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Autore: Il Conclave    07/07/2015    3 recensioni
Un Imperatore, un Sacerdote, una Principessa, un Generale e una Dea.
Come possono cinque vite separate intrecciarsi e tessere una storia?
Un trono da reclamare, una maledizione oscura da sconfiggere e un tradimento in agguato.
In un mondo in cui amici e nemici si confondono, di chi ti puoi fidare?
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza
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~ Capitolo 3 ~
~ Asheryl ~

 
Era ufficiale: i due Demoni Superiori la infastidivano. 
Non la perdevano mai di vista un istante, soprattutto in presenza del loro signore. Quasi come se avvertissero un’eco delle sue intenzioni. 
Asheryl strinse gli occhi e si impose di sopportare ancora per qualche attimo la loro diffidenza e boria ingiustificata. 
Tallonò i due profili oscuri e incappucciati, attraversando la porta d’oro massiccio istoriata con scene di lotta e vittorie imperiali che conduceva alla Sala dei Cieli – così gli umani chiamavano la loro graziosa saletta del trono. 
Come per ogni cosa in quel palazzo era pura autocelebrazione del potere enthariano. 
Varcò la soglia dell’enorme portone e si diresse verso l’imperatore, attraversando la lunga sala. 
Il lattante se ne stava innanzi al suo trono con le mani intrecciate dietro la schiena, assorto nella contemplazione del proprio scranno dorato. 
Bel modo di usare la squama di un Dio, pensò concedendosi un ghigno divertito; gli umani non avevano rispetto, ne cognizione del potere di cui disponevano davvero. 
Con quale ingiustificata e tronfia arroganza usavano il potere primigenio degli Dèi e le tangibili vestigia di esso per appoggiarvi sopra i regali fondoschiena dei propri imperatori? 
Eppure Entharian era la principale potenza fra i mondi, complice l’eccessiva prodigalità di divinità troppo benevole nei confronti di quell’anonima e mediocre razza. 
Kaustakoss e Khantark – conosceva i loro nomi, poiché erano noti in ogni dove per la loro conversione – erano già accanto al sovrano quando la donna si avviò per raggiungerlo; dovevano aver annullato il distacco muovendosi ad una velocità notevole. 
La principessa degli Aersteri si permise di inarcare un angolo della bocca: se quei due idioti pensavano di impressionarla con così poco, erano ancor più stolti di quanto avesse immaginato. Il solo fatto che si fossero fatti asservire da quel glabro primate arrogante con il cervello di una capra di – come si chiamava?  Galurian o Golarian? Dimostrava quanto fossero infimi. 
E quanto al loro signore, non rammentava il suo nome, non che le  importasse. Era lì solo allo scopo di evitare che le legioni enthariane invadessero il suo mondo e lo devastassero con la dirompente forza del proprio numero… e dei “Draghi d’Oro Fuso”.   
Quando gli giunse alle spalle, il ragazzino si era da tempo accorto della sua presenza – l’aveva compreso dall’accelerazione del suo ritmo di respirazione – eppure non si era girato. 
Per Asheryl non era una sorpresa che l’umano la desiderasse: ammaliare gli uomini con il suo aspetto era una cosa facile, non era la prima volta che lo faceva. 
Sapeva che, come di consueto, avrebbe dovuto appurare questo fatto con glaciale freddezza; tuttavia, non poté evitare di provare una punta di soddisfazione. Quasi esternò la propria gratificazione con un sorriso. 
Quasi. 
«Benvenuta, Principessa degli Aersteri» esordì l’idiota, volgendosi. 
La donna intravide i muscoli dell’umano guizzare sotto la leggera veste di seta che indossava. I capelli d’argento e le pagliuzze dorate nell’azzurro degli occhi, destinate a soppiantare quel grazioso celeste per effetto del legame con la Squama, facevano di lui un vero e proprio pezzo di carne pregiato. 
«Ma come? Credevamo che questo fosse un incontro ufficiale. Per quale ragione siamo soli?» chiese con voce vellutata, riferendosi alla mancanza del Ciambellano e dello stuolo di garzoni e di sgualdrinelle vagamente attraenti che gli aveva visto vicino per tutto il giorno. 
«Desideravo parlarvi a quattr’occhi, mia signora» replicò lui, indirizzando un cenno di congedo alle due creature demoniache. 
Era già suo. Fin troppo facile, avrebbe preferito che opponesse un po’ di resistenza prima. 
Kaustakoss e Khantark vibrarono per un secondo, esprimendo una muta protesta poi, al ripetersi del comando, si mossero all’unisono, dirigendosi verso l’uscita. 
Quando le passarono accanto, lasciarono intravedere le pozze di pura luce che erano diventati i loro occhi dopo la conversione. Una minaccia per nulla velata. 
La donna sorrise, facendosi beffe di loro e dei loro futili tentativi di ostacolarla. 
Potevano anche avere un gran potere, ma non la spaventavano. Anche lei era potente. 
«Apprezzate il soggiorno a palazzo?» domandò il ragazzino, compiendo alcuni passi nella sua direzione e interpretando il sorriso di scherno come un invito. 
«Il palazzo è notevole, sì» ammise sinceramente. Non avrebbe mai pensato che stupido bestiame fin troppo prolifico come gli umani potesse concepire e costruire una città e una struttura tanto maestosa e magnifica. Questo poteva concederglielo… solo questo. 
«Ora ci troviamo nella parte del palazzo più antica,» incominciò abbracciando la sala con un movimento elegante del braccio destro, «costruita prima dell’unificazione di Aenther sotto Entharian, più di mille anni fa» concluse, probabilmente nel tentativo di impressionarla. 
Mille anni? Cos’erano mille anni? Nulla. 
Sorrise, ridendo di lui, facendolo però apparire come un’esortazione a proseguire.   
«Dopo l’unificazione si smise di costruire sul fianco della montagna e si prese a edificare nella montagna,» disse l’umano, accostandosi a lei con finta – ma ben simulata – noncuranza. «C’è voluto oltre un millennio per terminarlo. Il Palazzo rappresenta un modello, Entharian in seguito ha edificato molte altre strutture simili in ognuno dei suoi mondi, sebbene più contenute nelle dimensioni. Tuttavia questa  rimarrà nota per la sua unicità: a differenza delle sue imitazioni, per la sua costruzione si è adoperata anche la magia e non solo la tecnologia.» 
«Interessante. Devo dire che per essere topi ninfomani siete capaci di costruire qualcosa di interessante.» la principessa si guardò intorno, atteggiando il volto in un'espressione fintamente meravigliata. 
Fece un passo verso una delle immense finestre che aggettava sul cortile edificato sopra un terrazzamento appena più in basso. La luce filtrava attraverso le fronde di antichi e maestosi cipressi, inondando un giardino verdeggiante, gremito di gentiluomini, nobildonne e bambini; il sole proiettava i suoi raggi obliqui sui i fiori, riverberandosi suoi petali in mille sfumature di colore. Un venticello estivo che di tanto in tanto faceva danzare le foglie portava con sé il suono di un liuto e le risate gioiose degli ospiti di quel piccolo paradiso. Una donna sedeva su un panchetto munito di schienale sospeso con due catene a un ramo di un tiglio: sembrava dormire, ma alla principessa non era sfuggito l'impercettibile movimento della gamba che a volte metteva in moto il dondolo. 
Un'altra decina di donne ben vestite sedevano sull'erba, chi immersa nella lettura, chi concentrata sul lavoro a maglia, chi coinvolta in un'animata conversazione; poco più in là un nutrito gruppo di uomini riccamente abbigliati contemplava e ogni tanto additava le grandi formazioni di draghi che compivano voli lontano, oltre le candide mura cittadine. Le grida dei bambini, che si rincorrevano per il prato, facevano un chiasso assordante, ma nell'aria frizzante di quella giornata estiva non stonavano, come se ne facessero intimamente parte. 
Asheryl sorrise e inspirò profondamente quei profumi intensi, ignorando lo sguardo insistente dell'imperatore e riempiendosi gli occhi di quella meraviglia: sul suo pianeta, a causa dell’implacabile caldo afoso, una crescita rigogliosa naturale come quella era solo un sogno lontano. 
Un altro punto per la loro civiltà di scimmie glabre. 
“Forse dovrei chiedere a quest'umano se mi può vendere qualche giardiniere.” 
Rimase così per qualche minuto, ignorando le occhiate infastidite che l'imperatore le continuava a lanciare. Poi, quando ritenne che l'attesa l'avesse sfiancato a sufficienza, si girò verso di lui, ma lo interruppe ancor prima che provasse a proseguire. 
«La sala è meravigliosa, direi che i vostri architetti si sono superati nella progettazione di questo grande e magnifico palazzo. Ma sono sicura che questo non sia niente a confronto di quello che è il tempio dedicato alla vostra divinità.» lo adulò, sfoggiando un leggero sorriso. 
L'imperatore tacque e si passò una mano sul viso, celando appena il rossore che gli aveva imporporato le guance. 
«Allora, venite pure per di qua, Ashara. Vi faccio strada.» disse in tono secco, per poi dirigersi quasi a passo di marcia verso una porta di quercia scura. 
“Sì, è decisamente un ragazzino.” 
Camminarono per un lungo corridoio in penombra, dove entrambi poterono godere di un piacevole refrigerio. Galerian le dava ostentatamente le spalle e rimaneva sempre davanti a lei senza mai permetterle di affiancarlo, forse, anzi probabilmente, intimorito dalla tempesta di emozioni che la regina sapeva di avergli provocato. Nonostante l'oscurità, Asheryl sapeva cosa albergava nel cuore dell'imperatore in quel momento, lo aveva capito dal primo istante in cui avevano incrociato il suo sguardo e aveva visto un'ombra d'incertezza in fondo a quelle iridi dorate.   
Era un uomo giovane e lei la donna più bella su cui avesse mai posato gli occhi; la sua stessa essenza era il suo punto debole, la sua come quella di tutti quegli altri re con cui aveva avuto modo di avere a che fare. E lei non aveva mai avuto intenzione di non sporcarsi le mani: era arrivata lì per impedire che quella misera scimmia a due gambe invadesse le sue terre e, se fosse stato necessario concedergli il suo corpo, lo avrebbe fatto. Ma doveva giocare d'astuzia, sfruttare il desiderio che vedeva ardere in fondo agli occhi di quell'umano e volgerlo a suo favore. Lo avrebbe piegato al suo volere, così come aveva fatto tutte le volte che aveva dovuto schierarsi in difesa della sua gente. 
E, alla fine, la guerra che si combatte a letto non è molto diversa da quella che insanguina i campi di battaglia. 
Proseguirono per ancora una decina di minuti, camminando attraverso un labirinto di sale e corridoi magnificamente simili l'uno all'altro. Ad un certo punto, inaspettatamente senza una lunga e sempre più sfarzosa anticamera come preparativo, fecero ingresso in un tempio dal soffitto alto e dalle finestre finemente decorate. Il sole filtrava attraverso le ampie vetrate proiettando i suoi raggi in un caleidoscopio di colori che si rifletteva sul pavimento in marmo; le colonne in pietra bianca che catturavano la luce cangiante sostenevano degli imponenti archi a sesto acuto, dipinti con le scene delle storie e delle leggende di Entharian. In fondo, nell'abside poligonale, due scale a chiocciola salivano verso il piano superiore. 
«Per di qua.» 
Galerian le fece cenno di seguirlo e la regina, non senza una certa riluttanza, dovette costringere il suo corpo ad andargli dietro, affascinata com'era da quel piccolo gioiello architettonico. Camminò tenendo il naso all'insù, incapace di distogliere lo sguardo dalle volte a crociera, dagli affreschi e dagli occhi delle statue che apparivano meravigliosamente vivi. Un sorrisetto compiaciuto arcuò le labbra dell'imperatore enthariano e la regina finse di non farci caso, anche se provava un certo fastidio nel vedere quell'espressione da ebete compiacimento. Cercò di darsi contegno mentre salivano le scale, ma non appena sbucarono nella cappella, strabuzzò gli occhi abbandonando in un istante suoi propositi. 
Le finissime pareti della sacrario, ridotte all'ossatura dei contrafforti, lasciavano immensi spazi vuoti, riempiti da preziose vetrate colorate che svettavano fino al soffitto. Le volte a crociera, anch'esse preziosamente istoriate, sormontavano le tre navate, congiungendosi in prossimità dell'abside dove era stato posto l'altare. Dietro a esso, come una guardiana silenziosa, si innalzava la statua di  Azaerien, la dea dei draghi. 
Ancora una volta, Asheryl rimase a bocca aperta, incantata davanti a quello spettacolo che mai, negli oltre mille anni della sua vita, aveva avuto modo di ammirare. Sbattè le palpebre più volte e osservò ogni cosa nel dettaglio, imprimendosela a fuoco nella memoria poiché presto tutto quello splendore non sarebbe più esistito e solo nei suoi ricordi avrebbe potuto ammirarlo di nuovo. Lentamente lo stupore svanì, lasciando posto a una spietata determinazione. 
Con una fluidità felina, camminò fino all'altare e vi si appoggiò, studiando l'espressione dell’imperatore enthariano. 
La fissava negli occhi, chiaramente contrariato per il suo gesto irrispettoso nei confronti della Dea; tuttavia la principessa sapeva che quella era solo una facciata che il sovrano tentava di mantenere di fronte a lei: le braccia inermi lungo i fianchi, le pupille dilatate sino a coprire l’oroazzuro delle iridi e la tensione che percepiva nell'aria erano solo i più palesi tra i segnali. Lui non lo sapeva, ma era già suo; lo era stato fin dal primo momento in cui aveva messo piede a palazzo. 
Un sorriso feroce le piegò le labbra. 
«Allora... mi hai portato in questo luogo per parlare di questioni importanti, no?» accavallò le gambe e si scostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, «Ebbene, parliamone, o Sommo Re.» 
Galerian fece un passo avanti, senza perdere il contatto visivo. «Imperatore» la corresse esordendo, poi proseguì. «Siete diventata informale, ho notato.» 
Nonostante il suo tentativo di parlare con tono fermo, non le sfuggì il leggero tremolio nella sua voce. Non era paura, non era un uomo che provava timore davanti a una donna, di questo Asheryl ne era certa. Eppure era nervoso, terribilmente e dannatamente nervoso. E ciò non poteva far altro che compiacerla. 
«Non c'è nessuno, Galerian. Per me è innaturale parlare in quel modo così artificioso tra sovrani.» ammiccò e indicò col dito la cupola sopra di loro, «Certo, potrebbe esserci la vostra Dea a guardarci, ma quelli come noi non temono nemmeno le divinità.» 
L’enthariano la guardò allibito, ma prima che potesse ribattere a quell'affermazione blasfema, Asheryl continuò. 
«Comunque, non sono venuta qui per discutere di teologia ed elucubrazioni filosofiche, anche se sarei onorata di ricevere un tuo invito per sentirvi blaterare le vostre teorie da ingenui e inesperti mortali. Mi hanno detto che sono particolarmente... fantasiose.» 
«Perché, il tuo popolo crede di saperne più di noi, Ashara?» 
«Oh, non è che la mia gente creda di saperne più di voi umani. Il mio popolo sa molto più di voi, Galerian, è normale: viviamo più di trenta secoli, ciò che vede e conosce un Aerstero è paragonabile agli anni più proficui dei vostri più illustri studiosi.» alzò lo sguardo e socchiuse le palpebre, beandosi del calore dei raggi del sole morente. 
La giornata stava per giungere a termine e da fuori il brusio che caratterizzava la caotica Aideran andava via via spegnendosi. Asheryl si concentrò su quei suoni, cercando di ignorare lo sguardo di fuoco che l'Imperatore le aveva piantato addosso. Non che la cosa non la disturbasse, se fosse stato un suo amante probabilmente gli avrebbe fatto cavare gli occhi, ma le piaceva stuzzicarlo, era più forte di lei. Lo sentiva disagio e, allo stesso tempo, la sua rabbia intrideva l'aria, saturando il silenzio di parole e minacce non dette. 
Passarono così alcuni interminabili minuti in cui i due sovrani tacquero. Asheryl si concentrò sul proprio respiro, rilassando tutti i muscoli del corpo e lasciando che la mente vagasse su pensieri e immagini sconnesse di ciò che aveva visto quel giorno. La capitale, gli umani, il loro modo di pensare e di agire differiva troppo da quello suo e della sua gente; anche se avesse voluto tentare una convivenza pacifica, era ben conscia che il suo popolo non avrebbe mai accettato una decisione del genere. Forse non ci sarebbero state rivolte ne proteste, ma la tensione sarebbe sempre stata palpabile e non era da escludersi che alla fine sarebbe sfociata in qualcosa di incontrollato. E allora sarebbe scoppiata una guerra sanguinosa da cui, sicuramente, loro ne sarebbero usciti perdenti. Gli umani erano troppi e gli Aersteri troppo pochi. Non era importante quanto fosse grande il loro orgoglio, quanto profondo il loro sapere o potente la loro magia, non avevano abbastanza armate da opporre agli infiniti, disciplinati e organizzati eserciti di umani e dei loro sudditi. In breve, sarebbero giunti ad un infausto epilogo ed Entharian non era famoso per la magnanimità nei confronti di chi aveva tradito la sua fiducia e dei popoli sconfitti: li avrebbero colonizzati, costringendoli ad aprire i loro confini e a condividere le loro conoscenze in cambio di “protezione”, così come solevano dire. Ma le catene della schiavitù, anche se dorate, rimangono comunque catene. 
Sospirò e tornò a rivolgere l'attenzione a Galerian. La fissava, in attesa che lei parlasse, con un'espressione a metà fra il truce e l'estasiato. Asheryl era ben consapevole di star camminando su un ghiaccio molto sottile, ma allo stesso tempo sapeva quanto fosse forte l'ascendente che esercitava sugli uomini. L'Imperatore era intelligente e acuto, malgrado ciò era giovane, troppo giovane per rendersi conto che ormai stava giocando al suo stesso gioco e secondo le sue regole. Le mancava poco per vincere la partita. 
Schioccò la lingua e gli elargì un sorriso malizioso. Con noncuranza, si spostò una ciocca rossa dietro l'orecchio e si sporse in avanti per osservarlo meglio. 
«Comunque... veniamo al nocciolo della questione. Ho saputo che avete messo gli occhi sul mio pianeta. Smettiamola di far finta che non sia così, è chiaro ormai.» 
«Cosa ti fa pensare che stia mirando proprio al tuo di pianeta.» ringhiò il sovrano sulla difensiva. 
“La maschera comincia a sgretolarsi eh, Galerian?” 
«Anni di vita mi hanno insegnato che, quando si arriva alla reggia di un re e si notano delle armate che si allenano, bisogna stare in guardia. Inoltre il mio regno è il più vicino fra quelli che detengono una certa rilevanza ed è il più interessante.» 
«Sempre sicura di te, mia regina.» 
«La sicurezza è una dote che solo pochi possono sfoggiare senza modestia.» si mordicchiò il labbro inferiore, senza curarsi di trattenere un sorriso di scherno. 
«La tua non è sicurezza, è sfrontatezza.» 
Asheryl dondolò le gambe, senza perdere il sorriso. 
Osservò la mano di Galerian posarsi sull'elsa della spada; probabilmente, se non fosse stato un gesto altamente sconsiderato, non ci avrebbe pensato due volte a piantarle la lama nel petto. La regina lo leggeva negli occhi, nel tremore del corpo, nei respiri ostentatamente controllati. 
Sarebbe stato interessante vedere chi avrebbe prevalso, un Aerstera rapida e letale o uno sbarbatello che non aveva mai visto una battaglia in vita sua, ma solo qualche campo di addestramento? 
«Non sto dicendo che tu non debba esserlo.» sospirò, accarezzando con la punta delle dita il marmo dell'altare e godendosi la sua espressione sbigottita, «Non ti reputo uno stupido, Galerian, ma non mi piace che qualcuno possa pensare che io lo sia. Sei appena salito al trono, hai bisogno di una guerra per compiacere il tuo popolo e per mostrare ai tuoi mondi di essere degno del tuo ruolo. Potevi scegliere tra il mio e i Regni Oscuri, ma contro di loro non hai la certezza di poter vincere, mentre attaccando noi sai già di avere la vittoria in pugno.» 
Galerian sussultò e, a quella vista, Asheryl schioccò la lingua con un'espressione trionfante sul volto: aveva colpito nel segno. 
«Ah! Allora non si sbagliavano i miei uccellini...» 
«Chi te lo ha detto?» sibilò a denti stretti l'Imperatore. 
La sovrana si umettò le labbra e un sorrisetto perverso le si dipinse sul volto. 
«Te l'ho già detto prima: un uccellino mi ha riferito...» 
«Voglio il suo nome.» scandì, furioso, ma quell'improvviso mutamento di atteggiamento non la turbò. 
«Non è importante il nome. Sinceramente, gli ho solo fatto scandagliare la mente per essere sicura che non stesse mentendo, ma non ho appurato la sua identità.» 
«Tu menti.» 
«Perché mai dovrei mentire per difendere un umano, Galerian? Ho ottenuto le informazioni che mi servivano, non me ne verrebbe nulla a coprire un disertore.» ammiccò ed elargì all'imperatore un sorriso crudele. 
Quelle parole così ovvie furono come una pugnalata per il suo interlocutore. Gli aveva voluto fare del male e c'era riuscita. Instillare in lui il seme del dubbio, disorientarlo, fargli credere che nel suo regno non ci fossero solo luci e, alla fine, porgergli la mano come una fedele alleata. O, almeno, quello era quello che avrebbe dovuto credere. 
«Sotto l'ombra di un grande re, si nascondono molti roditori pronti ad azzannarlo quando cadrà al suolo.» sfiorò appena il ciondolo che le pendeva al collo, «A volte, sono proprio loro a farlo cadere.» 
Galerian tacque. 
«Ora che sono a conoscenza dei tuoi piani, non avrai più la possibilità di invaderci. O meglio... potrai farlo, ma al prezzo di centinaia di migliaia di vite, perché non credere che la mia gente si lasci addomesticare facilmente: saremo meno di voi, tuttavia abbiamo affrontato molte guerre e siamo sopravvissuti a secoli di sofferenze. Se ci attaccherai, Galerian, gli Aersteri prenderanno le armi e porteranno nella tomba chiunque puoi di conservare la loro libertà...» 
«Come puoi parlare così...» l'imperatore contrasse la mascella, furente, «Tu non hai idea...» 
«La mia è una razza nata per combattere, nelle nostre vene scorre il sangue degli Antichi Demoni.» si alzò in piedi e slacciò il nodo della leggera veste. 
La seta scivolò sul pavimento, mentre la luce sanguigna del tramonto accarezzava la sua pelle ambrata. L'imperatore la osservò rapito e la regina gli concesse un sorriso sensuale, avvicinandosi con grazia felina, senza fretta. 
Arrivò a una spanna da lui e fissò lo sguardo in quello del sovrano, lasciando che i suoi occhi la osservassero e godendosi la brama che balenava in fondo a quelle iridi dorate. 
«Vedi queste rune?» gli prese la mano e se la passò sulle braccia, sul collo, sul seno, «Le incisero a mia madre e a sua madre prima di lei. Sono il simbolo della famiglia reale e creano un collegamento profondo con le forze primigenie del mio mondo. Vengono tramandate di generazione in generazione da tempi immemori e solo le donne possono ereditarle.» si avvicinò ulteriormente per poi allungarsi fino a sfiorargli l'orecchio, «Abbandona i tuoi insani propositi di guerra e io diverrò una preziosa alleata. Posso renderti partecipe della mia forza, posso diventare la tua amante, se lo aneli, Galerian. E, se lo desidererai, posso diventare anche qualcosa di più.» 
Il silenzio riempiva la sala. Innanzi alla titubanza del giovane, Asheryl increspò le labbra in un mezzo sorriso e lo provocò: «Forse non hai mai visto una donna nuda? È per questo motivi che esiti, mio imperatore?.» 
«Chi ti dice che io desideri averti...?» bisbigliò il ragazzo riscuotendosi. 
La risposta non giunse mai. Galerian spalancò gli occhi e rimase impietrito, mentre la regina prese l’iniziativa e si strinse al suo corpo, premendo prepotentemente le proprie labbra su quelle umide di lui. Ma fu solo un istante, il tempo di un battito di ciglia e l'incertezza svanì. 
L'imperatore la fece sedere sull'altare e affondò le dita in quella cascata di capelli sanguigni. 
«Mi appartieni, Ashara, ora mi appartieni...» le soffiò all'orecchio, ma prima che lei potesse opporsi, le sue labbra si erano di nuovo impadronite della sua bocca. Ma la regina non rifiutò quel bacio violento: lasciò il controllo del suo corpo all'istinto, al desiderio che come magma incandescente le aveva invaso le viscere. La sua lingua danzò con quella di Galerian, mentre i loro respiri si fondevano, diventando ansiti e gemiti strozzati. Percepiva il battito accelerato dell'imperatore sulla sua spalla, ma le mani della regina correvano sul suo corpo che lo graffiavano, costringendolo a rimanere vicino a lei. Gli morse le labbra fino a farle sanguinare e, di nuovo le due lingue si scontrarono, cercandosi e bramandosi come se fossero state amanti da sempre. 
E non c'era dolcezza nelle carezze di Galerian, in quelle mani grandi e lisce, così diverse da quelle dell'inesperto ragazzino che pensava di avere davanti. Lo strinse e fece aderire il petto a quello di lui, mentre le sue dita si infilavano nei suoi capelli per poi tirarli con forza, quasi a volerlo fermare, ma in cambio ricevette un bacio ancor più affamato, vorace. 
Quando l'ultimo abito cadde a terra, come ad un segnale convenuto, le si avventò addosso, si tuffò in quei capelli rossi, sui seni, sulla pelle tatuata, graffiandola a sua volta, incidendovi un suo segno di appartenenza. 
Si guardarono per alcuni momenti, in perfetto silenzio. Il sole era ormai tramontato e il tempio era avvolto solo dalla luce fioca delle prime stelle. 
«Avanti, ragazzo. Non dovrò mica insegnarti come si fa, vero?» disse sorridendo e porgendogli le mani. 
Ignorando la provocazione, lentamente Galerian le aprì le gambe, senza mai distogliere gli occhi da quelli dai suoi.  Poi, sotto lo sguardo degli antichi eroi e delle divinità, divennero una cosa sola. 
   
 
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