.
Il più piccolo, dal canto suo, sorride, perché sa che Ace lo ha sentito, anche se non vuole darlo a vedere, stringe più forte il cappello di paglia, immergendovi il volto, e chiude gli occhi.
Prima di addormentarsi, Ace si ripete che non c’è niente di male a piangere: i pirati saranno anche gente che non cede ai sentimentalismi e sarà anche il figlio di uno di loro, ma infondo non ha ancora preso il mare, quindi qualche lacrima può ancora concedersela.



Angolo Autrice
 
Anzitutto: buona Pasqua!
Allora, torno a farmi viva dopo mesi – vi avevo avvisato che gli aggiornamenti sono lenti – con questa piccola One-Shot sugli ASL – ma è più che altro una Ace&Rufy, BrOTP che adoro *^* - di cui vado piuttosto orgogliosa: volevo scrivere qualcosa su di loro da secoli, e avevo questa storia seppellita tra gli appunti di filosofia – con la prof che mi ritrovo, sono le ore migliori per scrivere u.u – e dopo averla un po’ rimaneggiata, eccola qua!
Il titolo riprende la canzone 'Hey brother' di Avincii - ma va'? - con la quale sono totalmente fissata negli ultimi tempi ^^ 
Anyway, grazie mille a chi ha recensito e a chi ha messo tra le preferite questa raccolta, sono contenta che vi piaccia :3
Ugh, ho dimenticato cos’altro dovevo dire, quindi per qualsiasi cosa chiedete pure!
Ho davvero fatto un angolo autrice così breve? Domani nevica! ;)
Alla prossima!
Tikal
 
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