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Autore: coldnight    31/12/2015    1 recensioni
Austin Reed ha imparato ad amare la musica sin da quando era un marmocchio; sin da quando camminava a gattoni e gemeva tentando di dire parole senza senso. La musica era il suo sole, il venticello fresco che scompigliava i capelli e l'aria buona che entrava nelle sue narici.
Non temeva la pioggia, i tuoni od i lampi, ma non gli piacevano le nuvole. Grigie o bianche che fossero. Non le amava specialmente se erano lattee o sembravano lucide. Gli ricordavano le mozzarelle, e lui odiava le mozzarelle.
Austin Reed ha diciannove anni e infondo vorrebbe saper sognare. Sa parlare - fin troppo - e si regge sulle proprie gambe meglio di quanto egli stesso possa credere. Ama il sole, il vento, la pioggia. Ma si ritrova ancora ad odiare le mozzarelle e le nuvole, quelle nuvole fastidiose che non gli permettono di vedere.
[Momentaneamente sospesa]
Genere: Fluff, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Capitolo dodici

Happiness. 




           Aveva deciso di trasformare quella stanza rendendola propria: colorandola, riempiendola di cornici stracolme di foto, di scritte, di ricordi dolci e amari. Il celeste gli piaceva abbastanza come colore, così un giorno si era messo d’impegno e, ottenuto il permesso della presidenza, aveva preso pennello e pazienza e aveva cominciato a pitturare. Era venuto proprio un bel lavoro, a guardarlo in quel momento. Le foto erano di varie forme ed inclinazioni. Poteva ricordare molti momenti della sua vita con un sorriso, amaro o dolce che fosse. Gli piaceva proprio, la sua camera, perché nonostante tutto il casino che aveva in testa lì dentro poteva sentirsi in pace ed isolato dal resto del mondo. La cosa migliore del mondo, però, era il suo stereo nero. Era il suo trofeo per essere entrato in quella scuola e lui non poteva esserne più felice. Poteva ascoltare tutta quello che voleva senza alcun problema, grazie alle porte insonorizzate.
 
          Quando diceva di adorare il metal tutti lo guardavano con uno sguardo stralunato. Sbarravano gli occhi come se avesse detto una bestemmia. Lui semplicemente alzava le spalle, sorrideva con il suo pseudo-sorriso storto e pensava “sì, adoro gli scream e tutta quella roba strana”. Che poi dire di ascoltare il metal vero e proprio sarebbe stata una bugia. Lui adorava tutto ciò che avesse una chitarra che spaccasse i timpani, una batteria che li fracassasse e le magnifiche urla che riuscissero a calmarlo da se stesso. Apprezzava anche la musica rap, in realtà, proprio questo motivo il suo gruppo preferito erano i Linkin Park. Erano tutto quello che cercava dalla musica unito insieme. Non solo i testi erano magnifici, ma riuscivano a creare combinazioni fra l’elettronica ed il rock. Ed era fenomenale. Quanto doloroso. Perché quella band l’aveva conosciuta grazie ad una persona a lui non indifferente.

         Si morse l’interno di una guancia. A volte le cose non vanno come dovrebbero. A partite dalla morte di suo fratello, al trasferimento, all’allontanamento dall’unica persona che era riuscita a non portarlo nel baratro della depressione. Cosa che invece era capitata a Rachel. Sospirò, fermandosi a guardare l’immagine di loro tre insieme, prima che Aaron morisse. Erano proprio una bella squadra, che si era trasformata poi in cenere. Si morse sempre più forte, sentendo il sapore del sangue nel palato. Gli faceva davvero schifo, quel sapore. Prese il suo portafogli dalla giacca posteriore dei pantaloni, guardando una foto sua e di lei insieme. Le stava dando un bacio nella guancia, mentre lei sorrideva teneramente. Gli piaceva da impazzire quel sorriso, ma pensò che tutto era inutile, mentre faceva sparire i ricordi dalla mente, insieme alle carezze, ai baci ed ai gesti affettuosi che aveva fatto per lei, e lei per lui. La malinconia è una cosa che non si può curare. A volte si cerca di dimenticarla, di nasconderla in una parte remota del cuore, ma lei sarà sempre lì, sempre presente. E in ogni caso non si fa mai nulla per eliminarla del tutto, perché l’uomo è masochista, e anche se apparentemente va avanti, in realtà non si muove di un passo. Resta immobile ad aspettare che il tempo passi, e con questo anche il proprio di essere. Inutile e deludente.

             È questo quello che pensa mentre un Austin Reed trafelato, con i capelli scompigliati e il respiro mozzato, seguito da un Nathan raggiante e apparentemente pieno di energie, sfondano la porta della sua camera, facendolo spaventare a morte. «Buongiorno?» chiede Sebastian, incerto e con uno sguardo divertito, cercando di nascondere la piccola parte di fastidio che i due gli hanno causato. Non ce l’aveva con loro, semplicemente stava rimuginando su molti, parecchi, pensieri. Avrebbe preferito che non lo disturbassero, ecco. Ma ormai era tardi per arrabbiarsi. «Mi dispiace, dico davvero, io-» provò a scusarsi il rosso, interrotto subito dal migliore amico. «Non ci dispiace per nulla, invece. Di essere entrati così un pochino, forse, ma necessitiamo il tuo aiuto» gli spiegò Nathan, con un sorriso a trentadue denti così tirato da fargli venire le rughe sotto gli occhi. Si ritrovò a sospirare. Ormai faceva parte di quella gabbia di matti, non poteva farci nulla. «Di cosa si tratta?» «Bè, umh, ecco,» cominciò Austin, torturandosi le unghie con i denti. «Devo partecipare al saggio, e, diciamo…» prese un respiro profondo per cercare di dire le ultime parole. Non seppe perché, ma non riusciva a dirlo. Era così strano dover riprendere tutto daccapo, lasciare il dolore che teneva sepolto nei meandri del suo cervello e tenerlo lì, solo, senza più nessuno. Perché ormai aveva capito di dover dare una svolta, di dover lasciar perdere tutto quanto. Lui amava suonare il violino, solamente che c’era voluto troppo tempo prima di rendersene conto. Sospirò, schiaffandosi i fianchi con fare nervoso, come per convincersi che parlare era l’unica via d’uscita. Ed effettivamente lo era.

                «Devi fare il saggio, certo Austin, come tutti» provò ad aiutarlo Sebastian, cercando di guardare la sua espressione e capire cosa volesse dire di così difficile. Poi gli venne in mente tutto quanto. Era stato sciocco a non pensarci prima. «Muoviamoci» disse subito dopo, notando la gratitudine nel suo sguardo. Avrebbe preferito restare da solo, era vero, ma il ragazzo di sua sorella e soprattutto un suo amico – poteva definirlo così? – gli stava chiedendo il suo aiuto per un qualcosa molto più grande di lui. Era stato coraggioso, forse un po’ in ritardo, ma la professoressa Williams avrebbe sicuramente accettato di farlo suonare con loro. «Ti ammazzerà di lavoro, lo sai vero?» cercò di fare un sorriso in grazia di dio, nonostante fosse ancora scosso dai ricordi. Nella sua mente c’erano immagini confuse di lui e lei, della professoressa, di Austin, di suo padre. Avrebbe tanto voluto sfogarsi suonando qualcosa, in quel momento.

                Il malpelo lo prese per una spalla, fermandolo. Lo vide dare uno sguardo d’intesa con Nathan, per poi tornare su di lui. Alzò un sopracciglio in riflesso a quell’atteggiamento. «Che hai?» gli chiese in coro, nemmeno l’avessero fatto apposta. Rimase di sasso. Strinse forte le labbra tra loro. «I-io? Che diavolo… dobbiamo andare dalla Williams, no? Sono agitato per te» balbettò Sebastian. «Oh cazzo, andiamo, sei identico a tua sorella quando fai cosi. Adesso andiamo da quella dannata donna, ma poi devi sfogarti altrimenti diventi verde oltre che pallido come un morto. E sinceramente mi piaci di più versione fantasma che zombie» Nathan alzò le braccia in segno di resa, facendolo ridere. Annuì, facendo loro strada. Probabilmente sì, erano diventati loro amici. Poteva fidarsi.

                Bussò alla porta dell’aula professori, cercando la sua insegnante preferita ma vedendo solo il sadico docente di solfeggio. «Cercavamo la professoressa Williams» «E perché mai? Holden, non dovresti frequentare certe compagnie» rispose l’uomo, dando un’occhiataccia a Nathan, al quale venne automatico alzare gli occhi al cielo. Si trattenne, però. Voleva evitare certi convenevoli. «Emh, è molto importante. Sebastian mi sta aiutando, è stato molto gentile» s’impicciò Austin, cercando di venire al dunque. Doveva trovare quella professoressa al costo di andare a prenderla a casa sua. Cominciò a venirgli l’ansia e si sentì la testa leggera alla paura di non trovarla. Doveva partecipare a quel saggio sia come chitarrista che come violinista. Voleva far capire a sua madre e ad Heather che era cambiato, che poteva farcela. Voleva che fossero fiere di lui come mai prima di allora. Voleva che suo padre lo sentisse sino al più alto dei cieli e che si congratulasse con lui da chissà dove. Voleva semplicemente far capire quanto valeva; sentirsi fiero, avere l’adrenalina nelle vene.

         «È nella sua aula, sta insegnando ai ragazzi del primo anno. Sbrigatevi e cercate di non interrompere troppa lezione. Reed, lieto che il suo cervello si sia messo a posto, nonostante certi elementi presenti nella sua vita» rispose il docente, lanciando l’ennesima frecciatina a Nathan con un sorriso furbo. Il ragazzo rispose sorridendo. Quell’uomo quando voleva non faceva poi così schifo. Si diressero velocemente verso l’aula in cui la donna insegnava, che Sebastian conosceva quasi meglio della sua stessa camera. Sentivano l’ansia nelle ossa, tremanti: Austin avrebbe finalmente ripreso a suonare il suo strumento. Si precipitarono nell’aula assegnata senza nemmeno bussare. Sebastian aprì la porta come se avesse dovuto sfondarla, ancora ansimante dalla corsa lungo i corridoi. Si disse che non l’avrebbe fatto per nessun’altro. «Professoressa!» si accorse di aver alzato troppo la voce e di aver fatto una pessima figura solo quando gli alunni lo guardavano con un cipiglio divertito in volto.

          La donna uscì, leggermente spaesata, chiedendosi cosa ci facessero proprio quei tre nella sua aula e soprattutto perché erano piombati in quel modo. «Prof senta, io devo partecipare al saggio come violinista e dalla segreteria mi dicono che hanno bisogno di una sua conferma, io so che ormai è tardi ma vede io devo partecipare, ne ho bisogno perché non posso fare altrimenti e-» «Reed, respira, d’accordo? Passo io in segreteria a firmare il permesso. Tu parteciperai al saggio anche come violinista, non temere. Mi avete fatto spaventare tantissimo, ragazzi, per lo più per una sciocchezza simile. Potevi anche svegliarti prima, mio caro!» lo rimproverò, mostrando quanto in realtà non fosse arrabbiata – al contrario – con un sorriso materno. Austin sospirò felice: tutto sarebbe andato per il meglio. Quasi gli venne da prenderla in braccio e farle fare mille giravolte. Sentiva una forza scorrergli addosso che era sparita da troppo tempo.

          La ringraziò più e più volte, dopo di che prese Nathan sulla schiena e, non dopo aver abbracciato affettuosamente Sebastian e aver ringraziato anche lui un’infinità di volte, si mise a correre urlando per tutto i corridoi la sua contentezza. Causando, ovviamente, i rimproveri della bidella. Oramai non c’era più nulla da fare: erano un caso perso. Austin si sentiva sicuro di sé e di quello che stava facendo. Non se ne sarebbe pentito. Avrebbe dovuto pensarci prima, così come avrebbe dovuto avere una figura importante come Rachel da subito nella sua vita. Pensò a quanto volesse vederla in quell’istante, baciarla, accarezzarla, passare il tempo con lei. Le mancava anche se non era da tanto che non la vedeva. Le stava entrando sotto pelle, pian piano stava creando uno spazio proprio dentro il cervello di Austin che non poteva far altro se non disconnettere il resto del mondo per dedicarsi unicamente a lei, ai suoi occhi neri e alla sua pelle spaventosamente bianca.
       Sorrise. Era così felice.




Spazio di quella che deve essere picchiata dolorosamente:
Chi non muore si rivede, così dicono.
Per fortuna o per sfortuna io sono ancora qui a tormentarvi con i miei aggiornamenti sempre più lenti. Mi faccio attendere, insomma.
Stavolta non è stata colpa mia: non avevo wifi sino ad oggi, per tutto questo tempo. É stato un suicidio. Ho i capitoli pronti e penso di finire presto a pubblicare la storia. Ne ho anche una in corso che spero possa piacervi. La pubblicherò appena sarà terminata.
Spero di non deludervi più. Lo spero con tutto il mio cuore.
Volevo augurare un felice Natale, un buon anno - che sta per arrivare - e spero che possiate passare queste festività per il meglio.
Perdonate eventuali errori.
Un bacione,
Claudia.
   
 
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