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Autore: Utrem    05/09/2015    1 recensioni
1980: Voldemort è all'apice del suo potere. Cosa sarebbe successo se Piton fosse riuscito ad orecchiare una frase in più della profezia annunciata da Sibilla Cooman ad Albus Silente? Dal testo:
'"Chi mai potrei designare come mio eguale?! Io, che domino incontrastato su tutti i Maghi per abilità e per ingegno?! Che cosa posso o dovrei invidiare?! Un potere, un potere... quale potere, se mi sono personalmente occupato di possederli tutti?! Cosa mi sono perso? Cosa?!"
[...]
"L'amore, mio Signore. Penso sia l'amore"
Voldemort sobbalzò[...].
Conosciuta la causa della sua inadeguatezza, tornò a concentrarsi su sé stesso e non badò più a Piton, in lacrime per lo sforzo appena compiuto.
"Amore?! Amore?! Un altro mago... con le mie stesse abilità... ma in grado di amare?!"
[...]
Voldemort si fece guardingo nella sua riflessione, quasi paralizzato.
Ci volle un tempo infinito, gli parve, perché riuscisse a giungere a un'adeguata conclusione.
L'unica cosa che gli mancava era l'amore: ergo, doveva amare l'amore, e siccome questo s'incarnava nel suo nemico, che altri non era che una forma migliorata di sé stesso, avrebbe potuto amare solo e solamente quel bambino che sarebbe nato, al termine del settimo mese.'
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Silente, Harry Potter, Tom O. Riddle, Voldemort | Coppie: Harry/Voldemort
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra, Malandrini/I guerra magica
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- Questa storia fa parte della serie 'L'amore di Voldemort'
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L'amore di Voldemort











Non appena ebbero messo un passo fuori dalla "stanza dei giochi", Harry e Tom videro con sollievo che in corridoio non c'era traccia della signora Cole, ma anche e soprattutto, udirono un furioso frastuono di piedi al piano di sotto, che ricordò loro tanto il rumore che faceva l'acqua nella pentola della cucina quando iniziava a bollire: stavano tutti correndo verso le cassette a prendere i giochi!

Harry si tappò la bocca spalancata. Lui e Tom  s'erano cacciati in giganteschi guai! L'armadio era aperto e le cassette erano tutte sparpagliate per terra! Una l'aveva persino lanciata! Chissà quante cose s'erano rotte! Come aveva fatto a non pensarci subito?!

Erano spacciati!

Avrebbe voluto urlare, ma non riusciva a spiccicare nemmeno una parola.
Si limitò a girarsi verso Tom, inebetito, che lo guardò di rimando con preoccupazione, chiedendogli senza fiato:

"Che facciamo adesso? Non serve che ci nascondiamo, tanto lo dirà Eric che siamo stati noi!"
"È tutta colpa tua! Se non mi avessi chiesto tutte quelle cose, forse saremmo riusciti ad andarcene prima!" replicò arrabbiatissimo Tom, con voce gutturale.
 
"Ma se sei tu che hai cominciato a parlarmi! Io non ne sapevo niente! Avresti potuto stare zitto e pensarci prima, visto che sei tanto bravo!" gli rispose a tono Harry, che non aveva proprio più paura di lui.

Tom non obiettò, bensì sgranò gli occhi e fece schioccar la lingua contro il palato, mettendo le braccia conserte. Harry pensò che si fosse offeso, ma si stesse trattenendo sia dal rispondergli male, sia dal dirgli "Hai ragione".

Nel frattempo, le pedate e le urla diventavano sempre più vicine... nel mucchio, riuscì a riconoscere anche quella profonda di Billy Stubbs e dei suoi amici...

 "Ascolta" disse allora Tom ad un tratto, deciso "L'unica cosa che possiamo fare è metterci in fondo al corridoio aspettando che arrivino  tutti: allora ci mischiamo agli altri senza che lo capiscano, facciamo dietrofront, cerchiamo Eric Whalley e lo spaventiamo per farlo stare zitto! Dobbiamo solo sperare che non abbia già spiattellato tutto!"

"Ma non l'abbiamo già fatto?" si chiese Harry, che non era troppo convinto dal suo piano.

"Non abbastanza!" spiegò Tom con impeto "Sennò non ci avrebbe detto quelle cose brutte! Dobbiamo dirgli che se fa la spia gliela faremo pagare cara!"

Harry si corrucciò un po'. L'idea non gli piaceva, però era vero che Eric era stato molto cattivo nei suoi confronti, anche se lui non gli aveva fatto niente. Sì, gli aveva tolto la pallina per far inciampare Tom, però lo aveva fatto perché riuscissero a scappare tutti e due, invece Eric aveva subito detto che lui era nell'armadio, lo aveva chiamato Satana e adesso era pure andato dalla signora Cole per farlo punire! Era cattivo, Eric! Sì, se lo meritava!

Però, anche così, non era proprio tutto a posto, anzi...

"Va bene... però come facciamo per l'armadio? E le cassette? Ho sentito che si sono rotte delle cose! Rimarremo comunque una settimana senza giochi!" si lamentò Harry, le guance gonfie da bimbo che parevano proprio traboccare della sua angoscia. Peraltro, ormai si sentivano pestare i gradini: stavano salendo le scale in massa e Harry e Tom erano costretti a a muoversi con affanno verso il fondo del corridoio...

"No no, ascolta! Dobbiamo solo incolpare degli altri e pregare la signora Cole! Sai che a lei non piace quando tutti rimangono senza giochi, e oggi c'è già stato abbastanza casino, quindi magari li leva solo a loro! Se Eric sta zitto, non è difficile: basta solo dire che è stato qualcuno che fa sempre questo genere di cose!" sussurrò Tom, mentre cercava di trascinarsi avanti il più velocemente possibile senza correre.

"BILLY STUBBS!" esclamò Harry, esagitato, il sudore che gli imperniava la fronte. Era felice: Tom aveva ragione! Forse non avrebbe dovuto rinunciare ai suoi giochi!

"Ma sei idiota?! Parla piano! Ci farai sentire da tutti!" sibilò Tom con una smorfia, dandogli un lieve spintone.

"Billy Stubbs!" ripeté Harry, a voce bassa, strisciando sulle pareti "Giusto dieci minuti fa ha abbattuto l'albero di Natale coi suoi amici e la signora Cole l'ha visto! Possiamo dire che quel casino l'ha fatto stamattina: ci crederanno tutti!"

"Va bene... ecco, arrivano! Mi raccomando: stiamo sempre dietro!"  

Finalmente i primi si arrampicarono in cima alle scale e piombarono a capofitto come bufali inferociti nel corridoio. Chi senza una scarpa, chi senza entrambe le scarpe, chi a gattoni, chi sulle spalle d'un altro: tutti puntavano alla "stanza dei giochi" e non si sarebbero più fermati di fronte a niente.
Harry e Tom, che erano sia sottili sia bassi di statura, riuscirono per un pelo a non farsi travolgere dall'onda di piccoli esposti e nascondersi nello stipite della porta d'una camera senza essere visti: dopodiché, si gettarono in mezzo agli altri, sgusciando rapidi fra un bambino e l'altro e cercando di mantenersi uniti. 

Se il corridoio si stipò d'urla e schiamazzi che seccavano la gola, la "stanza dei giochi" rimase più silenziosa delle navate d'una chiesa: infatti, chiunque oltrepassasse la soglia vociando s'ammutoliva immediatamente alla raggelante vista delle cassette buttate sul pavimento una sopra l'altra. 

Per quanto potessero essere diversi, infatti, tutti amavano, più d'ogni altra cosa e più di molti altri che pure facevano sfoggio d'adorarlo, il possesso. S'alzavano ogni mattina con la speranza di riuscire ad avere qualcosa in più e andavano a letto piangendo perché invece spesso si ritrovavano con qualcosa in meno. Non conoscevano nulla di più essenziale o più importante dell'arricchirsi e consideravano i propri oggetti la parte più bella, più importante, più speciale di sé. Sotto questa luce, appariva ancora più tragica la rassegnazione di alcuni, che pue avendo pochissimo non avevano neppure sperato, quel giorno, di riuscire ad avere di più. Peraltro, molto spesso questa convinzione finiva per accompagnarli tutta la vita, perché molto difficile era scrollarsela di dosso.
Nel tacito tumulto generale, un ragazzino s'era accucciato e stava scuotendo delicatamente la propria cassetta, borbottando con tono lento e lugubre: "L'orologio di mio padre... l'orologio di mio padre..."

"Il mio diadema!" stridette anche Amy Benson, una bambina della stessa età di Harry e Tom, la sua voce ancora più squillante nel silenzio generale, raccattando la sua cassetta vicino alla parete a sinistra "S'è spezzato! Lo sento che è rotto! Chi è stato?!"

'Sono stato io', pensò Harry. Ecco che cos'aveva sentito rompersi dopo che aveva gettato la cassetta nella pancia di Tom...

Amy era una bambina simpatica, diversamente da quasi tutte le altre, e qualche volta avevano anche giocato insieme... gli dispiaceva tantissimo averle rotto il diadema, ma non l'aveva proprio fatto apposta; e poi, se avesse confessato, anche lei l'avrebbe chiamato Satana, sarebbero diventati nemici e non avrebbe più voluto giocare con lui! 

Però... tutti già sapevano che Tom era Satana, anche se lui era molto più intelligente, e anche se Eric non fosse riuscito a parlare con la signora Cole, qualcuno prima o poi si sarebbe accorto che anche lui lo era, lo avrebbe detto agli altri e non avrebbe più potuto essere amico di Amy lo stesso. Non poteva farci niente se era Satana. Tom l'aveva detto, che non era colpa sua e che non dipendeva da lui... e poi, comunque Billy Stubbs ed Eric Whalley erano sicuramente meno cattivi di lui, visto che non erano Satana, e non meritavano d'essere puniti! Non erano neppure stati loro!

Ci stava ancora pensando, quando ricevette una forte gomitata ad una spalla. Per un attimo gli si paralizzarono gli arti e non ebbe il coraggio di girarsi: poi però sentì il cappottino di feltro di Tom accarezzargli una gamba e capì che era lui. 

"Eric non c'è qui" mormorò lui pianissimo, da dietro "Dobbiamo andare subito giù!"

Harry chiuse gli occhi. Sapeva cosa l'aspettava, ma ormai non avrebbe più cambiato idea.

"No!" si oppose Harry, scuotendo la testa "No! No! No! SONO STATO IO! SONO STATO IO A ROMPERVI LE COSE!"

Se prima il silenzio aveva ammesso il fruscio provocato dallo sfregare di pantaloni o gonne e dei colpi di tosse causati dall'aver appena trascorso un'ora al freddo, dopo che Harry ebbe parlato anche questi rumori cessarono d'esistere. Il ragazzino accucciato a cui s'era rotto l'orologio del padre serrò la bocca ed Amy Benson smise di scuotere la sua cassetta. Billy Stubbs era più silenzioso in quel momento che durante il sonno, e per chi lo conosceva una simile occorrenza era migliore del Natale. Non che fosse difficile che qualsiasi cosa fosse migliore di quel Natale, penso Harry, e adesso stava per diventare ancora più brutto, ma doveva farlo lo stesso...  

Avendolo visto aprir di nuovo bocca e intuito quello che stava per succedere, Tom sgranò i propri e pensò a tutti i modi più rapidi che aveva a sua disposizione per tappargliela, ma ormai era troppo tardi:

"S-sono io che ho lanciato la cassetta, Amy! M-mi dispiace, non l'ho fatto apposta! S-scusami! È che sono Satana! S-so che n-nessuno d-di voi l-lo sa a-ancora... f-fate b-bene s-se m-mi odiate ! S-so che m-me lo merito!"

Aveva appena finito la frase, che da dietro la porta comparve la signora Cole, esausta e con le mani sui fianchi, insieme a Eric Whalley, che non esitò a puntare subito il dito contro lui e Tom.

"SONO STATI LORO, signora Cole! Li ho visti mentre erano posseduti dal demonio e si picchiavano con le cassette! Mi deve credere!"

Margaret Cole sospirò, svogliata e stanca, chiedendosi perché Martha non potesse mai esserci quando aveva disperatamente bisogno di lei. L'ultima volta che l'aveva vista stava lavando la bocca di Dennis Bishop per eliminare i residui di terra che gli erano rimasti fra i denti, e probabilmente sarebbe rimasta impegnata ancora per molto tempo.

"Tom, Harry, ditemi: siete stati davvero voi?" domandò, non riuscendo a celare nella voce il dubbio riguardo alla veridicità di ciò che stava dicendo.

Harry inghiottì un grosso grumo di saliva. Era successo: s'erano cacciati nei guai, tutti e due. Niente più giochi per una settimana. Sentì il viso bruciargli più che mai e non sapeva se fosse colpa della vicinanza di Tom o del suo imbarazzo. Non avrebbe voluto piangere di nuovo, ma come poteva trattenersi? Adesso, adesso che aveva risentito l'accento irlandese di Eric Whalley e aveva confessato davanti alla signora Cole aveva capito. Aveva capito che avrebbe fatto bene ad essersene andato giù con Tom ed essersene stato bello zitto. Possibile che fosse sempre così stupido? Che non sapesse compottarsi? Avrebbe dovuto essere contento che agli altri si fossero rotte le cose: tanto, prima o poi avrebbero scoperto che era Satana e avrebbero iniziato a evitarlo e odiarlo come già facevano con Tom! Avrebbe dovuto essere contento di incolpare Billy Stubbs e di spaventare Eric Whalley: cosa importava che loro fossero meno cattivi di lui? Lui era Satana, e avrebbe dovuto essere contento d'esserlo di far loro cose brutte! Adesso, però, aveva rovinato tutto ed era triste, molto triste, e anche Tom lo era, perché stava capitando loro una delle cose peggiori che sarebbero mai potute accadere! Era proprio un idiota, un idiota... non avrebbe mai imparato ad essere Satana...

Forse, però, c'era un modo per rimediare a quello che aveva fatto, almeno in parte... un modo per essere almeno un po' meno triste...

"T-Tom non c'entra, s-signora C-cole: è stata s-soltanto c-colpa mia. Ho aperto i-io l'armadio e ho gettato i-io le cassette. Non so p-perché l-l'ho f-fatto. P-punite solo me, per favore... levi solo i g-giochi a m-me p-per una settimana!"

La signora Cole non sapeva che credere. Eric aveva sempre avuto una fervida fantasia e poter pensare che un bambino che tartagliava così tanto avesse potuto mettere a soqquadro l'intera stanza era assai improbabile, ma d'altro canto era usa a vedere piccini all'apparenza tranquillissimi trasformarsi non appena pizzicati dalla tristezza o dal tormento d'essere soli. Anche il fatto che avesse confessato non  lo scagionava: gli stessi bimbi pacifici infatti, proprio in virtù della loro buona indole, erano soliti farlo molto spesso dopo una cattiva azione. Nel caso di Harry, tuttavia, si trattava di qualcosa di molto grave: inoltre, se Eric non s'era fatto condizionare e aveva avuto ragione ad accusarlo, forse anche Tom era coinvolto nella faccenda in qualche modo... ma era anche vero che Eric aveva sempre avuto una forte antipatia per Tom, che era sì un po' prepotente, ma che non era mai incorso di proposito in vandalismi o piccoli furti: era infatti nel complesso un bambino tranquillo, molto acuto e precoce, ma sempre per conto suo, e forse un po' spregiato dagli altri orfanelli proprio per questo. 

Quanto alla punizione da attribuire... la signora Cole non poteva assolutamente permettersi di fomentare ulteriormente il caos generatosi dall'infelice incontro con le benefattrici negando i giocattoli a tutti, a Natale oltretutto! Nancy avrebbe avuto da dire? Non le importava: era lei a dirigere l'orfanotrofio e dunque era lei ad avere l'ultima parola sul da farsi, in tutte le circostanze.

Così, in base a questi criteri, finalmente si decise:

"D'accordo, Harry. Niente giocattoli per una settimana: al contrario, saranno gli altri bambini a poter usare i tuoi. Vedi di non fare mai più niente del genere, o potresti essere punito ancor più severamente"

A questo punto Harry, che grondava delle proprie lacrime, ebbe il coraggio di rialzare la testa. Come previsto, tutti lo stavano guardando malissimo, eccetto Billy Stubbs, che aveva appena scoperto che la sua cassetta era rimasta intatta e quindi se la rideva sotto i baffi, e Tom, che aveva una stranissima espressione sul viso: sgranava gli occhi come sempre, ma la bocca era stirata in un modo molto strano. Allora Harry capì: è che lui, non sapendo bene come si facesse a compottarsi, non sapeva se essere felice o triste. Lui era meno triste, ed era sicurissimo del fatto che esserlo fosse la cosa giusta.  

Ed in effetti era proprio così: Tom era confuso. Non essendo stato punito, avrebbe dovuto essere contento, ma Harry, che era Satana come lui, sì, essendosi preso tutte le colpe: quindi avrebbe dovuto essere triste. 
Che cosa doveva fare? Cosa doveva pensare? Perché tutto era diventato così difficile?! Aveva bisogno di più tempo per riflettere: gli conveniva andarsene di lì.

Uscì dalla stanza, gli occhi sempre spalancati, lasciandolo mentre riceveva la sua punizione. 

-

Erano le sei di pomeriggio, quando le sfumature del tramonto sbiadivano da dietro le nuvole ed il cielo cominciava a colorarsi d'un fosco nero.

La signora Cole era in cortile, in piedi davanti all'abete abbattuto. 

Era forse un segno?

Non solo era caduto: s'era proprio sradicato. Non c'era speranza di riuscire a rimetterlo in piedi, per non parlare di com'erano ridotti i festoni e le palline...

Almeno, dopo che erano stati ritirati i giocattoli ad Harry Harper e distribuiti ai bambini che avevano subito più danni, la giornata aveva quasi iniziato ad assomigliare alle altre: gli orfanelli erano stati costretti a fare colazione, tre ore più tardi del normale, anche se la maggior parte era comunque riuscita a scappare dalla mensa dopo aver bevuto due sorsi del proprio latte, e dopo c'era stata l'apertura delle cassette, che per qualcuno era stata una vera e propria tragedia, per altri il miglior regalo che avrebbero mai potuto sperare di ricevere, considerato quanto avevano dovuto aspettare per prendere i propri giochi e andare a divertirsi.
 
Ma c'era ancora qualcosa che non andava e che era in grado di minare ulteriormente la bellezza quasi soprannaturale che quella giornata aveva per fama: non aveva detto a Nancy dei giochi rotti. Se lo avesse fatto, avrebbe esatto il ritiro di tutti i giocattoli per una settimana e i bambini le si sarebbero avventati contro come leoni affamati. 

Sapeva che il momento in cui l'avrebbe vista sarebbe stato il momento in cui le avrebbe parlato, redarguendola e intimandole di eseguire ciò che diceva in virtù della sua esperienza. Ma Margaret era stanca, irritata ed incattivita: per questo si limitava a esaminare le radici di quell'albero, che suo zio aveva fatto trapiantare con così tanta premura.

E quel momento, immancabilmente, giunse. Quando meno se l'aspettava, Nancy le marciò contro con, le parve, il dito già alzato e iniziò a parlare.

"Margaret, Harry mi ha detto che ha rotto dei giochi e che tu hai proibito solo a lui l'apertura della cassetta. Capisco... che è Natale, che sono rimasti delusi, ma se non glieli leviamo come possiamo prevenire il ripetersi di episodi uguali? Harry è un bravo bambino, ma ha bisogno, come tutti, d'essere punito con appropriatezza quando si comporta male. Ti prego, dammi ascolto: ritiriamo i giocattoli"

"Scusa, ma mi sembra proprio una follia. No che non li ritiro. Con tutto quello che è successo?! Hanno fatto colazione tardi, hanno giocato poco, hanno buttato all'aria l'orfanotrofio intero, per l'amor del cielo! Sessanta bambini sono sessanta bambini! Mi dici tu, adesso, che cosa devo fare, per favore?! Non posso mica sdoppiarmi! Siamo in meno di una decina a gestire questo posto e ogni giorno mi sembra di morire! Sai quanto ci tengo, sai quanta fatica faccio, eppure compari soltanto per dirmi che sono una cattiva governante e che non faccio abbastanza! Sono io a pregare te, ma di lasciarmi in pace una santa volta!"

"Molto bene. Sai che ti dico io? Non sei l'unica ad averne abbastanza qua dentro. Stamattina hai affamato i tuoi sessanta bambini per cui dichiari di far tanta fatica pur di far bella figura con tre schifose ipocrite! Sei stata tu ad aver buttato all'aria l'orfanotrofio con la tua cecità, Margaret! Sei tu che a venticinque anni pensi d'aver capito tutto e non vuoi dare retta a nessuno! Sono mesi che cerco di fartelo capire, eppure-"

"Vattene"

Nancy sgranò gli occhi e schiacciò in una violenta contorsione il viso rugoso.

"Che hai detto, scusa?"

"T'ho detto di andartene, Nancy. È un anno che devo convivere con le tue pretese, oltre che con le difficoltà di gestione: non ce la faccio più. Se non te ne vai, non durerò a lungo. Credimi: non mi piace dirtelo, mi hai aiutata tantissimo nel corso di quest'anno, ma se non vado avanti da sola, non riuscirò mai a cavarmela per conto mio. Quindi, per favore, lascia andare l'orfanotrofio. Lascia che me ne occupi io. Un briciolo di fiducia è tutto ciò che ti sto chiedendo!"

Nancy incrociò le braccia e si morse il labbro inferiore. 

"D'accordo. Hai ragione. Me ne vado. Era l'ora, già, era l'ora... lo penso anch'io, sai. Tornerò però un giorno, a far visita... a vedere il frutto del tuo lavoro. Chissà? Come cresceranno questi bambini? Chi può dirlo? Vedremo, vedremo... tra uno o dieci anni... addio, Margaret, mia cara... mi scuso per averti trattato male, quest'anno. È pur sempre Natale oggi, no?"

Non ebbe alcuna risposta. La signora Cole sospirò, fissando ancora con triste ossessione le rachitiche radici di quell'albero. 'Pare di sì', pensò.

Proteggendosi con le braccia dal freddo, Nancy rientrò e principiò a salire verso il suo appartamento. Non ne aveva mai avuto così tanto in vita sua. Forzandosi a essere imperturbabile, richiuse una sola valigia: tutto ciò in cui consistevano i suoi bagagli. Allora chiuse a chiave la sua camera, vuota, e iniziò a scendere, per l'ultima volta dopo quarant'anni, verso l'uscita: Martha e le cuoche la incrociarono per abbracciarla e salutarla con i loro migliori auguri, tanti bambini le saltarono in braccio riempiendola di baci. Tra questi c'era il piccolo Harry Harper, che, nonostante le proteste, ricevette lo stesso ammontare di coccole degli altri e pensò che, anche se se ne stava andando e non aveva niente con cui giocare, per una volta tutti si volevano così bene che sembrava davvero Natale.

Tom, invece, era rimasto in camera sua.

Aveva un foglio stropicciato fra le mani e sorrideva. 

Era una lettera indirizzata a lui, senza firma o mittente indicato, che aveva avuto quasi sin da quando era nato e che aveva letto sin da quando era stato in grado di leggere, senza mai capirne il senso.

Sopra c'era scritto:

"Ama Harry e nessuno sulla faccia della Terra potrà mai eguagliare il tuo potere."

Tom s'era sempre scervellato riguardo a chi potesse avergliela mandata. Aveva spesso pensato a sua madre, ma la signora Cole gli aveva detto d'averla trovata nella cassetta della posta lo stesso giorno in cui aveva trovato Harry Harper sui gradini dell'entrata dell'orfanotrofio: quindi, quando era già morta. 

Più che altro, però, non aveva mai compreso bene che volesse dire. 

Dopo gli eventi di quel giorno, però, tutto era molto più chiaro: per la prima volta, Tom si sentiva quasi felice.

   
 
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