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Autore: Halley Silver Comet    25/08/2015    7 recensioni
Sullo sfondo degli eclettici Anni ’80 si intrecciano fiaba e realtà, traffici illeciti e misteri, pregiudizi e desideri di libertà, mettendo alla prova i quattro protagonisti.
Ci sarà ancora tempo per il tanto sospirato lieto fine?
Il ragazzo buttò fuori l’aria tutta insieme, mandando al diavolo i suoi buoni propositi di seguire i consigli della meditazione orientale o qualsiasi cosa fosse.
«Buongiorno a te, Vittoria».
Stropicciandosi gli occhi, la nuova arrivata si avvicinò al tavolo e si sedette di fronte a lui.
«Ti ho disturbato?» domandò, reprimendo faticosamente uno sbadiglio.
«No, figurati. Dubito che possa sentirmi più infastidito di così» sbottò il giovane, sarcastico: non ce l’aveva con l’amica, ma davvero cominciava a trovare insopportabile tutta quella scabrosa situazione.
A tale risposta, la sua interlocutrice lo fissò sorpresa, ma non aggiunse nulla, probabilmente intuendo l’inquietudine che lo logorava da dentro; ciononostante, Marcello un secondo più tardi si pentì di essersi rivolto a lei in quel modo poco gentile. In fondo, non era certo colpa di Vittoria se quello schifoso di Navarra aveva deciso di sequestrare Beatrice
.”
Genere: Commedia, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Vento dell'Ovest - Capitolo 14



- Capitolo Quattordicesimo -
Vento di Sospetti




F
are giardinaggio con Vittoria, dopo la brutta avventura vissuta per colpa di Navarra e Guido, si rivelò per Beatrice una vera e propria terapia distensiva: il tepore del sole di fine aprile ed il profumo del glicine appena sbocciato, sommati alle gentilezze che tutti le stavano riservando, l’avevano messa di buon umore, aiutandola a ritrovare un po’ di serenità.
Infatti, aveva quasi dimenticato la bellezza dello stare all’aperto, senza alcun pensiero negativo e senza l’ansia che qualcuno potesse chiamarla all’improvviso per comandarla a bacchetta: finalmente, si sentiva di nuovo una ragazza di quasi diciannove anni, non più schiavizzata e tenuta sotto scacco dai suoi familiari.
Verso le undici, mentre in sottofondo risuonava Moonlight Shadow1, la signora Irene portò alle due ragazze un cestino di frutta di stagione ed una caraffa di frullato alla fragola con ghiaccio, anche se non si intrattenne con loro, giacché sembrava che avesse molte commissioni da fare.
«Chissà se il signor Rossiglione ha già consegnato tutta la documentazione al liceo... Dovrei proprio andare da lui» disse Beatrice, sfilandosi i pesanti guanti da giardiniere e raggiungendo Vittoria alla fontanella di marmo.
«Ah, è vero,» esclamò l’altra, finendo di lavarsi accuratamente le mani e di rimuovere ogni residuo di terra, «tu devi fare l’esame di maturità!»
«Già, non rimane moltissimo tempo e non so nemmeno quando devo andare a fare gli esami preliminari2» sospirò la fanciulla, prendendo un po’ di sapone liquido dal piccolo dispenser appoggiato sul muricciolo di mattoni.
La giovane donna poggiò l’asciugamano sul lastrone decorativo della fontana e andò a sedersi al tavolo di ferro e mosaico, versando il frullato in due alti bicchieri di vetro opaco.
«Se vuoi, la settimana prossima sono libera e posso accompagnarti» propose.
La ragazza la fissò per qualche secondo, ancora poco abituata a ricevere tanta gentilezza: se fosse stata ancora alla mercé di Anna Laura, non solo questa non l’avrebbe accompagnata, ma, molto probabilmente, ne avrebbe approfittato per chiederle di andare a comprare qualcosa dall’altra parte della città.
«Volentieri, ti ringrazio».
Vittoria sorrise, facendole cenno con la mano di avvicinarsi per servirsi anche lei.
«A quale liceo hai fatto richiesta per essere esaminata?»
«Al “Giulio Cesare”» rispose Beatrice, sorseggiando lentamente il suo frullato e trovandolo dolce e fresco al punto giusto.
«Uno dei migliori per la maturità classica» notò l’altra, piluccando le ciliegie dal cestino. «Che materie sono uscite?»
«Greco per la seconda prova, mentre italiano, filosofia, latino e fisica per l’orale» snocciolò la fanciulla, ripercorrendo mentalmente l’elenco che il Ministero della Pubblica Istruzione aveva reso noto settimane prima. «Tra l’altro, presentandomi da privatista, devo portarle tutte e non solamente due, come il solito».
«Se hai bisogno di aiuto per filosofia, non esitare a chiedere» si offrì la giovane, spostando la sua attenzione sulle fragole. «In teoria, avendo preso la maturità scientifica, dovrei essere in grado di sostenerti anche in fisica e latino, ma queste materie le lascio a Marcello. Io sono molto più incline per la matematica».
«Davvero? E come mai hai deciso di intraprendere gli studi di psicologia all’università, allora?» domandò, incuriosita, ricordando che Marcello le aveva accennato il fatto che Vittoria prestava servizio presso il più grande policlinico di Roma in qualità di psicologa.
«Ti dirò... da piccola, volevo fare l’insegnante di matematica. Ecco perché mi sono iscritta al liceo “Stanislao Cannizzaro”3, con Gerardo e Marcello. Ma poi, durante il terzo anno, mi sono appassionata alla filosofia e agli aspetti sociologici... e ho fatto una scelta diversa da quella che pensavo».
Beatrice corrugò la fronte, faticando davvero ad immaginarla come una possibile professoressa di matematica: tutti gli insegnanti che aveva avuto nella sua vita, infatti, erano stati molto severi e metodici, contribuendo a creare nella sua mente la convinzione che gli appassionati di materie scientifiche fossero dei tipi molto disciplinati e rigidi, stereotipo che si allontanava molto dalla ragazza che aveva di fronte.
«Invece quei due sono andati avanti per la loro strada e si sono iscritti ad economia e commercio4» proseguì lei, aprendosi in un sorriso partecipe.
«Gerardo lo conosco poco, ma invece so che Marcello sa esser molto determinato» fece Beatrice, cercando di rimanere sul diplomatico, ormai distratta dall’espressione che si era dipinta sul volto della sua interlocutrice: perché, ogni volta che si parlava o ci si riferiva al biondo, la sua amica sorrideva in quella maniera? Anche se non era - o perlomeno non ancora - il suo ragazzo, Vittoria doveva aver capito che le piaceva e non le pareva affatto delicato che l’altra manifestasse - in sua presenza - il trasporto che provava per il giovane.
Si trovava davvero bene con lei, ma non poteva permetterle di allontanarla da Marcello, non dopo aver patito tutti quei supplizi per poter tornare da lui.
«Gerardo è meno risoluto, anche se bisogna riconoscere che sa essere tenace: ti basti pensare che per dirmi che mi ama ci ha messo vent’anni!»
In un primo momento, l’ultima frase venne registrata dal cervello di Beatrice in maniera del tutto passiva, poi, quando i suoi neuroni smisero di arrovellarsi su una possibile volontà, da parte di Vittoria, di sedurre Marcello, misero finalmente in ordine tutti gli elementi e riuscirono a decriptarne il significato, fornendo la soluzione ai suoi dilemmi di ragazza innamorata.
«Eh?» squittì, stralunata.
«Incredibile, vero? Per paura di rovinare la nostra amicizia, è stato in silenzio, non sapendo che io lo ricambiavo pienamente» continuò l’altra, sorridendo dolcemente, con gli occhi che le brillavano. «Ora spero solo che non ci metta altri vent’anni per chiedermi di sposarlo, visto che mia madre mi sta già organizzando quasi tutto il matrimonio».
Quella rivelazione aveva dell’incredibile: si era tormentata inutilmente per tutto quel tempo! Ciò che le aveva detto Marcello tempo prima, ovvero che considerava Vittoria solo come una sorella, in quel preciso istante, aveva trovato riscontro anche nelle parole della ragazza: non solo lei non era interessata a lui, ma era perfino innamorata - per giunta, ricambiata! - di Gerardo.
«Quindi... voi... state insieme?» disse Beatrice, esigendo un’ulteriore conferma solo per poter rendere la gioia, dovuta al fatto che non aveva una rivale, ancor più piena e degna di essere assaporata.
«Oh, finalmente sì...» ammise l’altra, arrossendo appena.
La fanciulla dovette lottare contro se stessa per restare seduta, poiché, se avesse potuto, si sarebbe messa a saltare dalla felicità; tuttavia cercò di contenersi, giacché non voleva che la giovane la prendesse per pazza o, peggio, per una sciocca ragazzina che aveva appena appreso di potersi ancora augurare un futuro più dolce.
***

Più Marcello rifletteva sull’idea che Beatrice dovesse essere presentata a tutto il parentado, e più la trovava pessima, poiché, se fosse vissuto in una famiglia come le altre, sarebbe stato più che giusto presentare loro la ragazza che stava frequentando, tuttavia, si dava il caso che i suoi parenti, salvo suo padre, non si potessero definire propriamente normali.
Perciò, doveva assolutamente parlare con la fanciulla e, prima di invitarla, dirle come stavano realmente le cose, soprattutto riguardo alla cattiveria di sua madre: il minimo che avrebbe potuto fare, infatti, sarebbe stato prepararla ai colpi bassi che le avrebbe inflitto, con sommo gaudio, la Matrona.
«Sia Herr Berger che Herr Müller devono aver parlato benissimo di noi a questa società austriaca» proruppe Gerardo, allungandogli un fascicoletto dalla parte opposta del tavolo. «Guarda che offerta vantaggiosa ci hanno fatto!»
Il giovane smise di contemplare a braccia conserte e preso dai suoi pensieri la siepe che delimitava il giardino e si voltò verso il socio.
«Sì, ho letto» commentò, in tono piatto.
«Non sei contento? Abbiamo fatto una buona impressione a quegli imprenditori tedeschi e loro hanno fatto il nostro nome ad altri» spiegò l’altro, come se fosse sicuro che Marcello non avesse afferrato il punto della situazione.
«Molto» continuò lui, senza la benché minima enfasi.
Gerardo, che era rimasto con il braccio proteso verso di lui, ritirò l’arto e, squadrando il suo amico, rimise il plico di fogli nella sua cartellina.
«Stamattina hai la luna storta, per caso?»
«Sono abbastanza di malumore» ammise il biondo, scrollando le spalle con fare seccato.
«È per la questione di Colonna, Carter e la Omicron Rho
«Ma no, figurati! Non mi interessa un accidente di quello che combinano quei due avanzi di galera!» sbottò l’altro, disgustato. «Tanto, presto o tardi, i telegiornali ci informeranno che quella piattaforma è saltata in aria come una mina vagante. Dubito che la stiano costruendo seguendo gli standard di sicurezza».
«Eh, abbiamo capito che Lord Carter non è uno che bada tanto alla legalità e Colonna non è da meno» concordò l’altro, scuotendo la testa.
«Ma non credi che dovremmo provare a fermarli?»
Marcello inarcò un sopracciglio, incapace di credere che il suo socio avesse fatto una proposta così utopistica: «E come? Comprando forse Viale dei Giardini e Parco della Vittoria? Magari, se ci piazziamo sopra due alberghi ed abbiamo un po’ di fortuna, potrebbero capitarci sopra!»
Il giovane arrossì lievemente, avendo sicuramente intuito da quella ironica risposta che, per quanto nobili, i suoi propositi sarebbero stati alquanto irrealizzabili.
«Ah, ehm... Sì, forse hai ragione».
«Carter è troppo furbo e troppo ben ammanicato» commentò, sprezzante. «Comunque, non è la notizia che i nostri amici sguazzano nei loro successi ad avermi contrariato».
«E cosa, allora?» chiese Gerardo, scrutandolo perplesso.
Marcello decise di dire tutto al suo amico, giacché riteneva che fosse perfettamente inutile tirarla per le lunghe, anche perché, come aveva detto il signor Giancarlo, ormai non poteva più tirarsi indietro: «Mia madre vuole conoscere Beatrice e l’ha invitata alla festa di compleanno di mia nipote».
«Ma il compleanno di tua nipote non cade sei giorni dopo il mio, ovvero il dieci aprile? Sono già passate due settimane, tra un po’ è maggio!»
«Ah, non chiedere a me cosa passa per la testa di mia madre e di mia cognata» decretò lui, spazientito. «Il problema è un altro, cioè che vorrei risparmiare a Beatrice la pantomima del pranzo della domenica con tutto il parentado».
«Un bel problema» considerò l’altro, accarezzandosi il mento con fare cogitabondo. 
«Ne hai parlato con Vittoria?»
«No, non ne ho ancora avuto modo».
«E cosa aspetti? Sbrigati, domenica è vicinissima e l’unica che credo possa darti un saggio consiglio è lei!»
Marcello rimase a fissare Gerardo per qualche secondo, non del tutto certo che parlarne con la ragazza fosse la mossa migliore da fare, tuttavia dovette ammettere che il ragionamento dell’amico non facesse una grinza. Era molto probabile che mettere Vittoria al corrente dei suoi problemi gli avrebbe assicurato un interrogatorio con i fiocchi, ma, almeno, forse avrebbe trovato un’ottima soluzione per affrontare quella situazione con meno inconvenienti possibili.
Alleggerito da quel peso, si sentì subito meglio, mostrando addirittura a Gerardo un debole sorriso di riconoscenza, al quale il giovane rispose alzando le spalle: si conoscevano talmente bene che riuscivano a capirsi anche solo con uno cenno.
«Dal profumino che arriva dalla cucina, sembra proprio che oggi ci sia la parmigiana. Gerardo, rimani con noi a pranzo?» domandò il signor Giancarlo, sopraggiunto in quell’istante, con in mano due vasetti di primule.
«Oh, buongiorno!» lo salutò il giovane, che era sobbalzato, non avendolo sentito arrivare. «Ecco, se non disturbo, volentieri».
L’uomo si avvicinò al dondolo e poggiò i vasi a terra, sistemandoli quanto più possibile vicino al muro, forse per evitare che qualcuno, distrattamente, potesse passarvi accanto e farli cadere.
«L’unico a cui potresti dare disturbo è Marcello, perché a me non di certo!» scherzò, sfregandosi le mani per rimuovere i residui di torba.
«Vuoi dire che mamma non c’è?» chiese quello, che aveva capito cosa intendeva suo padre.
«No, è andata con le sue amiche ad uno di quei pranzi che le piacciono tanto».
I due ragazzi tirarono un sospiro di sollievo, ben contenti di poter mangiare in santa pace senza che la Matrona mandasse loro di traverso il pranzo con le sue subdole insinuazioni, che mettevano sempre a disagio Gerardo e facevano innervosire Marcello.
«Allora è un sì? Vado ad avvisare Ottavia di aggiungere un coperto in più, a tavola. Quella parmigiana è troppo buona per lasciarla solo a te, figliolo».
Il giovane si voltò di scatto verso il genitore, facendo cadere due o tre penne dal tavolo, come se gli avesse sentito dire che gli alieni erano appena sbarcati da Marte.
«Tu non la mangi, papà?» domandò, stranito. «Eppure è il tuo piatto preferito!»
«Il dottore mi ha consigliato di mangiare per un po’ in bianco e leggero e non credo che le melanzane fritte grondanti di delizioso sugo al basilico rientrino nella dieta, purtroppo» si giustificò lui, con un sorriso rassicurante.
Marcello osservò l’uomo attentamente, cercando qualche indizio che confermasse che non stesse bene e, in effetti, lo trovò abbastanza pallido, cosa alquanto strana dato che era uscito e aveva passato tutta la mattinata sotto il sole, a scegliere le primule più belle di tutto il mercato, come faceva ogni primavera.
«Va tutto bene?»
«Sì, non ti preoccupare, solo un qualche malessere passeggero» fece il signor Giancarlo, con tono morbido. «Avanti, andate a lavarvi le mani, che tra poco dovrebbe essere pronto».
Gerardo lanciò uno sguardo fugace al suo amico, il quale ricambiò con un’occhiata eloquente, anche se non aggiunse altro. Per quella volta, avrebbe fatto finta di credere al padre, anche se sentiva che qualcosa non quadrava affatto.
***

Come aveva fatto per tutte le fermate precedenti, invece di rallentare e quindi fermarsi, l’autista del tram inchiodò di colpo, facendo quasi cadere Marcello e la signora, carica di buste della spesa, che aveva accanto.
Imprecando sottovoce per l’incapacità alla guida del tramviere, il giovane saltò giù dal mezzo con un balzo, voltandosi per rintracciare la donnina con lo sguardo e intravedendola a malapena, tra la calca di gente che cercava di salire e che la ostacolava: dopo aver condiviso con lei tutte le lamentele su quella corsa così movimentata ed aver scoperto che avevano la stessa destinazione, il minimo che avrebbe potuto fare sarebbe stato aiutarla a scendere.
«Signora, mi dia la mano, così posso aiutarla» si offrì educatamente.
Quel giovedì mattina, infatti, il traffico di Viale Regina Margherita non era certo meno degli altri giorni, rendendo davvero difficoltosa per i passeggeri la discesa dai mezzi pubblici a causa del rischio di esser trascinati via dalla moltitudine di gente che andava e veniva dall’Umberto I o dagli uffici disposti lungo la strada.
«Oh, grazie. Tu sì che sei un bravo giovanotto!» rispose la vecchietta, non facendoselo ripetere due volte.
Agevolata dall’aiuto del ragazzo, la donna riuscì quindi ad abbandonare il tram ed il suo folle conducente, il quale ovviamente ripartì a tutta velocità, sferragliando sulle rotaie.
«Sei stato così gentile che meriti un premio» riprese la signora, tirando fuori dalle buste una mela verde dalla buccia liscia e lucida. «Ecco, prendi!»
Marcello tese la mano ed afferrò il frutto, portandoselo accanto al viso per sentirne l’odore: era asprigno con un sottofondo dolce, come ci si sarebbe aspettati da una Granny Smith.
«La ringrazio, signora. Con questo caldo, una mela fresca è quel che ci vuole» rispose, sinceramente. «Vuole che l’aiuti ad arrivare fino a casa?»
«Oh, no, ho approfittato fin troppo di te, per fortuna sono quasi arrivata».
«Si figuri. Allora, arrivederci, signora».
La donnina annuì con un sorriso composto, dopo di che prese la sua spesa e si allontanò, mantenendo un’andatura spedita, nonostante ogni tanto barcollasse leggermente a causa del peso delle buste.
Persone con una fibra così forte cominciavano ad essere una rarità, bastava guardarsi intorno per rendersi conto che i giovani dell’epoca erano tutti dei rammolliti, come quel Guido Tolomei, che ne era un esempio lampante: ogni volta che Marcello ripensava a quell’inetto e a ciò che aveva fatto a Beatrice, infatti, non riusciva a provare il benché minimo pentimento per avergli rotto il naso, anzi, se avesse potuto, gli avrebbe fratturato qualche altro osso.

Il giovane costeggiò il cancello che racchiudeva il Policlinico e sorpassò l’entrata del complesso in stile neocinquecentista che ospitava il dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile, facilmente riconoscibile dalla frase che era scolpita nel fregio marmoreo del portone: in puero homo5.
Poi, una volta che fu entrato all’interno, si ritrovò in un dedalo di percorsi che si snodavano tra i vari edifici, ma non si lasciò confondere e proseguì per la sua strada, destreggiandosi fra la fiumana di pazienti, camici bianchi, infermieri e portantini che si muovevano da un complesso all’altro, finché non giunse in un giardinetto interno arredato con panchine in pietra.
Guardò l’orologio e vide che le lancette segnavano le undici meno dieci: se ricordava bene, la fine del turno di Vittoria era imminente, pertanto decise di fermarsi lì ed attenderla.
E, di fatto, così fu: la ragazza gli passò davanti meno di dieci minuti più tardi, borbottando qualcosa tra sé e sé e cercando affannosamente qualcosa nella sua borsa.
«Che gente egoista e menefreghista, come si può essere tanto malvagi!» brontolò, rivolta a se stessa. «Ecco, ci mancava anche questa, eppure ero convinta di aver preso i crackers! Accidenti, dopo questa giornataccia ci manca solo che svenga dalla fame!»
«Contro chi stai imprecando?» le domandò il giovane, affiancandosi a lei, senza che se ne accorgesse.
La ragazza sobbalzò e, tra il basito e lo sconvolto, esclamò: «Marcello, mi vuoi far prendere un colpo?!»
«Mi spiace, non volevo spaventarti» si giustificò semplicemente lui.
«Davvero? Si direbbe il contrario...» notò lei, accigliata. «Come mai sei da queste parti, piuttosto?»
«Avrei bisogno di chiederti un consiglio, ma non credo che sia il momento giusto: ti vedo piuttosto, come dire... irritata».
«Lascia stare, ho un diavolo per capello».
«Si vede, sono più ricci del solito» commentò il ragazzo, lanciando un’occhiata obliqua alla folta chioma dell’amica.
Vittoria, dapprima, rimase a guardarlo in silenzio, poi, però, scoppiò in una risata leggera e liberatoria.
«Oh, sei incredibile! A volte mi chiedo come farei senza Gerardo e senza di te» disse, dolcemente. «Stamattina hanno dimesso una ragazza che non mangia da mesi e soffre di anoressia nervosa. Ma, a mio parere, non avrebbero dovuto farlo, perché è stata la madre che ha fatto pressione sui medici».
«Magari vuole soltanto riportarla a casa in un ambiente più familiare» avanzò lui, anche se non del tutto convinto.
«No, è questo il punto!» scattò subito l’altra. «Non si cura della figlia: quella ragazza potrebbe morire, capisci?»
Marcello increspò le labbra, intuendo che l’amica aveva davvero bisogno di sfogarsi e buttare fuori tutta l’amarezza che si portava dentro.
«Sediamoci un attimo, così mi puoi raccontare con calma, d’accordo?» le propose, prendendola delicatamente per un braccio e guidandola verso una panchina e lei lo lasciò fare, seguendolo senza obiettare.
«Purtroppo, sono solo una volontaria che ancora non ha capito che strada intraprendere, non faccio parte dell’èquipe di psicologi dell’ospedale e... questo mi limita parecchio» sbuffò, non appena si fu seduta.
«Non è colpa tua» cercò di rassicurarla Marcello, accomodandosi accanto a lei.
«Quella ragazzina soffre di scarsa autostima e di disturbi affettivi: padre assente e madre ossessionata dall’aspetto, è chiaro che il problema sta proprio nella famiglia! Cerca attenzioni, ma nessuno dei genitori è all’altezza del suo ruolo6. Ero riuscita a stabilire un dialogo con lei e non mi respingeva come faceva con altri del personale sanitario. Avevo trovato anche un certo grado di empatia, ma sua madre ha rovinato tutto».
Il biondo inclinò da un lato la testa, pensieroso, concludendo il ragionamento: «Quindi vorresti continuare ad aiutarla, ma non sai come fare».
Vittoria chiuse gli occhi per un attimo, ispirando a fondo, per poi riaprirli e buttare fuori tutta l’aria: «Già. Sai, questa piccola esperienza, anche se non retribuita e professionalmente non gratificante, mi ha fatto capire cosa voglio fare: aiutare i giovanissimi nel percorso di crescita e formazione della personalità».
«In effetti, saresti perfetta. Ti ci vedo molto accanto ai giovani».
La giovane lo guardò e, lentamente, dischiuse le labbra in un sorriso, più rilassata.
«Hai detto che la ragazza ha fiducia in te, no? Tu non puoi andare da lei, ma lei sa dove trovarti: se avrà bisogno di te e vorrà aiuto, ti verrà a cercare» considerò Marcello, incrociando le braccia contro al petto e lanciando all’amica un’occhiata rassicurante.
«Non lo so, non è detto. Anche se ammetto che ci spero».
Nel vedere Vittoria così presa dal caso di quella ragazza, il giovane sorrise, convinto che fosse un bene che ci fossero persone così dedite alla loro professione, anche se lei, di fatto, ancora non era una psicologa a tutti gli effetti.
«Cos’è quella?» domandò improvvisamente la giovane, guardandogli la mano.
Marcello la imitò, seguendo la direzione dello sguardo di lei, e si ricordò del dono che gli aveva fatto poco prima quella signora.
«Una mela che mi ha regalato una vecchietta che ho aiutato a scendere dal tram».
«Oh, è una Granny Smith, la mia varietà preferita!» disse, allegra, togliendogliela abilmente di mano. «Be’, grazie, avevo giusto un po’ di fame».
Senza che al biondo fosse dato il tempo di replicare, Vittoria addentò il frutto e, masticando compostamente, anche se di gusto, emise un mugolio d’approvazione riguardo il sapore.
«Ti volevo perfino invitare a pranzo, ma direi che ti sei appena giocata l’occasione» commentò lui, indispettito dal gesto dell’amica che, ancora una volta, aveva dimostrato di avere una rapida capacità di riprendersi.
«Mi vuoi offrire il pranzo? Che gentile!»
Marcello fece per controbattere, ma lei lo anticipò: «Non mi sono dimenticata che vorresti un consiglio da me, ma sai che a stomaco pieno si ragiona meglio? Mi dispiacerebbe molto non poterti essere d’aiuto...».
E il ragazzo alzò lo sguardo al cielo, domandandosi come facesse Vittoria ad averla sempre vinta.

I due ragazzi pranzarono in un caffè sotto i portici che circondavano Piazza della Repubblica7, in compagnia sia dei turisti che si dilettavano nel fotografare la Fontana delle Naiadi, sia dei romani che passeggiavano lì intorno, approfittando dell’arrivo della bella stagione.
«Allora, di che cosa volevi parlarmi?» chiese Vittoria, facendo sparire l’ultimo boccone del suo tramezzino con prosciutto e formaggio.
Marcello smise di osservare il viavai di gente e si voltò verso l’amica.
«Si tratta di Beatrice».
«Immaginavo» disse lei, esibendo un sottile sorriso sornione. «Quando vuoi parlarmi con urgenza, c’è sempre di mezzo la tua rossa fiorentina».
Il giovane increspò le labbra, ma non commentò, limitandosi a scuotere la testa e a bere un sorso d’acqua dal bicchiere che aveva in mano.
«E di mia madre» aggiunse, osservando le bollicine che salivano in superficie.
La ragazza rimase a fissarlo per una frazione di secondo, prima di domandare, con fare circospetto: «Che cosa ha fatto adesso?»
«Vuole che Beatrice prenda parte al pranzo per i festeggiamenti del compleanno di mia nipote, domenica prossima».
«Un pranzo con la tua famiglia... come prima occasione di incontro? Ma non è indicato!»
In risposta, Marcello si lasciò sfuggire un sorrisetto ironico, prima di vuotare il bicchiere e, così, riprendere a parlare: «Vedo che hai afferrato il punto».
«Beatrice come l’ha presa?»
«Non lo sa ancora. Volevo un parere da te, prima di parlare con lei».
Vittoria spalancò gli occhi e poggiò entrambe le mani sul tavolo, non riuscendo a celare la propria sorpresa.
«Non lo sa?! Marcello, oggi è giovedì, domenica è tra tre giorni!»
Purtroppo, l’altro sapeva fin troppo bene il ben misero anticipo con il quale la Matrona aveva imposto il suo dispotico volere e, come era già accaduto con Gerardo, ogni volta che qualcuno glielo ricordava si sentiva ancor più oppresso dalla situazione e dai capricci della sua genitrice.
«Mia madre ha avuto questa brillante trovata martedì: non capisci che l’ha fatto apposta per mettere in difficoltà Beatrice? Se lei non verrà, metterà in giro voci false sul suo conto» sbottò, preferendo mettere subito in chiaro le cose e mettendo così la sua amica al corrente del gioco sporco che c’era sotto quell’invito fuori luogo.
Dal canto suo, la giovane, che conosceva bene quanto potesse essere malvagia Madama Claudia, inclinò il capo da una parte, con fare pensieroso. Dopo poco, parlò, dimostrando di aver capito esattamente gli intenti della donna: «Quindi tiene in pugno anche te, perché è ovvio che non vuoi che quella povera ragazza subisca questo martirio».
Marcello annuì, lieto che Vittoria avesse centrato in pieno il fulcro del suo problema senza troppe spiegazioni o giri di parole.
«Va bene, dai, ora ci ragioniamo su e troviamo una soluzione, d’accordo? Intanto, stasera precipitati da lei per informarla».
«Anche Gerardo mi ha detto la stessa cosa» notò lui, consapevole che i suoi amici gli avevano dato quel consiglio perché era la cosa più sensata da fare.
«Ovvio! Ci tiene a te ed è un ragazzo molto giudizioso» commentò lei, tessendo le lodi del suo fidanzato. «Ritornando alla tua fiorentina, penso che non dovresti risparmiarti sui particolari: più informazioni le darai sull’indole da megera di tua madre, meglio la preparerai a ciò che l’aspetta».
«Mi sembra il minimo» concordò il ragazzo. «Anzi, io direi che... ed ora perché ridi?»
In effetti, la giovane era scoppiata a ridere, di punto in bianco, in maniera così fragorosa, che parecchi clienti del caffè si erano voltati a guardarla perplessi. Persino la cameriera, che aveva appena fatto accomodare due uomini in abito scuro al tavolo accanto al loro, nel rientrare dentro il locale, sicuramente per comunicare alla cucina le ordinazioni, le lanciò un’occhiata incuriosita.
«Ah, ah, ah, la tua vita è molto più complicata di Dallas o Sentieri8. Hai superato la finzione!»
Marcello, però, non era affatto dello stesso avviso, tanto che si indignò per il paragone con quei programmi, da lui ritenuti la spazzatura del palinsesto televisivo, e assunse un’espressione palesemente offesa.
«E lo trovi divertente? Dovresti provare a metterti nei miei panni!» sbottò, innervosito anche dal tramestio di sedie spostate proveniente dai suoi rumorosi vicini di tavolo: possibile non sapessero che, per non disturbare gli altri, era preferibile alzare la sedia per spostarla?
«Ti stavo prendendo un po’ in giro, non ti scaldare!» gli spiegò lei, ancora ridacchiando.
Il biondo incrociò le braccia sul petto, stizzito, fissandola ad occhi socchiusi, domandandosi come avrebbe potuto prendere sul serio i consigli di una persona che si faceva apertamente beffe di lui e della congiura che gravava sulla sua testa.
«Tua madre stava per scoppiare dalla felicità, quando le hai detto di te e di Gerardo. Forse non saresti stata così contenta, se avesse reagito come la mia» puntualizzò, seccato.
«Come sei permaloso!» lo redarguì, scherzosamente. «Comunque, Beatrice è una ragazza intelligente, se le darai apertamente sostegno davanti a tua madre, sono certa che se la caverà».
Lui distorse lievemente le labbra, poiché non credeva bastasse così poco a sistemare la situazione e stava appunto per farlo notare all’altra, quando lei proseguì: «Poi, se non hai già provveduto ad un pensierino per la bambina, credo che dovresti farti consigliare da lei. Pensaci: presentando un regalo scelto insieme, lancerete il messaggio che siete una coppia. Senza contare il fatto che solleverai quella povera ragazza dall’incomodo di portarne uno alla festeggiata, con il rischio che tua madre e tua cognata possano criticare la sua scelta».
Rianimato da quell’ottimo consiglio, Marcello si sentì un po’ più pronto ad affrontare quello che lo aspettava, anche se restava da fare ancora la cosa più importante: informare Beatrice di ciò che l’avrebbe attesa domenica.
Aprì la bocca per ringraziare sinceramente Vittoria per l’illuminante punto di vista, quando captò distintamente alcune parole della conversazione che si stava svolgendo al tavolo alle sue spalle.
«Lord Carter è molto deluso».
«Lo so bene, ma non avrei potuto fare di più».
Raggelato da ciò che aveva appena udito e dalle voci che aveva riconosciuto senza fatica, il ragazzo impiegò qualche secondo per decidersi a voltare leggermente la testa per guardare oltre la propria spalla, riconoscendo nel tizio che era seduto a poca distanza da lui John Miller, mentre il suo interlocutore, di cui vedeva solo la schiena ed i capelli, ma che anche così era facilmente riconoscibile, era Ascanio Colonna.
Quando erano arrivati, non si era accorto che i due uomini in nero erano sue vecchie conoscenze, tanto era stato preso dalla conversazione con Vittoria e in quel momento pregò che anche loro non l’avessero notato, anche se, come il giovane arrivò a considerare un secondo più tardi, se fosse stato così lo avrebbero schernito e si sarebbero fatti spostare subito ad un altro tavolo.
«Cosa c’è?» gli chiese lei, messa in allarme dal suo fare circospetto.
Marcello la zittì con un gesto secco della mano e, stando attendo a non voltarsi per non farsi riconoscere, si sporse leggermente per sentire meglio ciò che si stavano dicendo quei due. La fortuna aveva voluto che, essendo così disposti, gli unici che potevano vedersi in faccia erano Miller e Vittoria: l’uomo non aveva mai visto prima di allora la ragazza, pertanto non avrebbe potuto ricollegarla a né a lui, né a Gerardo.
Lei tacque all’istante, poiché era abbastanza intelligente da capire che c’era sotto qualcosa della massima importanza.
«Di più? Non hai fatto niente, ecco perché non sei riuscito a portare a termine il compito che ti era stato assegnato!» sibilò il britannico, con un’intonazione nella voce che faceva trapelare che, in realtà, era compiaciuto da quel fallimento.
«Ti ripeto che ho fatto quello che ho potuto! Ho chiesto anche la collaborazione di persone molto in alto» si giustificò Colonna, evidentemente seccato.
«Allora hai sbagliato a scegliere di chi fidarti» disse l’altro, continuando nel suo tono sprezzante e, al contempo, canzonatorio. «Come quello scultore che è si è fatto fermare alla dogana dell’aeroporto, perché non aveva nascosto bene la partita di hashish: già, sai davvero come sceglierti amici e collaboratori...»
Colonna rimase in silenzio e Marcello non ebbe difficoltà ad immaginarlo mentre digrignava i denti, come faceva sempre quando qualcosa non andava secondo i suoi progetti.
In quel momento, la cameriera tornò da loro con le due orzate che avevano ordinato e i due rimasero in silenzio finché non se ne andò.
«Ora limitati a portare avanti le compravendite con i partner che ti ho assegnato. Lord Carter si occuperà personalmente di riparare al tuo errore» riprese Miller, marcando con enfasi l’ultima frase.
«Corrompendo anche l’Interpol?» sbottò Colonna, ormai chiaramente irritato: non era certo tipo da subire passivamente tutti quei rimproveri, soprattutto se mossi da un sottoposto del suo socio.
L’uomo fece tintinnare il bicchiere e un improvviso rumore di sedia spostata fece capire che doveva essersi alzato in piedi.
«Impara qual è il tuo posto, se non vuoi fare la stessa fine del traditore o del tuo amico!» disse, poco prima di passare a passo deciso davanti al tavolo di Marcello e Vittoria, allontanandosi in fretta e sparendo presto oltre una delle colonne del porticato.
«Maledetto leccapiedi!» ringhiò Colonna, non abbastanza a bassa voce da non farsi sentire dai suoi vicini di tavolo.
Vittoria lanciò un’occhiata eloquente a Marcello, anche se non si azzardò a parlare, intuendo che il pericolo di essere riconosciuti non era ancora passato.
Dal canto suo, il giovane, impegnato a rielaborare quello che aveva appena sentito, fece segno all’amica di alzarsi e di restare in silenzio; poi i due, cercando di mantenere una certa disinvoltura per non dare nell’occhio, si defilarono verso l’entrata del caffè, così da riuscire ad andare a pagare senza attirare l’attenzione di Ascanio.
«Chi era l’interlocutore di Colonna?» chiese la ragazza, non appena furono in mezzo della piazza, lontani dalla portata d’orecchio del loro nemico.
«John Miller, l’assistente di Lord Carter» spiegò il biondo, mentre finiva di chiudere il portafoglio e lo rimetteva nella tasca interna della giacca.
«Come immaginavo» asserì lei, lisciandosi il vestito e passandosi il manico della borsa da una mano all’altra, inquieta. «Hanno anche fatto implicitamente il nome di Bartolomeo. In quel momento, mi sono vergognata come mai in vita mia: come ho potuto essere così stupida da non vedere con chi ero fidanzata?»
«Non ha senso rimproverarsi per questo» la consolò Marcello, dandole un’affettuosa stretta sul braccio. «Hai già sofferto abbastanza a causa di quel bastardo».
Vittoria annuì, ma non sembrava particolarmente convinta, giacché non doveva aver completamente dimenticato ciò che aveva passato per colpa del suo ex fidanzato, nonostante le attenzioni di Gerardo le stessero facendo conoscere il lato sano e giusto dell’amore.
«Quello che vorrei sapere, però,» proseguì il ragazzo, desiderando distrarla e sentire la sua opinione in merito, «è chi potrebbe essere questo fantomatico traditore. Per scatenare l’ira di Lord Carter, non deve essere certo un ladruncolo da poco».
«In effetti, anche se non conosco i dettagli, ammetto che le minacce di quel tipo mi hanno messo i brividi» concordò l’amica. Poi, improvvisamente, esclamò: «Oh, guarda! Colonna sta venendo da questa parte... e c’è Maria Luisa con lui!»
«Voltati e fai finta di dirmi qualcosa riguardo la fontana» le ordinò Marcello, prontamente. «Magari indicala anche».
«Giochiamo a fare le spie sovietiche? È la seconda volta che origliamo, oggi!» scherzò Vittoria, ma fece comunque quanto le era stato detto.
In quel frangente, i due ragazzi si arrestarono proprio dietro di loro.
«Comincia a fare caldo e mi stanco facilmente» si lamentò Maria Luisa.

«Sai bene che nelle tue condizioni non dovresti uscire di casa» la rimproverò il compagno, asciutto.
Di colpo, Marcello si ricordò una cosa che aveva momentaneamente dimenticato, ossia che la ragazza era in dolce attesa. D’altra parte, essendo molto magra, il ventre di lei era ancora poco prominente: se non avesse saputo con certezza che aspettava un bambino, non se ne sarebbe mai accorto. E questo, di certo, li avrebbe aiutati almeno a salvare le apparenze durante la cerimonia che si sarebbe svolta di lì a due settimane.
«Qualcuno si doveva pur occupare delle bomboniere. Adesso manca solo l’addobbo floreale per la chiesa» replicò Maria Luisa.
«Di questo te ne puoi occupare chiedendo l’aiuto di tua madre».
«Di questo?» fece la ragazza, con voce tremula. «Veramente, ci stiamo occupando noi di tutto. Eppure, tu sei lo sposo, dovresti fare qualcosa».
«Io non ho tempo per queste idiozie. La cosa più importante è il riconoscimento di mio figlio».
Nauseato, Marcello non riuscì a trattenersi dal lanciare un’occhiata obliqua all’indirizzo del suo nemico, il quale era impegnato a trafficare con il suo palmare, anziché guardare in faccia Maria Luisa. Che Colonna non fosse un tipo sentimentale era un qualcosa di più che assodato, ma mai avrebbe pensato che potesse essere così disinteressato verso la sua futura moglie, che vedeva molto probabilmente solo come un mezzo per mettere al mondo un erede. Infatti, lo stralcio di conversazione che udì poco dopo, gli diede la conferma.
«Avanti, ti riaccompagno a casa, non devi stancarti, perché il bambino potrebbe soffrire».
«Potrebbe anche essere una bambina» gli fece notare lei, dolcemente, mettendosi una mano sulla pancia. «Hanno detto che dalla prossima ecografia si potrebbe capire se...»
«Non dire sciocchezze!» la freddò, come se stesse dicendo un’eresia, chiudendo con un gesto secco il palmare. «Sarà un maschio e porterà avanti il mio impero. Adesso andiamo!»
Ammutolita da quest’ultima osservazione, la ragazza lo seguì in silenzio e il biondo poté giurare di aver visto due lacrime rotolarle giù per le guance.
«So che non dovrei dirlo, ma mi fa davvero tenerezza, poverina...» sussurrò Vittoria, visibilmente rammaricata, non appena i due ebbero imboccato via Nazionale. «Anche se era tra le tue ammiratrici più frivole, penso che nessuna ragazza meriterebbe di sposare Colonna».
«Non posso che darti ragione» sospirò lui, provando per Maria Luisa un dispiacere più grande di quello che avrebbe mai pensato di poterle riservare.

Dopo aver raccolto parecchio materiale su cui riflettere, i due giovani camminarono per un po’ assorti nei propri pensieri, diretti verso la stazione della Metro A Repubblica, fin quando Vittoria si lasciò sfuggire un’espressione di stupore e si allontanò a grandi passi verso una vetrina che dava sulla strada.
Incuriosito da ciò che aveva attratto così l’amica, la seguì, notando che si era fermata di fronte ad una gioielleria.
«Non pensavo che ti interessassero queste cose, di solito critichi sempre chi ne fa sfoggio!» le disse a voce alta, affinché lo sentisse.
«Guardare non vuol dire comprare. E, comunque, non si può proprio fare a meno di ammirare questa meraviglia!» gli rispose lei, invitandolo a raggiungerla per dare un’occhiata lui stesso.
Accigliato e borbottando qualcosa tra sé e sé sulla volubilità di molte donne di fronte a qualsiasi cosa che luccichi, Marcello si decise ad avvicinarsi per vedere con i propri occhi, attraverso le inferriate della saracinesca, cosa mai ci fosse di così eccezionale. Tuttavia, quando l’amica gli ebbe indicato, tra tutti quei preziosi, quello che l’aveva colpita, il giovane non poté negare la rara bellezza di quella creazione: era un raffinatissimo ciondolo a forma di farfalla in filigrana dorata e brillanti. Le pietre multisfaccettate creavano giochi di luce così particolari, che sembrava davvero che l’insetto avesse preso vita e stesse sbattendo le ali.
«Non trovi che sia bellissimo?» sussurrò Vittoria, ammaliata.
«Non posso dire il contrario» ammise Marcello che, nonostante fosse un uomo, non riusciva a rimanere insensibile di fronte a una tale dimostrazione di superba arte orafa.
Subito, nella sua mente, lo vide indosso a Beatrice, certo che le sarebbe stato molto bene e che l’avrebbe resa ancora più graziosa. Di lì a qualche settimana sarebbe stato il suo compleanno e non sarebbe stato male avvantaggiarsi con il regalo, pertanto, senza perdere ulteriore tempo, chiese all’altra: «Secondo te, potrebbe piacere a...» 
«Alla tua rossa fiorentina? Certamente! È elegante, ma semplice, perciò secondo me è perfetto per lei» rispose la ragazza con un entusiasmo che, probabilmente, non avrebbe avuto nemmeno se fosse stata lei la destinataria di quel regalo.
Marcello, che, anche se conosceva bene la sua amica e la sua capacità di trarre spesso conclusioni esatte, era rimasto spiazzato da tale prontezza, impiegò qualche secondo prima di annuire. Il risvolto positivo, però, fu l’aver avuto l’ennesima conferma che almeno Vittoria aveva preso in simpatia la fanciulla, cosa che, purtroppo, non si poteva dire altrettanto di sua madre.
«Ora il negozio è chiuso. Non posso comprarlo» borbottò, guardando in tralice la porta sprangata, rabbuiato anche dal ricordo dell’imminente supplizio domenicale e dal fatto che, entro sera, avrebbe dovuto parlarne con Beatrice.
«Potresti venire a prenderlo domattina, prima di andare a lavoro, visto che stasera hai cose più importanti da fare» gli disse Vittoria, come se gli avesse letto nella mente. Poi cambiò tono e, maliziosamente, aggiunse: «Sono certa che Gerardo capirà se farai un po’ di ritardo... D’altra parte, al cuor non si comanda, no?» 
***

L’angoscia provata durante il rapimento, per quanto tremenda, non impedì, però, a Beatrice di essere colta da un altro tipo di ansia, quando si rese conto che la separavano solo due mesi dal suo esame di maturità.
Nonostante fosse già rimasta d’accordo con Vittoria per riprendere contatti con il signor Rossiglione e, quindi, ricominciare a studiare assiduamente sotto la sua guida, la ragazza non se la sentiva di trascorrere in ozio il tempo che sarebbe trascorso fino a quel momento, pertanto decise di farsi prestare alcuni libri e studiare un po’ in autonomia.
Il fresco venticello pomeridiano che dapprima l’aveva invitata a studiare sulla terrazza della sua stanza, ora le stava facendo compagnia mentre cercava di ricordare date e nomi della Seconda Guerra Mondiale, aiutata da una mole di ordinati schemi riassuntivi che racchiudevano l’intero programma di storia dell’ultimo anno: ricordava la grande fatica fatta per cercare di rendere quegli specchietti quanto più esaustivi, ma, nello stesseo tempo, coincisi e ringraziò se stessa per essere stata così previdente, giacché, in quel momento, si stavano rivelando un prezioso supporto.
Era talmente assorta nella lettura che non si accorse che lui si era fermato sulla soglia del balcone e la stava guardando già da alcuni minuti, prima di decidersi a chiamarla.
«Buonasera, Beatrice».
Subito, la ragazza alzò la testa e, trovandosi di fronte Marcello, sobbalzò e arrossì all’istante.
«Ciao, Marcello, scusami, non t’ho sentito arrivare».
«Scusami tu, non volevo spaventarti. Ho bussato, probabilmente non mi hai sentito» le spiegò, tentennante. «La signora Irene mi ha assicurato che ti aveva appena portato un succo di frutta e ti aveva vista studiare, altrimenti non mi sarei mai permesso di entrare senza...»
Ma il giovane deglutì e non terminò la frase: era
evidente che fosse piuttosto in difficoltà, probabilmente sia per non averla avvisata del suo arrivo, sia perché doveva star ancora pensando a ciò era successo tra di loro qualche sera prima. In realtà, però, anche lei era un po’ imbarazzata, ma era decisa a far prevalere i sentimenti positivi su tutto il resto. Per questo si fece coraggio e prese la parola: «Sì, infatti, stavo ripassando qualcosa, ma posso prendermi una piccola pausa. Ti va di sederti?»
«Sì, con piacere» rispose lui, accomodandosi sulla sedia accanto alla sua, mentre Beatrice metteva da parte i suoi schemi.
«Come stai, oggi?» le domandò, con una lieve dolcezza nel tono della voce.
«Bene, grazie» fece lei, sorridendogli. «Comincio ad esser un po’ preoccupata per la maturità, sai, presentandomi da privatista, e credo che non sarò avvantaggiata».
«Con una buona preparazione di base, credo che al massimo possano metterti un po’ in difficoltà, ma di certo non bocciarti».
«Lo spero davvero» mormorò, alzando le spalle. Poi vide il vassoio con le bibite fresche e i bicchieri e gli chiese: «Vuoi del succo di frutta?»
Marcello si voltò verso il tavolino e rimase incerto per qualche secondo, poi rispose: «Grazie, ma non preoccuparti: faccio da me».
Si versò dell’acqua in un bicchiere di vetro blu e tornò a guardarla con aria pensierosa.
«Beatrice, c’è una cosa di cui ti devo parlare...» le disse, con aria molto seria.
Preoccupata da quel tono, la fanciulla si irrigidì, sicura che quello che aveva da dirle non sarebbe stato qualcosa di buono.
«È successo qualcosa di grave?»
«No, ma si tratta di una cosa delicata» proseguì lui, fermandosi un attimo dopo per sospirare. «Mia madre ti ha invitata a pranzo domenica prossima, perché vorrebbe conoscerti di persona».
Beatrice non riuscì a trattenersi dall’assumere un’espressione stupita, con tanto di bocca aperta. Non conosceva la signora Claudia di persona, ma quelle poche informazioni che aveva appreso qua e là non la dipingevano come una di quelle mamme tutte torte fatte in casa e sorrisi, pertanto la notizia la mise abbastanza in agitazione.
«Immagino che non possa rifiutare» disse, ricordando che le era stata descritta come una donna molto autoritaria. Stando a quel che le aveva detto Marcello al bar diversi mesi prima, ovvero che si era messa in testa di cercare lei una ricca moglie al figlio, intuiva di avere ben poche speranze di piacerle. Infatti, non era una ragazza proveniente da una situazione economica agiata; per giunta, gli unici parenti che le erano rimasti non erano né rispettabili, né educati.
«Purtroppo è così. Ti ho già spiegato quanto sia difficile il suo carattere, però vorrei comunque che non ti spaventassi» disse il giovane, soppesando accuratamente le parole.
«Ora, rispetto a questo, la maturità mi sembra una passeggiata» commentò, amara.
Il ragazzo si alzò dalla sedia, inquieto, e cominciò a passeggiare avanti ed indietro.
«So bene che non è questo il modo di comportarsi, essendo la prima volta che vieni a casa. Credimi, ho cercato di dissuaderla, ma non c’è stato niente da fare, anzi, l’unico risultato che ho ottenuto è stato di farla incattivire ancora di più».
Beatrice non osò chiedere cosa intendesse con quel farla incattivire di più. Non la conosceva nemmeno e già aveva le sue riserve su quella donna.
Evidentemente, però, il silenzio teso che scese subito dopo dovette fece a Marcello il grande disagio nel quale si trovava la ragazza, tanto che le si avvicinò e, dopo essersi genuflesso davanti a lei, le prese una mano tra le proprie e le disse: «Comunque, di una cosa puoi essere certa: non le permetterò di trattarti male, perché lei non ha alcun diritto di criticare la ragazza di cui mi sono innamorato. La mia fidanzata non ha bisogno della sua approvazione».
Il gesto e la parola fidanzata ebbero il potere di far colorire le guance della ragazza, che si limitò a guardarlo sbattendo le palpebre. Ora non avrebbe più potuto avere nessun dubbio: Marcello vedeva la sua relazione con lei come qualcosa di ufficiale.
Questa considerazione la portò, inaspettatamente, a vedere la vicenda sotto una prospettiva più lucida, giacché era evidente che, essendo arrivati a quel punto, l’incontro con la suocera, prima o poi, sarebbe dovuto avvenire.
Certo, sempre meglio poi che prima, ma pensò che era anche vero il detto che affermava che il toro va afferrato per le corna.
«Se’ sempre molto carino con me» gli disse, guardandolo intenerita.
Leggeremente in difficoltà, Marcello le lasciò la mano e, tirandosi su, si schermì: «Mi sembra il minimo, non è certo colpa tua se ti sei trovata in questa situazione».
Beatrice lo guardò divertita, consapevole che, visto il suo carattere, quell’oggi il ragazzo le aveva dimostrato fin troppa dolcezza. D’altra parte, se stava accettando di andare nella fossa dei leoni, era soltanto per lui.
Poi, quello si rimise a sedere e, per qualche secondo, si udì solo il canto degli uccellini.
«C’è un’ultima cosa» aggiunse poi lui, improvvisamente. «Domenica festeggeremo il primo compleanno di mia nipote e mi chiedevo se... ecco... domani pomeriggio volessi venire con me, per aiutarmi a scegliere il regalo per la piccola Claudia».
Onorata dalla richiesta, la fanciulla accettò con piacere: «Molto volentieri».
Tuttavia, il clima di ritrovata tranquillità che si era appena instaurato venne interrotto dall’arrivo di una trafelata signora Irene.
«Scusate la brusca interruzione» disse, con il fiatone. «Ma è urgente: Beatrice, devi venire subito nell’ingresso».
I due giovani si guardarono e, senza nemmeno chiedere il perché di tanta fretta, si alzarono e seguirono la donna fino al tinello, dove, ad attenderli, trovarono un agente di polizia dall’aria familiare.
«Saverio!» esclamò la ragazza, stupita. Si ricordava che le avevano detto di restare a disposizione, ma non credeva che l’avrebbero cercata così presto.
«Buonasera, Beatrice» la salutò lui, sorridente, sfiorando appena la falda del cappello. Poi notò Marcello e, cambiando immediatamente tono, fece un cenno di saluto con il capo: «Buonasera, signor Tornatore».
«Il commissario vuol già riascoltarmi?»  
«Affermativo! Sei stata convocata al commissariato martedì prossimo» scandì, con tono solenne. «Ma non da parte del commissario Molinari. Questa volta, vuole ascoltarti il questore in persona».





***
Per la revisione di questo capitolo, ringrazio Lady Viviana per la sua gentile collaborazione; come sempre la grafica del titolo è opera mia.
Ringrazio la mia Anto per aver letto tutto questo in anteprima.
***

[N.d.A]
1. Moonlight Shadow: canzone composta dal britannico Mike Oldfield e cantata dalla solista scozzese Maggie Reilly. Venne pubblicata bel 1983;
2. esami preliminari: i candidati privatisti all’esame di maturità, negli anni ’80 (come è tornato in vigore negli ultimi anni), dovevano affrontare un esame preliminare, scritto e orale (di tutte le materie dell’ultimo anno), per mezzo del quale la commisione doveva certificare l’idoneità del canditato a sostenere l’esame di Stato. Inoltre, all’esame orale, bisognava portare tutte le materie delle quattro sorteggiate e non soltanto due come chi aveva frequentato un normale anno scolastico presso una scuola (una scelta dallo studente ed una scelta dalla commissione); le materie che cita Beatrice, sono realmente quelle sorteggiate per la maturità classica del 1987;
3. “Stanislao Cannizzaro”: un liceo scientifico che si trova nel quartiere dell’Eur, dove abita Vittoria; il Giulio Cesare, invece, come saprete, è il più famoso liceo classico della Capitale;
4. economia e commercio: prima la laurea in economia aveva questa dicitura;
5. in puero homo: letteralmente “nel bambino, (c’è già) l’uomo”. Frase di Leonardo da Vinci, invita a riflettere sull’importanza del prendersi cura dei bambini in toto, giacché saranno gli adulti del domani. La frase è tutt’ora incisa su una lastra di marmo, collocata sopra al portone del dipartimento di Pediatria dell’Umberto I;
6. all’altezza del suo ruolo: per il caso della ragazza, mi sono ispirata ad uno realmente accaduto che ci hanno raccontato a lezione. Il tema dei disturbi alimentari - e del coinvolgimento della famiglia nella loro insorgenza - mi sta molto a cuore;
7. Piazza della Repubblica: conosciuta anche con il nome di Piazza Esedra.
8. Dallas o Sentieri: Dallas è una serie televisiva statunitense, trasmessa in Italia a partire dal 1981, famosa per i suoi colpi di scena; Sentieri, invece, è una soap opera, sempre statunitense, trasmessa nel nostro paese dal 1982. Entrambe sono state molto famose e molto seguite, anche dai giovani;
***


Come sempre, ringrazio di cuore chi sta avendo pazienza nell’attendere che questa storia riesca a trovare una conclusione - è tutto nella mia testa, deve solo avere il coraggio di uscire fuori -, chi legge, anche in silenzio, e chi mi ha voluto dare fiducia, mettendo la storia tra seguite/ricordate/preferite.
Grazie anche a chi è stato tanto gentile da recensirmi lo scorso capitolo, ovvero Anto, Lady Moonlight, DarkViolet 92, Aven, Mini GD, 21century e Balder Moon.
In ultimo, vi lascio il link alla pagina facebook dove (presto o tardi) troverete uno spoiler del capitolo quindicesimo e news in tempo reale (se mai doveste chiedervi che fine ho fatto). Vi anticipo che il prossimo capitolo è a metà stesura, pertanto tra Settembre ed Ottobre dovrebbe essere pronto.
Saluti e alla prossima, 
Halley S. C.

  
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